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lunedì 20 novembre 2017
Franco Astengo: Astensionismo
ASTENSIONISMO E ALLEANZE di Franco Astengo
Ostia rappresenterà sicuramente un microcosmo e l’esito elettorale di domenica 19 novembre riguardante il X municipio di Roma non risulterà particolarmente significativo.
L’esposizione mediatica cui è stata sottoposta la situazione relativa a questa elezione può però rendere significativo il dato anche sul piano generale, come esempio probante della crisi che sta pesantemente attraversando l’intero sistema politico.
Per chi crede di aver vinto c’è molto poco da festeggiare considerato che l’istituzione che si intende governare non conserva sicuramente un dato sufficiente di credibilità e di consenso tale da renderla credibile.di conseguenza, da rendere credibili le istanze che via via saranno adottate dalla Presidente e della sua maggioranza.
Cifre in breve: le cittadine e cittadini del X municipio di Roma chiamati a esprimere il loro voto assommavano a 185.661. Il 5 Novembre i voti validi furono 65.472 pari al 35,26% (dato già depurato dalle schede nulle, bianche e contestate). Il 19 novembre i voti validi sono scesi a 59.887 pari al 32, 25% con una flessione del 3,01% pari a 5.585 voti. La candidata del M5S che ha prevalso nel ballottaggio ha ottenuto 35.691 voti pari al 19,22% sul totale degli aventi diritto. La sua competitor dello schieramento di centro destra ne ha avuti 24.196 pari al 13,03%.
Fatta salva la particolarità del caso questi dati ci indicano almeno due problematiche:
1) La prima quella di una sconfitta generale di tipo sistemico. Ci troviamo, infatti, a quote di disaffezione tali per cui non vale l’antico richiamo all’astensionismo fisiologico (quindi chi sta a casa considera che tutto sommato la baracca vada bene così, come sostenevano autorevoli esponenti della sociologia politica statunitense fino a quale anno fa) ma non vale neppure la versione “crescita del voto di protesta” che aveva preso piede nel campo dell’analisi politologica in tempi più recenti. Ci troviamo probabilmente proprio all’interno di quel fenomeno “dell’impolitica”, così felicemente denominato recentissimamente da Gustavo Zagrebelsky.
2) La seconda problematica riguarda i produttori di sondaggi utilizzati strumentalmente in funzione dell’orientamento preventivo dell’elettorato: sarebbe bene, infatti, che la questione dell’astensionismo fosse ben considerata e tarata in modo da non trovarsi, al momento delle urne, di fronte a clamorose sorprese. In queste condizioni, infatti, il peso delle tre componenti del voto (appartenenza, opinione, scambio) potrebbe risultare assolutamente alterato in una dimensione ben più significativa rispetto al passato con eventuali infiltrazioni di diverso tipo fortemente facilitate nella fragilità del sistema.
Nella stessa giornata dello svolgimento del ballottaggio al X municipio di Roma si sono svolte, proprio in vista delle prossime elezioni legislative generali delle quali si ignora comunque ancora la data, tre importanti assemblee nazionali: quella di MdP, di SI, e di settori intenzionati a promuovere una lista “popolare” (abbiamo avuto in passato anche una “Lista di Lotta” organizzata paradossalmente da un ex – generale della NATO politicamente collocato su posizioni più o meno marxiste – leniniste) con la partecipazione di aree sociali che hanno ritenuto non ancora esaurito il cosiddetto movimento del Brancaccio.
L’analisi dell’andamento di queste assemblee, collegato con l’esito del ballottaggio di Ostia assunto come punto paradigmatico della situazione, suggerisce alcune considerazioni parziali, ma significative.
La riduzione dell’agire politico all’elettoralismo e all’individualismo competitivo intesi come soli elementi nei quali si esaurisce la proposta politica appare sempre più evidente, ad esempio nel desolante agitarsi attorno al PD di improbabili candidature e di ancor più improbabili alleanze.
La stagione della “vocazione maggioritaria”, della “rottamazione”, dell’autosufficienza è finita in coda di pesce facendo grandi danni all’intero sistema politico italiano dopo la fase della forzatura di un bipolarismo inventato sulla base di artificiosi sistemi elettorali.
Adesso siamo di fronte soltanto all’esigenza di sopravvivere da parte dei presunti protagonisti di quella stagione nel corso della quale si era tentato addirittura di ridurre il sistema da forzatamente bipolare e forzamento bipartitico e che era stata inaugurata (è bene ricordarlo) con la clamorosa sconfitta del PD alle elezioni del 2008.
E’ poi evaporato anche il famoso 40% delle Europee 2014 (che ricordiamolo: altro non era che il 22% dell’intero corpo elettorale rappresentando una cifra in voti assoluti inferiore a quella ottenuta nell’occasione della già ricordata débacle del 2008).
Quella parte di esponenti politici che si ostinano a definire il loro schieramento come “centro – sinistra” in realtà imperniano la loro narrazione su di un partito, il PD, a vocazione di destra.
Non c’è da esagerare sulla vocazione di destra del PD: prima di tutto perché “personalistico” poi avendo tentato questo partito di manomettere la Costituzione (operazione impedita dal voto popolare), promosso una strategia di guerra per bande in Africa al fine di fermare il flusso delle migrazioni, precarizzato ulteriormente il mondo del lavoro attraverso il job act, privatizzata la scuola, completamente fatto sparire il welfare, attaccate nuovamente le pensioni.
Ebbene questa porzione di sistema politico oggi sembra ritornato ai bei tempi dell’Unione Prodiana: il PD cerca liste a destra e a sinistra e, alla fine, il suo schieramento elettorale potrebbe essere composto almeno da sette o otto soggetti auto- definentisi europeisti, centristi, socialisti, riformisti. Il tutto senza alcuna sottolineatura di merito da parte dei grandi mezzi di comunicazione di massa che, indifferenti, si occupano soltanto di star dietro alla posizione personale di questo o di quello.
Invece molto ci sarebbe da analizzare dal punto di vista della riflessione politica e non certo per una sorta di accanimento nel voler mostrare le incongruenze e le difficoltà della parte raccolta attorno al PD.
In realtà come si è già provato ad accennare, le difficoltà sono “sistemiche” e riguardano anche gli altri due poli, centro – destra e M5S.
Torniamo allora alla costante dimostrazione calo di partecipazione al voto.
Il fenomeno del calo della partecipazione al voto che si accompagna alla caduta di ruolo dei cosiddetti corpi intermedi (comprese sindacati e associazioni di categoria) è necessario sia inteso come cartina di tornasole di una debolezza intrinseca.
Una debolezza intrinseca che finisce con il rendere quanto mai effimero sul piano della concretezza quel dato di ricerca della “governabilità” che si è accompagnato – appunto – alla personalizzazione e all’idea balzana della “vocazione maggioritaria” nel provocare il vero e proprio disastro politico che stiamo vivendo in questa fase.
Il M5S si troverà probabilmente di fronte a questo tipo di questione non risolvibile, nella dimensione data, con la democrazia diretta sul web e con il cinismo dell’autonomia del politico.
Soprattutto si rileva un elemento da approfondire nel tentativo di sviluppare un minimo di ragionamento su questi temi.
L’elemento è quello della totale assenza di ricerca nel collegamento (che pure sarebbe necessario) tra la rappresentatività di tipo generale e la realtà delle contraddizioni sociali emergenti cui fornire interpretazione, voce, riconoscimento di soggettività.
La questione, infatti, nella modernità indotta dalla velocizzazione e dalla personalizzazione del messaggio comunicativo è quella di come realizzare una rappresentatività politica come espressione di identità che tenga assieme cioè una visione del futuro come prospettiva di trasformazione sociale e la quotidianità dell’agire politico a livello generale, ma anche locale.
Come si realizza, oggi, un dato di rappresentatività politica attorno ad un progetto che insieme traguardi il medio periodo con una visione strategica e il corto respiro di una legislatura: questo manca completamente a livello di espressione della soggettività politica.
Una problematica di decisivo interesse perché si pone in una società dove ormai la frequenza sui social network è diventata per molti esaustiva della partecipazione pubblica individuale, sostituendo (attraverso l’espressione della ridda di opinioni su Facebook, Twitter e quant’altro) non soltanto la vecchia militanza ma addirittura la stessa espressione di voto (“Ho già detto la mia su tutto”: che bisogno c’è di andare a votare?).
Un fenomeno quest’ultimo ormai molto diffuso che spiazza anche la stessa “democrazia del pubblico”, lasciando il tutto in mano alle espressioni di un individualismo facilmente condizionabile dal complesso sistema della pubblicità, beninteso non solo politica. A questo punto diventa una questione di vero e proprio “modello sociale”.
Tutto questo in un quadro generale di affastellamento di temi senza ordine, priorità, merito.
Così si sta consumando un fenomeno di totale regressione nel rapporto tra sistema politico e realtà sociale.
Siccome la politica non ammette vuoti la colmatura di questa regressione avviene o rispolverando vecchi miti oppure con la facilità delle proposte e degli slogan più facilmente identificabili dalla complessità dei bisogni di massa: da quello, cioè, che viene nemmeno troppo propriamente definito come “populismo”.
Rimane il vuoto di visione e di progettualità che un tempo la sinistra sapeva riempire con il richiamo alla logica ferrea della distinzione di classe e con l’espressione delle sue opzioni classiche della socialdemocrazia e della rivoluzione.
Rivoluzione declinata, in Italia in particolare, attraverso un meccanismo specifico: quello della “doppiezza” integrata dalla strategia gramsciana delle “casematte”.
Su questo punto Lucio Magri aveva centrato, nel suo ultimo lavoro “Il Sarto di Ulm” il tema del “genoma Gramsci” come decisivo per l’assetto e l’identità della sinistra nel nostro paese.
Assetto e identità ancora validi, a mio giudizio, in tempi di confusa sovranazionalità e pericolosa regressione delle istanze globaliste.
E’ questo, pur esposto sommariamente, il quadro che si sta presentando in vista delle elezioni legislative 2018 e soprattutto nell’insieme della vicenda politica ben oltre le scadenze canoniche: toccherebbe alla sinistra ancora organizzata e posta fuori dal recinto del “personalismo velleitariamente governativista” e non ammaliata dal mito della democrazia diretta o del Tribuno che si rivolge direttamente alle masse, svolgere prima di tutto un’opera di vera e propria “controcultura” cercando anche di tirare una qualche somma in una dimensione di proposta rivolta non solo in termini di lista elettorale.
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3 commenti:
Le analisi di Astengo, sempre assai profonde, hanno l’incontrovertibile difetto di partire da lontano, con il presupposto che gira e rigira, la chimica dei problemi è sempre la stessa, e che prima o poi nel vecchio alambicco sarà costretta a bollire.
La verità è che un’epoca è irrimediabilmente cambiata, dove il bilanciamento tra impatti positivi e negativi risponde a logiche di aleatorietà, nei confronti delle quali la sinistra nel suo complesso non riesce a fare i conti e si disunisce ulteriormente tra chi si affanna a individuare un equilibrio, anche se instabile in un contesto di crescita e non crescita e chi invece si fossilizza nel dogmatismo e nel pregiudizio. Nella sinistra, intesa tutto ciò che non va a destra, anche se in molti casi sono termini ormai privi di percezione significativa, va in scena l’usuale recitazione, se non si riesce collettivamente a cambiare la nostra credibilità, ciascuno per suo conto proverà a cambiare gli elettori. Anche ai tempi del dogmatismo più diffuso, l’elettorato italico, anche quando seguiva i principi ideologico valoriali, per le quali le convinzioni morali erano fissate una volta per tutte, dall’educazione, dalle fedi: confessionali o laiche, senza che la ragione, cui spesso veniva sottratta la conoscenza, potesse minimamente intervenire, non era estraneo il principio del tornaconto atteso o immaginato.
Il tempo ha sottratto ad alcuni l’aspettativa del tornaconto, ad altri i benefici acquisiti: i figli con un futuro più povero di quello dei genitori, e i nipoti più poveri dei nonni, ed un ceto medio che raggiunta l’asticella per il cambio di paradigma si ritrova con la ridiscesa nella coda del serpente.
Abbiamo vissuto tutti gli anni 90, con l’identificazione che l’ammontare del debito pubblico, era la conseguenza dell’arricchimento dei partiti di governo della prima repubblica, che scacciati i mercanti del tempio, il Paese sarebbe ritornato o diventato virtuoso. Non è stato proprio così, il debito è continuato a crescere ai danni delle future generazioni, gli onesti invocati si sono dimostrati assai incapaci e l’incapacità rimossa dalla questione morale, l’approdo a diventare classe dirigente politica, uno scivolo accessibile a tutti.
La 4° rivoluzione industriale è entrata a gamba tesa nella nostra quotidianità, trovando un’impreparazione culturale impressionante ed élite rinculanti a difesa del pregresso, che ha influito sulla percezione di un’assoluta asimmetria tra istituzioni e capacità di governo impossibilitate ad affrontare i problemi, ed il dualismo tra promotori di soluzioni diverse, ma comunque costrette nel recinto dei condizionamenti degli impegni assunti, è diventato uno scenario di polivalenze, nelle quali le due nuove varianti sono: la colpevolizzazione di chi esercita il governo e la sfiducia nelle istituzioni non in grado di dare le risposte utilitaristiche che ci si attendeva. Nel terreno della colpevolizzazione la sinistra dogmatica e quella che strumentalmente ad essa si richiama, non ha mercato perché il suo target è una borghesia che si auto proclama illuminista, mentre l’opposizione è passata negli anti sistema altrui. E’ più prossima allo stordimento perché costretta ad aderire a determinate usanze, in un conformismo che la priva dell’energia e della vitalità che dovrebbero stimolare la collettività a capire e migliorare. Vi è una costante lettura errata del referendum, a specchio con quella di Renzi e del suo presunto 40%, che impone la demonizzazione dell’avversario più prossimo, dove la progettualità sarebbe costretta a diventare immaginifica come quella di Berlusconi, perché non si è in grado di una declinazione che parta dai vincoli, di un debito pubblico che assolve alla disoccupazione e alla generosità sociale di estensione del sistema pensionistico, ultimo baluardo di una CGIL imbolsita e sconfitta dalla storia e dal progresso. Gli ingenui Montanari e Falcone, interpreti puri del principio politico del referendum, hanno dovuto loro malgrado fare i conti che la frantumazione della sinistra è funzionale all’esigenza elettorale dei promotori, e che in quella morsa sarebbero stati stritolati. La crisi della sinistra sta proprio nella incapacità di generare leadership credibili, prende a prestito per la vetrina le seconde e le terze cariche dello Stato, che saranno inevitabilmente gabbate il giorno dopo le elezioni. Elettoralismo e individualismo sono i soli elementi nei quali si esaurisce la proposta politica perché appare sempre più evidente, per il mancato coraggio di proposte politiche, per l’incapacità di capire il presente e soprattutto il futuro senza ricorrere ai tools adeguati, e perché sono le auto candidature a caratterizzare la scena. Il sistema politico è andato in frantumi all’inizio degli anni novanta, e con lui la credibilità del sistema Paese, come dimostra la vicenda EMA e la nuova instabilità del sistema politico tedesco. Nel frattempo mentre i socialisti, a imitazione dei comunisti, mettono il Dash alle loro camice, la rivoluzione di ottobre viene catalogata a fatto storico e a fallimento politico, ma forse in italia si è troppo distratti dopo l’anti berlusconismo all’anti Renzismo, espressione di un vuoto di prospettive incolmabile.
Mi spiace tanto replicare, ma la rivoluzione 4.0 c’entra poco e proprio le ragioni elencate da Merlo dovrebbero essere quelle che rendono necessario lo sviluppo di una diversa ipotesi politica, rispetto a quelle in circolazione e che hanno prodotto gli immani guasti nel sistema democratico cui stiamo assistendo. Debito pubblico, ecc, ecc, tutte scuse per portare avanti una politica anti popolare, chiusa nel recinto dell’autonomia del politico – appunto – personalistica, di cordate e gruppi tenuti insieme dalla logica del potere per il potere. Mi spiace davvero , soprattutto personalizzare le risposte, ma è quello di Merlo il vecchio alambicco di un presunto modernismo che ci ha portato a non riconoscere la realtà delle contraddizioni e a misurare l’agire politico con il solo metro della convenienza del più forte e della politica “separata”. E’ attraverso queste logiche che abbiamo arretrato,paurosamente arretrato. Scusatemi ancora, ma c’è da essere stanchi di queste lezioni impartite da chi (non Merlo, beninteso) ci ha portato in questa drammatica condizione: soprattutto ha portato in condizioni drammatiche lavoratrici, lavoratori, giovani, pensionati. Scusatemi ancora davvero Franco Astengo
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