Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
martedì 21 febbraio 2017
Paolo Bagnoli: Quale socialismo
Da critica liberale
quale socialismo
paolo bagnoli
La fine del Partito Socialista Italiano non ha portato con sé anche quella dei
socialisti che ci sono un po’ in tutta Italia raccolti in circoli, gruppi, attorno a riviste; tutti
desiderosi che qualcosa di serio rinasca, ma tutti paralizzati dall’incapacità di parlarsi
come si deve e all’altezza del tema in oggetto. Recentemente da uno dei pianeti di questo
frammentato microcosmo è stata riproposta la figura di Filippo Turati nel tentativo di
stimolare l’avvio di una discussione culturale propedeutica a uno sviluppo positivo della
questione politica.
Il fatto è meritevole d una qualche attenzione per due sostanziali motivi: il primo
riguarda la conoscenza del leader fondativo del socialismo italiano; il secondo perché il
solo riferimento a Turati evoca, subito, suggestioni che interrogano il nostro presente e,
tanto più, ciò vale per chi continua a credere, nonostante le repliche amare della nostra
storia recente, che il problema del socialismo in Italia continui a essere all’ordine del
giorno. E lo è tanto più se si vede come una rinascita ideale-politico-organizzativa non solo
stenta ad alzare la testa, ma, pregiudizialmente, a porsi nella condizioni per cercare di
rialzare la testa. Le osservazioni un po’ fanciullesche che, in perfetta buona fede peraltro,
ogni tanto si alzano da questi ambienti per ammonire che uno spazio di ripresa ci sarebbe,
non costituiscono un dato politico. In politica, infatti, lo spazio c’è sempre che lo si sappia
conquistare e non è sufficiente lanciare una qualche iniziativa perché ciò avvenga. Occorre
programmare un progetto che segua organicamente all’intenzione e le possibili, subito
agguantabili, soluzioni organizzative, sono solo una corsa sul posto. Occorre all’intenzione
far seguire la chiarezza sulle idealità, su come si vuole stare nella storia, quali forze si vuole
rappresentare; significa fare dell’intenzione un progetto politico e muoversi lungo la
definizione che ci offre un pensiero compiuto. E, significa altresì, puntare a dare forma al
soggetto che non può essere il vecchio Psi travolto dal craxismo ma dalla vicenda del Psi, il
soggetto storico per eccellenza del socialismo italiano non si può nemmeno prescindere in
un rapporto serio di continuità di funzione storica e di innovazione metodologica.
Naturalmente occorrono idee che tengano conto della lotta che occorrerebbe aprire nel
presente storico che viviamo senza, con ciò, inseguire il presentismo poiché la rinascita del
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socialismo in Italia implica una non ineludibile scommessa con la storia. Una scommessa
duplice in quanto a essa è legata la più generale questione della sinistra; di quella vera,
anch’essa cancellata soprattutto per responsabilità delle scelte compiute dai postcomunisti
dalla fine del Pci in poi.
Crediamo che una delle ragioni per cui nulla di effettivamente fattuale esista per
ricostituire un soggetto socialista dipenda dal fatto che ancora non siano stati fatti
seriamente i conti con la stagione di Bettino Craxi. Questo grumo irrisolto impedisce di
avere quella pagina bianca su cui scrivere una nuova storia nonostante che l’insieme della
vicenda stessa del Psi offra un canone storicamente e culturalmente alti, tali da permettere
di avere un riferimento complessivo, ricco e articolato, per una ripartenza negli anni 2000
anche se la storia non si ripete e il passato non si cambia.
Il discorso, naturalmente, è complesso e richiede intima consapevolezza di cosa esso
voglia dire; una consapevolezza che, al momento sicuramente non c’è. Come non mai, nel
caso dello specifico socialista, il rapporto tra passato e presente si impone. La vicenda del
Psi ci consegna, infatti, un messaggio sociale e pure un contributo di identità che, se viene
smarrito o messo in second’ordine, tutto riduce alla miseria dello smarrimento odierno.
Infatti, se guardiamo bene, la questione socialista italiana ci sembra come incistata nel solo
dover rendere omaggio a Craxi e alla tragedia umana che ha sofferto e che lo ha travolto.
Così non si va da nessuna parte e, infatti, tutto è praticamente fermo.
Non crediamo al tacitismo, ma senza saper leggere il passato, non solo non si
governa il presente, ma si perde di vista – cosa fondamentale in politica – che l’oggi deve
ragionare e incidere in funzione del domani. Se ciò non avviene dallo smarrimento si passa
all’abdicazione di se stessi e dei propri ideali che è quanto è successo e sta succedendo, pur
con gradazioni diverse, al socialismo europeo. La negatività indotta dal blairismo rischia di
essere un virus da cui risulta difficile guarire poiché esso cancella del socialismo quella che
è la sua ragione, ossia l’alternativa al capitalismo; tanto più alternativistico quanto più
questo è barbarico. In fondo l’arrivo di Corbyn in Inghilterra e il farsi avanti di Hamon in
Francia, al di là dei risultati legati alle rispettive situazioni, ci dicono della volontà
socialista nei due Paesi di recuperare il socialismo alla sua funzione naturale di forza di
sinistra, non di cogestione compassionevole del mercato senza regole. E dove il socialismo
non assolve al proprio ruolo ecco che, come in Spagna e in Grecia, sorgono forze con la
storia nel presente, ma non nella Storia, che ne surrogano la funzione; ma, piacenti o
nolenti, il socialismo sta, per molteplici ragioni, solo nei partiti socialisti. Diverso è il caso
della Germania ove sembra dato per scontato che Spd e Cdu continueranno, anche dopo le
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prossime elezioni, nel governo del Paese avendo i socialdemocratici escluso che, anche se ci
fossero i numeri, di dar vita a un’alleanza di sinistra. Per il popolo tedesco probabilmente è
giunta l’ora di cambiare la guida del governo. Forse nasce da qui l’ascesa della Spd nei
sondaggi.
Di Filippo Turati, visto che è da lì che partono queste riflessioni, occorrerebbe
tenere presente due cose che, quando si parla di lui, vengono sempre ignorate preferendo
ricorrere alla formula trita del “riformismo”; un termine che identifica un metodo
legalitario di lotta politica. Parlare di “riformismo” ha veramente poco senso oggi poiché
non si sa più cosa la parola voglia dire. Per lo più essa è usata oramai da destra e da sinistra
per celare un vuoto di identità e di proposta. Di Turati si dovrebbe ricordare, invece, che
egli definiva il socialismo quale “rivoluzione sociale” sostenendo che era dovere dei
socialisti avere una risposta per ogni problema sociale e politico che si presentava e doveva
essere affrontato.
Ci sembra un lascito su cui vale la pena di riflettere. Infatti, se ci pensiamo bene, se
si vuole provare seriamente a ridare avvio a un processo di ricostruzione vera del
socialismo italiano che non si riduca solo ad un’accolita di reduci o a un’adunata dei
refrattari, è un po’ difficile sfuggire a ciò.
Nagib Mahfuz, egiziano, Premio Nobel per la letteratura nel 1988, ha scritto:
«Prima o poi tornerà il socialismo. Il socialismo non morirà mai». Ne siamo convinti anche
noi anche se non è poca la differenza tra il prima e il poi.
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2 commenti:
Naturalmente ho letto subito questo articolo di Paolo Bagnoli, ma per la complessità e la difficoltà del tema posto ho esitato a lungo prima di intervenire. La vicenda della scissione o pseudo scissione o comunque la si voglia definire del PD, con i commenti che anche fra noi ne sono conseguiti, mi ha indotto a rompere gli indugi, per cui cercherò di dire la mia sperando di riuscire ad evitare il rischio sempre incombente di declamazioni tanto banali quanto inutili.
Bagnoli ha fatto bene a ricordare Turati: quella infatti, nonostante il molto tempo passato, resta la via maestra. In particolar modo ha fatto bene a precisare - cosa ormai rara - che proprio Turati, da tutti indicato come il padre del riformismo socialista italiano, non si definì mai riformista perché per lui il socialismo era e restava "rivoluzione sociale". Il socialismo infatti è il fine mentre il riformismo è il metodo per raggiungere il fine, non il fine in sé. Poi possiamo ritenere con Bernstein che il movimento sia tutto e il fine nulla, ma questo è un altro discorso. Quel che conta è essere e definirsi socialisti, non riformisti, anche perché, come ha detto Bagnoli e come tutti sappiamo, il termine "riformismo" è ormai talmente abusato da risultare insignificante ed anche fuorviante se astratto dal suo contesto storico e culturale, come ha ricordato tempo fa Giorgio Ruffolo.
Queste riflessioni non sono anticaglia inutile, ma sono viceversa attualissime perché ci devono indurre, se le condividiamo, a rifiutare ogni concezione del socialismo come "cogestione compassionevole del mercato senza regole", per citare ancora Bagnoli. Questo è stato l'errore del blairismo e della politica di gran parte dei partiti del socialismo europeo a partire dagli anni '90. Mentre il crollo del comunismo avrebbe dovuto indurre i socialisti a riproporsi come unica ed autentica alternativa al capitalismo, molti, forse convinti della teoria di Fukuyama circa la fine della storia, hanno ritenuto che a fronte del capitalismo trionfante i socialisti non potessero fare altro che mettere qualche benda e qualche cerotto. Da questa illusione sbagliata - non voglio pensare ad argomenti vili - è derivato quell'Ulivo mondiale teorizzato a suo tempo da Veltroni e recentemente riproposto, almeno per l'Italia, da D'Alema. Quando invece - lo dico senza eccessive illusioni ma con qualche speranza - qualcosa di nuovo, anzi d'antico, pare movimentare il socialismo europeo.
Questo dovrebbe valere, almeno a mio giudizio, per quel poco o tanto che resta del socialismo italiano. Nessuna iniziativa più o meno strutturata ha senso - lo dico anche in base alla mia esperienza degli ultimi anni - se prima non si definiscono o ridefiniscono con assoluta chiarezza la cultura ed il pensiero socialista, duramente scossi da tante vicende.
Bagnoli ritiene che questo sia dovuto al fatto che non si sono fatti seriamente i conti con la stagione di Bettino Craxi. Ne abbiamo parlato in più di un'occasione e, come spesso avviene, abbiamo registrato punti di convergenza e di divergenza.
Se qualcuno vorrà riprendere il discorso sarà un fatto positivo. Personalmente credo di avere ormai sufficientemente chiari meriti e demeriti di Craxi e della sua politica. Non ne condivisi all'epoca e continuo a ritenere pesantemente negativi alcuni elementi: la personalizzazione della politica ed il conseguente leaderismo, la gestione bonapartista del partito, l'indifferenza nei confronti di elementi di malcostume in evidente crescita, il non aver saputo affrontare adeguatamente il post 1989. Poi naturalmente ci sarebbero molte altre cose da dire, soprattutto in relazione alle chiusure ed al settarismo del PCI.
Ma c'è anche un lascito positivo da cui credo dovremmo ripartire. Craxi cadde soprattutto perché giudicava negativamente il Trattato di Maastricht, diffidava dell'euro (l'Europa sarà un inferno) e, da vecchio e convinto socialdemocratico, credeva nel ruolo dello Stato e dell'economia pubblica e nell'interesse nazionale, che è cosa ben diversa dal nazionalismo. Per me sono argomenti su cui riflettere e da cui un'eventuale ripresa del socialismo italiano non può prescindere.
Fraterni saluti
Maurizio Giancola
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