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sabato 4 febbraio 2017
Franco Astengo: Destra/sinistra
DESTRA/SINISTRA di Franco Astengo
L’Almanacco di Filosofia di Micromega giunto puntualmente in libreria contiene un impegnativo testo d’apertura titolato “La Linea Generale” (roba da congressi) nel quale, presumibilmente la direzione della rivista di Paolo Flores D’Arcais, non solo prende impegni con lettrici e lettori per il prossimo futuro, ma sviluppa anche un’analisi sulla situazione della sinistra, tentando un vero e proprio “bilancio di fase”.
Estrapoliamo un passaggio molto significativo:
“Vorremmo continuare a realizzare sempre di più la nostra dichiarata vocazione per una sinistra illuminista, consapevoli che oggi molto spesso i due termini suonano, ahimè, come un ossimoro.
Oggi, in primo luogo, è il termine stesso “sinistra” di uso sempre più arduo, visto che i partiti etichettati come tali dalla vulgata giornalistica sono in realtà partiti di destra, strumenti degli establishment a tutti gli effetti.
Del resto la “terza via” con cui Blair conquistò il Labour Party nel 1991 doveva essere giudicata subito come una iattura, che lasciava all’elettorato britannico solo la scelta tra due destre”.
E fin dalla sua nascita questa rivista fece della categoria “partitocrazia” e “gilda” (molti anni prima della intelligentissima definizione di “casta” da parte di Rizzo e Stella) la caratteristica saliente e unificante (a destra!) delle forze politiche che si contendevano il consenso”.
Non abbiamo però mai ceduto alla deriva post – moderna e post – tutto che vuole la distinzione destra / sinistra priva di senso.
Anzi. In effetti non aveva e non ha più senso se riferita alle forze organizzate (comprese quelle etichettate come sinistra “estrema”) perché anch’esse sempre più omologate e corrive agli establishment, ma continuava e continua ad averlo, eccome, rispetto ai contenuti dell’azione politica e ai valori che essi esprimevano ed esprimono (quanto ai programmi elettorali dei partiti, sono notoriamente “scritti nel vento e nell’acqua” come le promesse di Lesbia a Catullo).
Fin qui la “parsa destruens” dell’analisi di Micromega.
Di seguito una parte di quella che può essere considerata (almeno crediamo nelle intenzioni dell’autore) “pars costruens”:
“ La sinistra realmente esistita è stata perciò in Italia (e non solo) quella dei movimenti della società civile, delle lotte, della piazza e delle campagne di opinione.
Una sinistra sommersa, la definivamo già nei primissimi numeri della rivista.
Una sinistra carsica, che sembrava scomparire ma poi tornava in superficie con nuove fogge, negli anni dei girotondi, in alcuni momenti della CGIL di Cofferati, con le manifestazioni del “popolo viola”, “Se non ora quando” e l’ondata di proteste contro le leggi bavaglio.
Questa sinistra realmente esistita, al di là delle contraddizioni politiche ha avuto un mondo di riferimento culturale assai variegato e tuttavia molto di rado illuminista.
La sinistra, anche quella nelle sue espressioni più autentiche ed efficaci, spesso era ed è imbevuta di un mood ideologico irrazionalista che ha celebrato i suoi fasti (anche internazionalmente sia chiaro) nell’interminabile stagione di egemonia del postmoderno, dell’infatuazione heideggeriana declinata in concorrenziali confessioni accademiche e immaginari usi rivoluzionari del pensiero dell’Essere, nelle propaggini del “momento” francofortese, e derridiano…
… Contro gli equivoci reazionari della differenza e relativa “idolatria” MicroMega si è battuta fin dai suoi primi anni di vita in totale isolamento e senza alcun successo, a dire il vero.
E così la sinistra, anche la più autentica e senza virgolette, quella dei movimenti e dei riferimenti culturali, ha regalato alla destra armi micidiali e la possibilità di impancarsi a paladina (a corrente alternata, sia chiaro, e secondo comodo e convenienze) della libertà d’espressione, dell’eguaglianza degli individui contro le quote, dei diritti universali, della grande cultura, trovando esempi concreti e abbondantissimi di sedicenti progressisti che quei valori negavano.
Su tutti questi temi, perciò, non faremo che lavorare in coerenza con il nostro dna di sinistra eretica”.
L’idea è quindi quella di rappresentare una sinistra eretica (nel senso della testimonianza?) che si occupa della sovrastruttura, evitando – annunciati i suoi giudizi – di andare al fondo delle contraddizioni materiali che attraversano la nostra società.
In questo senso come può invece essere sintetizzato il bilancio di questa fase che chiude con il mutamento di rotta al vertice dell’Impero.
Trump ha ribadito il suo “America First” e tutti i populisti e i sovranisti d’Europa si sono sentiti vendicati.
Si apre un nuovo ciclo, segnato dalla fatica dei gruppi chiave dell’industria e della finanza, con le loro élite politiche, i loro giornali, le loro televisioni e il cosiddetto establishment (più volte citato da MicroMega) a darsi un seguito di massa tra la piccola borghesia, gli strati intermedi e anche tra i salariati, per le incertezze seminate dalla crisi globale e le paure per il declino del vecchio mondo atlantico: qualcosa di più e di diverso dalla destra che si traveste da sinistra.
Si pena a trovare chi tenga il punto, e con l’ipocrisia di dare ascolto alle “paure della gente” si lascia l’agenda del discorso pubblico a istrioni e demagoghi.
Questo tipo analisi è assente nella “Linea generale” impostata da MicroMega e si tratta di una lacuna non da poco, proprio perché trascura il punto fondamentale sul quale ricostruire un’identità di sinistra oggi: quello del mutamento nella connessione esistente tra struttura e sovrastruttura.
Per una combinazione, probabilmente non fortuita, nello stesso numero dell’Almanacco di Filosofia è ospitata una sezione dedicata all’analisi, sviluppata a più voci, del concetto di egemonia in Gramsci.
Nel suo saggio Perry Anderson mette a confronto le analisi nel merito del tema elaborate nel tempo da diversi autori e fra questi da Giovanni Arrighi.
Scrive Anderson: “ ..A differenza di molti suoi contemporanei egli (Arrighi) ne individuava il nodo fondamentale nell’ideologia ma nell’economia. Sul piano internazionale condizione fondamentale per essere egemonici era quello di essere portatori di un modello superiore di organizzazione, produzione e consumo non solo incline a generare acquiescenza agli ideali e ai valori della potenza egemone ma anche una generale tendenza all’imitazione, alla presa a modello”.
La questione del concetto di egemonia rappresenta, allora, l’elemento cardine per rispondere alla debolezza della sinistra illuminista contenuta nella “Linea Generale” di MicroMega.
Nel gennaio del 1958 si svolse a Roma un convegno di studi gramsciani i cui atti furono poi pubblicati, qualche mese dopo dagli Editori Riuniti.
Nel volume “Palmiro Togliatti: la politica nel pensiero e nell’azione” uscito nella collana “Il pensiero occidentale” di Bompiani, compare l’intervento svolto in quell’occasione dal segretario generale del PCI sul tema “Il leninismo nel pensiero e nell’azione di A. Gramsci” (pp.1121 -1141).
Si tratta così di contribuire a un dibattito che è necessario riprendere sull’identità teorica e storica del comunismo italiano ponendosi in rapporto con le altre correnti di sinistra ponendo in questo modo anche il tema della soggettività politica.
Si tende, insomma, in questi tempi così difficili soprattutto per la teoria politica a ricordare come Gramsci, nella difficoltà del carcere, delle sue condizioni di salute, delle temperie storiche che stavano attraversando il mondo in quel tumultuoso periodo fosse un “comunista rivoluzionario”.
Ecco, dunque di seguito la parte conclusiva dell’intervento di Togliatti: “Vi è per Gramsci una differenza, e quale, nello sviluppo di questi concetti, tra il termine di egemonia e quello di dittatura? Una differenza vi è, ma non di sostanza.
Si può dire che il primo termine si riferisca in prevalenza ai rapporti che si stabiliscono nella società civile e quindi sia più ampio del primo. Ma è da tener presente che per lo stesso Gramsci la differenza tra società civile e società politica è soltanto metodologica e non organica.
Ogni Stato è una dittatura, e ogni dittatura presuppone non solo il potere di una classe, ma un sistema di alleanze e di mediazioni attraverso le quali si giunge al dominio di tutto il corpo sociale e del mondo stesso della cultura, così come ogni Stato è anche un organismo educativo della società, negli obiettivi delle classi che dominano.
La società politica può però assumere una forma di estremo rigore dittatoriale, quando per i contrasti tra struttura e sovrastruttura, si crea un distacco tra la società civile e la società politica, o si apre, cioè, una delle grandi crisi rivoluzionarie della storia.
Allora “si ha una forma estrema di società politica, o per lottare contro il nuovo e conservare il traballante rinsaldandolo coercitivamente o come espressione del nuovo per spezzare la resistenza che incontra nello svilupparsi ecc.” (A. Gramsci “Quaderni del Carcere” – Note sul Machiavelli).
Quest’osservazione che sembra fatta di sfuggita è invece tra le più importanti. Da un lato a essa si collega il giudizio sul carattere degli Stati borghesi, nella loro evoluzione, progresso o decadenza. Dall’altro lato essa apre la via allo studio delle diverse forme che la stessa dittatura della classe operaia assume nelle sue diverse fasi e può assumere in paesi diversi.
E’ un nuovo capitolo del leninismo che si discute, quello alla cui elaborazione completa sta oggi lavorando il movimento operaio internazionale.
Il dominio politico della classe operaia tende a creare una società non più divisa in classi ma “regolata”. Ma cosa vuol dire una società regolata e come si giunge a essa?
Occorreranno, dice Gramsci, parecchi secoli.
Questo vuol dire che la conquista del potere e la creazione dello Stato socialista non portano alla risoluzione di tutte le contraddizioni.
Anche al di fuori di quelle che sono legate al carattere parziale delle prime vittorie, altre ne sorgono e devono essere risolte. Uno dei cavalli di battaglia contro la concezione marxista del mondo e della storia era chiedere come si concilia la nostra visione dialettica della realtà con la nostra lotta per una società regolata. Quale sviluppo dialettico ci potrà dunque essere in siffatta società?
Al che Gramsci ci insegna a rispondere che il marxismo non è dottrina di profezie, ma dottrina della realtà. Noi conosciamo le contraddizioni del nostro mondo, che è il mondo diviso in classi e lottiamo per superare queste contraddizioni. Profezie sugli sviluppi delle società future, prive di classi, non spetta a noi farne.
Ci spetta invece conoscere e lavorare per risolvere con metodi nuovi le contraddizioni che in questa prima fase delle società socialiste continuano a esistere. Non poteva essere compito di Gramsci addentrarsi su questo terreno”.
E’ il caso allora di aprire davvero un confronto tra l’idea della “sinistra illuminista” e il “concetto di egemonia”: un concetto che ha avuto una storia lunga e complessa ma che può rappresentare ancora la base concreta di elaborazione per una soggettività politica di sinistra che riprenda in pieno le conclusioni togliattiane del 1958 circa la necessità di conoscere e di lavorare con metodi nuovi esplorando le contraddizioni (il segretario del PCI si riferiva alle società socialiste) nell’intreccio di un’attualità drammaticamente alle prese con inediti livelli di scontro sociale e politico.
Tutti richiami che nulla hanno a che fare con la nostalgia di un passato che evidentemente non ritorna.
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