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venerdì 24 febbraio 2017
Andrea Ermano: Il meglio del talk show
Il meglio del talk show
di Andrea Ermano
Per me le cavalcate ussare del professor Cacciari appartengono al meglio del talk show italiano. Scaturiscono da una naturale intemperanza del carattere mediterraneo, che poi si rinfocola per il vivo disappunto, da parte dell'uomo erudito, di non riuscire a contenersi. Da un lato la tensione verso un'ideale di sé che includerebbe a rigore anche il freno inibitorio. Dall'altro lato la resa indocile a un temperamento che alla fine dell'assedio ti espugna l'animo al grido di "verità!", intimandoti di mandar tutti a quel paese.
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"Rivoluzione socialista" - Massimo Cacciari
e Enrico Rossi martedì scorso a "Otto e mezzo"
«Gli uomini di carattere hanno un brutto carattere», diceva Pertini, che se ne intendeva, e al quale Cacciari in fondo un poco somiglia.
Quando era sindaco di Venezia, si scagliò in Piazza San Marco contro due famiglie di turisti che lanciavano briciole ai piccioni: «Mandatemi un vigile!», urlò in mezzo alla folla. «Ce ne sarà almeno uno, no? Per questi quattro deficienti».
Lui è fatto così, sempre incavolato. E guai a chi ce lo tocca: «Me ne frego di Halloween! E, di festeggiarlo a Venezia, non se ne parla proprio: roba da Peschiera del Garda!»: quando rilasciò questa dichiarazione, i primi a trovarla divertente furono, naturalmente, quelli di Peschiera. Tutti gli perdonano tutto, ma le sue migliori incavolature sono quelle contro il socialismo e i socialisti.
Negli anni Ottanta, il ministro De Michelis disse a Cacciari, reduce da una deludente esperienza parlamentare nel Pci: «Massimo, molte delle tue idee mi piacciono. Perché non vieni nel Psi?» Erano impegnati in un dibattito pubblico tra veneziani, mi pare. «Grazie, Gianni, della tua generosa offerta», replicò quello, «ma sono già ricco di famiglia».
Chissà come si sarebbero svolte le vicende della politica e della filosofia italiana, senza quella battuta memorabile.
Nel frattempo sono passate due Repubbliche. Il PSI di Bettino Craxi non c'è più da un quarto di secolo. La gente del crucifige, oggi per lo più rimpiange l'ex premier sepolto a Hammamet. Ma i "socialisti" restano un nervo scoperto. Nell'inconscio collettivo italiano continua l'interminabile tafferuglio tra indignazione e senso di colpa.
Quando, qualche giorno fa, Lilly Gruber ha chiesto lumi sullo stato di salute del socialismo in Italia dopo la scissione del PD, l'ex sindaco-filosofo è esondato: «Se "socialismo" significa nostalgia di vecchie forme di welfare che erano già superate teoricamente e praticamente verso la fine degli anni Settanta, se significa conservatorismo assoluto, com'è stato durante tutta la Seconda repubblica da parte del centro-sinistra sulle questioni di riforma costituzionale eccetera, eccetera, sugli assetti amministrativi, su tutto: conservatorismo assoluto! (…) Se è questo il "socialismo", allora è chiaro che non ha nessuna prospettiva», ha esordito Cacciari.
E però non si è capito bene con quale "socialista", in concreto, egli ce l'avesse. I quattro premier italiani in qualche modo riconducibili all'orizzonte del socialismo europeo – Renzi, D'Alema, Amato e Craxi – si sono spesi non poco per le "riforme", anche se talvolta con uno slancio degno di miglior causa. Né certo hanno frenato le "riforme" Napolitano, Pertini o Saragat, i tre Capi di Stato socialisti avvicendatisi finora al Quirinale. Napolitano, addirittura, ha vincolato la propria rielezione al tema delle riforme. Anche se poi, sì, il risultato è stato quel disastroso "combinato disposto" tra l'Italicum e la revisione Renzi-Boschi che tutti conosciamo.
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"Dal Pci al Socialismo Europeo"
Cacciari con Giorgio Napolitano
«Dopodiché, la si chiami come si vuole, ma una politica di difesa e di promozione del lavoro e dell'innovazione, di difesa dei giovani, di difesa dell'occupazione, una politica di reddito garantito per ragioni di fondo, storiche, perché siamo in un sistema sociale ed economico che lavora e funziona a riduzione del tempo di lavoro necessario, e quindi non è che possono sopravvivere soltanto i finanzieri, gli economisti e i creativi», ha aggiunto il professore: «Perché ci sono grossissimi problemi nuovi da affrontare… E allora se una forza che affronta questi problemi vuole chiamarsi "socialista", si chiami "socialista"!».
Oibò, nulla è scontato, ma questo l'avevamo capito anche noi, dopo gli otto anni trascorsi alla Casa Bianca dal socialdemocratico Obama, dopo che il socialista americano Bernie Sanders si è rivelato essere il candidato preferito dalle giovani generazioni USA, dopo che il socialista portoghese António Guterres è stato eletto Segretario generale dell'ONU, e dopo l'avvento al soglio petrino di Francesco, pontefice della questione sociale globale, anche se sua eminenza il card. Camillo Ruini – in tutt'altre faccende affaccendato – fa il nesci.
Che gli importava se c'era una legge dello Stato, confermata dal 70% degli italiani nel referendum del 1981? Il card. Ruini, quando fu giunto alla guida della CEI, intensificò la strategia "informale" dei "disincentivi economici e di carriera" in grado di "convincere" i ginecologi italiani all'obiezione di coscienza. La quale salì dal 58,7% del 2005, al 69,2% del 2006, al 70,5% del 2007, al 71,5% del 2008, con punte di oltre il 90% in alcune regioni.
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Alleati storici: Berlusconi e il card. Ruini
Disse una volta Loris Fortuna, con grande pacatezza e ironia: «Se gli alti prelati rimanessero "incinti", l'interruzione di gravidanza sarebbe "un sacramento"». Ecco, al coraggio delle idee di quel socialismo dobbiamo tornare. E, in effetti, in quella direzione va la sterzata a sinistra del Labour di Jeremy Corbyn, la vittoria di Benoît Hamon alle primarie del PSF, l'impennata di consensi della SPD di Martin Schulz e, anche, perché no, la "Rivoluzione socialista" argomentata dal governatore toscano Enrico Rossi mentre esce, insieme a Pierluigi Bersani, da quello che loro ormai definiscono il "Partito di Renzi" (PdR). Il quale Renzi, tuttavia, rivendica anch'egli, ogni volta che può, il proprio ruolo decisivo nell'adesione del PD alla grande famiglia del Socialismo Europeo, dove la sinistra cristiana per altro si sente ormai a casa.
Dopodiché, in tema di socialismo e socialisti, rispunta sempre in Italia una coda di paglia incredibile. Ed è forse in questa chiave che si comprende la conclusione di Massimo Cacciari: «Ma il termine "socialista", chiaramente, appartiene al Novecento. In tutti i sensi. È chiaro. E le forze che vogliono rimanere aggrappate a quello che quel termine significava sono spacciate, come sta avvenendo».
«Ma Bernie Sanders, col suo socialismo rooseveltiano, non è stato propriamente spacciato», gli ha ribattuto Rossi.
«Veramente ha perso», è stata la controreplica di Cacciari.
«Ha perso, però ha preso tanti voti», ha tenuto fermo Rossi.
«Ecco, tanto basta: prendere i voti», ha osservato Cacciari.
«Ma da quando la sinistra pensa che dobbiamo soltanto "vincere", si è condannata regolarmente a perdere, sempre di più», è stata la stoccata finale di Rossi. Touché.
Insomma, la "questione sociale" ha riconquistato il centro della scena: la difesa del lavoro, delle giovani generazioni, del salario di garanzia... Temi che si diffondono, nuovamente, tra le barbe dei filosofi come pure tra le vaste masse del ceto medio occidentale instradato sulla via della decadenza.
Quindi non importa quale termine userete per evitare di pronunciare la parola "socialismo". Ciò che importa davvero è che: o socialismo o forconi. E questo oggi ormai, in un modo più o meno esplicito, lo ammettono tutti. Poi si vedrà.
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