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lunedì 6 febbraio 2017
Paolo Bagnoli: Verso la vera accozzaglia
Da Critica liberale
verso la vera accozzaglia
paolo bagnoli
È una vecchia legge del politico che le leggi elettorali sono espressione della
rappresentanza di un Paese istituzionalmente e comunitariamente pensato e, quindi, esse
vengono dopo questa prima fondamentale fase e ne sono, o ne vogliono essere, la
conseguenza. In ogni caso,per quanto rilevante sia la loro funzione, sono strumenti tecnici
che attuano un’idea del Paese nella relazione tra rappresentanza e statualità. In Italia, dal
momento che dopo Tangentopoli è mancato del tutto un pensiero ricostruttivo del Paese
ed essendo venuta meno, a seguito della cancellazione dei partiti quali soggetti attivi e
mediatori della democrazia, ogni responsabilità vera nonché funzione propria della classe
politica, si è pensato che alla rinuncia del richiamato pensiero potesse sopperire lo
strumento elettorale; che da esso potesse nascere quel sistema politico nuovo che una
politica assente non aveva il coraggio di ricreare; in altri termini, che la soluzione tecnica
potesse risolvere quella politica.
Come sappiamo non è così e le nostre vicende lo hanno ampiamente dimostrato.
Con il Mattarellum, che a dispetto delle leggi elettorali successive si qualifica come la
migliore legge elettorale italiana del post Tangentopoli, si è cercato di salvare il “centro”
salvo poi, tramite l’Ulivo e la stagione di Prodi, passare dal concetto del centro a quella
della centralità nel senso di far assumere alla coalizione inglobante i democristiani di
sinistra una centralità formatasi attorno a una candidatura a premier il nome del cui
candidato, forzando in modo plateale la Costituzione, appariva addirittura sulla scheda. Si
è cercato di cementare un polo che consolidasse un sistema chiamato “bipolarismo di
coalizione”. I risultati di tale miopia sono noti e Silvio Berlusconi, se ha governato per
oltre 3300 giorni, non potrà mai stancarsi di ringraziare. Successivamente, sull’onda della
deriva del bipolarismo, è arrivata la vergogna della legge Calderoli che ha segnato il punto
massimo del degrado politico-istituzionale del Paese. Benché bocciata dalla Corte essa,
tuttavia, qualcosa ha lasciato, alla fase del renzismo: il lascito è confluito nel progetto
elettorale del governo Renzi su cui, qualche giorno orsono, si è espressa la Corte.
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In questa teoria di continuità si ritrovano i segni dell’impasse nel quale siamo; essi
ci danno la conferma di una vecchia regola secondo la quale alla crisi della politica segue
sempre quella del diritto. Il lascito più evidente è che si “costituzionalizzi” che vi siano ben
100 parlamentari nominati; una vergogna tanto più che la Corte, così, contraddice la
parola e lo spirito della Costituzione che deve salvaguardare e, di conseguenza, il
significato del voto e della rappresentanza. Inoltre, considerato che un nominato può
godere della candidatura in ben 10 collegi, per determinare in quale di essi risulti eletto,
nel caso di elezione plurima, si è riandati a ripescare la legge n.361 del 1957, ossia l’art.85
del Testo unico per l’elezione della Camera dei deputati che contempla, nel caso di elezione
multipla, il sorteggio. Una norma che non ci risulta essere mai stata applicata, mentre
sarebbe stato corretto limitare il numero dei collegi nei quali uno si può candidare
lasciando poi all’eletto la libertà di opzione. L’altra questione riguarda il premio di
maggioranza, l’architrave su cui Renzi puntava tramite lo strumento del ballottaggio che è
stato smontato con buona pace dell’ex-presidente del consiglio. Ora, se pure esso è previsto
che scatti sopra una soglia altissima, difficilmente raggiungibile da chiunque da solo, non è
detto che non lo possa essere attraverso una rete di alleanze. Comunque, anche se il caso
non si verificasse, la sola sua possibilità è un’altra vergogna della rappresentanza; lo è da
un punto di vista morale; lo è da un punto di vista politico poiché la governabilità è data
dalla politica e dalle maggioranze che la sostengono, non dai numeri assoluti dei seggi.
Esperienze, anche recenti, ve ne sono e di ben significative. L’impressione è che – ma
vedremo la sentenza che motiva il parere – vi sia stato, sotto il manto del formalismo
giuridico, la ricerca di un pareggio tra il mantenimento dei capilista nominati e l’abolizione
del ballottaggio. A proposito di quest’ultimo tanti commentatori hanno fatto rilevare
perché sarebbe stato incostituzionale quello dell’Italicum e non lo è, invece, quello per
l’elezione dei sindaci e dei presidenti di regione. La ragione è molto semplice: comuni e
regioni godono di un sistema elettorale di stampo presidenziale, il governo della
Repubblica, invece, ha un fondamento parlamentare.
Sergio Mattarella ha chiesto l’armonizzazione delle norme elettorali tra Camera e
Senato, ma per arrivarvi, occorre modificare una legge mai applicata – il cosiddetto
Consultellum – la quale, proprio per un’ indicazione della Corte del 2014, prevede che il
Parlamento indichi di introdurre la preferenza unica per i senatori contemplando diverse
soglie di accesso e incentivando le coalizioni. Infatti, i partiti che corrono da soli devono
superare l’8% a livello regionale mentre quelli coalizzati, qualora la coalizione raggiunga il
20% nella Regione, entrano al Senato anche se superano la soglia del 3%. Balza subito agli
occhi come tale logica cozzi con quella dell’Italicum rivisto che segna il ritorno a un sistema
sostanzialmente proporzionale. Il Parlamento deve rimetterci le mani a meno di non
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smentire il richiamo di Mattarella. Questo, al momento, sembra il problema e non quello
delle elezioni il prima possibile, sul quale Renzi monta tutta la panna possibile; problema
serio anche se Renzi riuscisse, ma non ne siamo molto convinti, a far cadere Gentiloni per
avvicinare le urne. Il Paese, insomma, non può restare prigioniero del Pd e dei suoi
problemi e vogliamo sperare che il Presidente della Repubblica – che già al Pd, con il
governo Gentiloni, ha concesso tanto – faccia peso ritto salvaguardando le proprie
prerogative e il dettato costituzionale in merito al rapporto tra governo e Parlamento.
Sul pronunciamento della Corte vi era, giustamente, una trepidante attesa poiché, in
generale, dopo la dichiarazione di illegittimità della legge Calderoli ci si aspettava che
anche la legge Renzi venisse respinta e si riaprisse un qualcosa di serio sul sistema
elettorale. Così però non è stato e qualcuno ha parlato di “minimo sindacale”, ossia di un
parere costituzionalmente minimale quasi che anche nelle stanze austere e dorate della
Consulta il vento gelido e sferzante di un clima stressato dalla voglia di rivincita di Matteo
Renzi si sia fatto sentire e pure con una certa forza. Ciò non autorizza a dire che la Corte
abbia ceduto alle attese di Renzi, ma un clima politico agitato e sbiadito, al contempo, del
Paese ha avuto il suo peso. La Corte giudica interpretando la Costituzione ed è chiaro che
l’atmosfera del momento si fa sempre sentire e può accadere che le interpretazioni possano
essere le più varie. In un sistema fragile non sempre si può pretendere di avere organi forti.
Ciò vale per tutti e anche per la Corte.
Infine, un’osservazione. La nuova legge elettorale prevede che si arrivi a coalizioni.
Le manovre sono già iniziate e, probabilmente, sarà un altro capolavoro italiano veder
appellato un acrocoro formato da Renzi, Alfano, Verdini, Casini quale “centro-sinistra”;
speriamo che almeno questa ce la risparmino. Giuliano Pisapia, all’opera per raccogliere la
sinistra dei salotti, ha fatto sapere che non ci starebbe; ma il suo campo, dopo l’iniziativa di
Massimo D’Alema, sembra tramontato prima ancora di nascere. Tutto il quadro è gravato
da nebbie spesse; ragionare sugli sviluppi è difficile. L’unica cosa certa è che la politica non
ha interrotto il cammino del tramonto.
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