venerdì 24 febbraio 2017

Luciano Belli Paci: Scissione, la domanda sbagliata

I personaggi della "Ditta" che si accingono, forse (finché non lo vedo non ci credo), alla scissione negli anni passati hanno fatto tutti gli errori possibili ed hanno trangugiato tutti i rospi immaginabili, rendendosi ridicoli con i loro penultimatum. Hanno addirittura inaugurato un nuovo genere letterario surreale, che consiste nel paventare cose già avvenute, nel lanciare caveat a proposito di disastri che si erano già consumati. E non è neppure chiaro cosa li abbia spinti a subire tanto a lungo così umilianti adattamenti: l’antica disciplina comunista ? l'ancor più vecchio "tengo famiglia" ? o proprio non capivano l'irreversibilità di alcuni passaggi ? Eppure glielo spiegammo, dieci e più anni fa, che facendo nascere un partito senz'anima e retto da meccanismi plebiscitari si creavano le premesse per approdare a quella subalternità culturale che puntualmente si è poi determinata. Detto tutto questo, a me pare che il dibattito di questi giorni ruoti, tanto per cambiare, attorno alla domanda sbagliata: "perché fanno la scissione?" La domanda corretta dovrebbe essere quest'altra: "perché hanno atteso tanto ? come facevano a rimanere insieme ?" Molti sembrano non distinguere più un partito da una società commerciale. Non è che si sta insieme per vincere o per non far vincere gli altri; quello semmai può essere lo scopo di un'alleanza. Si sta in uno stesso partito (che, forse è bene rinfrescare l'etimologia, significa parte, segmento, porzione ...) se si è uniti da: a) un certo grado di adesione ad un profilo identitario, cioè ad una almeno minima visione del mondo; b) un certo grado di condivisione di alcune fondamentali priorità programmatiche; c) un livello accettabile di stima e fiducia nei confronti del gruppo dirigente. Nessun osservatore obiettivo potrebbe negare che nel caso di specie tutte e tre queste condizioni non vi sono più, e da molto tempo. Il profilo identitario comune non c’è mai stato, ma vi era un accordo tacito di rimozione del problema (il famoso “ma anche” veltroniano), che Renzi ha rotto. Ed è l’unico merito che gli riconosco. Le priorità programmatiche di Renzi sono mutuate dal programma vintage di Berlusconi, quello del 2001, che con i programmi del PD e della coalizione Italia Bene Comune c’entra come i cavoli a merenda. La disistima e la sfiducia, tra renziani e minoranza, sono reciproche e totali: ciascuno dei due pensa che l’altro, se appena potrà farlo, lo “asfalterà”. Se questa è la realtà oggettiva, è evidente che non possono stare in uno stesso partito; magari potranno allearsi, alla bisogna, sulla base di patti chiari. Patti tra diversi, quali sono. Basta il buon senso per riconoscerlo. Bastava il buon senso per evitare fin dall’inizio di iniziare una marcia verso il nulla. Luciano Belli Paci

8 commenti:

luigi ha detto...


Le priorità programmatiche di Renzi sono mutuate dal programma
vintage di Berlusconi, quello del 2001, che con i programmi del PD e
della coalizione Italia Bene Comune c´entra come i cavoli a merenda.>

Ma caro e stimato compagno,
Il profilo identitario c'è nel PD ... anche nei programmi del PD
coalizione Italia Bene comune ... vedasi le note finali che
impegnavano a sel di fare gruppo unico - capirai il peso di SEL al
suo interno - e soprattutto l'impegno assoluto di rispettare i patti
della Ue marcatamente neoliberisti, fiscal ecc. pareggio di bilancio.
Il PD di Veltroni,aldilù dei "ma anche" è neoliberista doc.
Ma bisogna andare all'Ulivo e ai governi di centrosinistra precedenti
per trovare le radici neoliberiste, legge su privatizzazione di
banche pubbliche di Amato.
Che non sapessero tutto questo i Bersani e la Finocchiaro ?
Secca a loro che a comandare sia Renzi ... solo questo.
Ora vedremo il programma della "nuova cosa" e sapremo se si sono
pentiti perchè ilpensiero unico neoliberista non ha più il vento in
poppa.
Un dialogante saluto.
Luigi Fasce

maurizio ha detto...

La scissione è avvenuta e, da quanto si legge, gli scissionisti daranno vita, insieme a coloro che si sono sfilati dal progetto di Sinistra Italiana, ad un nuovo soggetto che dovrebbe prendere il nome di Democratici e Progressisti. Una denominazione che ripropone tutte le vaghezze ed ambiguità che, dalla nascita del PDS in poi, hanno caratterizzato il post-comunismo italiano. Sappiamo però che numerosi ex e post-comunisti sono rimasti nel PD, a cominciare dal fondatore Veltroni, e questo rende vano ogni tentativo di definire la scissione come la divisione dei post-comunisti da componenti di diversa origine. Come interpretarla allora? In realtà c'è ben poco da interpretare perché mai si è assistito ad una discussione così povera, per non dire priva, di un'autentica ed approfondita dimensione culturale, politica e progettuale. Nulla di nulla sui grandi temi di fondo, tant'è che non è emersa alcuna significativa diversificazione su Europa, euro, economia, lavoro, immigrazione e via dicendo. Al massimo frasi generiche ed appelli vuoti e retorici ai margini di polemiche miseramente intestine e del tutto autoreferenziali. Nessuna riflessione sui limiti e sugli errori dell'Ulivo, sulla tragicommedia dell'Unione e sulla pochezza intrinseca che caratterizzò la nascita del PD stesso, un partito non partito, nato morto perché volutamente privo di radici, identità e progettualità politica nel senso vero e non esclusivamente politicista del termine. Del resto come potevano dividersi su temi che in realtà hanno sempre condiviso e che nessuno pare intenzionato a mettere in discussione?
Nuovismo, fine delle ideologie, un progressismo indefinito, leaderismo, partito leggero con il culto delle primarie accanto all'europeismo retorico, alla difesa acritica dell'euro e alla piena adesione alla cultura mercatista e globalista. Su queste basi è nato il Pd, un partito definitosi di centrosinistra quando tutti sappiamo che i partiti sono di destra o di sinistra o di centro, anche se quest'ultima categoria è controversa. Di fatto sono stati sconfitti da Berlusconi nel 2008 e, dopo la sua caduta decisa altrove e da altri, hanno sostenuto le politiche reazionarie del governo Monti (ce lo chiede l'Europa) per poi dare, con la modestissima campagna elettorale del 2013, ampio spazio alla demagogia dei 5 Stelle. A quel punto si sono avvitati su se stessi finché è arrivato Matteo Renzi.
Questo si è rivelato il problema vero. Accettato inizialmente da quasi tutti come il salvatore del partito ha portato alle estreme conseguenze le premesse veltroniane, che il mediocre Bersani aveva cercato di correggere senza successo perché troppo timido ed esitante. Renzi ha esasperato la concezione leaderistica e maggioritaria, abbandonando ogni simulacro di tradizione, ed ha avviato una politica avventuristica e muscolare. Ha scelto Marchionne e Farinetti schernendo la CGIL ed ha puntato tutte le sue carte sul Jobs Act, l'Italicum e una sgangherata modifica della Costituzione. Gli è andata male, ma non va dimenticato che questi provvedimenti malsani furono approvati dagli attuali scissionisti i quali, anziché chiedersi come fosse stato possibile arrivare a tanto, hanno pensato che il problema fosse Renzi e solo Renzi e che di conseguenza bisognasse rimuoverlo per ritornare al passato.
Per questo la discussione ha avuto come unico tema ed argomento Matteo Renzi, con il noioso corollario delle date di svolgimento delle primarie e del congresso. Insomma, come è apparso ai più perché così è stato, la differenza vera riguardava chi dovesse comandare nel partito, non che politiche si dovessero fare. Dopodiché ci si lamenta e preoccupa per l'avanzata del populismo.
Maurizio Giancola






cristina ha detto...

Quindi non serve provare (seppure disillusi) a portare humus al dibattito politico, verso "un'autentica ed approfondita dimensione culturale, politica e progettuale" in questa scissione? Ora?
Quando sarà mai utile e possibile?
Deboli occasioni in un panorama arido, poverissimo. Piano inclinato.
Rimanere nel circolo, Casa di idee?
O offrirle?
Il tempo a disposizione di ogni vita limitato. Trascorre.


Cristina

Felice ha detto...

Più che una scissione mi sembra un'autosospensione temporanea . Se Renzi dovesse essere sconfitto alle primarie potrebbero ritornare in una casa comune. I riferimenti forti di Speranza sono stati Moro e papa Bergoglio. Si continua a parlare del PD come il luogo di incontro dei riformismi, ma quello socialista non c'è mai stato come componente costitutiva, solo la presenza di testimonial individuali. La stessa adesione al PSE è stata promossa da Renzi e ha contribuito a rafforzare l'involuzione del PSE. Mi è capitato di dire come battuta che il PSE ha aderito al PD.La parte consistente del gruppo parlamentare ex SEL-SI non mi è chiaro quale sia il loro ruolo specifico. Nel PD è rimasto Walter Tocci l'unico coerentemente anititalikum e mai compromesso con la revisione costituzionale. Ad aumentare la confusione la presenza di Boldrini e Pisapia. La prima la maggior responsabile dell'approvazione dell'Italiku e il secondo alla fine un sostenitore del SI'. Il risultato del 4 dicembre e l'annullamento parziale dell'Italikum, ma nel suo cuore secondo D'Alimonte non hanno avuto, finora, una risposta politica: temo che continuerà la disaffezione degli italiani. Pensate che la discussione sulla data delle elezioni ha assorbito l'attenzione, molto di più che con quale legge. Consegno alla vostra riflessione qualche cifra sullo stato di salute del centro-sinistra 1996 ulivo voti 16.265.995 su 37.295.109 voti validi
2013 Italia bene comune voti 10.353.238 su 34.005.755 voti validi, diminuiti di oltre 3 milioni di voti, benché gli elettori fossero aumentati e i M5R CON I LORO 8.797.902 VOTI nuovi NON HANNO RECUPERATO LA PERDITA DI VOTI VALIDI. Lo scenario politico è occupato da eventi superficiali: cosa si sta muovendo nel profondo? Nella storia politica bisogna capire cosa si muove sotto ka superficie per non essere sorpresi da fenomeni come quelli carsici con acque che irrompono all'improvviso alla superficie. Il referendum è stato vinto dagli elettori ignoti, che torneranno rapidamente in clandestinità e quando torneranno a manifestarsi in massa non sappiamo in quale direzione andranno


Felice C. Besostri

roel ha detto...

Personalmente penso che ad allarmare gli scissionisti sia stato l'arrivo del proporzionale che offre anche a sparute minoranze di raccattare qualche seggio. Rimanendo nel PD credo che avrebbero rischiato di essere "tagliati fuori". specie se la nuova riforma elettorale manterrà il vincolo dei capilista nominati.
Resto comunque convinto che il frazionismo a lungo andare "non pagherà". Tanto più che agli appuntamenti e alle scadenze fissate dall'Europa nessuno potrà sottrarsi se non demagogicamente e strumentalmente. Atteggiamenti anche questi che avrebbero "il fiato corto".
Purtroppo stenta ad emergere il progetto dell'Europa dei popoli che, oltre a Spinelli e a Rossi, aveva impegnato lo stesso Kant con l'intuizione razionale della "confederazione dei popoli" nell'opera "La pace perpetua", la cui lettura tornerebbe utile anche a qualche imprevedibile presidente che avanza propositi di incrementi nucleari (!!!)

Ma, al di là di tali argomenti, noto che dalle vicende italiane l'assente di turno è la componente socialista, come se non esistesse. Anche se ogni tanto Nencini fa qualche comparsa in TV.
Cosa pensano i compagni in proposito?
Un saluto, Roel.

luigi ha detto...


Ma di quale tipo di socialista sta pensando ?
Quello del PSE che vota il CEPA in parlamento Ue ?
quello in Italia con nencini sotto pancia di Renzi neoliberista ?
Fintanto che questi sono i socialisti che il Popolo italiano vede in
TV meglio l'invisibilità.
Se vogliamo parlarne seriamente, mi pare che fintanto che l'onda
lunga blairiana non si arresta e cambia verso meglio qui in Italia
farsi paladini della Costituzione e insistere per applicarla. Vuol
dire levare di mezzo una serie di controriforme in ambito economico
creditizio e finanziario, prima di tutte l'art.81 riportarlo al suo
significato originario, poi mettere in discussione i trattati Ue
neoliberisti, la BCE metterla sotto il controllo degli Stati e non
viceversa.
Ecco cosa penso come liberalsocialista calogeriano capitiniano.

luciano ha detto...

Attualmente le leggi elettorali prevedono uno sbarramento nazionale del 3 % alla Camera e sbarramenti regionali dell’8 % al Senato.

Le ipotesi di riforma che circolano prevedono un innalzamento della soglia per la Camera.

Quindi nessuna “sparuta minoranza” potrà “raccattare qualche seggio” presentando liste autonome.

Quella di raccattare qualcosa è un’attività che si addice allo scodinzolante Nencini, anche se i seggi riservati ai socialisti da compagnia nelle liste del Pd saranno, giustamente, sempre meno.

Con ogni probabilità salverà solo il suo, che è poi l’alfa e l’omega della sua strategia.

salvatore ha detto...

Sì, d'accordo con tutte le analisi circa la strumentalità di questa
scissione, e anche sulla quantomai imbarazzante circostanza che alcuni
degli scissionisti di oggi sono proprio coloro che hanno preparato il
terreno al renzismo. E anche d'accordo sulla ambiguità e il basso
profilo con cui nasce questa nuova "cosa" (a tal proposito suggerisco
questa lettura:
https://fondazionenenni.wordpress.com/2017/02/25/fuoriusciti-pd-nel-nome-prevale-una-fobia/
), e anche concordo sul fatto che nel PD ci sia rimasto uno come
Walter Tocci nel quale ripongo una stima enorme, e quindi questo
qualche sospetto circa la bontà della scissione dovrebbe farmelo
venire.
Tuttavia una cosa mi preme osservare: questo gruppo di scissionisti è
ancora in divenire, e adesso, non fra sei mesi, potrebbe essere utile
un contributo di idee, anche in considerazione del fatto che nei DP
c'è Enrico Rossi, del quale sto leggendo "rivoluzione socialista", e
mi sembra un personaggio sul quale potremmo veramente convergere in
molti. Certo, se poi staremo a guardare, e Rossi verrà "accantonato",
e avremo una riedizione in formato minore dei DS, allora avrete avuto
ragione su tutte le critiche del caso.