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giovedì 15 dicembre 2016
Aldo Penna: Trump può ancora essere fermato?
Pochi giorni dopo le elezioni presidenziali americane, un gruppo di eminenti informatici denunciarono anomalie nei risultati di tre swing state: dovunque si era votato tramite apparati elettronici il consenso al candidato Trump raddoppiava rispetto alle contee o distretti dove si erano utilizzate le schede cartacee. La candidata dei verdi, Jill Stein, ha raccolto in pochi giorni sette milioni di dollari per chiedere il riconteggio, procedura avviata in Wisconsin senza grandi ribaltoni. Solo che gran parte delle macchine adibite al voto elettronico non danno documentazione cartacea e quindi non esiste la controprova che abbiano riportato fedelmente il voto dei cittadini americani.
Il presidente eletto ha subito bollato come “ridicolo” il riconteggio chiesto dalla signora Stein e ha continuato a usare lo stesso termine quando la CIA ha diffuso un rapporto dove si denuncia la pesante interferenza russa nel processo elettorale al chiaro scopo di favorire Trump, prima con la diffusione di mail prelevate dai server dei democratici poi con la possibile manipolazione di altre parti del processo elettivo. Per la prima volta nella secolare storia elettiva americana (se si eccettuano i tentativi inglesi durante i primi vagiti del nuovo Stato) si parla di interferenza straniera nel voto.
Se si riflette sul fatto che la legge espressamente vieta ai candidati presidenti di ricevere da un cittadino straniero anche una piccolissima donazione, diviene di una gravità eccezionale, ai limiti dell’alto tradimento, pensare che si possa accettare o “subire” un aiuto straniero per raggiungere la carica di Presidente.
Alla notizia del rapporto l’entourage di Trump ha bollato l’affidabilità della CIA con le stesse parole usate dai movimenti di protesta occidentali “questa è la stessa gente che ha detto che Saddam aveva armi di distruzione di massa”. Ma a quanto pare le parole dell’agenzia di intelligence non sono rimaste inascoltate e dal Senato alla Camera è tutto un interrogarsi su cosa accade. Davvero Trump con due milioni e settecentomila voti in meno rispetto a Hillary Clinton è stato favorito attraverso l’intervento degli hacker russi che hanno trasformato una sconfitta in vittoria negli swing state?
Davvero i russi hanno adesso un amico alla Casa Bianca? Certo i calici che gli autocrati di tutto il mondo hanno levato alla notizia della vittoria di Trump, inquieta. E anche i primi passi in politica estera sembrano muoversi sulla linea di una distensione con i russi che somiglia a un’adesione acritica alla dottrina neosovietica di Putin.
Quando nel passato si sono verificate intromissioni nella successione delle leadership di potenti unioni statuali queste erano, a volte senza saperlo, alla vigilia dell’inizio della loro decadenza. Così accadde con la successione a inizio del 1700 al vasto impero spagnolo con Francia e Austria impegnate a piazzare un proprio uomo come re. O con la caduta del secondo impero francese che segna il declino della potenza francese e l’affermarsi dell’ascesa della Gran Bretagna e della Prussia sulla scena europea e mondiale.
Anche per gli Stati Uniti, baluardo delle libertà in un mondo di trionfanti autoritarismi, potrebbe essere iniziato, pur nella fase della massima espansione della sua influenza, il count down del declino. Gli ingredienti ci sono tutti: leadership non autonoma e “riconoscente” a una potenza straniera, modello istituzionale in crisi perché debole e penetrabile con relativa facilità, una paventata politica di retroguardia rispetto alle grandi sfide mondiali sull’energia, sulla coesistenza, sulla salvaguardia dell’ambiente.
Quando affioravano gravi crisi all’orizzonte o si trovavano per casualità, complotti o scellerate successioni con guide inadeguate e deboli, i grandi imperi del passato hanno ritardato la loro decadenza dotandosi di leader forti e indipendenti e nuove visioni strategiche.
Agli Stati Uniti la caduta del muro di Berlino ha consegnato una grande responsabilità e un grande potere. Quasi trenta anni dopo sono nate agli orizzonti del pianeta altri giganti economici, politici e militari che bisogna fronteggiare. Può avere Trump questa autorevolezza e questa visione? I dubbi della CIA sul processo elettorale si stanno rapidamente diffondendo.
Il 19 dicembre il Collegio dei grandi elettori dovrebbe eleggerlo, ma su di lui grava l’interpretazione data da Alexander Hamilton circa l’autonomia che i grandi elettori hanno di poter scegliere diversamente dall’indicazione popolare. L’obiettivo finale, dice, è quello di fornire un controllo sulle “cricche, gli intrighi, la corruzione” minacce provenienti “principalmente dal desiderio di potenze straniere di ottenere un ascendente improprio nei nostri consigli sollevando una loro creatura a capo dell’Unione”. Intanto una lettera dove si invitano i grandi elettori repubblicani a rivedere il loro orientamento sull’elezione di Trump ha già raccolto quaranta adesioni. Il tempo corre, al 19 mancano pochi giorni ma ancora tutto può accadere.
http://www.lavocedinewyork.com/news/politica/2016/12/14/si-puo-ancora-fermare-trump-il-19-dicembre-lo-sapremo/
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