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giovedì 22 dicembre 2016
Alberto Benzoni: Deficit di socialismo e liberalismo
Da Critica liberale, 19 dicembre 2016
deficit di socialismo e di liberalismo
alberto benzoni
Con due primi interventi, di Benzoni e di Ghersi, iniziamo una tribuna libera (che sarà pubblicata sia sul quindicinale sia sull’evidenza del nostro sito) per discutere sul “Che fare?”delle forze azioniste, democratiche, liberali, liberalsocialiste, repubblicane e socialiste. Naturalmente l’invito a partecipare è rivolto a tutti i nostri lettori. La redazione
Socialisti e liberali hanno avuto una sorte comune. Quello di essere scomparsi dal panorama politico della seconda repubblica.
Non parlo delle persone, sopravvissute per lo più come "professionisti a contratto" in qualche corte straniera; almeno fino all'esaurimento del loro compito.. Parlo delle formazioni politiche, scomparse o ridotte allo stato larvale, sigle senza merci e senza avventori. E parlo anche, purtroppo, della cultura politica, rispettivamente ripresentata in una caricatura grottesca oppure ufficialmente bandita come pura sopravvivenza di un passato da respingere senza beneficio d'inventario.
Una sorte opposta rispetto a quella subita da altre formazioni durante la prima repubblica, come gli azionisti e i verdi: là dove la morte o l'ibernazione della matrice partitica era accompagnata dalla affermazione della relativa "sensibilità" nella cultura e nell'immaginario politico complessivo.
In questi venti anni e passa questo processo di osmosi collettiva non si è affatto verificato. Il berlusconismo è stato, come si diceva, in precedenza, la caricatura grottesca della annunciata rivoluzione liberale: salvo a considerare il suo "fate come vi pare e tutto andrà per il meglio" la traduzione in volgare del pensiero di Croce o di Einaudi. In quanto al Pd, basti considerare la fine miseranda della Cosa 2 e dei cosiddetti miglioristi, ridotti ad affidare le loro sorti prima a Monti e poi a Renzi: e con un "house organ", leggi “Le ragioni del socialismo” che non si è mai illustrato per la sua capacità di difenderle o, quanto meno di spiegarle.
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19 dicembre 2016
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Questo per dire che la seconda repubblica è stata segnata, sin dall'inizio, per un
totale "deficit di socialismo e di liberalismo".
C'era naturalmente chi considerava (o faceva finta di considerare...) questo deficit o,
più esattamente questa assenza, come una specie di viatico per il nostro ritorno sulla scena.
Con il seguente ragionamento:" alla sinistra manca la cultura socialista, alla società italiana
manca la cultura liberale; ma questo vuoto dovrà prima o poi dovrà essere riempito;
teniamo duro ancora per un po’ e saranno costretti a rivolgersi a noi".
Era, tradotto in politichese, il sillogismo che, decenni prima, un mio vecchio amico
socialista, occasionalmente e improvvidamente assunto al ruolo di pianificatore dello
sviluppo economico del Lazio, applicava all'industria siderurgica: "nel Lazio manca una
industria siderurgica; perciò occorre crearla".
In entrambi i casi il punto sta nel fatto che un "vuoto" esiste in quanto viene
percepito. Ora, nel caso del Lazio, gli altiforni esistevano solo nella fugace immaginazione
del mio amico e quindi nessuno poteva comunque percepirne la necessità; mentre, nel caso
della cultura socialista e liberale, la scomparsa della domanda è, semplicemente, il frutto
della scomparsa dell'offerta.
In parole povere, nessuno ci frequenta perché noi stessi non siamo stati presenti;
non avendo né fatto né scritto né pensato nulla che ci potesse rendere riconoscibili.
Facile attribuire la nostra mancata ricomparsa alle esigenze di sopravvivenza di un
ristretto ceto politico sempre più autoreferenziale. In realtà essa è stata legata a qualcosa
di più profondo: al fatto che, per sopravvivere in un ambiente organicamente ostile,
occorreva accettarne e i principi ispiratori
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