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lunedì 15 agosto 2016
Franco Astengo: Il sistema elettorale al giudizio della suprema corte
IL SISTEMA ELETTORALE AL GIUDIZIO DELLA SUPREMA CORTE di Franco Astengo
Eugenio Scalfari nel suo editoriale apparso domenica 14 Agosto sulle colonne di “Repubblica” pone l’attenzione sul dibattito in corso al riguardo del nuovo sistema elettorale “Italikum” (la K è copyright di Felice Besostri) ricordando come essa sarà esaminata il prossimo 4 Ottobre dalla Corte Costituzionale che ne valuterà gli eventuali profili di non rispondenza al dettato della Costituzione Repubblicana.
Un fatto già accaduto recentemente allorquando con sentenza n.1/2014 furono dichiarate illegittime parti fondamentali della legge elettorale vigente dal 2005 e con la quale erano stati eletti i parlamenti nel 2006, 2008 e 2013.
Ciò nonostante la maggioranza ha voluto far esprimere al Parlamento, eletto – appunto – nel 2013 attraverso una legge dichiarata illegittima , la volontà di modificare ancora la legge elettorale, mantenendo inalterati i due punti sui quali si era già appuntato il giudizio negativo dell’Alta Corte: premio di maggioranza e quota di parlamentari “nominati”. Una nuova legge elettorale che si è accompagnata a un’inopinata deformazione costituzionale, con la modifica nel ruolo e nella composizione del Senato che, senza ovviare alle difficoltà insiste in un sistema a bicameralismo paritario (anzi accentuandole), pone nella mani di una maggioranza che si vuole di un solo partito la fiducia al Governo, l’elezione del Presidente della Repubblica, dei giudici costituzionali e dei componenti del CSM, attuando in più una sorta di surrettizia elezione diretta del Presidente del Consiglio attraverso un eventuale ballottaggio che potrebbe premiare alla fine una formazione politica dal consenso oscillante tra il 25 e il 30% dei voti validi, in una situazione nella quale – ormai- partecipa al voto tra il 50 e il 60% dell’intero corpo elettorale.
Tutto questo si verifica in un Paese che ha cambiato tre leggi elettorali tra il 1993 e oggi e ha sistemi elettorali diversi per i Comuni e tra le stesse Regioni in nome di un inaudito “federalismo” (dopo aver abolito il sistema elettorale delle Province, senza abolire le Province stesse, tanto per ricordare un’altra grande contraddizione pendente sul sistema politico italiano).
Nel suo editoriale già citato l’ex-direttore di Repubblica si occupa soprattutto della soglia di voti necessaria per l’accesso al ballottaggio dimenticando però di approfondire altri aspetti fondamentali che, invece, dovrebbero far parte di un ampio dibattito pubblico da far precedere al giudizio dell’Alta Corte.
Giudizio dell’Alta Corte che non dovrà essere “interpretato” in modo da togliere le castagne dal fuoco di chi si è accorto che il ballottaggio, in questo caso, è semplicemente una colossale “cavolata”.
E’ necessario, infatti, ricordare che le elezioni legislative generali (proprio perché legislative) non sono finalizzate all’elezione di un governo, bensì a determinare il peso della diverse forze politiche nel Parlamento, assegnando i seggi.
Vanno ricordati così i principi fondamentali riguardanti il “che cos’è un sistema elettorale”.
In questo senso può risultare utile riprendere i termini di una possibile analisi teorica, delineando una prima distinzione tra il sistema elettorale, che è un insieme di varie leggi elettorali, la legge elettorale che riguarda le procedure attraverso cui le preferenze divengono voti e i voti seggi, e la formula elettorale, che concerne strettamente le procedure per la distribuzione dei seggi in base ai voti.
Eppure è proprio con riferimento a queste ultime due, legge e formula elettorale, che il termine di sistema elettorale è stato ed è frequentemente utilizzato, specie nel linguaggio corrente.
Ciò non è avvenuto, e non avviene, per caso e per meglio comprenderne la ragione conviene, anzitutto, adottare una definizione generale di sistema elettorale da cui, poi, analizzando il contenuto concettuale, derivarne una più specifica e ristretta a quegli aspetti che interessa approfondire.
In linea generale possiamo definire un sistema elettorale come “l'insieme delle regole e delle procedure che disciplinano tutte le operazioni che precedono, accompagnano e seguono lo svolgimento delle elezioni”.
Questo procedimento è, a sua volta, composto da diversi piani o livelli, che non sono omogenei tra loro e non hanno tutti la stessa portata o il medesimo significato.
E' perciò necessario scomporre il procedimento elettorale nei suoi diversi momenti costitutivi, per meglio comprendere la correlata complessità dello stesso concetto di sistema elettorale.
Citiamo, a questo proposito, Stein Rokkan nel suo “Electoral Systems” per analizzare , di seguito, le sei differenti dimensioni di classificazione del sistema:
- chi vota;
- il peso di ciascun elettore;
- la standardizzazione delle procedure e la libertà di scelta;
- il tipo di circoscrizione;
- i livelli di scelta offerti all'elettore;
- la procedura di calcolo con cui i voti sono trasformati in seggi.
La formazione del governo con il sistema elettorale non c’entra nulla: sarà compito delle maggioranze che si formeranno a seconda degli accordi e delle convenienze politiche.
Questa schematizzazione può rivelarsi utile nell'individuazione delle diverse fasi del procedimento elettorale e ci aiuta a chiarire la differenza tra i diversi concetti di sistema elettorale.
Se ci concentriamo sui primi tre punti, infatti, notiamo che questi riguardano essenzialmente tre questioni: chi partecipa alle elezioni, in quale modo, con quali procedure e garanzie.
Il primo punto riguarda essenzialmente il diritto di elettorato attivo e il problema del suffragio e risponde alla domanda “chi ha diritto di votare?”; il secondo concerne la effettiva eguaglianza di tale voto, nel rispetto del principio “una testa, un voto”; il terzo attiene alle procedure per la tutela delle altre condizioni fondamentali del voto, segretezza e libertà.
Questi aspetti, peraltro fondamentali, per l'espressione di un voto realmente democratico e di sicura incidenza sul risultato di una elezione, costituiscono tuttavia delle condizioni preparatorie e di garanzia rispetto alla manifestazione di volontà, che avviene attraverso il voto.
Accanto a queste tre potremmo aggiungerne altre, come il diritto di elettorato passivo o la disciplina delle campagne elettorali e dei sondaggi, intese a garantire, almeno in linea di principio, le stesse condizioni sull'altro versante, quello dell'offerta politica da parte dei candidati.
Stabilito perciò chi partecipa alle elezioni, secondo quali principi, modalità e garanzie a tutela dei fondamentali criteri democratici, resta da vedere in che modo le preferenze espresse dal lato della domanda politica potranno interagire con quello dell'offerta e determinare l'assegnazione della posta in palio, cioè dei seggi parlamentari.
Invece Il dibattito che ha portato all’elaborazione dell’Italikum è stato viziato fortemente da una vera e propria “torsione istituzionale”, legata alla contingenza dell’attualità politica in senso di utilitarismo favorevole alla maggioranza pro – tempore.
Non si è modificata la Costituzione in questo senso ma si è voluto indirizzare tutto il meccanismo elettorale proprio alla costruzione del governo all’insegna dello slogan “ alla sera delle elezioni si saprà chi ha vinto”.
Nasce da qui l’abnormità del premio di maggioranza, istituto che è bene ricordarlo esiste soltanto in Grecia e a Malta.
I sistemi per garantire una qualche stabilità politica alla legislatura nascente sono molti e vari ma quasi nessuno contempla un ballottaggio con premio di maggioranza fra le due prime liste.
Inoltre è necessario distinguere tra ballottaggio e doppio turno (qualcuno nel PD, infatti, ha esclamato: abbiamo realizzato il doppio turno che stava da tempo nei programmi della sinistra).
Il ballottaggio, infatti, è una sorta di spareggio fra i primi due classificati al primo turno nel caso di elezione diretta: si usa, infatti, nelle elezioni presidenziali di molti Paesi come la Francia, l’Austria, in molti paesi sudamericani. Non certo negli USA, laddove non c’è neppure l’elezione diretta ma tramite l’elezione di delegati.
In Italia è usato per l’elezione dei Sindaci, mentre i Presidenti di Regione sono eletti a turno unico: nei Comuni la maggioranza dei seggi segue l’elezione del Sindaco.
Il caso di doppio turno “classico” è quello francese, dove il Parlamento è eletto sulla base di collegi all’interno dei quali il candidato viene eletto al primo colpo se supera il 50 più uno per cento dei voti validi. In caso contrario si va al secondo turno: secondo turno al quale accedono tutti i candidati che nella prima occasione hanno superato il 12,5% degli aventi diritto, e non dei voti validi espressi.
Attenzione: proprio degli aventi diritto.
In questo modo al secondo turno in Francia sono possibili dei “triangolari”, quando non dei”quadrangolari”: in moliti casi interviene, però, il meccanismo delle desistenze concordate attraverso le quali si assicura anche una rappresentanza alle formazioni minori.
L’accenno al doppio turno francese consente di toccare un tasto ignorato nel testo già citato di Scalfari: quello della partecipazione al voto.
Infatti, prima ancora che stabilire una soglia di percentuale sui voti validi ottenuti per accedere al ballottaggio sarebbe importante stabilire una quota minima di partecipanti al voto per rendere il ballottaggio stesso valido.
Trattandosi di elezioni il cui esito è destinato a comporre un Parlamento e non a eleggere una persona o un governo il dato di disaffezione al voto, così come si sta rilevando in Italia, rende tutta l’impalcatura presentata dall’Italikum davvero di mediocre rappresentatività democratica.
Così si tradisce lo spirito della Costituzione che, senza occuparsi specificatamente della legge elettorale, tratta la materia nell’idea prevalente della rappresentanza politica rispetto alla governabilità pensando a una Repubblica fondata sui partiti e non su personalismi e “individualismo competitività” come invece si vorrebbe adesso, sulla scia di scelte sciagurate che hanno attraversato il nostro sistema politico fin dagli anni ’90.
Infine: non si accusi chi si oppone alla nuova legge elettorale e propone il NO nel referendum costituzionale di conservatorismo.
Chi scrive, nel piccolissimo esempio che può personalmente fornire, è da molto tempo favorevole a una sola Camera di 400 deputati, ma eletta con una formula elettorale di tipo proporzionale.
Il modello del vecchio “ Hare corretto” in vigore in Italia dal 1948 al 1992 (dove serviva una quota di voti “nazionale”, 300.000, e un quoziente pieno in almeno una circoscrizione) andrebbe benissimo.
Del resto fino al 1987 i partiti presenti in parlamento non erano più di 7/8, poi è mutato il quadro e adesso siamo al liberi tutti e con una Camera composta da 400 deputati, avremmo – oggettivamente – uno sbarramento attorno al 3% (come previsto dall’Italikum) e un piccolo ma significativo vantaggio per i partiti più grandi.
All’epoca richiamata PCI e DC pagavano, infatti, ogni deputato circa 50.000 voti l’uno, mentre PLI, PR, PRI,PdUP più o meno 100.000.
Ricordando ancora che l’Italia non è terra di bipolarismo .Quello costruito con il Mattarellum era finto e condizionato: è bastato che la Lega da una parte, e Rifondazione dall’altra se ne staccassero (come accadde nelle elezioni del 2001 e nel corso della stessa legislatura 1996 – 2001 salvata da una duplice scissione a sinistra come a destra) per farlo saltare ben prima che comparisse sulla scena il movimento 5 Stelle.
Del resto il bipolarismo non regge più da nessuna parte: né in Gran Bretagna, né negli USA dove verificheremo il peso di una terza candidatura (quella vedere) e di una quarta (quella liberal conservatrice), senza dimenticare le precedenti performance di Ross Perot e Bill Nader a suo tempo decisive per l’elezione di Clinton e Bush jr.
Un quadro complessivo che davvero, in precedenza all’esame dell’Italikum da parte della Corte Costituzionale, meriterebbe un informato dibattito di merito e non la semplicistica propaganda di cui si avvalgono oggi governo e PD pagando profumatamente, tra l’altro, presunti guru d’Oltreoceano.
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