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venerdì 15 aprile 2016
Franco Astengo: Uomini delle istituzioni, custodi dell'ortodossia
UOMINI DELLE ISTITUZIONI, CUSTODI DELL’ORTODOSSIA di Franco Astengo
Il proditorio intervento dell’ex-presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a favore dell’astensione, così come lanciata dal Presidente del Consiglio Renzi, in occasione del referendum di domenica prossima 17 Aprile, è stato accolto dalla gran parte dei mezzi di comunicazione di massa come il richiamo di un autorevolissimo “uomo delle istituzioni”.
In realtà il Presidente emerito nella sua lunghissima vita politica ha svolto anche la funzione di “guardiano dell’ortodossia” e non certo della migliore: in tempi davvero burrascosi l’allora segretario della federazione di Caserta del PCI (in parlamento dal 1953, quando la regola interna al partito era ben diversa, se si pensa che Berlinguer fu eletto alla Camera dei Deputati nel 1972) svolse più volte la funzione di contrasto per tutte le posizioni di dissenso che emergevano nel partito, attorno essenzialmente al delicatissimo nodo dei rapporti con l’Unione Sovietica.
Abbiamo tratto dal primo volume di memorie redatto da Luciano Barca “Con Togliatti e Longo” questo passaggio estremamente significativo.
Lo scenario è quello dell’VIII Congresso del PCI, che si svolse a Roma tra l’8 e il 14 dicembre 1956: all’indomani del XX congresso del PCUS (quello del rapporto segreto di Kruscev che denunciava i crimini di Stalin) e nel pieno della bufera scatenatasi con l’intervento delle truppe sovietiche in Ungheria.
La voce di dissenso più autorevole che si levò in quel Congresso rispetto alla sostanziale acquiescenza del PCI verso la repressione militare sovietica verso la rivolta ungherese fu quella di Antonio Giolitti che, alla fine, lasciò il partito.
Si tratta di vicende complicate e difficili, non sicuramente analizzabili – come del resto è stato nel tempo – con l’accetta della distinzione del bene e del male.
Ciò premesso e acclarato è il caso però di soffermarsi su questo passaggio, preso integralmente dal testo di Luciano Barca.
“Antonio Giolitti svolge un discorso ben costruito con un avvio moderato e concreto legato all’esperienza cuneese, un forte richiamo a Gramsci e, collegandosi a Diaz ma andando oltre, con un forte attacco alla “doppiezza” cui lo stesso Togliatti aveva accennato.
La doppiezza di cui parla Giolitti è quella di chi da una parte riafferma il valore permanente delle libertà democratiche e dall’altra scrive che gli errori e i delitti denunciati dal XX congresso non hanno intaccato la permanente sostanza democratica del potere socialista (dico potere e non sistema) e che il governo di Budapest è legittimo.
L’intervento è ascoltato con silenziosa attenzione e alla fine salutato dagli applausi di una maggioranza di congressisti.
La curiosità si sposta ora sul compagno cui, secondo la prassi del centralismo democratico, sarà affidato il compito di replicare a Giolitti.
Si fanno parlare dalla tribuna i rituali tre compagni che nessuno segue e poi sale alla tribuna Giorgio Napolitano.
Bastano le prime parole del suo intervento (“la migliore prova della libertà che c’è nel partito è che Antonio Giolitti abbia potuto esprimere il suo dissenso”) per capire che il designato dal “centro” è lui.
Del resto non è nuovo al compito.
Lo ha già assolto a Napoli contro la Lapiccirella.
Anche questa volta non ci va leggero.
Ritorce su Giolitti l’accusa di doppiezza per dirgli che senza tante ipocrisie avrebbe fatto meglio a dire ciò che pensa e cioè che l’intervento sovietico si giustifica solo dal punto di vista delle esigenze militari e strategiche dell’Unione Sovietica.
Fortunatamente non riceve applausi.
Incredulità per l’intervento di Amendola che conclude il suo discorso contro il riformismo liquidatore e il massimalismo inneggiando ai partiti comunisti che sono al potere in tanta parte del mondo e “prima di tutto al glorioso Partito comunista dell’Unione Sovietica”.
A scegliere Napolitano deve essere stato proprio lui”.
Testo di facile comprensione e non abbisognevole di ulteriori commenti.
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