venerdì 13 novembre 2015

Franco Astengo: Politica, scienza, tecnologia

POLITICA , SCIENZA, TECNOLOGIA di Franco Astengo Ben al di là della presunzione contenuta nel testo del titolo questo intervento mira semplicemente a ripresentare una questione, sicuramente fondativa, nel contesto delle relazioni necessarie per esercitare il governo dei sistemi politici e combattere efficacemente la sindrome di un “nuovo dominio” che si sta affacciando sulla scena del mondo. Molti sottolineano come stiamo vivendo un’epoca di straordinari cambiamenti, soprattutto dal punto di vista della portata dell’innovazione tecnologica . Cambiamenti che riguardano l’insieme dei rapporti umani e sociali e il grado – ormai insostenibile - di antropizzazione del territorio in tutti i Continenti. Per di più l’utilizzo sbilanciato del profitto derivante proprio dalle detenzione del potere esercitato dalle novità tecnologiche e il prevalere del processo di finanziarizzazione dell’economia hanno portato a una crescita esponenziale dei livelli di squilibrio e di diseguaglianza in tutte le dimensioni: squilibri e diseguaglianze considerate, a ragione, la causa principale della grave situazione di difficoltà con la quale ci si sta misurando a livello globale. Difficoltà causate da un fenomeno di impoverimento generale, di dissesto ambientale, di forte innalzamento nella presenza di conflitti armati al punto tale da causare il rischio di guerra generale, nel quadro di un ritorno alla “logica dei blocchi”: la logica di tipo geopolitico relativo allo “spazio vitale” è tornata prepotentemente sulla scena, mentre appare in declino il modello di globalizzazione sviluppatosi nel primo decennio del secolo e svaniscono le illusioni di un multipolarismo capace di far nascere nuovi modelli di sviluppo in diverse parti del mondo. E’ in crisi il rapporto di credibilità tra politica e cultura. La questione che si presenta come da affrontare con un nuovo approccio dal punto di vista della ricerca filosofica è quella del rapporto tra politica e scienza. Appaiono evidenti le modificazioni del quadro di rapporti in tutte le dimensioni pubbliche e private e la formazione di nuovi interrogativi al riguardo della “costruzione politica”. Il tema è quello del dominio della scienza, in un’ipotesi di indiscriminato soggiacere al dominio di una forma inedita di positivismo: un “credo” fondato sulle risorse in mano a pochi, utilizzato in funzione del ricostruire muri e sbarramenti. Una scienza che cesserebbe così di rappresentare uno strumento in mano comunque ai gruppi dominanti in ogni caso sottoposti (come è stato nel “glorioso trentennio”) a forme di controllo interno/esterno sia pure limitato. Una scienza che finirebbe per diventare un fine in sé trasformandosi in una sorta di soggetto impersonale, capace di imporre proprie logiche coattive alla società. Ritorna così in campo, almeno dal nostro punto di vista, il vecchio schema già contenuto nell’“Ape e l’Architetto”: la scienza non è neutrale, e anzi è in realtà una manifestazione piena del dominio, più radicale ancora dell’economia ( politica ancilla oeconomia, come si era pensato nei giorni ruggenti della globalizzazione imperante). Nell’applicazione del dominio della scienza e dei suoi effetti tecnologici, infatti, emerge un rapporto mercificante tra soggetto e oggetto in una forma sempre più piena. Quindi la tecnologia non solo assume il comando politico e tutti i sistemi (anche quelli che si proclamano ancora legati al socialismo) resteranno prigionieri di questa logica. Il punto sarebbe quello, non ancora rinvenuto nell’insieme dell’odierno equilibrio culturale dominato dalla necessità indotta della velocizzazione nella comunicazione di massa, di essere capaci di esercitare una funzione critica sulla violenza che la tecnica, frutto della scienza del dominio, esprime implicitamente. Il punto vero, allora, è quello della critica nel solco della “Kritik der Zeit”. Una critica che reclami il recupero delle finalità umanistiche che avevano contraddistinto l’emergere della civiltà moderna, anche attraverso l’espressione delle utopie egualitarie e della “critica all’economia politica”. Sarebbe necessaria una “critica all’egemonia della scienza”. Prestando attenzione, comunque, a non prestare il fianco alle idee del “ritorno all’indietro”, di un decadente conservatorismo , o peggio ancora del lasciare le scelte collettive semplicemente in mano agli egoismi o ai tormenti dell’anima dei singoli. Queste contraddizioni non possono essere considerate irrisolvibili oppure da affidare a una sorta di “risoluzione trascendente” alla quale pare intendano affidarsi una nuova leva di intellettuali folgorati su di una ritrovata via di Damasco. Deve essere sconfitta una ritrovata “rivoluzione conservatrice” e recuperato il senso di una razionalità fondata sull’espressione della politica intesa come frutto di una dialettica sistemica. Il pericolo vero è quello del riproporsi di un’idea eroica della guerra come sublimazione del dominio: con i detentori delle leve della scienza capaci di intenderla come la sola possibilità per la loro conservazione. La scienza come espressione della volontà di potenza, non più attraverso i giganteschi apparati di coercizione di massa e di avvio verso lo sterminio, ma più sottilmente di costrizione occulta dei popoli dentro i confini della miseria e della diseguaglianza. Si costruirebbero così gli strumenti materiali per una nuova enorme “selezione di massa”. Il solo antidoto possibile a questo tragico scenario è quello del ritorno alla politica e all’espressione attraverso di essa di finalità umanistiche che, ostinatamente, possono essere ancora comprese nell’ideale di un obiettivo di eguaglianza economica, sociale e culturale. Un’eguaglianza diffusa come base per affrontare l’inedito quadro di contraddizioni che la tragica maschera della modernità ci sta mettendo di fronte. Politica, insomma, come suo primato inteso come fattore dell’umana coesistenza che assume l’aspetto di una identità collettiva, considerata non tanto dal punto di vista del potere (normato quale concreta modalità di funzionamento di un ordine) ma essenzialmente intesa quale energia, anche conflittuale, che deve essere all’origine della sua forma da concretizzarsi attraverso soggetti che concorrono alla legittimità, per far sì che proprio il potere non tenda ad accrescere se stesso. Politica come generazione di controforze che sfidano il potere in nome di un concetto non astratto di libertà e di capacità di fornire un senso alle scelte collettive di contrasto alla sopraffazione della tecnica e dell’economia. Utopia? Necessaria quanto l’etica intesa sul fondarsi su valori morali condivisi.

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