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venerdì 13 novembre 2015
Andrea Ermano: Un tentativo di riflessione
EDITORIALE
Un tentativo di riflessione
dedicato a Helmut Schmidt
di Andrea Ermano Avvenire dei lavoratori
È scomparso martedì a 96 anni Helmut Schmidt, decano della socialdemocrazia europea. Una delle sue ultime interviste, l'ha rilasciata qualche mese fa alla anchorwoman televisiva Sandra Maischberger (vai al link), rispondendo per un’ora e più alle domande della giornalista talvolta scomode e incalzanti, con grande lucidità, ma anche biblicamente "stanco di giorni".
Helmut Schmidt (1918-2015) con Sandra
Maischberger il 28 aprile scorso – © ARD
Nell’occasione di quest’ultima intervista-testamento, Schmidt ha esposto alcune valutazioni politiche che varrebbe la pena tenere a mente. Di seguito ne riassumiamo quattro:
1) Lo stato del mondo è "non buono", mentre invece la Germania gode di salute sorprendente, che però non durerà molto senza una strutturazione europea in grado di fare fronte “tutti insieme” alle sfide globali.
2) Le riparazioni di guerra richieste dalla Grecia sono sostanzialmente legittime e giustificate.
3) La Russia di Putin va sì "contenuta", come ogni grande potenza tendente per natura all'espansionismo, ma non va esposta a provocazioni sconsiderate né considerata il "male assoluto"; e ben gravi responsabilità in merito alla crisi ucraina gravano invece sulle politiche di "allargamento a est".
4) I mussulmani europei hanno diritto di costruire le loro moschee anche "vicino a casa mia", ma l’idea di una società radicalmente multiculturale non appare realizzabile nel breve o medio periodo. E quindi rimane apertissimo il problema della crescente onda migratoria.
Sull'ultimo punto, riguardante i migranti e il pluralismo, due esempi emblematici ci vengono dalla cronaca di questi giorni.
Primo esempio. La Germania della signora Merkel, pressata da una levata di scudi xenofoba, ha revocato le aperture estive circa l’accoglienza dei profughi siriani.
Secondo esempio. In Francia, la visita di Stato dei vertici iraniani avrà luogo senza alcun banchetto ufficiale. La ragione di ciò? I due Stati non sono d'accordo… sul vino.
Non che la Repubblica francese e quella islamica dell’Iran abbiano rilevato una reciproca indisponibilità a convergere sul tipo di spumante. È che proprio non si sono messi d’accordo sul fatto stesso che a tavola potessero esserci anche bevande alcoliche. Un’altra difficoltà “diplomatica” consisteva nella preclusione dei dignitari iraniani verso pietanze a base di carne di porco o anche di altri animali, ove non macellati secondo le regole coraniche. Su ciò Parigi sarebbe stata disponibile a cedere. Ma in orecchie francesi l’interdetto islamico contro il Bordeaux, il Bourgogne, lo Champagne eccetera dev'essere suonato totalmente inaudito. E completamente inaccettabile. In un Paese libero ciascuno deve poter scegliere da sé di bere o di non bere. E poi non ha forse, la Grande Nation, i migliori vini del mondo?!
Sembra roba da ridere. Ma teniamo presente che Gesù e Maometto discordano completamente in tema di vino. Che per Gesù è simbolo del sangue versato in remissione dei nostri peccati; mentre per Maometto rappresenta una droga pericolosa, "opera di Satana", da evitarsi tassativamente.
Questo problema, non solo teorico, dei due profeti in disaccordo tra loro non è nuovo. Venne dottamente discusso tre secoli fa da John Locke allo scopo di dimostrare che solo la ragione naturale può veramente discernere se l’un profeta dica la verità, oppure l’altro, o nessuno dei due.
Oggi si sarebbe portati a congetturare che entrambi i profeti in un qualche modo ermeneutico potrebbero avere ciascuno per parte sua un frammento di ragione, essendo interpreti dello stesso e unico Dio. Ma il fallimento del pranzo diplomatico franco-iraniano, in sé una piccola cosa, mostra che il conflitto multiculturale si è frattanto dislocato più oltre. Perché qui non si discute se la preghiera verso la Mecca debba o meno includere la transustanziazione del vino o se la liturgia dell’Offertorio debba escluderla. Qui ci si chiede "solo" se un Capo di Stato occidentale, andando a pranzo con un Ayatollah, sia ancora libero di bere un bicchiere, o alcuni bicchieri, o molti bicchieri, o nessun bicchiere, di spremuta d’uva fermentata.
Sembrava roba da ridere!
E invece eccoci qua, di fronte a un dissidio teoricamente insanabile tra due sacrilegi, il sacrilegio laicista verso la parola del Profeta e il sacrilegio integralista verso la libertà enologica dell'individuo e la sovranità vinicola della nazione. Bel groviglio, non c'è che dire. Un groviglio che nessun rigorismo, né laicista né clericale, risolverà mai, perché il dialogo tra le culture richiede ben altri approcci.
E però non è facile dire quali.
In ogni caso l'interdetto coranico sull'alcol non deve servire a molto se taluni esponenti del clero islamico, super-astemio, si comportano talvolta come ubriachi. E un quantum d'astinenza non danneggerebbe nemmeno certi nostri grandi intellettuali europei che paiono anch'essi in preda a una sorta di delirio etilico galoppante.
Irrisolta la questione del "pluralismo", resta il problema delle ondate migratorie. Sul quale problema in questi giorni si è espresso persino un filosofo della politica elvetico, il professor Georg Kohler di Zurigo, il quale parla di "tumulto apocalittico" e non esclude l’opzione bellica. Poi si appella a una barzelletta di Orson Wells sulla Svizzera: il miglior Paese in cui rifugiarsi in caso di fine del mondo, giacché nella Confederazione scudocrociata l' Armageddon avrebbe certo luogo "con un giorno di ritardo".
Beati i ricchi… Metafora quasi perfetta dell'autocompiacimento un po' borioso in cui ci avvitiamo tutti, fruendo lo spettacolo mediatico-circense di gente in fuga dalla morte, dalla guerra e dalla carestia.
Il retrogusto cinico di questa nostra “situazione postmoderna” rinvia per associazione al peso massimo del cinismo mondiale, Peter Sloterdijk, che reputa indispensabile mettere in campo una crudeltà ben temperata: "Si può procedere come i Canadesi o gli Australiani o gli Svizzeri. In ognuno di questi casi ne va di una nazione, una nazione troppo attraente, che deve strutturare un sistema di difesa alla cui costruzione è indispensabile qualcosa come una crudeltà ben temperata. Ora, questo è il problema principale: gli Europei si definiscono benevoli e non crudeli; e c'è tutta una pubblicistica subito pronta a denunziare il benché minimo tentativo d'assumere atteggiamenti più difensivi, cioè più crudeli, come uno scandalo civilizzatorio di prima grandezza."
Che dire?
La locuzione "ben temperata" rinvia a Johann Sebastian Bach e a una sua celeberrima raccolta di preludi e fughe nota sotto il titolo Das wohltemperierte Clavier. Ma la nozione di "crudeltà", inalveata da Sloterdijk entro una figura “musicale” di freddezza psichica, evoca impressioni che preferirei non definire.
Si deve, per esempio, “aiutarli” a casa loro e /o “selezionarli” all’arrivo da noi, separando i profughi veri dai semplici migranti? Bando agli eufemismi: con simili espressioni è inteso che si vada "a casa loro" per fare soprattutto la guerra. E “selezionarli” vuol dire lasciare annegare un altro po' di gente di fronte alle nostre coste. Quali mai potrebbero essere, di grazia, i criteri di codesti aiuti e di codeste selezioni sul terreno di “atteggiamenti più difensivi, cioè più crudeli”?
In realtà, le grandi migrazioni accadranno. Accadranno comunque. E l'unico modo di fronteggiarle sarà sviluppare, come ha di recente ribadito Massimo Cacciari, "una disponibilità cosciente e non sentimentale all'accoglienza, sapendo che l'esodo avverrà… Dobbiamo comprendere che i modi puramente difensivi, quelli che vorrebbero tornare alla potenza occidentale sono disastrosi".
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