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domenica 6 settembre 2015
Franco Astengo: Il nuovo proletariato
IL NUOVO PROLETARIATO di Franco Astengo
Le strade d’Europa sono percorse da decine di migliaia di migranti in fuga dai teatri di guerra del Medio Oriente e dell’Africa centrale e del Nord.
Sono così sorte contraddizioni di vario ordine e natura, tra le decisioni dell’Unione Europea e quelle dei diversi governi al riguardo della necessità di intervenire sui bisogni primari di queste persone .
Bisogni primari che sorgono in contraddizione, molte volte, con quelli delle popolazioni dei diversi stati, dando origine a fenomeni di natura razzistica e xenofoba, del resto non nuovi nella storia.
Le risposte dei Paesi Europei interessati a un fenomeno che si preannuncia di lungo periodo (il Pentagono scrive di flussi migratori imponenti per i prossimi 20 anni) sono le più diverse: stanno tra un’estesa capacità d’accoglienza espressa dalla Germania fino al filo spinato e ai muri, come soluzioni adottate dai paesi dell’ex-Patto di Varsavia (al quale, è bene precisarlo, non aderì la Jugoslavia: precisazione necessaria per far comprendere la diversità di atteggiamento verificata oggi tra la Serbia, l’Ungheria e la Repubblica Ceca).
Nell’insieme, però, la capacità di organizzazione e di risposta a questo tipo di problematiche ha rivelato un’insufficienza, prima ancora che organizzativa di carattere culturale.
Immaginando un vero e proprio “colpo d’ala” c’è chi oggi azzarda come la disponibilità della Germania si frutto dell’eredità di un pensiero derivante dalla filosofia classica e in particolare dal cosmopolitismo kantiano.
In questo quadro la sinistra europea dimostra di essere “figlia di nessuno” dopo la svolta iconoclasta degli ultimi vent’anni e balbetta.
Ancora più esitante appare quella parte di sinistra che amerebbe essere considerata la più radicale e che pensava di aver trovato nel governo greco l’alfiere del proprio riscatto: la rapida omologazione al compromesso e le disastrose condizioni materiali nelle quali si trova il proletariato ellenico hanno fatto in breve sfumare quest’auspicio al quale restano appesi soltanto alcuni ostinati che non riescono proprio a vedere la drammatica realtà.
Come affrontarla, allora, questa drammatica condizione imposta sì dall’attualità ma che rappresenta un fenomeno strutturale.
Si stanno spostando molti dei termini consueti attraverso i quali ci si era abituati ad analizzare il presente.
Vale proprio la pena di cercare di fare il punto su questo stato di cose.
Si tratta di principiare una riflessione che consideri il flusso dei migranti in fuga dalla guerra e che sta cercando rifugio nei punti più avanzati dello sviluppo capitalistico in Europa (come accadde del resto, sia pure in condizioni molto diverse, a una parte del proletariato europeo del Sud, compreso quello turco, nell’immediato dopoguerra) come la necessità di espressione di un nuovo soggetto proletario.
Un nuovo soggetto proletario che, passando dalla condizione di profugo assistito a quella di “esercito di riserva” del capitalismo, nel volgere di pochi anni avrà di fronte la complessità di contraddizioni esplodenti nella società post-industriale.
Siamo di fronte ad una nuova frontiera della strutturazione di classe paragonabile a quella verificatasi all’epoca della prima rivoluzione industriale.
Il quadro, naturalmente, è molto diverso e il nuovo intreccio appare composto, in maniera assolutamente inedita, tra la condizione materiale proletaria, il livello enormemente cresciuto delle diseguaglianze materiali, la globalizzazione e la complessità riguardante nuovi mercati che hanno prodotto diversi livelli di sfruttamento.
La sostanza però dell’evento, sul piano storico, è quella della necessità di un orientamento, di un’aggregazione, di un’organizzazione sociale e politica.
La sostanza da considerare dal nostro punto di vista è quella riguardante la necessità di attrezzarci per raccogliere, orientare, portare avanti la spinta che verrà da questo nuovo proletariato e dalle contraddizioni che verranno da esso espresse.
Ora più che mai, dunque, appare necessaria la ricostituzione di una soggettività politica di dimensione internazionalista collocata nel solco della grande tradizione del movimento operaio ma posta in grado di innovarsi rispetto a ciò che sta accadendo nel concreto.
Non serve proprio, in questo momento, rinchiudersi nel dibattito “accoglienza sì, accoglienza no” ma lavorare prefigurando il futuro e ricordando sempre che il nemico principale è il capitalismo e che il capitalismo vuol dire guerra.
Da non dimenticare, quindi, che la ragione principale (anzi quasi unica) di ciò che sta accadendo è la guerra e la volontà dei potenti di esportarla per poter sistemare al meglio la loro sete di dominio.
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1 commento:
E’ un grande piacere intellettuale discutere con Astengo, che ha una grande preparazione ideologica e filosofica, alla quale io, cultore di storia e di un po’ di economia “contabile” mi avvicino con difficoltà.
Il fenomeno dei migrantes lo leggo in modo diverso da lui: ci sono quelli che fuggono da una insopportabile dittatura (come gli eritrei, i siriani e, se potessero, i nord coreani), e quelli che fuggono da uno stato di guerra civile, e non solo, ormai endemica, e cercano prima di tutto la sicurezza fisica: afgani, centro africani, curdi, yazedi: queste due categorie sono quelli che secondo i nostri criteri hanno diritto all’asilo. Non ce l’hanno i libici, che come i sauditi vivono di contributi dello stato e li arrotondano facendo gli scafisti e gli estorsori: e infatti non scappano via.
Il fenomeno del proletariato mondiale esercito di riserva del capitale, come lo definisce Astengo è un’altra faccenda. Ed è figlio della globalizzazione dell’informazione e della facilità delle comunicazioni. Tutti sanno, dai film, dalla tv, da internet come si vive in occidente, e per il proletario del Bangladesh o del Senegal o del Pakistan è molto meglio venire a fare il proletario in occidente che lavorare in stabilimenti fatiscenti che ti crollano addosso per un salario miserabile, per dei sottofornitori delle multinazionali. Per male che vada, qualcosa di meglio prima o poi si trova in occidente. Soprattutto si trova la sanità pubblica per tutti e per i figli la scuola e la speranza .
In questo caso però non possiamo sbilanciare a lungo la popolazione mondiale con un ininterrotto esodo biblico, che, certo, al contrario di quel che dicono le canaglie come Salvini, è apportatore di ricchezza all’occidente, che riceve lavoratori già allevati e formati, pronti a far di tutto, e che certo sono più intraprendenti, intelligenti e coraggiosi di quelli che non si muovono ( scusate l’osservazione nordista, ma guardiamo come 100 anni di emigrazione hanno ridotto il nostro Sud).
Qui è giusto e sacrosanto mettere delle quote massime di ingresso, ma nel frattempo, in questo mondo dove si tratta di zone di libero scambio, impedire che questi trattati incoraggino il più indegno sfruttamento nei paesi poveri. Invece del pietismo, regole precise di confronto di salari minimi rapportati al costo della vita, e tassazione all’importazione. I TTIP e l’equivalente per i Pacifico devono introdurre queste clausole, oppure non si fanno. E il sindacato, ormai assente dalle fabbriche medie e “intelligenti” di oggi, bene farebbe a darsene carico, prima di diventare un ente superato. In Italia sono stati proclamati degli scioperi generali, tutti falliti, per le ragioni più corporative: qui ci starebbe uno sciopero generale europeo. Non dico di farlo domani, ma almeno cominciare a parlarne e non in un solo paese.
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