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giovedì 24 settembre 2015
Franco Astengo: Governo
GOVERNO di Franco Astengo
Alcuni fatti avvenuti in questo periodo in Europa a livello di sistemi politici nazionali (Grecia, Italia, Gran Bretagna) pongono nuovamente la sinistra, o almeno quei raggruppamenti che si autodefiniscono collocandosi da quella parte dello schieramento, di fronte al tema di fondo del Governo.
Un tema che non può essere affrontato semplicemente sul piano del pragmatismo esecutivo ma che ha bisogno di essere analizzato sul piano teorico, cercando di capire come l’argomento possa collocarsi in una modernità contraddistinta dall’evolversi (in senso del vaporizzarsi) del ruolo dei partiti con la sparizione e/o il ridimensionamento secco di quelli a integrazione di massa, il graduale processo di cessione di sovranità dello Stato /Nazione e contemporaneamente le difficoltà evidenti di una visione “mondialista” e delle entità sovranazionali create appunto per fronteggiare questo inedito stato di cose (ne parla Magatti sul Corriere della Sera in un intervento che però è poco più della “summa” di ciò che sta accadendo nell’attualità”).
Il ripresentarsi dei pericoli di guerra a livello globale e la questione (qui denominata sbrigativamente per ragioni di economia del discorso) dei “migranti” hanno fatto saltare il banco degli “status quo” artificialmente costruiti, come ad esempio quello dell’Unione Europea.
Si pone l’interrogativo della dimensione stessa del potere di governo tra “Stato /Nazione”, esigenze globali, entità sovranazionali: un equilibrio difficile da trovare, al riguardo del quale però (il riferimento è sempre alla Grecia, all’Italia, in potenza alla Gran Bretagna e nel prossimo futuro forse anche per la Spagna) la dimensione dello “Stato /Nazione” sembra essere ancora quella prevalente con gli organismi già definiti come sovranazionali (che dispongono di governance non legittimata e non di governo vero e proprio) intesi semplicemente come luoghi di compensazione e di trattativa e non di effettiva decisionalità.
Il primo punto da trattare è il seguente:se la dimensione del governo rimane quella di stampo liberaldemocratico allora chi si autodefinisce di sinistra deve prima di tutto decidere se la divisione dei poteri va mantenuta, come prevedono le Costituzioni in generale, oppure soppressa, raccorciata, sovrapposta.
Nel “caso italiano” assunto come esempio fortemente indicativo, la scelta sembra essere proprio questa: quella di una riduzione degli spazi del legislativo (abolizioni varie), molta insofferenza ai controlli, esaltazione esagerata del ruolo dell’esecutivo reso disponibile a una forte personalizzazione: è in questi elementi che il governo Renzi si incammina sulla strada del fascismo, avendo già passato il fosso del Regime, attraverso la costruzione di un Partito della Nazione contrastato soltanto da alcune debolezze populiste (molto vaghe sul piano teorico e inconsistenti sul piano politico dell’affermazione di una visione del futuro).
Un Partito della Nazione centralizzato e dotato di legittimazioni artificiali al quale non fa bene l’adeguamento di quella parte pur proveniente da una certa storia .
In questo modo si finisce con l’abdicare a seguito del totale smarrimento d’identità del proprio gruppo dirigente, ormai lontano da qualsivoglia istanza di radicamento sociale e di rappresentatività delle contraddizioni operanti davvero nella società.
La riduzione del legislativo a mero orpello, in una sola Camera dotata di ratifica dei poteri del Governo e composta in gran parte di nominati attraverso l’elargizione di un enorme premio di maggioranza (che potrebbe essere costituito da una percentuale misurata anche oltre il raddoppio dei voti effettivamente presi) e l’utilizzo delle armi dei decreti e delle leggi – delega rappresentano la questione vera intorno alla quale la autodefinita sinistra deve decidere come indirizzare la propria presenza e la propria funzione politica.
Torna alla mente il Kant della Metafisica dei Costumi: è dalle teorizzazioni contenute in quel testo tra legge e decreto, norma generale e norma particolare che si collocano gli elementi atti a ridefinire l’ambito dell’azione di governo rispetto alla funzione legislativa.
E’ su questo punto che si è giocato nella vicenda interna al PD al riguardo delle riforme costituzionali (con chi si è adeguato richiamando la logica perdente della “riduzione del danno”), mentre in Grecia una pericolosa visione populista ha portato a utilizzare l’esito del referendum di luglio per scopi esattamente opposti a quelli espressi dal voto, provocando un effetto di trascinamento nelle elezioni di settembre .
Elezioni di settembre il cui obiettivo comune a Syriza e a Nea Demokratia era proprio quello di marginalizzare il Parlamento e di renderlo ossequiente, quindi inefficace, rispetto al cuore della iniziativa politica del Governo e cioè l’adozione e la concretizzazione delle misure imposte dalla Troika.
Se s’intende rappresentare una sinistra di governo va dunque sciolto il nodo di fondo della qualità della democrazia all’interno della quale s’intende operare tra ruolo strategico del governo e centralità del legislativo, quindi della funzione strategica derivante dalla rappresentanza popolare.
Se questa scelta non viene compiuta il rischio (già concretamente in atto) è quello di scivolare rapidamente verso forme autoritarie di vera e propria riduzione degli spazi democratici.
Un fatto che fra l’altro sta avvenendo, in alcuni casi come in Italia, ben al di fuori da un quadro di legittimazione elettorale: neppure nel 1924 ciò avvenne anche se non vediamo le Camere del Lavoro bruciate e i deputati assaltati.
Ma attenzione :Il clima di vero e proprio soffocamento delle istanze contrarie, la salvaguardia misera delle proprie posizioni personali di piccolo privilegio, il pigro conformismo sul quale si adagiano i mezzi di comunicazione e di scambio d’informazioni di massa, l’incapacità delle forze politiche a indicare obiettivi concreti realmente esistenti nel contesto socio – politico fanno pensare al peggio del peggio non solo in Italia.
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