lunedì 12 maggio 2014

Gianni Marchetto: Un baco si aggira...

Un baco si aggira nelle teste di parecchi comunisti, ex comunisti e varia sinistra... nota di Gianni Marchetto – Maggio 2014 Premessa Un baco si aggira nelle teste di parecchi comunisti, ex comunisti e varia sinistra: è il baco della “rappresentanza elettorale” a qualsiasi costo, in qualsiasi maniera. Di parecchi comunisti compreso il sottoscritto che però ne ha coscienza e consapevolezza e quindi il baco lo può tentare di tenere a bada: chi ha coscienza di sé è a metà dell’opera, diceva il saggio. Rappresentanza elettorale che nel nostro periodo può significare il contrario di ciò che per decenni, dagli albori del movimento operaio ai giorni nostri, ha voluto essere: la rappresentanza degli interessi delle classi meno abbienti nei palazzi della rappresentanza e del potere, da un consiglio comunale fino al parlamento. A tutt’oggi a me pare che il quesito da porsi sia il seguente: rappresentare o organizzare? E non li metto uno in alternativa all’altro, però bisogna decidere da cosa partire. Per me occorre partire da ORGANIZZARE. Nel senso di organizzare le persone curiose e intraprendenti che sono portatori di ESPERIENZA E SAPER FARE e questo in ogni territorio dato e in ogni azienda. Tanto più che ormai nel rappresentare si rischia di non sapere CHI RAPPRESENTARE: i riferimenti storici della sinistra (il lavoro dipendente) ormai, nella sua maggioranza, non va a votare (vedi il fenomeno abnorme dell’astensionismo) o NON LI LASCIANO VOTARE (vedi i migranti). Nelle aziende ormai da anni i lavoratori per la stragrande maggioranza sono impediti di votare per accordi e contratti che li interessino (vedi l’ostracismo di CISL e UIL) solo la FIOM CGIL tiene botta, ma con scarsi risultati. Per non dire che nel RAPPRESENTARE c’è un limite fortissimo legato al concetto di DELEGA mentre invece nell’ORGANIZZARE si mette in moto un processo di NON-DELEGA. Questa riflessione è il frutto di una discussione che da parecchio tempo vado facendo con il mio amico, socio, compagno Enrico Mana con il quale dividiamo un impegno molto complesso nella traduzione del Piano Regolatore Sociale di Venaria in una “piattaforma sociale”. E con una incazzatura che ho con SEL perché alle prossime elezioni Regionali dovrò usare il voto “disgiunto”. Com’era la situazione Facciamo un esempio (esemplare) riferito ad un partito (che fu): il PCI. C’era una volta un partito che su un territorio definito (= un contenitore) attraverso l’ascolto partecipato di tutta una serie di suoi militanti (esperti grezzi) aveva nei fatti una MAPPATURA DELLA COMUNITA’ di quel territorio, ergo sapeva chi erano i rappresentanti veri di quella comunità, chi erano coloro i quali attraverso il loro lavoro quotidiano, la loro competenza, facevano ESPERIENZA: di solidarietà, di aiuto, di cambiamento della porzione di mondo che stava loro di fronte. Per non dire di tutte le “innovazioni e le scoperte” del movimento operaio: dalle case del popolo, ai vari circoli, alle leghe rosse e bianche. Alla rete degli oratori e alle opere di varia umanità del mondo cattolico. Tutte cose che andrebbero catalogate in una moderna antologia alla pari di quella che i borghesi Diderot e D’Alembert fecero con la stesura della loro “L’Encyclopédie” della fine del 1700. Stessa identica cosa per i sindacati dove ovviamente il contenitore era l’azienda, la fabbrica, il luogo di lavoro. Gli esperti grezzi combinavano con i Delegati di Gruppo Omogeneo (eletti tra iscritti e non, da tutti i lavoratori del gruppo). Questa fu la felice intuizione che si fece conquista a partire dai primi Delegati di Gruppo Omogeneo del 1969 alla FIAT di Mirafiori nati per gestire il controllo del rapporto tra produzione e organico alle catene di montaggio della Mirafiori, dell’anno precedente (Giugno 1968) . E tutto ciò avvenne in un processo unitario (specie nel mondo sindacale) raccogliendo e fondendo il meglio delle esperienze e delle culture tra i lavoratori e le loro rappresentanze sindacali: da quelle di origine comunista e socialista, a quelle di origine laica e cattolica. Ma processo altrettanto unitario fu la stagione delle “giunte rosse” tra comunisti e socialisti che operarono una civilizzazione di buona parte del nostro paese. E in occasione delle varie contese elettorali (il partito: i suoi gruppi dirigenti) sapeva come portare a sintesi quelle esperienze che i suoi “esperti grezzi” portavano a galla. Questa sintesi ovviamente veniva inglobata nella strategia di cambiamento più generale del partito (o del sindacato) con l’esito finale che traguardava ogni conquista: il socialismo, un’altra società. È inutile, perché risapute, enumerare qui le conquiste, i voti, il potere delle varie formazioni politiche e sindacali di quel periodo. Siamo di fronte quindi ad un movimento partecipato, che incentiva non solo la partecipazione diffusa ma anche il protagonismo degli uomini e delle donne più curiosi e intraprendenti. Un movimento che mette in discussione quanto di “leninismo” era ancora presente nelle varie formazioni del movimento operaio (partiti, sindacati, gruppi) attraverso la pratica della “validazione consensuale”: rendere valido una qualsiasi questione con il consenso, pratica quanto mai complicata e controversa perché ha a che fare con le teste di uomini e donne in carne ed ossa, con le loro aspirazioni individuali, con le loro ambizioni, e un eccetera sconfinato. Quando dico “leninismo” non intendo quella pratica di necessaria disciplina che un gruppo politico deve avere per ottenere dei risultati, avvero di studio attento della realtà, ma quanto di deleterio e fallimentare (vedi la fine del “socialismo reale”) era presente nella “dottrina del leninismo”: ovvero il “come ti educo il pupo”, la stracca abitudine di indottrinare la gente, quasi che le teste di costoro fossero delle vasche vuote in attesa di essere riempite dal verbo dei “sapienti” (leggi, i dirigenti di partito e di sindacato). Infatti la contesa fu aspra tra coloro i quali tentavano di uscire da questo “leninismo” e coloro i quali lo difendevano aspramente nei loro comportamenti quotidiani. Chi vinse? Alla fine della fiera vinsero i “leninisti”, sia nelle formazioni politiche sia nei sindacati. Quando vinsero i “leninisti”? paradossalmente quando attraverso i voti (in aumento) le formazioni di sinistra ebbero più potere nei luoghi di rappresentanza a tutti livelli: dai comuni, alle province, alle regioni, al parlamento. Nei sindacati quando la maggioranza dei Sindacalisti (e anche una buona parte di Delegati) si “ubriacarono” delle loro conquiste… lasciandole sulla carta, spendendo pochissimo tempo nella pratica della gestione di accordi, contratti e leggi, finendo così di stufare una buona parte di lavoratori e “insegnando” a decine e decine di imprenditori che tanto valeva firmare degli accordi se poi rimanevano sulla carta... Perché vinsero i “leninisti”? perché nella gestione quotidiana del “potere” il modello vincente fu quello dominante: più produttività = più comando (sia nella fabbrica che nella società). Vedi ad esempio la conclusione della crisi produttiva alla FIAT nel 1980 (con i 35 giorni) e vedi il fenomeno del craxismo in Italia. In pratica si affermò il modello attuale che vuole maggiore EFFICIENZA a scapito della partecipazione democratica. Perché noi perdemmo? (noi sta per quelli della “validazione consensuale”). 1° perché non ci fu abbastanza scavo teorico sul tema della produttività e sulla efficienza/efficacia: bisognava affermare un ben altro binomio PIU’ PRODUTTIVITA’ = PIU’ DEMOCRAZIA (una sfida innanzi tutto per noi). Termini i quali nella cultura del movimento operaio sono sempre stati concepiti come antinomie. Bisognava quindi affermare un altro criterio di produttività: fare il massimo con il minimo sforzo (in una qualsiasi azienda) e fare il massimo con il minimo di spesa nella società (quindi affermando nella pratica democratica il valore delle priorità in maniera partecipata e il bilancio anch’esso in maniera partecipata). 2° perché la pratica della “validazione consensuale” esige una ferrea disciplina (questa sì leninista), nel senso che occorre essere determinati nel praticarla e coerenti nelle risultanze. Io per es. fui un “cantore” delle sue virtù, molto meno nella pratica quotidiana. Mi facevo prendere dalla fretta, dal fastidio di ascoltare tutti, di trovare una sintesi unitaria, ecc. quando tra pochi c’era la possibilità di decidere (male, visti i risultati odierni). Com’è la situazione attuale La crisi attuale ha portato fino alle estreme conseguenze il binomio + produttività = + comando. Alcuni esempi paradigmatici: • La FIAT: la vicenda è nota. In ultima analisi si può dire una inutile prova di forza muscolare da parte del canadese Marchionne (nei confronti dei reprobi della FIOM) che non ha nemmeno sfiorato lontanamente la crisi FIAT, che è crisi di progetto, di prodotto e di un diverso rapporto in fabbrica tra “istruttori ed esecutori”. Quel tanto che basta vedere le chiusure di stabilimenti in Italia, la perdurante CIG, le difficoltà nel mercato italiano (sconvolto dalla crisi) e di quello europeo dove la fanno da padroni i tedeschi, i francesi e persino gli spagnoli, le delocalizzazioni di tutto e di più, ecc. a fronte del fatto che i lavoratori nel mirino del suo “editto” (la FIAT di Pomigliano) “vengono sfruttati per un milionesimo delle loro capacità cerebrali” : alla FIAT di Pomigliano i lavoratori addetti alle catene di montaggio lavorano su “cadenze” di un minuto (per i non addetti significa che una volta ogni minuto il lavoratore ripete sempre le stesse operazioni per tutto il turno di lavoro). • Il governo Monti: con questo governo abbiamo il prevalere della tecnica sulla politica (che accompagna il prevalere della finanza sulla politica). Meglio stendere un velo pietoso sui risultati di questa esperienza che molte speranze aveva suscitato e invece… a partire dagli “esodati”, caso quasi unico nel panorama europeo, tante delusioni ha avuto. Il tutto ha continuato stancamente con il governo Letta. Inaugurando (per primi in Europa) governi del Presidente (il Napolitano fu migliorista) non eletti, in linea con i burocrati liberisti europei mai eletti da chicchessia. • Berlusconi e Renzi (e il PD). Il ventennio Berlusconiano (pur inframezzato da parentesi di centrosinistra) è il mallevadore di ciò che il Renzi dalla Toscana oggi mette in campo: una fretta maledetta, fatta di annunci mirabolanti e di riforme per gente che non ha più voglia di faticare per guadagnarsi il consenso, il quale deve venire da “riforme imposte” che da un lato danno per scontato un restringimento della partecipazione democratica (vedi il fenomeno delle astensioni e/o del voto grillino) a far da aggio invece alla costruzione e al consolidamento di grandi lobby nella società ormai atomizzata. Risultato: il tentativo (tutto sovietico, vedi il breznevismo della fine degli anni ’80) di autonomizzare il ceto politico del PD dalla sua base elettorale e confinarla nella pratica delle primarie. Classi di età M F Totale < 5 719 650 1.369 5-9 810 722 1.532 10-14 855 816 1.671 15-19 837 770 1.607 20-24 890 796 1686 25-29 884 872 1.756 30-34 933 959 1.892 35-39 1.105 1.132 2.237 40-44 1.327 1.419 2.746 45-49 1.420 1.435 2.855 50-54 1.207 1.237 2.534 55-59 1.131 1.293 2.424 60-64 1.202 1.354 2.556 65-69 1.101 1.123 2.224 70-74 909 1.035 1.944 75-79 709 825 1.534 80-84 406 584 990 85 a 89 153 342 495 Oltre 90 40 152 192 totale 16.638 17.606 34.244 • Venaria Reale e il Piano Regolatore Sociale. Venaria è il comune dove abito e dove attualmente la mia Associazione Esperienza & Mappe Grezze ha avuto l’incarico (dall’assessore alla politiche Sociali e alla Partecipazione) di tradurre il Piano Regolatore Sociale in una “piattaforma sociale”. Il PRS è lo strumento voluto dalla Legge 382 del 2000 per permettere ai consorzi (di più comuni) e al singolo comune di programmare gli interventi sulla assistenza socio-sanitaria per i cittadini. PRS sostanzialmente ignorato dai diretti interessati (sindaco, assessori e consiglieri), frutto della elaborazione di alcuni tecnici (del Consorzio CISSA di Pianezza), fatto molto bene, con una buona elaborazione. Il limite è quello di disegnare una grande “officina di riparazione” che la crisi attuale mette alla berlina in quanto le “auto danneggiate” (= i cittadini con bisogni più vari) ne mettono alla berlina l’inefficienza e l’inefficacia. La situazione: Venaria è un comune con ca. più di 34.000 abitanti 9.000 dei quali hanno più di 60 anni. Il PRS suddivide in 4 aree di intervento: da 0 a 18 anni i minori con la responsabilità genitoriale – dai 18 ai 60 anni gli adulti in difficoltà (economica, di indigenza, ecc.) – gli anziani oltre i 60 anni – i disabili. • I limiti di questa eleborazione: 1. Manca un “criterio regolatore” rappresentato da una persona dall’ovulo fino al suo decesso: nel PRS non c’è la fascia di età fertile (dai 14 ai 46 anni), così come gli adulti sono visti come persone in difficoltà, ma mancano i luogi della difficoltà (le aziende in crisi per es.) 2. La filosofia del PRS: ad una elencazione dei bisogni (per ogni fascia di età), attenta, articolata, dettagliata, corrispondono delle risorse (vedi documento del Bilancio Comunale) Come si quantificano queste risorse? Da quanto speso nell’anno precedente (magari modificato da eventuali nuovi «bisogni», ecc.) Dopo di che l’E.P. aspetta che chi ha bisogno si rivolga alle proprie strutture e in rapporto a certi criteri, eroga l’assistenza 3. Nella nostra ipotesi: i bisogni vanno quantificati (ruolo dell’ente pubblico) I bisogni vanno messi in un ordine gerarchico (priorità definite), con il massimo apporto della partecipazione dei cittadini (a partire dagli «esperti grezzi» o testimoni privilegiati) La quantificazione dei «gruppi a maggior rischio» (per ogni fascia di età) deve dotarsi di un sistema informativo che contenga i nominativi Così facendo si da la possibilità all’Ente Pubblico di programmare l’assistenza nell’arco es. di 3 anni Risultato: emersione degli «invisibili». • Perché mi sono soffermato in questa disamina. Perché assistiamo (per bocca dei tecnici diretti interessati) ad una sostanziale ignoranza dei “politici” degli strumenti legislativi a loro diposizione, per cui questo dato fa il paio con quello che è successo alla fine degli anni ’70 e per tutti gli anni ’80 nelle aziende con la non applicazione di accordi e contratti (specie da parte dei sindacati). Questo fenomeno la dice lunga della capacità della sinistra, sia essa radicale che riformista, in merito alla produzione delle leggi, visto questa come l’alfa e l’omega della loro produzione, quasi che una legge sia la soluzione del problema che la legge incarna. Ma va là! IL PROBLEMA E’ LA SUA GESTIONE, sempre, in qualsiasi contesto. Quando poi nella sua gestione il tutto viene affidato ai tecnici e alla burocrazia, con gli effetti che tutti vedono. • In pratica abbiamo dei sindaci (e degli assessori) che per es. nella attuale situazione di profonda crisi, sono sprovvisti (per colpa loro) di un qualsiasi “sistema informativo” sulla crisi e la recessione (un Osservatorio sulla crisi e la recessione), sulla condizione di salute dei lavoratori presenti nelle aziende del loro terriotrio (un Tabellone Comunale di Rischio). E si che i dati ci sono, presenti in vari Enti (dalla provincia, alle ASL, all’INPS, ecc.) basterebbe metterli insieme . • Solo un terzo del territorio di Venaria è adibito a zona residenziale, commerciale e manifatturiera. I rimanenti 2/3 sono del contenitore “La Mandria” che è un grande parco verde, un vero e proprio “polo ecologico” alle porte di Torino. Venaria, nata in origine come “badante e servitù” del Principe (i Savoia e la loro Reggia), dai ca. 6.500 abitanti della Unità d’Italia si è passati agli attuali 35.000. Per circa un secolo la Reggia fu un rudere abbandonato per i troppi costi di manutenzione. Intanto con il primo dopoguerra si affermava una realtà industriale caratterizzata dalla presenza della SNIA Viscosa. Con il secondo dopoguerra e con le varie immigrazioni dalle campagne piemontesi, dal Veneto e dal Meridione vi fu la comparsa di un manifatturiero molto robusto (ca. 500 aziende per ca. 10/12.000 addetti) con una prevalenza per il settore dell’auto motive che diedero alla sinistra i voti necessari per il governo della città. La situazione cambia con gli anni 2000 con il combinato disposto da un lato (positivo) del rifacimento della Reggia con i suoi Giardini (moderna Versailles) e la crisi (negativo) che colpisce irrimediabilmente il tessuto produttivo. • Nel comune sono presenti più di 100 Associazioni, tra le più varie e quindi di esperienze consolidate. Anche qui per la maggioranza non conosciute dagli amministratori (e anche dalle formazioni politiche) o quando va bene conosciute per via clientelare/elettorale, confinando quindi le stesse associazioni in un giro vizioso: tu garantisci un voto a me, io do delle facilitazioni o delle prebende a te. E da questo giro vizioso è praticamente assente ogni recupero (e riconoscimento) della esperienza che queste associazioni fanno nel loro divenire quotidiano. • Il Consiglio Comunale è il frutto della Legge sui Sindaci (vedi il “caro Renzi”). Alle penultime elezioni la situazione era la seguente: su 28.000 cittadini/e aventi diritto al voto si presentarono ben 28 liste elettorali 1:1000! I cittadini che esercitarono il loro voto furono 22.000 nei confronti di ca. 600 candidati! Un po’ tanti nevvero. E in questo baillamme è chiaro che vengono premiate tutte le forme di familismo, di clientela spicciola che tale Legge elettorale dispone. Ciliegina sulla torta: spetta al Sindaco, alla fine della fiera, la nomina di assessori di suo gradimento senza che questi siano passati per il voto. Risultato finale: il personale politico del Consiglio comunale attuale, frutto di questa particolare selezione dovuta da questa legge elettorale, lascia molto a desiderare sia per preparazione, competenze e un eccetera molto robusto che per carità di patria… Da dove ripartire Da ogni territorio dato e da ogni comunità in essa contenuta. • La condizione è che si parta dal riconoscimento di una comunità scientifica allargata, cioè che le capacità di "problem solving", non risiedono unicamente nella testa degli "esperti tecnici" della comunità scientifica tradizionale (tra i quali anche i politici di professione), ma nell'agire sociale è presente a tutti i livelli un altro “esperto grezzo” (ovvero quelli che sono ad oggi chiamati come “i portatori di interesse” o stakeholder), ricco di capacità e competenze, al quale va dedicata attenzione e riconoscimento. Si tratta in ultima analisi di mettere a confronto con pari dignità "esperienza e scienza". Chi sono questi “esperti grezzi”? sono figure “professionali” che fino a poco tempo fa erano tutti presenti nei grandi partiti di massa (maggiormente nel PCI come una sorta di “imprenditori sociali”, vedi per tutti le migliaia di Delegati sindacali, le centinaia di consiglieri comunali e di varie organizzazioni collaterali) e oggi un po’ alla volta se ne sono andati, però sono rimasti nella società, del tutto sconosciuti ai partiti. • Occorre attivare nei confronti di tutti costoro (esperti tecnici ed esperti grezzi) un paziente (e lungo) ascolto partecipato, attivando tutte le forme di partecipazione: dalla intervista individuale e collettiva, alla riunione di piccolo gruppo, ecc. • Affermando nei fatti in questa nuova pratica, un “cambio di paradigma”: non si va più alla ricerca di “teste vuote” bisognose di essere riempite con il nostro sapere, ma si parte dalle competenze, dal saper fare, in ultima analisi dalla valorizzazione della esperienza del nostro/i interlocutore/i. Ci sono esperienze di ri-partenza Sì, vedi Arnie Graf (mentore di Barak Obama) il quale arrivato in Gran Bretagna nel 2011 comincia a girare per il paese. Incontra gli attivisti del partito, i dirigenti locali, «ma non solo». Organizza incontri col mondo del volontariato, delle associazioni, delle cooperative. «In due mesi ho incontrato più di mille persone, individualmente o in gruppi. Molti non avevano votato, molti avevano votato per altri partiti». All’inizio si limita a conversare. «Le domande erano semplici: quali erano le loro condizioni di vita, le loro aspirazioni, le loro preoccupazioni. E in che modo la politica aveva a che fare con la loro vita. Senza tirare in ballo la linea del partito: si trattava solo di ascoltare. Ho fatto il lavoro dell’organizer, e non è stato semplice far capire che di quello si trattava, non di una qualche consulenza strapagata: il mio compito non era chiacchierare per un paio d’ore per poi compilare un rapporto». E, prosegue l’intervistatore: “In che modo il community organizing è entrato nella vita del Labour? Risponde Arnie Graf: “Abbiamo cominciato con la “mappatura” delle comunità, per capire chi sono i leader naturali di ciascun gruppo, le persone che una comunità locale rispetta, o a cui si rivolge. Con chi deve parlare un consigliere comunale laburista per organizzare una campagna o una mobilitazione locale? In troppi casi noi, il Labour, la nostra leadership locale non aveva nessuna conoscenza della sua comunità, del suo territorio. Abbiamo iniziato allora a organizzare incontri per “fare” cose, per discutere delle priorità. Douglas Alexander, che è stato incaricato di coordinare le strategie per la campagna elettorale, ha preparato un programma in pochi punti su come si dovrebbe svolgere il lavoro degli attivisti del partito: uno dei punti è che almeno il 20 per cento dell’orario di lavoro va impiegato in quest’attività di community organizing, o capacity building (sviluppo delle competenze, ndr)”. E le strutture del partito come hanno reagito? A cambiare l’attitudine di una struttura così antica penso che ci vorrà parecchio tempo. Ho incontrato qualche resistenza con alcuni dirigenti. Ma ho trascorso gran parte del tempo lontano da Londra, almeno tre settimane su quattro. Abbiamo cominciato sempre con piccoli gruppi, poi con incontri più grandi che hanno portato a diverse campagne di portata locale. Alcune di queste hanno poi assunto una portata nazionale. Ad esempio quella per congelare il prezzo delle bollette. È uno dei punti principali del nuovo programma laburista… È nato così, dal basso? Sì, era un tema ricorrente in tutti gli incontri che facevamo. Incontravi un preside di scuola e subito ti diceva che l’impennata dei prezzi del gas e dell’elettricità stava diventando un problema. Ne sentivamo parlare di continuo e il partito se n’è accorto. A quel punto il Labour ha provato a verificare la questione con dei focus group specifici, e ogni volta fermare l’impennata dei prezzi delle bollette risultava la seconda o la terza priorità dei partecipanti. Abbiamo lanciato alcune campagne locali, coinvolgendo i sindacati, le Chiese, le ong, sempre con un ottimo successo. Poi, nel settembre scorso, al congresso del partito, Ed ha riunito questo e altri temi sotto un’unica voce: quella del costo della vita sempre più alto per lo squeezed middle, il ceto medio tartassato. Le diverse campagne locali si sono fuse in un unico capitolo del programma elettorale del partito. Molti hanno iniziato a sentirsi “sostenitori laburisti” proprio a partire da proposte molto concrete: ehi – ci dicono – questa gente fa proposte che mi riguardano. Lei era una persona spedita da Ed Miliband per mettere sotto sopra il Labour. I dirigenti locali non si sono sentiti scavalcati? Ho incontrato molti scettici. Ma non ci vuole molto a capire che se la vita di un partito a livello locale si riduce a una riunione al mese – e in quella riunione il più giovane ha la mia età, settant’anni – allora il partito non ha davanti a sé un futuro molto luminoso. Il mio compito era “aprire” il partito fin dalle sue strutture locali. Il numero degli iscritti negli ultimi anni è precipitato. La gente non rinnova la tessera, non crede più nella funzione dei partiti. Anche tra gli ex militanti si sente dire: tanto sono tutti uguali, rubano, mentono, come si fa a fidarsi? Il messaggio che ho cercato di trasmettere negli incontri con la base è stato: smettiamola di parlarci solo tra di noi. E quando parliamo con gli elettori, il punto non è “vendergli” il partito. Conquistare un voto. Bisogna ascoltare quello che hanno da dire. Se busso a una porta e dico: “Ho la soluzione per i tuoi problemi”, ormai non mi crede più nessuno». Durante l’ultima campagna elettorale per le amministrative si è visto Ed Miliband che teneva dei mini-comizi agli angoli delle strade, in piedi su una cassetta di legno, rispondendo alle domande dei passanti. È parte di questa strategia? Certo che sì. Stare dove sta la gente, non solo nelle riunioni di partito. Non ha senso pensare che solo i grandi discorsi programmatici cattureranno l’attenzione degli elettori. In tempi in cui si sente tanto parlare di populismo, vedere un leader di partito scendere in strada con un megafono fa una certa impressione… Penso che la chiave sia accettare di parlare con le persone, una per una. Lo Ukip – il partito anti-europeista britannico – per molti aspetti è razzista. Ma quando si parla coi suoi elettori, nella stragrande maggioranza dei casi non si trova neppure l’ombra del razzismo. È gente che ha perso il controllo delle propria vita, che è arrabbiata – e sappiamo che storicamente, quando succede questa cosa, la vittima designata è sempre il più debole. Quando qualcuno mi dice: “Gli immigrati ci rubano i posti di lavoro”, in genere basta conversare un po’ per accorgersi che il problema è un altro. La caduta degli investimenti, la chiusura delle fabbriche. Ma a sinistra siamo abituati a parlare alla gente, non a parlare con la gente. Siamo pieni di pregiudizi sugli operai che votano a destra: pensiamo che in fondo non abbiano capito nulla, altrimenti voterebbero per noi. Pretendiamo di insegnargli cosa è più giusto per loro. Abbiamo smesso di parlare con le persone, è tutto qui.” • Mi pare che questa lunga testimonianza sia quanto mai istruttiva, per chi voglia ri-costruire una qualche forma di partito a livello territoriale. Modestamente il lavoro che la mia Associazione va facendo giorno dopo giorno in quel di Venaria Reale a ridosso del PRS è esattamente di questa natura. Sì, vedi le aziende esemplari. Intanto però la realtà va squadernata e trovo quanto mai curioso che nei documenti preparatori del recente Congresso della CGIL, non si faccia nessun riferimento all’andamento della struttura manifatturiera e dei servizi. Così come ai dati occupazionali. Così come alla presenza o meno in questa fase di crisi, di “aziende esemplari”. Numero unità attive Numero addetti Numero lavoratori esterni Numero lavoratori temporanei Territorio 2001 2011 2001 2011 2001 2011 2001 2011 Italia 4 083 966 4 425 950 + 341.984 + 8,37% 15 712 908 16 424 086 + 711.178 + 4,52% 627 607 421 929 - 205.678 - 32,77% 100 255 123 237 + 22.982 + 22,62% Piemonte 329 958 336 338 + 6.338 + 1,92% 1 409 120 1 331 000 - 78.120 - 3,93% 45 708 28 167 - 17.541 - 38,37% 12 937 14 207 + 1.270 + 9,81% Torino 168 948 174 209 + 5.261 + 3,11% 797 269 746 974 - 50.295 - 6,30% 26 030 17 558 - 8,472 - 32,54% 8 959 9 002 + 43 + 0,47% Dati ISTAT 2011 Stessa cosa per le quasi 3.000 aziende del Comune di Venaria e per gli andamenti sulle assunzioni: con ben 28 tipi di assunzioni nel 2010 sono passati nelle varie aziende di Venaria (di cui 385 nell’industria manifatturiera e 495 edili) 14.000 lavoratori (compresi i 10.000 a tempo indeterminato). Stessa cosa per i comuni (in provincia di Torino) In provincia di Torino vi sono 315 comuni per un totale di 2.302.353 abitanti con 1.050.370 famiglie. Con tutta probabilità ci saranno dei comuni amministrati da cialtroni così come da persone probe, democratiche, ecc. cosa conosce delle “esperienze esemplari” le varie formazioni della sinistra e i sindacati? Antonio Calabrò nel libro Orgoglio Industriale, Ed. Mondadori, ci dice che nel 2008 nelle oltre 4.000.0000 di aziende nel territorio italiano, ce ne sono 4.600 (lui le chiama “multinazionali tascabili” che vanno dai 50 ai 500 addetti, 600 di queste hanno più di 500 addetti) che forse ci tireranno fuori dalla crisi. Il Prof. Romano Prodi in un recente convegno del PD, in una bella e lucida relazione afferma che a oggi sono ca. 1.000. Domanda: chi le conosce, cosa producono e per chi, e cosa fa lì il sindacato (posto che ci sia)? Domanda successiva: è una bestemmia pensare di poter costruire a sinistra (dai sindacati) un archivio di queste aziende per portarle all’onore del mondo, per tentare di farle mettere in contraddizione con il resto delle imprese, prima che la crisi sia occasione di adeguamento alla normalità rappresentata dalla crisi e dalla recessione? per tentare una sorta di “alleanza dialettica” con il movimento dei lavoratori. Non fosse altro perché in questo campo vi sono senz’altro le possibilità di un “conflitto” più avanzato e non solo sulla difensiva. Inoltre l’Assolombarda ha censito in Lombardia 60 aziende esemplari che fanno parte di un altro archivio: “L’INDUSTRIA ITALIANA CAMBIA VOLTO” di ca. 530 imprese (vedi la ricerca Conoscenza e crescita: le nuove strategie delle imprese del sistema Confindustria – Centro Studi – Progetto Focus Group). Di queste imprese si sa il nome, l’ubicazione, il prodotto, il mercato e un eccetera sconfinato. Cosa tentare di fare in queste aziende • A partire dal meglio prodotto dalla esperienza degli anni ’70, puntare al cambio di paradigma. A patto però di essere consapevoli di tre questioni: la 1° ha bisogno di una salutare autocritica di tutti coloro i quali furono i protagonisti di quella stagione, nel senso di vedere i limiti di quella esperienza che grosso modo si può così definire: diventammo tutti quanti dei “bravi poliziotti” e chi come il sottoscritto si misurò con i problemi della prestazione di lavoro finì nel fare il “guardiano del 133 di rendimento” (è la misura massima stabilita per lo sfruttamento di una persona). La 2° quella di riconoscere che avevamo (chi più, chi meno) delegato al solo inquadramento unico la “carriera dell’operaio”, oscurando invece quanto dall’esperienza operaia e quindi quanto dalla sua “competenza professionale allargata” poteva venire, offrendo invece delle ipotesi di maggiore professionalità a nuovi modi di lavoro (le isole e quant’altro), ovvero quello di riconoscere che all’operaio intraprendente restavano aperte due strade: la 1° diventare talmente bravo da passare dall’altra parte (senza nessun giudizio moralistico, passare dalla parte di coloro i quali in una fabbrica hanno il compito di costruire delle Istruzioni per gli Esecutori) ovvero 2° strada, diventare talmente bravo e passare a fare il Sindacalista! La 3° è quella di essere approdati a livello della migliore liberal democrazia, ergo: i lavoratori devono avere il diritto di esprimere i loro giudizi, specie con il voto sugli accordi e sui contratti (la libertà di opinione). A me pare che a questa concezione (del tutto giusta) occorra affiancare una strategia che si fondi sulla “democrazia cognitiva” (al cambio svizzero: mettere nella bagna i lavoratori). • Ricostruire una unità contrattuale a partire dalla ricostruzione dalle filiere di prodotto, sia nei Contratti Nazionali (pochi), sia nei territori a livello aziendale o per siti di prodotto. QUALE CAMBIO DI PARADIGMA: Occorre partire dal progettare una carriera dell’operaio che deve significare quindi dare un nuovo significato alla PRODUTTIVITA’: fare il massimo con il minimo sforzo; quindi ciò significa riconoscere che gli operai sono persone pensanti, che se “allenati, motivati, retribuiti, ecc.” (alla maniera per es. di un calciatore) possono dare molta, molta più produttività; Non sarà una cosa facile. Basta mandare a mente il decennio degli anni ’60, che ci volle per la conquista dei lavoratori rispetto alla parola d’ordine della “salute non si vende” a cui, gli stessi lavoratori, opponevano “ma neanche si regala”. E occorre avere a mente il criterio della possibilità/gradualità: ergo trovare nelle nostre controparti degli interlocutori che siano quanto meno curiosi e con loro avviare delle sperimentazioni in piccoli gruppi di lavoratori che andranno scelti, incentivati e messi a confronto con altrettanti “gruppi di controllo”, non fosse altro per comparare i risultati di produttvità. Sia questo nelle aziende manifatturiere (dove i processi di bonifica ambientali siano ormai realizzate), sia nelle aziende della Pubblica Amministrazione dove oggettivamente i problemi del profitto non essendoci, essendoci invece quelli della ricerca di maggiore efficienza ed efficacia del lavoro prestato, il tutto si configuri come un processo virtuoso, di utilizzo intelligente dei lavoratori. Nel progettare la “carriera dell’operaio” vanno previste quindi tutte quelle riappropriazioni tecnico-scientifiche (oggi in mano agli “istruttori”) che rendano sempre più ricco, interessante il lavoro dell’operaio; Quali le condizioni per le quali ciò si avveri Obiettivi Condizioni Trovare lavoro – puntare alla sua riduzione redistribuzione Ridurre drasticamente la precarietà, e la flessibilità in azienda. Incentivare il lavoro di gruppo: è nel lavoro collettivo che si impara di più dai lavoratori esperti. Lavoro non nocivo anzi coerente con la salute in senso complessivo • Abbattere tutte le forme di nocività conosciute: sono loro, gli ambienti, inidonei, e non gli operai che quando lo diventano sono un peso sul rimanente degli altri operai e un costo sociale • Se si vuole che un operaio dia il meglio di sé occorre quindi liberarlo dalle forme di gravosità, di costrizione (alla Marchionne per intenderci) che non tolte portano gli operai ad un uso del tempo altro, lontano dalla produttività Lavoro riconosciuto come produttore di esperienza grezza Se viene riconosciuto significa un arricchimento complessivo dell’azienda Lavoro riconosciuto dalla società come lavoro sociale Se viene riconosciuto deve significare un salto nella scala sociale (quindi va certificato) e un adeguato riconoscimento retributivo Si potrebbe pensare nella situazione attuale di speriemntare in alcune aziende, accanto alla “rappresentanza sindacale” (per lista) anche forme di rappresentaza diretta (vedi le forme di Delegati eletti su scheda bianca da tutti i lavoratori con compiti specifici riferiti alla prestazione di lavoro). Con chi ripartire • Con i portatori sani del baco. In pratica con tutti coloro i quali (pur diversamente collocati nelle varie formazioni politiche) sono “portatori sani del baco”: ergo con tutti coloro i quali sono gente curiosa e capace di mettersi in discussione • No con i “Berlinguer e le Rossana Rossanda” (= gli intellettuali umanisti, coloro i quali le invenzioni le catalogano nello “sviluppo delle forze produttive” e non parlano mai dei diretti interessati). Voglio dire che pur riconoscendo a questi intellettuali impegno, dedizione e una cultura sterminata, che ha fatto sì che per un intero periodo storico il nostro “proletariato” si sia nutrito (ed emancipato) a contatto con questi intellettuali, occorre riconoscere il limite profondo di questi: quando va bene delle lucidissime capacità analitiche sul perché abbiamo perso, e totalmente vacui nella capacità di una qualsiasi opera di previsione. Per non dire una sorda incapacità nel riconoscere tutte quelle invenzioni dell’agire umano, che se invece conosciute possono dare nel tempo linfa alla speculazione teorica. • Alla fine della fiera è molto più interessante sapere la data e il perchè della scoperta dell’ago, o del perché ad un certo punto della storia europea vi fu il declino dei cantieri di Venezia a fronte della fortuna dei cantieri delle Fiandre (vedi le fortune di alcuni artigiani che inventarono il timone), che accanto ad un diverso uso delle vele, permise alle moderne navi trans-oceaniche di andare controvento, permettendo così a Cristoforo Colombo di “scoprire le sue Indie Occidentali”. Chi fa, che cosa Problema è chi fa, che cosa. Ad oggi non vedo nessuno nel panorama attuale che sia incuriosito per queste questioni. Le quali non sono ovviamente l’unica risposta alla crisi delle formazioni della sinistra (se no si cadrebbe di nuovo in una unica via), ma quanto meno è una delle vie da percorrere. Il mio voto alle Regionali Va fuori ogni mia comprensione l’atteggiamento e l’agire dell’attuale “mio partito”. L’ho catalogo nell’opportunismo non solo dei gruppi dirigenti, ma anche di una buona parte di militanti, prede come sono del “baco”. Da un lato sostegno (anche se tardivo) alla lista del “greco” e dall’altra a livello Regionale del Piemonte in lista con il PD di Chiamparino. Sia chiaro conosco il “Chiampa”, (siamo stati a suo tempo nello stesso partito, il PCI), è una persona intelligente e simpatica. La pensa diversamente da me. E non capisco per quale arcano motivo mi toccherà fare il “voto disgiunto”. E a sentire parecchi compagni di SEL sarà questo il voto di maggioranza di questi militanti. A proposito di: un baco si aggira nelle teste di parecchi comunisti, ex comunisti e varia sinistra, è il baco della “rappresentanza elettorale” a qualsiasi costo, in qualsiasi maniera.

Nessun commento: