mercoledì 21 maggio 2014

Franco Astengo: Lavoro

LA SOPRAFFAZIONE DEL LAVORO DIPENDENTE ALL’ORIGINE DEL PROFONDO MALESSERE DELLA SOCIETA’ ITALIANA di Franco Astengo dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it I dati sull’occupazione diffusi ieri da Eurostat dimostrano come stia proseguendo la tendenza al decremento ormai in atto da cinque anni consecutivi: il dato complessivo dei 28 paesi dell’UE è negativo, 68,3% di occupati pari a -0.1%, che in Italia raggiunge però il -1,2%, il peggior risultato dopo quelli di Grecia, Croazia e Spagna. All’interno di questo dato risalta però quello della composizione di questo ridotto “mondo del lavoro”. C’è da considerare prima di tutto che questi numeri sono una spia dello stato di salute macroeconomico, ma non dicono nulla circa la qualità del lavoro perché lavoro a tempo indeterminato e lavoro intermittente e precario sono calcolati nello stesso modo, senza distinzioni di sorta. Il rapporto Eurostat offre però un dato disaggregato che consente davvero di mettere il dito sulla piaga del “caso italiano”: ed è quello relativo al tasso di occupazione delle persone tra i 55 e i 64 anni. In quel particolare segmento l’Italia cresce. Un aumento consistente del 2,3% ben oltre la media UE che si ferma all’1,3%. Si tratta, com’è evidente, del frutto avvelenato del mancato ricambio generazionale (ricordiamo la percentuale della disoccupazione tra i 15 e i 24 anni ormai ben oltre il 43%) risultato pessimo delle varie “controriforme” delle pensioni succedutesi nel corso degli anni, da quella Dini allo “scalone” Maroni fino al colpo di grazia fornito dalla legge Fornero. Il lavoro dipendente è stato sopraffatto da provvedimenti sbagliati e ingiusti: tutte le ricette imposte da Francoforte per abbassare le tutele per i lavoratori hanno fornito esiti a dir poco disastrosi. Per di più in Italia si è cercato di affermare una vera e proprio filosofia “contro” il lavoro dipendente, partendo dalla distruzione delle grandi concentrazioni operaie: un progetto politico che stava già dentro al documento di “Rinascita Nazionale” della P2 1975 che, attraverso un vero e proprio scompaginamento sociale puntava a togliere di mezzo i corpi intermedi rappresentativi del mondo del lavoro e a ridurre i lavoratori all’individualismo. Naturalmente questi corpi intermedi, specificatamente i sindacati confederali hanno contribuito in misura decisiva al compimento di questo distruttivo progetto allineandovisi e sposando, nella sostanza, i due punti decisivi dell’ideologia che esso conteneva: l’acquisizione “in toto” delle politiche liberiste e la considerazione – conseguente – della nocività del lavoro fisso, da sostituire con precarietà, mobilità, incertezza. Facendo pesare, in più, il debito pubblico (causato dal combinato disposto di corruzione e evasione fiscale) quasi integralmente sulle spalle del lavoro dipendente. Intanto crescevano il lavoro nero, il supersfruttamento (non rivolto soltanto agli emigrati), l’insicurezza, gli infortuni, le “morti bianche”, il disprezzo per le minime regole di tutela ambientale. Una folle “deregulation”. Siamo così giunti a questi esiti paradossali: mentre il “ceto politico” complessivamente inteso badava alla propria ricca sopravvivenza, il lavoro “vivo” veniva mortificato e le giovani generazioni messe in un angolo di parcheggio da provvedimenti ingiusti soprattutto verso le generazioni più anziane, colpite a fondo nei diritti strappati attraverso decenni di lotte. La logica dell’impresa si è così rovesciata all’interno di un meccanismo capitalistico feroce e arrogante verso il quale non è stata svolta alcuna funzione di contrasto, con una totale perdita di autonomia da parte delle espressioni politiche rappresentative che avrebbero dovuto basarsi sull’inestinguibile contraddizione di classe. E’ avvenuto questo, in Italia, provocando anche una crescente separatezza tra la politica, l’amministrazione e la società, aumentando enormemente il peso delle diseguaglianze, cancellando ogni qualsivoglia ipotesi di trasformazione sociale. E’ così cresciuto un malessere trasversale che, adesso, si cerca di tamponare con un qualunquismo esasperante nel tentativo di coprire il malgoverno di questi ultimi decenni: malgoverno che ha coinvolto tutti, tecnici compresi, dai demoproletari ai repubblichini. Il rapporto Eurostat fotografa, per l’ennesima volta, una situazione di dramma e di disgregazione sociale: appare riduttivo e pesante chiedere ancora di riflettere e di agire. Ma dove stanno le forze che dovrebbero imporre almeno una correzione di rotta? Sinceramente non se ne vedono all’orizzonte, neppure di quello remoto.

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