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martedì 27 maggio 2014
Gim Cassano: Siamo tornati alla DC degli anni ‘50, ma senza un’opposizione di sinistra
Siamo tornati alla DC degli anni ‘50, ma senza un’opposizione di sinistra.
E’ inutile negarlo: Renzi ha vinto. Non è solo il dato percentuale a dimostrarlo, ma soprattutto il confronto tra i voti presi dal PD nel 2013 (8,6 milioni con il 75% di votanti) e quelli presi ieri (11,2 milioni con il 57% di votanti).
La destra si è frantumata in pezzi non riconducibili ad una comune visione: ad un NCD europeista e governativo, si affiancano un partito che al riguardo è molto tiepido (Forza Italia) e formazioni decisamente antieuropeiste (Fratelli d’Italia e, soprattutto, la Lega, che dell’avversità all’Europa ed all’euro ha fatto il suo cavallo di battaglia, costruendovi il suo buon risultato). Nell’insieme, i partiti più nettamente antieuropeisti guadagnano voti (300.000 la Lega, e 340.000 Fratelli d’Italia, che rivendica il ruolo di fedele erede della destra post-MSI), mentre Forza Italia subisce un tracollo (da 7,3 a 4,6 milioni di voti, neanche lontanamente compensati dai 1,2 milioni di voti andati al NCD).
In conclusione, pur aggregando i voti andati al NCD ai restanti voti di destra, le forze di destra nel loro insieme perdono circa 900.000 voti, che diventano 2,1 milioni ove invece si consideri il NCD insieme alle forze centriste.
Difficile quindi immaginare una destra in termini di area politica omogenea, nonostante i tentativi di affermare il contrario nei primi commenti del dopo-voto effettuati da alcuni esponenti di Forza Italia. Più facile quindi immaginare un Berlusconi che pensi di correre verso il carro del vincitore, fornendogli quel sostegno parlamentare al Senato del quale, per il momento, Renzi difetta.
I centristi non-PD non esistono più come soggetto politico, ed il tentativo di dar vita in Italia ad un soggetto di ispirazione liberale, anche se camminando sulle gambe di Tabacci e dei residui montiani, si è rivelato un clamoroso fallimento. I 3,7 milioni di voti ottenuti nel 2013, congiuntamente dalle liste in appoggio a Monti e dal Centro Democratico di Tabacci si riducono ai meno di 200.000 voti della lista ALDE (o a meno di 1,3 milioni di voti, ove vi si consideri anche il NCD di Alfano).
E, ove si consideri la somma dei voti di tutte le formazioni a destra del PD, si passa da un totale di 13,1 milioni di voti (PDL, Lega, Fratelli d’Italia, Monti, Tabacci) a 8,7 milioni di voti (Forza Italia, Lega, Fratelli d’Italia, NCD, Scelta Europea).
A sinistra, pur se la “lista Tsipras” si salva per il rotto della cuffia con un insperato ma pur sempre modesto 4,03%, non c’è affatto da cantar vittoria. Il suo risultato si colloca ben al di sotto dei circa 1,85 milioni di voti raccolti complessivamente da SEL e dalla lista Ingroia nelle politiche del 2013 (e vede ovviamente il dato percentuale crescere dal 3,2 al 4%); c’è però da chiedersi quanta parte di questo risultato sia dovuta all’effetto-traino di un Alexis Tsipras che agli occhi di molti ha saputo rappresentare una sorta di Davide contro Golia-Merkel, il campione della piccola Grecia contro la prepotenza germanica.
In quanto ai 5 Stelle, il cattivo risultato (2,9 milioni di voti in meno) è da addebitare essenzialmente ad una campagna elettorale nella quale si sono sentiti solo insulti, volgarità, e tronfi preannnunci di vittoria. Ma nulla di proposta politica. C’è solo da augurarsi che, come è avvenuto un anno fa, a sinistra non si ricada nella tentazione di vedere nelle 5 Stelle un possibile interlocutore.
In buona sostanza:
· I 4,4 milioni di elettori venuti meno alla destra ed al centro sono andati in parte ad aumentare gli astenuti, ed in parte, con una scelta razionale e coerente, ad un PD che è divenuto il vero luogo del centrismo italiano.
· I 2,9 milioni di elettori venuti meno a Grillo si sono divisi tra l’astensione ed il PD.
· I 750.000 elettori venuti meno alla sinistra si sono divisi tra PD, astensione; e, forse, ed in piccola parte, a Grillo.
· Il PD, dunque, guadagna essenzialmente a spese del centro-destra e, in misura inferiore, a spese dei grillini e della sinistra. E’ anche ipotizzabile un ritorno verso il PD di una piccola parte degli astenuti del 2013. Se qualcosa si è mosso controtendenza dal PD alla lista Tsipras, si tratta di frange.
In conclusione, Renzi ha stravinto queste elezioni. La sua vittoria è stata agevolata da diverse circostanze; ma, su tutto, predomina una ragione di fondo: quella di aver ricollocato in modo esplicito il suo partito in quell’area centrista nella quale era già da anni, ma senza che ciò venisse ammesso. Il PD, nato come partito di centrosinistra, ha compiuto e formalizzato la sua evoluzione in senso centrista, facendo propria una strada di politica economica (vedi lo “Jobs Act”) che presume di poter rimettere in marcia l’economia agendo sul fronte degli incentivi e della flessibilità del lavoro ed evitando di affrontare la questione della creazione di domanda. Facendo propri, inoltre, non pochi dei tradizionali punti di vista della destra in merito alla cosiddetta semplificazione della politica, mettendoci in più di suo l’abilità di riuscire a far percepire come avversi alla “casta” provvedimenti che invece la rafforzano riducendo gli spazi di democrazia a disposizione dei cittadini.
Le invettive scomposte di Grillo e la mancanza di una credibile alternativa di sinistra hanno fatto il resto, mettendo Renzi nella condizione di apparire come l’unica alternativa ad un avventurismo apolitico ed antieuropeo; molti italiani hanno quindi visto, in Renzi più che nel PD, la nuova “diga”. Emblematica, al riguardo, la posizione di Eugenio Scalfari, che ha sostituito Indro Montanelli nell’invitare gli italiani a turarsi il naso e votare PD.
Abbiamo, in sostanza, nel PD di Matteo Renzi una nuova DC a rinsaldare al centro gli equilibri politici del Paese; ma, a differenza che negli anni ’50, la nuova oligarchia che si sta profilando non ha, alla propria sinistra, un’opposizione ed un progetto politico alternativo, ma solo un vociare scomposto. E, al proprio interno, non incontra neanche il confronto con voci critiche.
Come ho già avuto modo di scrivere qualche giorno fa (Dove va l’Italia?), siamo davanti al compimento di un ciclo avviato da circa venti anni, e che vede il sostanziale arretramento della nostra democrazia. Di fronte a questo, e di fronte allo stucchevole conformismo generale, non c’è altra cosa da fare che avviare, con tutti coloro che vi siano disponibili, la ricostruzione di un’opposizione di sinistra, in nome della democrazia, di una seria capacità riformatrice, della capacità di guardare avanti e non indietro.
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