sabato 12 aprile 2014

Franco Astengo: L'esito delle elezioni europee condiziona le riforme

L’ESITO DELLE EUROPEE CONDIZIONA LE RIFORME: SCENARI E PROSPETTIVE ELETTORALI di Franco Astengo Svegliatisi nella comica, come si diceva un tempo, i reggitori della cosa italica, propugnatori di una “riforma al mese”, si sono accorti che il sistema non è bipolare data l’esistenza di un “terzo polo” (che pure si era ben manifestato nelle elezioni politiche del 2013). “Terzo polo” che – addirittura – appare in procinto di diventare il secondo. Scricchiola così l’impalcatura del progetto di riforma elettorale Renzi/Berlusconi pensato in modo da ridurre il quadro politico al bipartitismo (un vecchio sogno già tramontato ai tempi del Lingotto veltroniano): lo scenario, invece, è ben diverso e di conseguenza tutto il meccanismo, compresa la trasformazione/abolizione del Senato e la stessa riforma del titolo V subiscono una seria battuta d’arresto. Sarà l’esito delle europee del 25 Maggio a fornire indicazioni in questo senso, mentre a Renzi pare proprio che l’unica cartuccia rimasta da sparare sia quella della promessa degli 80 euro in busta – paga per una platea di 10 milioni di lavoratori dipendenti: a parte la complessità del mondo del lavoro e la pesantezza della crisi su milioni e milioni di cittadine e cittadini disoccupati, cassintegrati, esodati, pensionati al minimo deprivati socialmente, sul piano puramente elettorale va considerato che se ci sono 50 milioni d’iscritti nelle liste, ben 40 milioni non riceveranno il beneficio: il saldo finale potrebbe non essere favorevole, alla fine, per l’allegra compagnia di ragazze e ragazzi raccoltisi all’insegna della nuova lobby di spartizione del potere. Comunque vale la pena cercare di individuare alcune prevedibili tendenze rispetto al voto del 25 Maggio prossimo: 1) Il primo dato è quello della quasi-certezza di un aumento dell’astensione. Un fattore dimostratosi storicamente fisiologico in occasione delle tornate per il rinnovo del Parlamento Europeo che, in quest’occasione, potrebbe presentarsi però in una luce particolare rispetto al passato. Le elezioni politiche del 2013 avevano fatto registrare già un minimo storico di partecipazione al voto per quel che riguarda proprio le elezioni legislative generali (di solito, nel quadro italiano, le più partecipate). Un ulteriore calo porterebbe il dato al più basso livello fin qui registrato (salvo alcune occasioni di ballottaggio, in particolare per le provinciali) segnalando l’esistenza di una vera e propria “malattia” del sistema, sicuramente non curabile attraverso le dosi di “svolta autoritaria” presenti nel pacchetto di riforme attualmente fermo ai box. Comunque tutti gli indicatori forniscono la somma di un 47-48% tra astenuti certi e indecisi (compreso in questo anche coloro che hanno deciso di recarsi alle urne lasciando scheda bianca o annullando il voto). E’ possibile che, alla fine, questa quota si assesti attorno al 40% o un poco più sotto. I voti validi, in questo caso, sarebbero circa 30.000.000, con un calo di oltre 4.000.000 rispetto al 2013. Un dato del genere renderebbe del tutto fasullo un eventuale aumento delle percentuali per le forze politiche: per passare il 30%, infatti, al PD servirebbero paradossalmente 600.000 voti in meno rispetto al 2013 quando la percentuale fu del 25%: 30% che, mantenendo inalterati i propri voti rispetto alla tornata precedente, sarebbero superati anche del M5S. Tutto questo per dire che, una volta in possesso dei dati definitivi, se davvero il calo dei voti validi risulterà essersi materializzato in una dimensione apprezzabile tutti i conti andranno fatti sulla realtà delle cifre assolute e non di percentuali che risulterebbero del tutto mistificatorie rispetto a una corretta analisi del voto; 2) Dal punto di vista dell’esito delle principali forze politiche avremo un curioso intreccio di spinte a livello di “input” immessi nell’elettorato al fine di favorirne le scelte. Se da un lato appaiono molto popolari le riforme più populistiche proposte da Renzi (in questo caso il gradimento delle riforme sale al 70%) egualmente l’elettorato appare spaccato a metà sul tema di fondo di quest’occasione elettorale, cioè il ruolo dell’Europa e quello della moneta unica. Una situazione molto difficile da interpretare perché entrambi i fattori sono agiti dai principali contendenti, PD e M5S, in forma meramente propagandistica, Si tratterà di vedere, nel prosieguo della campagna elettorale, quale risulterà alla fine l’argomento prevalente: certo che “Europa” (così intesa rozzamente da una parte consistente dell’elettorato) e ruolo negativo dell’Euro viaggiano in simbiosi interpretati come i fattori decisivi della disoccupazione, dell’impoverimento generale, della crescita dello sfruttamento, della fine del welfare state. La valutazione più corretta appare, in questo momento essere quella, del prevalere del tema europeo, ormai profondamente radicato in negativo in una quota molto significativa dell’elettorato e – considerazione politica conclusiva – è più che possibile che il 50% di euroscettici prevalgano sul 72% di approvatori delle riforme (anche perché, com’è ovvio, entrambe le posizioni convivono nella mente di moltissime persone). Considerazione finale di questo capitolo: il solo rappresentante del “no euro” accreditatosi anche come non appartenente all’area dell’estrema destra che monopolizza questa posizione nel resto d’Europa, è il M5S. Meno credibile, sotto quest’aspetto, la Lega Nord che avrà comunque un ritorno dai tradizionali temi “indipendentisti” e, parzialmente, dall’evidente crisi di Forza Italia; 3) Sarà attorno al risultato di Forza Italia che, però, si determinerà l’esatta valutazione dell’esito elettorale complessivo. Quanto perderà Forza Italia, com’è prevedibile, considerata la scissione attuata dal NCD, la fragilità della proposta politica, i guai giudiziari di Berlusconi e Dell’Utri? Si tenga presente che tra il 2008 e il 2013 quello che fu il PDL perse circa 6.000.000 di voti e quel risultato fu considerato, alla fine, una “rimonta” da dati di partenza ritenuti ben più catastrofici. Potrebbe anche risultare alla fine che, scontata una scissione sicuramente minoritaria, il calo non risulti così vistoso, anche se lo sbandamento del Partito appare davvero molto forte. In ogni caso risulterà limitato il flusso verso il NCD che ha già fatto – più o meno – il pieno di voti “moderati” in uscita dall’ex-PDL e sta cercando di garantirsi il passaggio della soglia del 4% incamerando quell’1% che può essere calcolato come dotazione dell’UDC appena confluita. Più consistente forse l’appannaggio della Lega Nord ma il rivolo di voti in uscita da Forza Italia prenderà probabilmente la strada, da un lato, del M5S essendo la “questione europea” per i ceti medi impoveriti (non proletarizzati, beninteso) più importante di quella delle riforme e – soprattutto – quella dell’astensione come accade sempre quando cedono forze politiche provviste in partenza di grandi numeri; 4) Le difficoltà di Scelta Civica e della Lista Tsipras. Le difficoltà di Scelta Civica derivano, naturalmente, dal brutto esito elettorale dell’alleanza di centro nel 2013, con la contemporanea diaspora di Casini e sparizione di Fini oltre ad altre divisioni interne. Si tratta però di una debolezza strutturale di tipo davvero sistemico: dal “Mattarellum” in avanti il quadro politico italiano ha riservato pochissimo spazio alle posizioni centriste perché la fisonomia di quelli che sono stati i due poli principali di centrodestra e di centrosinistra (naturalmente in precedenza all’avvento del M5S) è sempre stato tale da occupare, sul piano politico, lo spazio che avrebbe dovuto essere occupato dal tipo di posizioni espresse via, via, da Segni, successivamente Casini e Mastella (comunque entrambi abili trasformisti) fino a Mario Monti. L’avventura dei “centristi” all’interno del sistema politico italiano si è sempre così rivelata, almeno dalla fine del proporzionale in avanti, quasi una “mission impossible”. La situazione della lista Tsipras, che i sondaggi danoi fluttuante fra il 3 e il 4% e comunque lontana dalla somma del 5,4% che si otterrebbe mettendo assieme i voti ottenuti nel 2013 da SeL e Rivoluzione Civile (operazione questa che, come dimostrò bene l’Arcobaleno, appare si misura sempre in perdita), deriva soprattutto dalla debolezza del messaggio politico (Inutilmente a cavallo tra l’europeismo “critico” e l’antieuropeismo), dall’assoluta marginalità dei soggetti politici che ne fanno parte e specificatamente di Rifondazione Comunista, dalla posizione “periferica” in termini di rapporto con il sistema politico dei cosiddetti “movimenti” che non riescono ad assumere una funzione comunque di tipo universalistico essendo del tutto decaduti i cosiddetti “corpi intermedi” e in particolare il sindacato (appare debole anche la presa esterna della stessa FIOM). “movimenti” appaiono davvero collocati su, pur importanti” “single issue” legate fra l’altro a specifiche situazioni locali. La lista Tsipras si è inoltre dimostrata nella sua formazione una sorta di “fusione a freddo” tra corpi diversi, neppure preceduta da un tentativo di aggregazione e protagonismo di base come fu, nel 2013, tentato con “Cambiare si può”, alla fine in ogni caso naufragato miseramente. Soprattutto, però, la lista Tsipras sconta il fatto di non risultare in grado di determinarsi attraverso una precisa posizione all’interno del quadro politico, come sarebbe stato invece possibile per una lista, anche “plurale” nella sua composizione, nella quale i soggetti partecipanti portassero ciascheduno la loro identità senza negarla ma accomunati (oltre che da visibili collegamenti a livello europeo) da una chiara posizione all’interno del sistema politico italiano: posizione che non poteva che essere quella dell’opposizione e della richiesta di “rottura” dell’Unione Europea partendo dalla materialità delle condizioni di classe determinate dalla gestione capitalistica del ciclo e poggiando su questo, assolutamente decisivo, elemento un dato di forte identità spendibile anche per l’immediato futuro. La Lista Tsipras non è nulla di tutto questo risultando oscillante nei suoi slogan tra “europeisti insubordinati” e “muoversi da Tspiras verso Schulz” (come sostiene SeL). Servirebbero alla Lista Tsipras per superare l’ostacolo dello sbarramento al 4% circa 1.300.000 voti( circa 9 voti per ogni firma raccolta per la presentazione della lista, ma questa volta senza vincoli regionali essendo lo sbarramento di livello nazionale) considerato che, in partenza, la somma SeL e Rivoluzione Civile nel 2013 ne raccolse circa 1.700.000 e valutata la prevedibile divisione nell’elettorato di SeL, l’assenza dell’Italia dei Valori che nel frattempo sicuramente vedrà i propri voti dirottati principalmente verso il PD e l’aggressività, essenzialmente mediatica di tipo televisivo(terreno sul quale il PD è favorito, lasciando al M5S la supremazia nel web e la capacità scenica di Grillo sulle piazze) che nelle ultime settimane caratterizzerà sicuramente la campagna elettorale di PD e M5S impegnati entrambi nella ricerca della maggioranza relativa e del minor distacco possibile in questo senso, il cammino della Lista Tsipras verso il 4% appare davvero molto duro. Tutte considerazioni opinabili quelle fin qui svolte: ma lo scenario di fondo, di un duello diretto PD/M5S appare davvero credibile e sarà dall’esito di questo scontro che dipenderà, in buona misura, il prosieguo della liberticida proposta di legge elettorale e quello delle altre riforme istituzionali e costituzionali, con buona pace – comunque – per chi aveva impostato tutto sul nesso presidenzialismo/bipolarismo.

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