martedì 29 aprile 2014

Denis McShane: Why The Left Must Address Inequality And Poverty

Denis McShane: Why The Left Must Address Inequality And Poverty

Populismo: la nuova frontiera italiana sul modello sud-americano di Patrizia Turchi

Populismo: la nuova frontiera italiana sul modello sud-americano di Patrizia Turchi, dal blog: http://sinistrainparlamento.blogspot.it Se scompaiono nel panorama italiano le categorie politiche di “destra” e “sinistra” possiamo ipotizzare una nuova categorizzazione di sapore sud-americano? Partiamo da qui, da una definizione di “populismo” «Nati spesso dal nulla come movimenti di protesta, privi di strutture, di quadri e di organizzazione, mossi da un imprenditore politico, i partiti populisti – ma non solo – si identificano innanzi tutto con il loro leader. E nonostante la loro estrema varietà, tutti i populismi hanno almeno un elemento in comune: l’importanza della leadership, al punto che molti di questi movimenti mantengono la loro unità e sopravvivono solo finché perdura il carisma del fondatore. […] Il populismo non si riferisce al capo solo come incarnazione dell’autorità: il leader è anche colui che esprime attraverso la sua persona i valori di cui il “popolo” è portatore. Grazie al suo carisma è in grado di mobilitare le energie al servizio del popolo e della nazione.» Yves MENY e Yves SUREL “Populismo e Democrazia”, Il Mulino (Bologna, 2001) Se la destra italiana rappresentata negli ultimi vent’anni da Silvio Berlusconi sta lentamente affondando, causando la fuga di esponenti “storici”, restano in campo, sul piano della realizzazione elettorale (resa più semplice dall’enorme astensionismo che sta procedendo con un trend positivo) il Movimento 5 Stelle e l’attuale PD rappresentato da Renzi. Un PD ormai spogliato della sua connotazione partitica classica non solo sul piano fattuale ma anche sul quello teorico (parlammo alcuni mesi fa di “partito frattale”, evidentemente una fase intermedia secondo questa analisi), che con l’avvento di Renzi si colloca anch’esso nel solco delle formazioni politiche di stampo populista. La domanda suggestiva che sorge è se per la prima volta in Italia ma anche in Europa (rivelandoci ancora una volta anticipatori come lo fummo nel secolo breve quando si affacciò il fascismo ben in anticipo su nazismo e franchismo) stiamo assistendo ad una trasformazione delle categorie politiche storiche che hanno saldamente connotato secoli di politica. Ora: è pur vero che le modalità e le caratteristiche del partito berlusconiano, a prescindere dalle trasformazioni avvenute (FI-PdL-FI) che però reputiamo di “aggiustamento tattico, con sfumature strategiche”, sia e fosse collocabile nell’alveo populista, ma -come contraltare- ha sempre trovato dinanzi a se’ una formazione, nello specifico il PD che -per quanto soggetto e oggetto e rappresentante della trasformazione (in negativo) dei partiti politici italiani- era pur sempre una organizzazione che non aveva mai varcato completamente il versante dell’avversario, anche e nonostante il “berlusconismo” mascherato da “anti-berlusconismo”. Con l’arrivo del sindaco di Firenze il guado è compiuto. Ora: presupponendo che le elezioni europee premino le due formazioni emergenti e (apparentemente) col vento in poppa, e cioè M5Stelle e PD, e ipotizzando una catalizzazione verso queste due formazioni nel periodo che ci separa dalle prossime elezioni politiche, il 2018, potremmo vedere il fronteggiamento tra due agenti politici entrambi di stampo populista, cancellando -appunto- la “classica” distinzione alla quale siamo stati abituati: destra e sinistra (definizioni qui richiamate nella loro espressione derivante dall’alone semantico che evocano, a torto o a ragione). Ed è nella parola “entrambi” che si colloca la novità citata più sopra: se in UK abbiamo -mutatis mutandis- il Grillo britannico , Nigel Farage, se in Francia spopola il FN di Marine Le Pen, così come altre formazioni in altrettanti Paesi, è pur vero che sul piano del peso politico e su quello appunto del fronteggiamento vero e reale, queste formazioni politiche sinora non si sono mai trovate dirimpetto un avversario che occupa lo stesso terreno. Allora: siamo di fronte ad una sudamericanizzazione del panorama politico? E’ solo una suggestione appena abbozzata, ma che crediamo possa essere interessante. Patrizia Turchi

mondiepolitiche: Quante bugie sul Fiscal compact (da First online)

mondiepolitiche: Quante bugie sul Fiscal compact (da First online)

lunedì 28 aprile 2014

Livio Ghersi: La Chiesa e il difficile governo delle aspettative

La Chiesa ed il difficile governo delle aspettative. La formula solenne di canonizzazione che Papa Francesco, secondo tradizione, ha pronunciato in latino nella cerimonia del 27 aprile, richiama la "Santissima Trinità" e l'autorità di "Nostro Signore Gesù Cristo". Per tutti coloro che sono stati educati alla fede cristiana, nulla potrebbe essere più impegnativo di queste evocazioni. La concezione trinitaria non ha soltanto un significato religioso, ma è frutto del travaglio del pensiero umano nello sforzo di concepire un'idea di Divinità che strettamente inerisse alle creature del mondo (il Verbo incarnato) e, oltre le vicende storiche di Gesù e l'insegnamento evangelico, continuasse nel tempo ad orientare le menti degli esseri umani (l'azione dello Spirito Santo). Ricordo, a titolo esemplificativo, non un Padre della Chiesa, ma uno storico della filosofia laico e liberale: Guido De Ruggiero. Si leggano i tre volumi che De Ruggiero ha dedicato a "La filosofia del Cristianesimo". Chi volesse sottoporsi alla fatica di questa lettura scoprirebbe quante e quali intelligenze si sono confrontate, nell'arco di secoli, con il problema della Trinità. La formulazione che troviamo fissata nella preghiera recitata come professione di fede, il "Credo", riprende le decisioni del Concilio ecumenico di Nicea (dell'anno 325 d. C.), puntualizzate, proprio per quanto attiene alla concezione dello Spirito Santo, nel Concilio ecumenico di Costantinopoli (dell'anno 381 d. C.). Naturalmente, il pensiero umano non si arresta dinanzi alle conclusioni di un Concilio. Né si arresta per effetto delle accuse di eresia. Come ricorda De Ruggiero, la parola "eresia", nel suo significato etimologico, significa ricerca. La ricerca della verità, quando risponda a reali esigenze interiori e sia condotta con onestà intellettuale e seria applicazione negli studi, nobilita l'essere umano: lo porta a non accontentarsi di ciò che suggerisce il conformismo e ad andare oltre quanto comandano le autorità mondane. Là dove lo Spirito soffia, nessuna concezione tradizionale è al sicuro, e nessun potere mondano può imporre la propria auto-conservazione, se ha mal operato. Va da sé che nulla di positivo e di stabile si costruisce sull'ignoranza, così come la smania di cambiare tanto per cambiare è meramente distruttiva. La Chiesa Cattolica afferma il valore della santità e proclama la "comunione dei Santi"; ma affinché i santi abbiano davvero valore esemplare e siano d'insegnamento e di guida a quanti restano ad operare nel mondo, è opportuno che le canonizzazioni di nuovi santi siano eventi straordinari. Tanto più preziosi e significativi, quanto più rari. Sono stati proclamati santi dei veri e propri giganti del pensiero, come Agostino d'Ippona (nel calendario dei Santi, celebrato il 28 agosto), o Tommaso d'Aquino (28 gennaio); ma prima ancora anche l'evangelista Giovanni (27 dicembre), a prescindere dall'incertezza sulla sua identità storica, fu sicuramente un pensatore di straordinaria levatura. Sono stati proclamati santi dei mistici, come Antonio abate (17 gennaio), uno dei soggetti preferiti della pittura di orientamento sacro per il tema delle tentazioni. Sono stati proclamati santi i fondatori di importanti ordini religiosi, i quali poi hanno lasciato una rilevante impronta nel corso storico. Penso a Benedetto da Norcia (11 luglio), a Domenico di Guzman (8 agosto), o a Francesco d'Assisi (4 ottobre). Per fermarci ad un periodo precedente la Riforma protestante. Sembra che oggi si indulga troppo a quella che gli osservatori malevoli chiamano la fabbrica dei santi. La moneta inflazionata si svaluta; potrà apparire improprio il richiamo a questa regola economica, ma proclamare troppi santi non significa rendere un buon servizio alla causa stessa della santità. C'è poi qualcosa di stridente nel fatto che un Papa proclami santi altri Papi suoi predecessori; pensando male, si potrebbe interpretare questa scelta come espressione dell'aspettativa che, in prosieguo di tempo, altri Papi si comportino nello stesso modo con lui. Prima di Giovanni XXIII (Roncalli) e di Giovanni Paolo II (Wojtyla) l'ultimo Papa proclamato santo era stato Pio X (Sarto), nel 1954. Tuttavia, nel 2000 è stato proclamato beato Pio IX (Mastai Ferretti) e qui siamo quasi ad una provocazione nei confronti dell'opinione pubblica di sentimenti liberali e democratici: può essere santo chi ha sollecitato un intervento armato contro l'Italia per ripristinare lo Stato Pontificio? Si ricordi cosa avvenne in Francia nel 1877: l'Assemblea Nazionale fu chiamata a discutere un appello del Papa Pio IX che aveva chiesto a tutti i governanti dei Paesi cattolici "risoluzioni efficaci" per liberare la Santa Sede. Il Governo francese, presieduto dal repubblicano Jules Simon, chiese che l'Assemblea Nazionale non desse seguito alla richiesta del Pontefice. Allora il Presidente della Repubblica, Mac-Mahon, nel maggio del 1877, sciolse il Parlamento ed indisse nuove elezioni. La Francia repubblicana respinse massicciamente con il voto quello che si era delineato come un vero e proprio tentativo di dare un indirizzo autoritario, oltre che confessionale, alla politica francese. Nel 2009 è stato proclamato "venerabile" Papa Pio XII (Pacelli). Anche qui il processo di santificazione contrasta con critiche in sede di giudizio storico dei comportamenti di quel Pontefice. Il quale non fu né complice, né succube, del nazismo e del fascismo, ma certamente non combattè apertamente quei movimenti politici che erano radicalmente anti-cristiani nella loro impostazione. La verità è che il Papa, il quale dovrebbe essere fondamentalmente un'autorità spirituale, esercita un ruolo che è anche politico e diplomatico nei rapporti fra le potenze di questo mondo. La smania di fare santo Papa Wojtyla — "santo subito!" si gridava nelle piazze già all'annuncio della sua morte — ha qualcosa a che vedere con la caduta del muro di Berlino, la dissoluzione dell'Unione Sovietica, ossia la storica sconfitta del comunismo realizzato? Se così è, siamo su un piano completamente diverso diverso rispetto a quello su cui si dovrebbe basare un giudizio di santità. L'invocazione "santo subito!" ci porta al nucleo della questione: il ruolo sociale delle religioni e l'autorità dei Capi religiosi si sono venuti trasformando per effetto della diffusione sempre più pervasiva dei mezzi di comunicazione di massa. In un pianeta reso piccolo dalla globalizzazione e dall'interconnessione degli strumenti di informazione, l'Autorità religiosa di riferimento viene avvertita come sempre più vicina e familiare. Naturale, quindi, pensare di coinvolgerla nella soluzione dei problemi pratici dell'esistenza; naturale affidarle un improprio ruolo di riscatto economico-sociale e finanche politico. Papa Benedetto XVI ha cercato di mettere in discussione, sul piano teorico, la mentalità dominante del mondo moderno. Ha affrontato la gigantesca questione del relativismo dei valori; ossia la tendenza di ciascuno a fabbricarsi una propria morale su misura dei propri gusti. Per questo è stato avvertito come antipatico ed autoritario, quando invece è un'ottima persona ed ha dimostrato la propria integrità con la scelta coraggiosa delle dimissioni. Papa Francesco risulta simpatico ed è popolarissimo perché "liscia il pelo alla piazza"; ossia dice le cose che la gente ama ascoltare. Da semplice osservatore esterno, penso che un'Autorità morale abbia il compito di guidare, di indirizzare, di dire anche parole severe quando sia il caso. Inseguendo le grida "santo subito!", temo che non si andrà molto lontano. Palermo, 28 aprile 2014 Livio Ghersi

venerdì 25 aprile 2014

Paola Meneganti: 25 aprile

25 aprile 2014 Il fascismo fu mancanza di libertà di pensiero, di parola, di espressione; fu sopruso, imperio della forza, bruta violenza (leggiamo le cronache di quegli anni: le botte, le bastonature per strada e a domicilio, il licenziamento per chi resisteva, l’olio di ricino, gli omicidi, il tribunale speciale e il confino. E poi, le sciagurate imprese coloniali, la vergogna delle leggi razziali, la guerra, la fellonia di casa Savoia dopo l'8 settembre, la collaborazione con i nazisti alla deportazione ed allo sterminio, la repubblica di Salò, i rastrellamenti, le torture, le uccisioni di massa, la collaborazione alle stragi, un Paese in macerie). Ma quei nostri padri e quelle nostre madri si sono ribellati. Hanno trovato la forza. Hanno scritto la Costituzione e hanno costruito la Repubblica. Come ripeteva Teresa Mattei, partigiana e antifascista scomparsa poco più di un anno fa, eletta a quella Costituente nella quale sedevano Moro e Togliatti, De Gasperi e Calamadrei che ha gettato le basi dell’Italia libera, democratica e fondata sul lavoro, "Io non credo agli eroismi senza paura; credo che l'unico eroismo sia di vincere la paura e fare lo stesso quello che si è deciso di fare". Lo storico Giovanni De Luna ha detto che gli anni della Liberazione e della Costituzione sono stati miracolosi. Eppure, la Costituzione, troppo poco applicata, negli ultimi venti anni è stata vista come ostacolo da rimuovere. Teresa Mattei volle aggiungere all’art. 3 le parole “di fatto”, per essere certa che la Costituzione consentisse di agire per l’uguaglianza, per rimuovere gli ostacoli che “di fatto” la limitano. Mai avrebbe pensato che “di fatto” la Costituzione, che sentiva cosa sua (Teresa parlò, in diverse occasioni, di “amore” per la Costituzione e per la Repubblica), sarebbe stata colpita “di fatto” anche da chi si dichiara erede delle e dei costituenti. Teresa partecipò alla Resistenza come combattente nella formazione garibaldina Fronte della Gioventù. Il suo nome di battaglia da partigiana era Chicchi. Suo fratello, Gianfranco Mattei, morì in una cella di via Tasso, suicidandosi per sottrarsi alle torture tedesche e non correre il rischio di rivelare i nomi dei compagni. Anche lei fu arrestata, torturata. Non cedette, riuscì a fuggire. Giunse al giorno della Liberazione e ha sempre lavorato, nella sua lunga vita operosa, purtroppo segnata da molte sofferenze, per la giustizia e la libertà. Nel nome di Teresa Mattei ricordiamo e ringraziamo tutte le partigiane, tutti i partigiani, le resistenti e i resistenti, tutti e tutte coloro che combatterono per giustizia e libertà e che resistettero “per dignità, non per odio”.

Franco Astengo: 25 aprile

L’ALBA RADIOSA DEL 25 APRILE di Franco Astengo dal blog http://sinistrainparlamento.blogspot.it Anche Quest’anno è spuntata l’alba radiosa del 25 Aprile. Il giorno delle Liberazione dal nazi-fascismo. Il giorno dell’esito vittorioso della lotta di popolo, sostenuta dalla nostra gente tra l’ignominia dell’8 settembre 1943 fino al 25 aprile 1945 per diciotto lunghi mesi. Non ci si dovrà stancare mai di considerare il 25 Aprile il giorno più importante nella storia d’Italia. Così come non ci si dovrà mai stancare di ricordarlo, indicando questa data alla memoria delle generazioni passate ma soprattutto verso il domani di quelle future. Dalla Resistenza nacque la nostra Costituzione. Una Costituzione che disegna un modello di democrazia repubblicana fondato sulla centralità del Parlamento, che i padri fondatori consideravano come “lo specchio del Paese”: un impianto, questo, che è stato fortemente messo in discussione nel corso degli ultimi anni, contrapponendovi un’idea di Costituzione materiale fondata sul presidenzialismo personalistico e la centralità del “governo”. Così si scivola pericolosamente all’indietro verso forme di plebiscitarismo populista: un modello che, nella storia, ha già fornito pessime prove. La Costituzione italiana e il modello di democrazia repubblicana non sono nate per caso o dalla testa di qualche professore di diritto costituzionale o di filosofia politica. L’origine della nostra Costituzione deve essere ricercata, in maniera netta e precisa, all’interno dei contenuti morali, politici, sociali che si espressero proprio durante la lotta di Liberazione dal nazi-fascismo. Non è retorica ricordare questo fatto. E’ semplicemente ricordare la verità storica, per difenderla e affermarla pienamente ancora una volta. La svolta verso una democrazia di massa di tipo sociale, molto diversa da quella di tipo meramente liberale che aveva caratterizzato la fase di costruzione dell’Unità d’Italia, avvenne proprio 70 anni fa, nel corso di quel 1944 durante il quale si delinearono con precisione le sorti della guerra mondiale: lo sbarco in Normandia, la liberazione delle due grandi capitali Parigi e Roma, lo spostamento del fronte da Oriente verso Occidente per opera dell’Armata Rossa in esito della battaglia di Stalingrado furono i fatti fondamentali, decisivi, che segnarono l’esito di quel grande scontro. Nello stesso tempo, nel 1944 settant’anni fa in Italia si segnò il carattere stesso della lotta all’invasione nazi-fascista, facendole assumere decisamente il carattere di una vera lotta di popolo. Cosa accadde allora? Andando per ordine: 1) L’ingresso diretto nella lotta della classe operaia, quella delle grandi fabbriche del triangolo industriale. Dal 1 marzo 1944 e per tutta la settimana seguente uno sciopero generale, approvato dal CLN, scosse tutte le ragioni occupate dall’invasore tedesco, coinvolgendo soprattutto nel triangolo Torino – Milano – Genova centinaia di migliaia di lavoratori. L’eco di questo fatto si ripercosse in tutta Europa. I tedeschi arrestarono centinaia di scioperanti, la maggior parte dei quali fu deportata in Germania, sia nei campi di sterminio, sia in quelli di lavoro. La repressione non fiaccò la resistenza della classe operaia: anzi il 15 Giugno successivo, un altro sciopero proclamato ala Fiat Mirafiori ebbe un grande successo: 2) All’indomani della Liberazione di Roma, l’11 Giugno, il governo “militare” del maresciallo Badoglio (al quale comunque avevano già aderito i comunisti, al momento del rientro di Togliatti in Italia) fu sostituto da un governo formato da esponenti dei partiti del CLN e presieduto da Ivanoe Bonomi. Questo fatto deve essere considerato come un punto di svolta fondamentale rispetto alla qualità stessa del progetto democratico che s’intendeva proporre al Paese nel momento della fine del conflitto e della Liberazione rifiutando, come invece sosteneva Benedetto Croce, sia di considerare il fascismo come una semplice parentesi, sia una soluzione intrecciata tra monarchia e fascismo “non compromesso” come sosteneva, invece, sir Winston Churchill; 3) Nell’estate di quell’anno 1944 i nazisti perpetrarono le grandi stragi della loro feroce repressione: Fosse Ardeatine, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Benedicta. La risposta della Resistenza non fu quella di un ripiegamento ma quella della formazione delle repubbliche libere: Ossola, Carnia, Montefiorino, Torriglia, Alba. Quelle repubbliche libere durarono, è vero, il tempo dell’estate: poi cui ci fu la controffensiva nazista, ma il seme di una diversa concezione della democrazia fu gettato e praticato proprio in quelle occasioni storiche che non possono assolutamente essere dimenticate; 4) L’esperienza delle repubbliche libere risultò, poi, determinante anche nella riposta che il CLN riuscì a fornire al “proclama Alexander”, allorquando il generale inglese invitò le forze partigiane a ripiegare e a cessare sostanzialmente l’attività di guerriglia per attendere la liberazione da parte degli eserciti alleati. Quell’invito fu rifiutato e fu evitato lo smantellamento delle formazioni partigiane. L'esito di quella scelta coraggiosa, che sarebbe risultata impossibile senza il pieno appoggio delle popolazioni ai combattenti, risultò determinante il 25 Aprile del 1945, quando le grandi città del Nord furono liberate dai partigiani e non dagli eserciti alleati. A Genova, caso unico in tutta Europa, i tedeschi si arresero davanti agli esponenti del CLN, deponendo le armi e consegnandosi prigionieri. A Villa Migone l’orgoglioso Junker prussiano generale Mainhold depose la sua spada nelle mani di Remo Scappini, un operaio dell’Ansaldo. Fu quello il momento più alto nel quale anche nell’Italia del Risorgimento incompiuto come aveva scritto Antonio Gramsci, le masse erano finalmente entrate nella storia. Sono state queste le basi, rese solide dal sacrificio di migliaia di combattenti, donne, uomini, ragazzi, gente comune che si è edificata la democrazia ed è stata scelta la Repubblica. Una repubblica che ha vissuto, dal 2 Giugno 1946, dalla sua fondazione attraverso il voto popolare, processi sociali, politici, economici, culturali, sicuramente difficili e complicati: non sono mancati i ritardi e le vere e proprie battute d’arresto. Ma la Repubblica fondata sulla Costituzione ha garantito il suo essere fattore di miglioramento nella qualità di espressione della democrazia e della materialità delle condizioni di vita per la maggior parte dei ceti sociali, pur rimanendo forti diseguaglianze tra i diversi settori sociali, sia tra il Nord e il Sud del Paese. Non possiamo arretrare dalle condizioni democratiche poste dalla Costituzione Repubblicana. Non possiamo cedere il passo a una politica nella quale l’estetica prenda il posto dell’etica. Dobbiamo reagire all’individualismo, alla ricerca dell’interesse personale in luogo di quello generale e collettivo. Si tratta di un impegno che ci chiede la nostra storia: quella storia scritta sui monti, nelle campagne, nelle città da coloro che combatterono per realizzare la Liberazione, ma anche dal popolo tutto, quel popolo, quelle donne e quegli uomini che sfamarono i combattenti, li nascosero, lo accompagnarono nei rifugi, diffusero la stampa clandestina, colmarono i partigiani di affetto e di riconoscenza. Fu, quella della Resistenza una vera lotta di popolo. E’ necessario ricordarlo ancora una volta: fu quell’afflato di popolo che permise, attraverso il voto cui parteciparono per la prima volta anche le donne, alla Repubblica di vincere nel giorno del Referendum. Si usava un tempo, una formula che oggi molti considereranno retorica ma che va ripresa e ripetuta, a monito di coloro che vogliono tornare indietro da questa pietra miliare della nostra storia: viva la Repubblica nata dalla Resistenza, via la Costituzione democratica.

Thomas Palley: Some Reflections On Thomas Piketty’s 'Capital'

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Joe Stiglitz And Paul Krugman On 'Capital In The Twenty-First Century'

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giovedì 24 aprile 2014

Cos'è il pareggio di bilancio e perché Renzi ha voluto il rinvio al 2016 - Pagina99.it

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Garcia Marquez: la politica, il socialismo, l’utopia | mondoperaio

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La comunicazione di Monsieur Valls

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I socialisti e le elezioni europee 2014. L'analisi della FEPS YAN - Centro per la Riforma dello Stato

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Il saccheggio della Grecia - Alfabeta2

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Un nuovo slancio, ma per quale Europa? - micromega-online - micromega

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Disoccupazione giovanile: le antiche terapie di Renzi - micromega-online - micromega

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Un francese a New York dà lezioni di economia - micromega-online - micromega

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Brancaccio: “Il Jobs Act? Peggio della riforma Fornero” - micromega-online - micromega

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mercoledì 23 aprile 2014

Sui segreti di Stato, quello che veramente serve è il Freedom of Information Act | Massimo Teodori

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Vittorio Melandri: Il Renzi di sinistra

IL RENZI DI SINISTRA (ovvero… il problema di questo Paese continuano ad essere i migliori!!) Prima un gancio al fegato, Michele Serra che il 23 aprile comunica dalla sua Amaca che… “le novità annunciate dal Presidente del Consiglio, sono per la maggior parte novità di sinistra: dalla desecretazione delle carte sulle stragi (sarebbe una svolta davvero storica) alla riduzione delle spese militari alla manciata di euro in più nelle buste paga dei redditi bassi.” Poi un uppercut al mento, Guido Crainz, che sempre su la Repubblica vede sin dalla prima pagina nel governo Renzi “qualcosa di sinistra”, per poi svoltare a pagina 35 e sferrare il colpo del KO: “non occorrono troppe parole, infine, per sottolineare la differenza fra questa prima fase del governo Renzi – pur condizionata dalla sua anomala maggioranza – e la totale afasia che aveva caratterizzato il centrosinistra sin dalla sciagurata campagna elettorale del 2013. (…) solo da nuove visioni di futuro possono semmai muovere ipotesi e modalità della politica capaci di contendere a Renzi l’egemonia sul terreno principale: la capacità di ridare ai cittadini (…) fiducia nella democrazia … e speranza di futuro…”. Ormai al tappeto e tramortito, a malapena riesco a scorgere Serra che ci concede un condizionale, “sarebbe una svolta…”, ed un barlume di resipiscenza di Crainz che non perde di vista “la sua anomala maggioranza”, ma Serra e Crainz sono ancora due miei punti di riferimento, e mi chiedo…. … se è pur vero che “dai diamanti non nasce niente/dal letame nascono i fior”, come dice Massimiliano Lepratti nel suo “De André in classe”, questa è…. “una dichiarazione d’amore per gli emarginati, a volte portatori di una bellezza morale che si fatica a ritrovare negli ambienti sociali più altolocati”…. …e quale “bellezza morale” si può scorgere nel “letame” di cui è fatta l’anomala maggioranza su cui Renzi ha fondato il suo Governo? Quale “bellezza morale” sorregge le balle, quando anche fossero di sinistra? Quale “bellezza morale” si può scorgere nella vergogna di armadi che anche si aprissero per davvero, si annunciano o svuotati da tempo, o pieni di veleni che non si potranno maneggiare a mani nude, pena veder morire un’altra volta ancora la verità, che resta in Italia solo quella sorretta dalla fede, e mai quella possibile in una appena decente democrazia? Non mi resta che rialzarmi prima che il conteggio arrivi a dieci, pronto a ricevere altri ganci ed altri uppercut, sempre più convinto che il problema di questo Paese continuano ad essere i migliori …… vittorio melandri

domenica 20 aprile 2014

Decreto IRPEF: più che ai gufi, Renzi pensi alle bufale | SEL Made

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Il Portogallo risorge, ma la gente vive peggio / globi / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Ecco perché ai Paesi del Sud Europa viene imposta l’austerità anche in fasi recessive

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A reflection on the Hungarian parliamentary elections | LeftEast

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La pessima legge elettorale per le europee

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Internazionale » Il salario minimo in Europa, in un grafico

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Il livello di istruzione in Europa | EuProgress

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Regolamentazione bancaria e finanziaria, il bilancio della legislatura europea

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La questione ucraina e il futuro della Eastern Partnership - Caratteri Liberi

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Felice Besostri: La sinistra che verrà che non è quella che è “andata” - Caratteri Liberi

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sabato 19 aprile 2014

Franco Astengo: Metodo e merito: gli 80 euro del governo Renzi

METODO E MERITO: GLI 80 EURO DEL GOVERNO RENZI di Franco Astengo Sembrano proprio freddini, questa mattina, “IL Sole 24 Ore” e il “Corriere della Sera” nel merito del provvedimento presentato ieri in conferenza stampa da Renzi e genericamente indicato come quello degli “80 euro”. Il vice-direttore del quotidiano confindustriale Fabrizio Forquet sottolinea piuttosto il valore “una tantum” del bonus che sarà immesso in busta paga e che per adesso è valido soltanto per il 2014, oltre a sottolineare l’esclusione dei più poveri e delle partite IVA, giudicando che la vera partita si giocherà sui tagli strutturali all’interno della prossima legge di stabilità che sarà discussa in autunno, mentre l’editorialista politico di punta dello stesso giornale, Stefano Folli, non ha remore nel giudicare l’operazione come una manovra pre elettorale. Il “Corrierone”, dal canto suo, nell’editoriale firmato da Dario Di Vico, mette alla pari – anche nel titolo – il coraggio dimostrato dal Governo e i dubbi che accompagnano l’operazione: un pro e contro che si rileva anche nel catenaccio del titolo principale di prima pagina, laddove si pongono in equilibrio il fatto che non ci sono tagli alla sanità con la necessità imposta alle Regioni – appunto – di tagliare (dove? Se non nella loro voce più importante di spesa) e il raddoppio della tassa sulle banche in relazione all’aumento di capitale della Banca d’Italia. E’ Antonella Baccaro, però, che sottolinea con puntiglio le sei grandi fragilità presenti nella presentazione del decreto (non ancora nel suo testo: per adesso, infatti, ci sono i 10 tweet e le parole d’accompagnamento pronunziate dal Presidente del Consiglio e dal Ministro dell’Economia) ponendo anch’essa il tema della “strutturalità” e del necessario rinvio, nel merito, alla legge di stabilità. Le osservazioni fin qui svolte non derivano, però, dalla volontà di presentare una sorta di rassegna stampa: le esitazioni e i dubbi dei due principali quotidiani che (si sarebbe detto un tempo) fanno capo “ai padroni” hanno origine diversa dal semplice esame del merito del provvedimento, hanno prima di tutto una scaturigine di tipo politico. E’ il metodo attraverso il quale si è arrivati a determinare il merito che è sostanza, che vale assai più del merito stesso. Si è infatti, nell’occasione, stabilito un inedito almeno per la più recente storia d’Italia, quella compresa nella fase della democrazia parlamentare repubblicana. Un inedito che ha sancito la conclusione di una fase di confusa transizione: a cavallo tra il parlamentarismo e l’antiparlamentarismo, la concertazione tra le parti sociali, l’affermazione di un presidenzialismo fortemente personalizzato che aveva rappresentato l’aspirazione non realizzata dal populismo di destra incarnato per vent’anni da Silvio Berlusconi. La “cautela fredda” di Sole 24 Ore e Corriere della Sera si giustificano, allora, proprio su questo punto: il provvedimento dei “mitici 80 euro” (così definiti dallo stesso Renzi, sempre così attento al linguaggio delle tifoserie: tifoserie che rappresentano il suo modello della partecipazione politica, proprio nello stesso modo di Berlusconi e di Grillo) è stato varato completamente al di fuori della mediazione con le cosiddette “parti sociali” di qualsivoglia estrazione. Travolti i sindacati confederali (la cui ragione d’esistenza complessiva, a questo punto, appare in forte dubbio: niente contratti nazionali, niente concertazione, restano i patronati . Proprio il famoso “sindacato dei cittadini” propugnato dalla UIL alla fine degli anni’80) bypassati senza remore le organizzazioni degli industriali, dei commercianti, degli artigiani: saltato di fatto il neo-corporativismo di marca ulivista e il “populismo ecumenico” del centro destra, retaggio dell’antico clientelismo democristiano. Questo appare l’esito più importante di questa tornata. Il governo, fortemente caratterizzato dalla personalizzazione attorno alla figura del suo Presidente ( tra l’altro mai eletto da nessuna parte salvo che nei Consigli Comunali e Provinciali di Firenze) solo davanti, non tanto al Paese, ma alla sfida elettorale, con un pressoché unico contraltare rappresentato dalla opposizione “omologa” del M5S. Da un lato il governo degli “spot” e delle “sortite” e dall’altra l’opposizione indiscriminata del “mandiamoli tutti a casa”. Si misurerà su questo “bipartitismo ancora imperfetto” il prossimo scontro elettorale riguardante le Europee del 25 Maggio? E’ possibile, anzi probabile, con due incognite: la prima riguarda il peso dell’Europa nell’insieme della vicenda. Fino a qualche settimana fa pareva determinante, soprattutto al riguardo della valutazione relativa ai meccanismi dell’austerity imposti da Francoforte e Bruxelles. Adesso, in ispecie se la Commissione accetterà o semplicemente non affronterà la richiesta del governo italiano di rinvio del pareggio di bilancio al 2015, il peso potrebbe apparire minore e ancora una volta le Europee si risolverebbero in un referendum di politica interna: Cristo o Barabba? Renzi o contro Renzi?. Certo sarà che il Presidente del Consiglio , in campagna elettorale, parlerà poco di Europa (forse anche perché sembra non saperne più di tanto) se non in termini retorici, richiamando gli antichi padri democristiani del progetto (De Gasperi, Schumann, Adenauer) ed esaltando la sua capacità di strappare “risultati” anche in quella direzione. La seconda incognita riguarda il possibile risultato del terzo polo rappresentato dalle frantumate truppe di quello che fu l’orgoglioso centro – destra italiano che nel 2008 disponeva di circa diciassette milioni di voti. Anche per lo “zoccolo duro” di Berlusconi, però, i termini della sfida elettorale sono radicalmente cambiati e sarà difficile in questo mese che ci separa dal voto aggiornare il registro, mentre NCD e Fratelli d’Italia appaiono del tutto marginali e la Lega ha cercato riparo all’ombra dell’estrema destra rappresentata – comunque, nonostante qualche timido approccio di marca “finiana” – dal Front National francese. Insomma: la vera funzione della “grande manovra” sugli 80 euro si riduce (o si allarga?) al peso che potrà avere nell’esito elettorale. Niente di meno e niente di più. Il PD rimane spettatore, nonostante il tentativo di ripresa di protagonismo della sinistra interna, e la Lista Tsipras appare del tutto spiazzata rispetto a questo scenario. L’esito delle elezioni europee condizionerà fortemente lo sviluppo della prossima fase della vicenda politica italiana, questo è un dato di fatto che non oscura un’esigenza immediata che, a sinistra, sembra sia sentita da pochi: quella della presenza “politica” di una opposizione anticapitalista, d’alternativa, in grado di coniugare l’indispensabile dimensione “nazionale” con l’aggressione internazionalista alle condizioni materiali imposte dall’acuirsi delle contraddizioni sociali, così come imposto dalla gestione “padronale” del ciclo. Sotto questo aspetto è assente l’idea del “soggetto”, non quello delle “lotte”: ma si tratta di un bel buco teorico, politico organizzativo. Un “buco” che ci pone ancor una volta nell’angolo di una forte difficoltà politica.

venerdì 18 aprile 2014

Danzando col Fiscal compact | Insight

Danzando col Fiscal compact | Insight

Dalla partnership franco-tedesca alla deriva dell'Eurozona | Insight

Dalla partnership franco-tedesca alla deriva dell'Eurozona | Insight

Felice Besostri: L'Italia è una federazione giudiziaria

L’ITALIA E’ UNA FEDERAZIONE GIUDIZIARIA Memori dell’esperienza dell’azione esperita contro il Porcellum , nella quale la scelta di Milano, peraltro il Tribunale competente per territorio della maggioranza degli elettori ricorrenti, si era rivelata infausta, nel promuovere la stessa azione nei confronti della legge elettorale italiana per il Parlamento Europeo si sono promosse azioni in 6 Tribunali. Quattro dei Tribunali erano quelli delle città capoluogo delle Circoscrizioni europee Nord Ovest, Nord Est, Centro e Meridione, cioè Milano, Venezia, Roma e Napoli. Cagliari e Trieste erano, invece le sedi dell’ Avvocatura Distrettuale dello Stato nelle Regioni a Statuto speciale sedi delle “minoranze linguistiche” più consistenti discriminate dalla legge n. 18/1979 e dimenticate dalle modifiche introdotte con la legge n. 10/2009, perché la preoccupazione principale dei senatori Ceccanti (PD) e Malan(PdL, ora FI) era di impedire che con le elezioni europee “rientrassero in gioco le forze politiche escluse dal Parlamento nazionale nel 2008”: un bell’esempio di sensibilità democratica! Chi teme che con una legge fortemente maggioritaria non si facciano gli interessi della Nazione, ne ha ben donde, tanto più quando le forze politiche protagoniste son sempre le stesse, anche se il PdL si chiama Forza Italia e il segretario del PD non è Walter Veltroni, ma Matteo Renzi. Alla base de leggi elettorali di sospetta costituzionalità ci son sempre leggi con una paternità ben precisa, persino il Porcellum, formalmente adottato dalla maggioranza Berlusconi Bossi, in realtà nella redazione finale parto della coppia Quagliariello(PdL ora NCD)-Finocchiaro(PD ora e allora) grazie al messaggero Vizzini (PdL ora PSI), aveva il suo modello nel Toscanellum. Lo scambio di testi di leggi elettorali è una pratica frequente per esempio il Lombardellum formigoniano è stato ritagliato sul Campanellum bassoliniano. La legge elettorale regionale lombarda è stata rinviata dal TAR Lombardia in Corte Costituzionale con ordinanza del 9 ottobre 2013, ma misteriosamente o inspiegabilmente non è ancora arrivata al Palazzo della Consulta ,sede della Corte. Dopo l’annullamento parziale del Porcellum sarebbe la seconda punizione di leggi elettorali partorite dalla strana coppia, che non si arresta di fronte a nulla come il testo dell’Italicum, licenziato dalla Camera dei Deputati, dimostra. Finché non ci sarà una riforma del contezioso elettorale con un’impugnazione delle decisioni delle Giunte delle Elezioni il pericolo che Camere elette con leggi incostituzionali siano comunque legittimate è inevitabile. Dopo una tornata elettorale con la proclamazione degli eletto una successiva dichiarazione di incostituzionalità non ha effetti sulla composizione e poteri delle Camere, che per di più possono mettere mano alla costituzione e rimuovere le cause di incostituzionalità. Un rimedio parziale era di dare attuazione alla legge delega dell’art. 44 c2 lett. d) della l.n. 69/2009, che consentiva almeno di impugnar le operazioni elettorali preparatorie di Camera e Senato. I risultati conseguiti anche come procedura dalle azioni contro il Porcellum non sono ancora consolidati, come dimostrano le vicende della legge elettorale europea. L’azione di accertamento del diritto a votare in conformità alla Costituzione era stata dichiarata ammissibile dal Tribunale di Milano in composizione monocratica e dalla Corte d’Appello di Milano, che pure avevano ritenute “manifestamente infondate” le eccezioni di costituzionalità ,poi accolte dalla Corte Costituzionale. La competenza territoriale in primo grado del Tribunale di Roma non era stata eccepita dall’avvocatura delle Stato, né sollevata d’ufficio dai giudici: già gli attori/ricorrenti son penalizzati dal foro erariale, che li sottrae al giudice naturale per dovere andare a Roma per questioni attinenti all’esercizio del diritto di voto nei luoghi di residenza. Ebbene sulla competenza territoriale il G.U. di Milano ha chiesto alle parti di esprimersi nelle memorie ex art. 183 c.p.c. e perciò rinviando ogni decisioni al 11 luglio c.a.. Sempre in luglio, 3 giorni pria riprenderà il processo a Napoli a seguito di un rinvio di ufficio dal 27 marzo assolutamente non motivato e dopo che si era riservato nella prima udienza del 4 marzo, sciolta unicamente per disporre la superflua citazione in giudizio dell’Ufficio del PM. Roma si è tolta dall’imbarazzo fissando la prima udienza in un ricorso d’urgenza al 26 giugno 14, dopo le elezioni europee, per un ricorso ex art. 702 bis c.p.c. depositato il 16 gennaio. Per fortuna ci sono giudici non solo nella mitica Berlino per rendere giustizia al mugnaio di Potsdam, ma anche a Cagliari, e a Venezia, nonché a Trieste. In queste città il Giudice Unico ha introitato la decisione sul ricorso: nel merito a Cagliari e Venezia, ma anche sulla competenza monocratica o collegiale e territoriale a Trieste. L’Italia non ha individuato il giudice unico richiesto dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo a tutela dei diritti fondamentali garantiti da quella Convenzione e perciò ci sono incertezze, che il legislatore dovrebbe sciogliere invece di avventurarsi in confuse riforme istituzionali ed elettorali. Le questioni poste dagli atti di citazione dai ricorsi sono di capitale importanza per un legittimo svolgimento delle prossime elezioni europee. La legge in vigore, specialmente a causa delle modifiche adottate con la l. n. 10/2009, darà origine ad un contenzioso giudiziario perché è in discussione la conformità ai Trattati della soglia di accesso nazionale del 4%: unico grande paese ad averla dopo la bocciatura di quella tedesca del 3%. La legge italiana per le europee discrimina le minoranze linguistiche diverse dalla francese, tedesca e slovena, tra le quali la sarda, la friulana, l’albanese, l’occitana e la francoprovenzale di maggiore consistenza le prime due o almeno equivalenti alla francese e alla slovena le altre. Infin e si contesta il vantaggio, chele liste di partiti già presenti nelle istituzioni, si sono date rispetto ai nuovi soggetti esentandosi dalla raccolta delle firme di presentazione. Più che gli elettori sarà il Tar Lazio a decidere i vincitori delle prossime elezioni. Infine tutto queste azioni non sarebbero state possibili senza il sostegno di cittadini, che hanno firmato i ricorsi insieme con i rappresentanti delle minoranze linguistiche discriminate e dei colleghi che mi hanno affiancato nei Tribunali per spirito civico, che voglio pubblicamente ringraziare. Si tratta degli avvocati Giuseppe Sarno a Napoli, Milano e Roma, le colleghe Anna Falcone e Francesca La Forgia a Roma, Roberta Campesi e Luisa Armandi a Cagliari con l’avv. Patarozzi. Emilio Zecca a Milano, Francesco Versace a Venezia e Luca Campanotto a Trieste, insieme con gli avvocati .Domenico Di Giacomo, Nicola V. Cicchetti e Enrico Ricciuto a Napoli completano la squadra dei legali amanti dell’Europa, della Costituzione e della Democrazia cui sarà riconosciuto il meritosi aver ridato la sovranità ai cittadini elet Roma 16 aprile 2014 on. avv. Felice C. Besostri

mercoledì 16 aprile 2014

Franco Astengo: Europa, dal campo della tecnocrazia a quello dell'autoritarismo

EUROPA: DAL CAMPO DELLA TECNOCRAZIA A QUELLO DELL’AUTORITARISMO di Franco Astengo dal blog: http:sinistrainparlamento.blogspot.it L’Europa “politica” pare essere sul punto di compiere un vero e proprio “salto in avanti” nelle sue espressioni di governo e, insieme, di dominio: dall’Europa della “tecnocrazia” (come c’è capitato tante volte di denunciare analizzando il ruolo della Commissione e della Banca Centrale) a Europa “dell’autoritarismo”. Una valutazione al riguardo di questo pericoloso passaggio nella forma e nella sostanza politica della realtà dell’Unione che non si basa semplicemente sull’evidente spostamento a destra avvenuto in questi mesi, con la conferma del governo Merkel in Germania, l’esito delle elezioni amministrative in Francia, il risultato delle elezioni legislative in Ungheria, l’avvento del governo Renzi in Italia (intreccio apparentemente vincente tra decisionismo e populismo: quasi un mix tra Craxi e Grillo, con una spruzzata di P2). In Ucraina intanto dalla pancia di “Piazza Europa” sono intanto resuscitati gli agguerriti eredi del filonazismo ucraino, i cultori del “genotipo” nazionale, russofobli, polonofobi, antisemiti. Nella quasi indifferenza dell’Unione Europea che nel 2000 sanzionò l’Austria per via di Haider, blando conservatore appetto ai miliziani del Pravyi Sektor e tollera i revival dei particolarismi xenofobi che punteggiano la mappa del continente, non solo a Est. In realtà la dinamica in atto appare collocata molto più in profondità, collegandosi anche a uno spostamento complessivo degli assi di riferimento sul piano geopolitico con il ritorno al fronteggiamento diretto tra le due superpotenze e il forte richiamo “atlantico” esercitato in questo momento dagli USA. In realtà le premesse consistono nella crescita evidente del distacco tra cittadini e rappresentanza politico-istituzionale (fenomeno in atto in tutti i sistemi politici nazionali): si è così innestata una vera e propria “crisi della democrazia” che tradisce la volontà di arrivare a un cambio di modello politico. E’ necessario opporci immediatamente, a un livello che è necessario ricercare intrecciando il piano (teorico) internazionalista a quello (più direttamente politico) sovranazionale, ricercando una volontà di uscita pacifica e democratica dall’attuale crisi. Certo il cambiamento che stiamo ricercando non potrà avvenire senza il movimento sociale, ma quest’ultimo ha poche possibilità di affermarsi in un quadro politico che attualmente impone la sua legge ferrea. Non bastano, anzi sono totalmente insufficienti i richiami al “Manifesto di Ventotene” portati avanti dai promotori italiani di una Lista Tspiras, genericamente appellata come quella “dell’altra Europa”. In campo va messa una “alternativa Europa” fondata sull’anticapitalismo, l’opposizione sociale e politica, il rifiuto netto dell’autoritarismo in tutte le sue forme. Deve essere compreso come le opposizioni interne alla società sono impossibilità a esprimersi senza possedere un’idea complessiva di società alternativa. Se la lotta è più necessaria che mai in ragione degli attacchi ai diritti collettivi, della disoccupazione, dell’aumento di miseria e precarietà, può forse prescindere dalla riconquista del corpo politico? La rifondazione di una società non potrà che avvenire attorno al tema della riappropriazione del bene collettivo rappresentato dalla vita pubblica. Il dibattito non è nuovo e ce lo ricorda bene Andrè Bellon dalle colonne de “Le monde diplomatique” di Aprile. A suo tempo, scrive Bellon, Jean Jaures aveva sviluppato l’idea che la storia del movimento operaio fosse contemporanea di quella della partecipazione degli operai alla costruzione dello spazio pubblico grazie alla loro capacità d’autonomia all’interno della società capitalista. Jaures insisteva sulla pertinenza della democrazia come strumento di liberazione e di lotta, considerandola “l’ambito in cui le classi si muovono”. Questo dibattito è tuttora attuale, rinnovato e ampliato nella costruzione europea, dalla questione del superamento dello Stato, dalla globalizzazione. Per esempio, l’abbandono dei concetti di popolo e di nazione è presentato come progressista da Toni Negri che non ha paura di dichiarare “i concetti di nazione, di popolo e di razza non sono mai stati così distanti” (Negri e Hardt, Il nuovo ordine della globalizzazione, Rizzoli Milano 2002). Una tesi che dovrebbe entusiasmare l’estrema destra. Altri, più moderati, vedono il movimento sociale e l’azione politica solo a livello europeo, o mondiale, non tenendo conto del fatto che le maggiori mobilitazioni avvengono tuttora in un quadro nazionale. Una “globalizzazione sociale” o una “Unione Europea repubblicana” non hanno alcun senso, nella misura in cui l’oggetto ideologico di queste costruzioni è proprio la distruzione dei valori repubblicani e sociali. L’opzione autoritaria (bonapartista, la definiscono molti politologi francesi ancora tenaci custodi del modello “sociale” europeo) si sta affermando nella storia, ma in una visione depoliticizzata, infantilizzata per i cittadini, eventualmente convalidata da plebisciti com’è stato nel “caso italiano”, addirittura attraverso le primarie di un partito, il PD, che affermando la propria “vocazione maggioritaria” si è, di fatto, allineato all’ipotesi di transizione dalla tecnocrazia all’autoritarismo che fin qui si è cercato di affermare. Il nostro obiettivo deve essere quello, allora, di tenere assieme l’idea di fondo del superamento del capitalismo con l’idea di un cittadino libero, umano e sociale in quanto membro di un corpo politico, avverso l’ipotesi di un individuo indistinto inserito in una comunità unanime. Bellon conclude il suo già ricordato articolo con una citazione da George Orwell (1984) che pare il caso di riportare anche in quest’occasione. Orwell fa dire al “Grande Fratello”: “ Finché il vostro obiettivo sarà di rimanere vivi, non di restare umani, niente cambierà". Ma alla qualità di esseri umani, avete preferito quella di esseri viventi, confidandovi così in un eterno presente e assicurandovi che io sia sempre qui. Non lamentatevene”. Proprio ieri Paolo Franchi, sulle colonne del “Corriere della Sera” definiva proprio Renzi il politico “dell’eterno presente, senza passato, né futuro”. Senza commento ulteriore.

[video] Alessandro Roncaglia: Keynes e il ruolo dello stato nell’economia | Keynes blog

[video] Alessandro Roncaglia: Keynes e il ruolo dello stato nell’economia | Keynes blog

Paolo Bagnoli: Primavera nuova tentazione vecchia

Dall'adL La situazione politica Primavera nuova tentazione vecchia Rispondere alla crisi della democrazia con il restringimento della medesima ci pare cosa molto preoccupante di Paolo Bagnoli Insieme alla primavera è arrivata la stagione delle riforme; il presidente del consiglio le ha addirittura calendarizzate. Tra queste, quella sicuramente più in esposizione, riguarda la fine del bicameralismo perfetto, con la conseguente abolizione del Senato qual è oggi, e la sua sostituzione con una Camera delle autonomie. Vedremo, naturalmente, come andrà a finire, considerato che la strada non è così agevole come la si rappresenta. Riteniamo che fare del Senato l’emblema da abbattere per avviare il percorso di salvataggio del Paese non solo sia sbagliato e demagogico, ma solleva pesanti e fondati dubbi di merito. Qui vorremmo solo evidenziare due questioni. La prima: se in Italia il costituente previde un tale ordinamento una ragione ci sarà, ma nessuno si domanda se essa abbia ancora oggi una qualche validità; noi crediamo ce l’abbia. La seconda: si può ritenere che, in un contesto generale di ridisegno della statualità italiana sia doveroso discuterne, non certo per il motivo meschinamente fasullo dei costi. Ci domandiamo: una democrazia, abolendo e restringendo gli spazi della rappresentatività –questione che investe anche le Province – può ritenersi più forte e meglio funzionante? Crediamo di no. Ci sembra che per la Repubblica italiana si stia aprendo un terreno molto scivoloso alla cui fine non solo l’espressione della sovranità popolare rischia di vedersi largamente limitata, ma praticamente abolita e relegata, sempre che non si proceda a cambiamenti anche in tutti gli ambiti della rappresentanza, dai comuni e alle regioni. Vediamo: gli eletti provinciali spariscono, il Senato delle autonomie, nella composizione prevista, non è formato da eletti per quell’incarico e, per quanto concerne la Camera, si pensa a una legge con ancora le liste bloccate; ossia con i deputati eletti come ai tempi del Porcellum, sia pure con diverso meccanismo tecnico. Ecco il dato di fondo; quello politicamente complessivo, fermo restando che obiezioni sulla legge elettorale per la Camera investono seriamente anche il previsto premio di maggioranza che è, come nella legge Calderoli, una vera e propria vergogna, l'uno non meno anticostituzionale dell’altro. Così, nell’Italia del nuovo governo, avremo un Parlamento – Camera e Senato delle Autonomie – sostanzialmente deficitario relativamente al principio fondante della democrazia per cui il popolo è sovrano e, in virtù di tale sovranità, elegge i propri rappresentanti. Ci sembra che, rispondere alla crisi della democrazia, con il restringimento della medesima sia molto, ma molto, preoccupante. Ci pare, altresì, implicito che con il bipolarismo forzato di coalizione arriverà pure – già se ne sente parlare – la ripresa del tema berlusconiano dei maggiori poteri al presidente del consiglio. Tornerà la ripresa di un tema specifico di Silvio Berlusconi il quale, a fronte della manifesta incapacità nel guidare il Paese, sosteneva che per poter governare l’Italia, occorrevano al premier ben più ampi poteri. Tali aspetti non sono certo di secondo piano, ma non registriamo né dubbi né una qualche opposizione. Ce lo saremmo aspettati, pur apprezzando l’iniziativa – spregiativamente rigettata come necessità di mettersi in evidenza – di Vannino Chiti. Siamo, cioè, un po’ stupiti dall’atteggiamento complessivo degli ex-comunisti, provenienti cioè da un partito che aveva fatto della centralità del Parlamento un punto fermo. Al Pci va dato atto, infatti, di essere sempre stato molto sensibile alle questioni di natura istituzionale. Il ciclone Renzi li sta travolgendo e non riteniamo che sarà la recente riunione dei cuperliani a cambiare il tavolo della discussione. Poi, evidentemente, si tratta di vedere il decorso delle cose. Inoltre, se vogliamo mettere i puntini sulle i, non è nemmeno che Renzi travolga la sinistra poiché essa non c’è più da un bel periodo di tempo. I sondaggi dicono che oggi il voto operaio, cui il Pci attingeva in maniera consistente, quando non ingrossa l’astensionismo, vaga tra la Lega e i grillini. Renzi, con spregiudicata intelligenza, ha recuperato un Berlusconi che sembra stare in maggioranza seppure non nel governo e pensiamo che proprio l’area in disfatta del berlusconismo costituisca la grande riserva cui attingere consensi per il Pd. La qual cosa non deve stupire poiché risultava evidente, fin dall’incontro famoso tra i due, che in entrambi staziona una medesima idea di questo Paese. Una cosa di sinistra, diciamo così, Renzi l’ha fatta, portando il Pd nel Pse; operazione consumatasi in poche ore dopo che gli ex-comunisti vi si erano attorcigliati per vent’anni: è stato bravo. Ma… Ma tutto conferma una nostra vecchia preoccupazione; ossia che lo sbocco della crisi del Paese, al saldo delle questioni economiche e sociali, difficilmente sembra sfuggire a un approdo autoritativo

BRAND MILANO, OLTRE IL SIMBOLO: PROGETTO PER LA POLIS | Stefano Rolando | ArcipelagoMilano

BRAND MILANO, OLTRE IL SIMBOLO: PROGETTO PER LA POLIS | Stefano Rolando | ArcipelagoMilano

martedì 15 aprile 2014

Riforme, Zagrebelsky: “Oggi Renzi non sembra tiranno, ma domani?” – Video Il Fatto Quotidiano TV

Riforme, Zagrebelsky: “Oggi Renzi non sembra tiranno, ma domani?” – Video Il Fatto Quotidiano TV

Aldo Penna: fermate Caino

La nuova Programmazione sui Fondi strutturali 2014 - 2020 sta entrando nel vivo ed è tempo di bilanci. Il complesso degli strumenti economici attiverà 366 miliardi di euro per le città, le Regioni e le attività imprenditoriali dell'Unione europea. I temi della nuova programmazione sono: crescita intelligente, sostenibile, inclusiva. Questo il quadro di riferimento. Appena si guarda cosa è successo in questo quindicennio in Europa, come sono state utilizzate le risorse, quante regioni europee sono passate da "meno sviluppate" a regioni in transizione, quindi da un reddito procapite inferiore al 75% della media UE a un reddito che supera questa soglia, apriamo il tempio della vergogna italiana e meridionale in particolare. Basta scorrere i grafici per avere la percezione visiva di un disastro apocalittico. La Spagna che nel programma 2000 - 2006 contava sette regioni meno sviluppate nel 2014 ne ha una soltanto. L'Irlanda che ne aveva tre, è uscita dal novero dei paesi con aree sottosoglia. La Finlandia con sei regioni sottosoglia oggi è fuori per l'intera superficie nazionale. La Germania con la pesante eredità delle regioni orientali figlie di un'economia statalista di stampo sovietico, presente con tutti i Land dell'est nel gruppo delle regioni non sviluppate ne è uscita totalmente. Persino la Grecia passa da otto regioni a sei. Il fanalino della vergogna è l'Italia. Tra il 2000 e il 2014 solo la Sardegna è fuori mentre la Basilicata vi è rientrata. Visivamente chi guarda le mappe del non sviluppo dell'Europa a 27 percepisce con immediatezza che il Sud dell'Italia è accomunato ai paesi dell'Est Europeo. C'è da giurare, con la velocità con cui si muovono queste nazioni, che a fine programma saranno in molte a esserne uscite. La consapevolezza della responsabilità delle classi dirigenti meridionali è così presente a livello europeo e ministeriale che nei documenti ufficiali scrivono che bisogna evitare di "fare affluire i fondi nelle mani di chi è responsabile dell'arretratezza e della conservazione. Aprendo invece varchi per gli innovatori sia nei beni pubblici che produce, sia nel modo in cui li produce". Il rimedio proposto è semplice come una condanna: i programmi saranno monitorati dalla gente, dai soggetti cui sono destinate le risorse attraverso pubbliche consultazioni. Per i fondi dovranno prima essere definiti gli obiettivi (più concreti e stringenti delle generiche intestazioni delle aree di intervento), una incalzante osservanza dei tempi previsti, e una programmazione nazionale molto più pervasiva di quanto fatto finora. Una tenaglia dunque che dovrebbe stritolare la conservazione, la dissipazione, l'insipienza con cui sono stati trattati i fondi comunitari. I dati siciliani del programma 2007 - 2013 parlano chiaro: fondi destinati 6,5 miliardi, impegnati circa 4 miliardi, effettivamente erogati poco meno di 2 miliardi: un fallimento. Dal 14 aprile al 16 maggio partirà la consultazione online sul nuovo programma 2014 - 2020 un'occasione per chi ha idee di dire la sua sui nuovi metodi per lo sviluppo. Un modo per uscire dalla compiaciuta liturgia degli esperti che ricoprono con una tela misterica e iniziatica quelle che dovrebbero essere finestre spalancate sulle opportunità di sviluppo. Una nuova procedura che può essere vanificata se non sarà spezzata la malefica alleanza tra burocrazia infedele, politica dilapidatrice e il parassitismo pseudo imprenditoriale. Il nuovo Caino non uccide Abele, lo impoverisce, gli ruba la speranza, lo costringe a piegarsi, andare via e, nei casi estremi, uccidersi. Dopo decine di anni sprecati, dopo le alzate di spalle di sufficienza o le strizzatine d'occhio complice, forse è arrivato il tempo di porre davvero le risorse al servizio di una terra malata ma niente affatto irredimibile. Aldo Penna Le mappae UE del NON sviluppo http://newsletter.mvmnet.com/users/link.php?LinkID=72074&UserID=28356210&Newsletter=10354&List=2383&LinkType=Send

Conflitto capitale-lavoro: è ancora attuale?

Conflitto capitale-lavoro: è ancora attuale?

lunedì 14 aprile 2014

Crisi Ucraina: intervista a Gianni Cervetti

di Stefano Carluccio per Crtica sociale La crisi in Ucraina è giunta allo scontro armato. Nel tentativo di liberare alcuni Palazzi occupati a Sloviansk da separatisti russi, nell’est del paese, il governo di Kiev ha dato il via ad una “operazione antiterrorismo” che si è conclusa con tre morti e un numero imprecisato di feriti, senza peraltro riuscire nello sgombero.! La tensione tra Russia e Stati Uniti è crescente. Il 22 aprile il vicepresidente degli Usa, Biden, sarà a Kiev per esprimere il sostegno di Washington al governo ucraino.! Putin dal canto suo chiede una riunione del Consiglio di Sicurezza per l’invio dei militari contro i separatisti russi, ma allo steso tempo dichiara che la crisi, seppur importante, “non deve compromettere le relazioni tra Usa e Russia sul piano della sicurezza internazionale”. L’incendio rischia di estendersi, sembra di capire, se non si giunge ad un compromesso che escluda il timore di accerchiamento che è percepito a Mosca nelle intenzioni americane sin dall’inizio della crisi.! Per Gianni Cervetti, da sempre in stretto rapporto col mondo russo, comunista e post comunista, la questione è assai delicata e rischia di sfuggire di mano, con danno per l’Europa ma anche, aggiunge, per gli stessi Usa.! ! “La questione è piuttosto complessa e non bisogna trattarla superficialmente. I problemi vanno affrontati sulla base di alcuni principi, altrimenti non se ne esce. Va alzato lo sguardo guarda dal punto di vista degli interessi immediati e degli scontri che sugli interessi immediati si vanno determinando. La questione fondamentale è quella dell'autodeterminazione dei popoli. È un principio che aveva avuto forza alla fine dell'Ottocento. Poi nel Novecento è stato messo, diciamo così, un po' in soffitta anche a seguito di fatti che possiamo definire positivi come ad esempio la sconfitta del hitlerismo. Ma non è un principio che può essere nascosto o sottovalutato se si vuole effettivamente regolare sia la vita nelle nazioni, sia i rapporti tra le nazioni. Questo principio dice che una nazione e un popolo hanno diritto di autoformare lo Stato che desiderano. Quando questo principio viene stravolto succedono pasticci”. ! ! Ad esempio?! Nel trattato di Helsinki, questo principio è stato in larga misura annacquato. ! Al principio di autodeterminazione dei popoli si è unito il principio che le frontiere divenissero intangibili, così come erano state determinate dalla seconda guerra mondiale. La sconfitta dell' hitlerismo e del fascismo non hanno risolto il problema dei rapporti tra tutte le nazioni del mondo. Hanno stabilito alcuni confini all'interno dei quali nulla si sarebbe dovuto muovere. ! L'accordo raggiunto tra americani e sovietici è stato un accordo, diciamo così, debole dal punto di vista delle fondamenta di questo principio. Senza andare molto lontano, stando in Italia, per risolvere le questioni dell'Alto Adige abbiamo dovuto metterci del bello del buono. ! ! Si è voluto compensare la perdita dell’Istria.! Certo: ma se alla fine della seconda guerra mondiale si fosse deciso che l'Alto Adige dovesse rimanere all’Austria - e non ci sarebbe stato niente di stravagante perché la popolazione è austriaca in stragrande maggioranza - si sarebbe risolto un problema abbastanza tranquillamente. Invece ci sono stati anni di terrorismo e costi economici per l’Italia enormi. ! La stessa cosa è accaduta anche alla fine dell'Unione sovietica. Ci sono delle enclaves russe nazionali consistenti che sono rimaste fuori dai confini della loro patria: e questo vale per i Russi dei Paesi baltici, vale per l'Ucraina, vale per la Moldavia. ! Questi problemi si trascineranno a lungo.! Per risolvere dunque questi problemi si deve tenere fermo come punto essenziale quello dell'autodeterminazione dei popoli e delle nazioni.! ! Tensioni autonomiste sono presenti un po’ dappertutto, in Europa, non solo ad est.! Questi sono problemi che continueranno a risorgere e a moltiplicarsi anche in Europa, certo. Nel caso specifico dell'Ucraina questo accade e accadrà indipendentemente da chi governerà a Mosca. Sono questi i problemi di concreta convivenza tra i popoli. Ragionando su questa base si possono affrontare anche le questioni successive.! ! In Ucraina la rivolta è scoppiata dopo la firma dell’intesa con Mosca in luogo di quella con la UE. Che c’entra l’autodeterminazione? Non parrebbe vero il contrario?! Nella rivolta in Ucraina ci sono stati 100-150 morti russi (ma fosse stato anche solo un morto la questione non cambia perché resta una questione di principio). ! Quindi mi domando che cosa è successo davvero? Adesso nessuno più ne parla. I fatti sono stati rimossi. C'è stata una prima fase di propaganda, poi la cancellazione di quanto è accaduto. Ma in Ucraina ci sono problemi politici seri che permangono tuttora e che devono essere risolti dagli ucraini, se si vogliono distendere gli animi e dare a ciascuno il proprio ruolo. Queste sono le due questioni fondamentali sulla base delle quali secondo me occorre ragionare. ! !!! Ci sono stati però altri problemi legati a interessi commerciali e di risorse. ! Sono questioni reali. Sono questioni importanti, ma sono questioni che possono essere risolte soltanto in modo “logicamente successivo” rispetto ai due principi di cui ho parlato prima. Su questo insieme di cose viceversa, non mi pare che ci sia un modo di ragionare serio. Hanno infatti la prevalenza in questo caso, soprattutto da parte degli Stati Uniti, atteggiamenti che non voglio definire di potenza, ma sicuramente di “protettorato” su quello che deve accadere nel mondo. E questo non risolve i problemi. Anzi aumenta e complica i conflitti.! Non favorisce del resto neanche un ruolo positivo degli Stati Uniti nel contesto globale, in questo modo infatti vengono considerati dagli uni come i difensori dei loro interessi, dagli altri come gli aggressori dei propri interessi. Ne va anche del loro prestigio e anche della loro funzione mondiale. Da questo punto di vista oggi hanno fatto un passo indietro rispetto alla posizione di Wilson. Nei principi di Wilson del 1919, l'autodeterminazione era definita in modo preciso.! Questo tipo di approccio ha favorito a lungo una posizione e un ruolo positivo degli Stati Uniti nel mondo. Queste sono questioni di fondo su cui non si può scherzare! ! Pare difficile da credere ad un'insurrezione spontanea di popolo in Ukraina per aderire all’Unione Europea quando i sondaggi di oggi dicono che il quasi il 70% della popolazione europea non vuole più questa Unione Europea. La stessa Gran Bretagna sembra volerne uscire al termine del prossimo referendum.! Ecco questo problema è molto importante. Considero l'Unione Europea e i progressi che debbono ancora essere compiuti per realizzare l'idea che avevamo dell’ Europa, come una strada estremamente positiva. Considero positiva infatti la possibilità di unire popoli in un luogo come l'Europa in cui la storia è sempre stata una storia di conflitti e che - solo per rimanere nell'età moderna e cioè dall’ottocento, in poi fino al 900 - hanno determinato deflagrazioni addirittura di carattere mondiale. Ecco considero questa strada di unità una strada positiva.! ! Dunque su questa strada occorre insistere? ! Ma a questo punto oltre ad insistere occorre anche distinguere: una cosa è perseguire sinceramente questo obiettivo di unità e di rispetto reciproco tra popoli, altra cosa del tutto opposta è quella di strumentalizzare l'unione europea per andare in altri luoghi della terra, estranei non soltanto geograficamente, ma anche culturalmente e politicamente all'Europa per stimolare una ripresa di spirito diciamo la verità, “espansionistico”. Questo crea tensioni. Questa aspirazione all'unità dell'Europa da obiettivo positivo diventa un fattore di conflitto e di pericolo. Insisto e sottolineo che il cammino dell'unione dei popoli delle nazioni europee è una strada positiva, innanzitutto per gli stessi europei ma anche per il mondo intero, se fondato sul principio della autodeterminazione. Se questa è l'Europa che si unisce questo è il progetto di un assetto di pace che avevamo al termine della seconda guerra mondiale. ! Oggi invece l'unità europea viene utilizzata come uno strumento di contrasto con altri popoli non europei, diventa un elemento di conflittualità nel mondo. Non si può pensare di inglobare nell'Unione Europea tutto. L'Europa ha già conosciuto periodi di espansione: il colonialismo che cos'è stato se non un espansione imperialista europea? Questo espansionismo e già andato in crisi tra ottocento e novecento ed è impensabile che possa risorgere. ! Sul piano politico questo atteggiamento, per reazione, determina l'opposizione di chi non intende farsi annettere.! ! L’origine della crisi Ucraina ricorda l’inizio delle primavere arabe. Sembravano inizialmente processi autonomi di liberazione da regimi autoritari dopo il discorso del Cairo di Obama. Ma la vicenda non sembra così chiara. Israele, ad esempio, non è mai stata convinta di quanto accadeva e i fatti in Siria sembrano darle ragione.! ! Può darsi. Sicuramente nella crisi Ucraina ci sono dei tentativi o delle intenzioni di operare verso l'obiettivo di un accerchiamento della Russia. Tuttavia ci sono anche importanti controtendenze: grandi paesi come la Cina sicuramente non si mettono su una strada di isolamento e di accerchiamento della Russia. Non è solo realismo. Lucidità politica vuole che si agisca in altra maniera. Non bisogna ricercare lo spezzettamento, mettere gruppi gli uni contro gli altri armati, come ad esempio nell'area mediorientale. ! Anche in Ucraina, il problema non è quello che i russi si ergano contro gli ucraini o viceversa. Il problema è quello di trovare il modo in cui le volontà delle varie etnie vengano tenute nella dovuta considerazione. Se viceversa si stimolano i gruppi gli uni contro gli altri a confliggere tra loro, è evidente che il risultato è quello dello scontro. Persino della guerra. E dall'esterno non è concepibile che ci siano suggerimenti e sostegni affinché alcune etnie ed alcune nazionalità siano dominanti rispetto alle altre. Vedo una difficoltà tanto più seria, quanto più i gruppi nazionali, statali che dovrebbero aver maggiormente senso di responsabilità, perché hanno avuto dalla storia, anche per merito loro, delle posizioni che possiamo definire migliori, non sempre si attengono a principi di massima responsabilità.! ! L’ Italia può avere un ruolo?! Credo di sì. Noi abbiamo una caratteristica nazionale che ci viene dalle complesse vicende della storia: facendo parte di questo mondo più avanzato, qualcuno potrebbe dire più privilegiato, abbiamo una caratteristica - anche dal punto di vista geografico - di “ponte” e possiamo svolgere un lavoro serio di collaborazione per cercare di favorire quantomeno la ricerca di equilibri veri, e non di iniziative stravaganti. Peraltro anche nella nostra storia nazionale siamo stati protagonisti di vicende non sempre limpide, ma siamo stati in grado di superarle. ! Noi abbiamo attraversato una fase di “purificazione” dopo essere passati attraverso un regime autoritario e reazionario. Abbiamo creato gli anticorpi rispetto a fenomeni come quelli del fascismo che un'invenzione tutta italiana. ! Siamo stati uno dei primi paesi a superare il sistema coloniale. Siamo stati tra coloro i quali hanno promosso la comunità europea. Abbiamo lavorato per unire. E questo è stato possibile perché abbiamo avuto una specifica storia nazionale alle spalle. Abbiamo quindi una capacità di unire che possiamo esercitare. Penso che nelle settimane attuali e nel prossimo futuro questa nostra capacità debba essere fortemente accentuata. ! ! L’Europa sembra sospinta nel vicolo cieco di una rottura con Russia. L’interscambio invece è molto importante. In bilico tra Nato e relazioni commerciali, gas compreso, mentre sono aperte le trattative sull’area di libero scambio transatlantici non pone oggettivamente l Europa in posizione di difficoltà?! Non lo so se ci sia addirittura un disegno di questa natura negli Usa. Devo però constatare l'effetto di questo atteggiamento come un effetto anche per l'Europa negativo. L'Europa ha per sua natura anche altri interessi che dovrebbero trovare soddisfazione: sicuramente con la Russia e in secondo luogo anche con altri popoli orientali.! ! Si rischia nuovamente di non avere una chiara idea di quali siano i confini orientali dell’ Europa?! Esatto bisogna ragionare sul tema dei confini come frutto della volontà dei popoli che li definiscono e che li accettano e riconoscono reciprocamente. Se i confini non sono accettati dai popoli crei soltanto tensioni. Torniamo all’esempio della Crimea. Si dice che deve rimanere dov’è. Benissimo la Crimea rimanga dov’è. E quelli che in Crimea non ci voglio stare?! Non vogliono riconoscere quello che è stato deciso in un referendum di indipendenza votato dalla stragrande maggioranza degli abitanti della Crimea. Benissimo. Qual'è l'alternativa? Ti poni da solo in un stadio in cui sei un imbelle, perché dici cose che non vengono accettate di fatto da nessuno. Altrimenti l'altra strada qual è? L'intervento armato, anche indiretto suscitando un focolaio di rivolta che spacchi il paese anziché cercare di risolvere problemi del paese. Che è esattamente quello che sembra succedere da ora in poi.! ! Europa e Italia senza parola?! L’Italia deve assolutamente svolgere una funzione perlomeno di collegamento. Essere un ponte forse è eccessivo per la situazione in cui ci troviamo. Però fare un'opera di collegamento, e di ragionevolezza questo si lo dobbiamo fare dei confronti degli uni e degli altri. ! Anche qui, bisogna stare attenti a non confondere i regimi con le esigenze nazionali dei popoli. Non puoi dire “Putin e un mascalzone, non gli riconosco niente". Nelle relazioni internazionali queste cose non si devono dire mai. Se fai così crei soltanto degli sconquassi che ti si rivolgono contro. Oggi c'è un'esigenza che se realizzata sarebbe un passo in avanti enorme: ragionare nelle relazioni internazionali non più sulla base degli schemi ideologici delle politiche interne. I criteri di organizzazione della politica internazionale non possono essere i criteri della lotta politica interna. Invece oggi sembra che stiamo tornando a questi criteri di natura più ideologica che politica nel trattare le relazioni internazionali.! !

Elio Veltri: Renzi e Grillo- Evasione fiscale: questa sconosciuta

Renzi e Grillo- Evasione fiscale: questa sconosciuta Renzi, perchè non parli di evasione fiscale? E' il titolo dell'articolo settimanale del direttore dell'Espresso, Bruno Manfellotto. Renzi su Twitter a un giovane che gli faceva notare come nel suo programma “ non ci sia traccia di lotta all'evasione” ha risposto:” Vedrai, vedrai sull'evasione”. Nel documento di economia e finanza( DEF) approvato dal consiglio dei ministri il “ vedrai,vedrai” è sintetizzato così:” sarà necessario rafforzare l'attività conoscitiva e di controllo delle agenzie fiscali attraverso l'uso prioritario dei sistemi informatici con interconnessioni fra tutte le banche dati esistenti”. Evviva! La tecnologia risolverà i problemi che la politica non ha mai voluto risolvere non perchè non fosse capace di connettere le banche dati, ma per ragioni biecamente elettorali e di potere. Nessun leader vuole parlare e, soprattutto, intervenire sulla montagna di evasione fiscale del paese che sottrae alle casse dello stato circa 200 miliardi di euro all'anno ,mettendo a rischio tutti i servizi essenziali: Sanità, Pensioni, Scuola, Ricerca, Università ecc, per non perdere il voto di circa 11 milioni di evasori, grandi e piccoli. E quelli che ci hanno provato, come Prodi e Monti, sono stati mandati a casa. Attendiamo pazientemente che i server e i computer facciano il miracolo. Intanto ricordiamo al Presidente del Consiglio fatti e numeri e suggeriamo di intervenire subito perchè, se volesse farlo, potrebbe portare a casa una barca di soldi, necessari a realizzare il suo programma. 1) Lo Stato negli anni 2000-2012 ha emesso ruoli per tasse accertate per 807 miliardi di euro e ne ha incassati 69( dati forniti dal governo Letta alle Camere). Considerato che un centinaio si sono persi per fallimenti delle aziende e per qualche altra ragione restano 540 miliardi da incassare. Renzi vuole intervenire e incassare o si ripete lo scandalo di sempre che porta nelle casse dello Stato non più del 4-5% delle tasse evase? C'è davvero da stupirsi che nemmeno i parlamentari urlatori di Grillo se ne occupino e chiedano al governo cosa vuole fare. Forse dipende dal fatto che anche Grillo non parla mai di evasione fiscale? 2) A conti fatti, sono stati esportati all'estero illegalmente circa 520 miliardi di euro. Il consorzio di giornalisti americani che si occupa di esportazione di capitali in tutti i continenti, con la collaborazione di 40 testate giornalistiche tra le più prestigiose del mondo, tra queste l'Espresso, ha scovato migliaia di esportatori di capitali. In Italia ne ha contati 200 dei quali il settimanale ha pubblicato i nomi. E' difficile che siano artigiani e proprietari di un bar. Renzi se ne vuole occupare e intende recuperare le tasse evase? Si o no? 3) Banca Italia, a conferma dell'esportazione di capitali dei “ globetrotter” dell'evasione, come li ha definiti Sole 24 Ore del 13 Luglio 2013, ci ha fatto sapere che nel 2012 sono stati prelevati dagli italiani più di 300 miliardi dai depositi bancari. Poichè i consumi non sono esplosi e sono state comprate 40 mila case all'estero ogni anno da nostri concittadini, forse vale la pena di fare qualcosa per recuperare tasse evase. 4) I dati pubblicati dall'Agenzia per l'amministrazione e la destinazione dei beni mafiosi sono i seguenti: 12947 beni immobili confiscati dei quali 11238 immobili e 1708 aziende. E' un problema che può interessare il Presidente del consiglio? Se lo è, sappia che i beni destinati al 31-12-2012 erano 7243; destinati e consegnati 5859; non consegnati 907 e usciti dalla gestione 477. Sappia anche che i soldi sono tutti nei paradisi fiscali o investiti in economia legale, che le aziende sono fallite quasi tutte, che i beni confiscati rappresentano solo il 5-6% del totale e che la maggior parte non viene né utilizzata né venduta. Poichè, secondo alcune stime valgono circa 1000 miliardi, pensa il signor Presidente del consiglio che il governo dovrebbe occuparsene? Se lo pensa, sappia che il governo Monti ha fatto accordi con i seguenti Paradisi fiscali( zeppi di soldi italiani): Bermuda, Isole Cook, Gibilterra, Jersey. Ma al 2-5-2013 nessun accordo risultava ratificato e in vigore. Il finanziere Serra potrebbe dargli consigli utili per recuperare un bel po' di soldi. Sappia anche che mentre Roma dorme Stati Uniti, Inghilterra e Germania stanno recuperando i loro soldi. Il Presidente del consiglio poi, certamente sa che il ministro delle finanze Franco Reviglio nel 1981 calcolava in 28 mila miliardi di lire l'evasione fiscale del paese, pari a 7-8 punti del reddito nazionale e che, nonostante gli impegni solenni dei governi che si sono succeduti per contrastarla, secondo l'ex presidente ISTAT Enrico Giovannini, oggi oscilla tra il 16,2” e il 17,5% del PIL e cioè, tra 255 e 275 miliardi di euro. Quindi, signor Presidente del Consiglio, va bene l'utilizzo delle tecnologie, ma se davvero vuole fare un buon lavoro per il paese, anzichè sulla riforma del Senato, scommetta la sua carriera politica sulla riduzione drastica dell'evasione fiscale,sulla lotta alla mafia e sull'unico terreno che conta: confisca dei soldi, dei titoli, di tutti i beni in tempi rapidi. Si fidi di quello che le dico e della esperienza di una vita di impegno e di lotta. Elio Veltri

domenica 13 aprile 2014

Russia, Europe, and the new international order | European Council on Foreign Relations

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Berlusconi, Grillo, Renzi. I tre populismi italiani / alter / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Il PSE come avamposto della politica europea | Redinking

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Policy Network - Hungary’s election: solidifying the radical right

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Il pasticcio delle riforme

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La crisi ucraina: quali opzioni per la Russia e per l’Occidente

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In Grecia paghe da 2 euro l’ora per i neo-assunti | Gad Lerner

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Emiliano Brancaccio » Vogliamo davvero discutere di Berlinguer?

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CGIL - Camusso, bene il Governo sul fisco, male sul lavoro

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sabato 12 aprile 2014

Franco Astengo: L'esito delle elezioni europee condiziona le riforme

L’ESITO DELLE EUROPEE CONDIZIONA LE RIFORME: SCENARI E PROSPETTIVE ELETTORALI di Franco Astengo Svegliatisi nella comica, come si diceva un tempo, i reggitori della cosa italica, propugnatori di una “riforma al mese”, si sono accorti che il sistema non è bipolare data l’esistenza di un “terzo polo” (che pure si era ben manifestato nelle elezioni politiche del 2013). “Terzo polo” che – addirittura – appare in procinto di diventare il secondo. Scricchiola così l’impalcatura del progetto di riforma elettorale Renzi/Berlusconi pensato in modo da ridurre il quadro politico al bipartitismo (un vecchio sogno già tramontato ai tempi del Lingotto veltroniano): lo scenario, invece, è ben diverso e di conseguenza tutto il meccanismo, compresa la trasformazione/abolizione del Senato e la stessa riforma del titolo V subiscono una seria battuta d’arresto. Sarà l’esito delle europee del 25 Maggio a fornire indicazioni in questo senso, mentre a Renzi pare proprio che l’unica cartuccia rimasta da sparare sia quella della promessa degli 80 euro in busta – paga per una platea di 10 milioni di lavoratori dipendenti: a parte la complessità del mondo del lavoro e la pesantezza della crisi su milioni e milioni di cittadine e cittadini disoccupati, cassintegrati, esodati, pensionati al minimo deprivati socialmente, sul piano puramente elettorale va considerato che se ci sono 50 milioni d’iscritti nelle liste, ben 40 milioni non riceveranno il beneficio: il saldo finale potrebbe non essere favorevole, alla fine, per l’allegra compagnia di ragazze e ragazzi raccoltisi all’insegna della nuova lobby di spartizione del potere. Comunque vale la pena cercare di individuare alcune prevedibili tendenze rispetto al voto del 25 Maggio prossimo: 1) Il primo dato è quello della quasi-certezza di un aumento dell’astensione. Un fattore dimostratosi storicamente fisiologico in occasione delle tornate per il rinnovo del Parlamento Europeo che, in quest’occasione, potrebbe presentarsi però in una luce particolare rispetto al passato. Le elezioni politiche del 2013 avevano fatto registrare già un minimo storico di partecipazione al voto per quel che riguarda proprio le elezioni legislative generali (di solito, nel quadro italiano, le più partecipate). Un ulteriore calo porterebbe il dato al più basso livello fin qui registrato (salvo alcune occasioni di ballottaggio, in particolare per le provinciali) segnalando l’esistenza di una vera e propria “malattia” del sistema, sicuramente non curabile attraverso le dosi di “svolta autoritaria” presenti nel pacchetto di riforme attualmente fermo ai box. Comunque tutti gli indicatori forniscono la somma di un 47-48% tra astenuti certi e indecisi (compreso in questo anche coloro che hanno deciso di recarsi alle urne lasciando scheda bianca o annullando il voto). E’ possibile che, alla fine, questa quota si assesti attorno al 40% o un poco più sotto. I voti validi, in questo caso, sarebbero circa 30.000.000, con un calo di oltre 4.000.000 rispetto al 2013. Un dato del genere renderebbe del tutto fasullo un eventuale aumento delle percentuali per le forze politiche: per passare il 30%, infatti, al PD servirebbero paradossalmente 600.000 voti in meno rispetto al 2013 quando la percentuale fu del 25%: 30% che, mantenendo inalterati i propri voti rispetto alla tornata precedente, sarebbero superati anche del M5S. Tutto questo per dire che, una volta in possesso dei dati definitivi, se davvero il calo dei voti validi risulterà essersi materializzato in una dimensione apprezzabile tutti i conti andranno fatti sulla realtà delle cifre assolute e non di percentuali che risulterebbero del tutto mistificatorie rispetto a una corretta analisi del voto; 2) Dal punto di vista dell’esito delle principali forze politiche avremo un curioso intreccio di spinte a livello di “input” immessi nell’elettorato al fine di favorirne le scelte. Se da un lato appaiono molto popolari le riforme più populistiche proposte da Renzi (in questo caso il gradimento delle riforme sale al 70%) egualmente l’elettorato appare spaccato a metà sul tema di fondo di quest’occasione elettorale, cioè il ruolo dell’Europa e quello della moneta unica. Una situazione molto difficile da interpretare perché entrambi i fattori sono agiti dai principali contendenti, PD e M5S, in forma meramente propagandistica, Si tratterà di vedere, nel prosieguo della campagna elettorale, quale risulterà alla fine l’argomento prevalente: certo che “Europa” (così intesa rozzamente da una parte consistente dell’elettorato) e ruolo negativo dell’Euro viaggiano in simbiosi interpretati come i fattori decisivi della disoccupazione, dell’impoverimento generale, della crescita dello sfruttamento, della fine del welfare state. La valutazione più corretta appare, in questo momento essere quella, del prevalere del tema europeo, ormai profondamente radicato in negativo in una quota molto significativa dell’elettorato e – considerazione politica conclusiva – è più che possibile che il 50% di euroscettici prevalgano sul 72% di approvatori delle riforme (anche perché, com’è ovvio, entrambe le posizioni convivono nella mente di moltissime persone). Considerazione finale di questo capitolo: il solo rappresentante del “no euro” accreditatosi anche come non appartenente all’area dell’estrema destra che monopolizza questa posizione nel resto d’Europa, è il M5S. Meno credibile, sotto quest’aspetto, la Lega Nord che avrà comunque un ritorno dai tradizionali temi “indipendentisti” e, parzialmente, dall’evidente crisi di Forza Italia; 3) Sarà attorno al risultato di Forza Italia che, però, si determinerà l’esatta valutazione dell’esito elettorale complessivo. Quanto perderà Forza Italia, com’è prevedibile, considerata la scissione attuata dal NCD, la fragilità della proposta politica, i guai giudiziari di Berlusconi e Dell’Utri? Si tenga presente che tra il 2008 e il 2013 quello che fu il PDL perse circa 6.000.000 di voti e quel risultato fu considerato, alla fine, una “rimonta” da dati di partenza ritenuti ben più catastrofici. Potrebbe anche risultare alla fine che, scontata una scissione sicuramente minoritaria, il calo non risulti così vistoso, anche se lo sbandamento del Partito appare davvero molto forte. In ogni caso risulterà limitato il flusso verso il NCD che ha già fatto – più o meno – il pieno di voti “moderati” in uscita dall’ex-PDL e sta cercando di garantirsi il passaggio della soglia del 4% incamerando quell’1% che può essere calcolato come dotazione dell’UDC appena confluita. Più consistente forse l’appannaggio della Lega Nord ma il rivolo di voti in uscita da Forza Italia prenderà probabilmente la strada, da un lato, del M5S essendo la “questione europea” per i ceti medi impoveriti (non proletarizzati, beninteso) più importante di quella delle riforme e – soprattutto – quella dell’astensione come accade sempre quando cedono forze politiche provviste in partenza di grandi numeri; 4) Le difficoltà di Scelta Civica e della Lista Tsipras. Le difficoltà di Scelta Civica derivano, naturalmente, dal brutto esito elettorale dell’alleanza di centro nel 2013, con la contemporanea diaspora di Casini e sparizione di Fini oltre ad altre divisioni interne. Si tratta però di una debolezza strutturale di tipo davvero sistemico: dal “Mattarellum” in avanti il quadro politico italiano ha riservato pochissimo spazio alle posizioni centriste perché la fisonomia di quelli che sono stati i due poli principali di centrodestra e di centrosinistra (naturalmente in precedenza all’avvento del M5S) è sempre stato tale da occupare, sul piano politico, lo spazio che avrebbe dovuto essere occupato dal tipo di posizioni espresse via, via, da Segni, successivamente Casini e Mastella (comunque entrambi abili trasformisti) fino a Mario Monti. L’avventura dei “centristi” all’interno del sistema politico italiano si è sempre così rivelata, almeno dalla fine del proporzionale in avanti, quasi una “mission impossible”. La situazione della lista Tsipras, che i sondaggi danoi fluttuante fra il 3 e il 4% e comunque lontana dalla somma del 5,4% che si otterrebbe mettendo assieme i voti ottenuti nel 2013 da SeL e Rivoluzione Civile (operazione questa che, come dimostrò bene l’Arcobaleno, appare si misura sempre in perdita), deriva soprattutto dalla debolezza del messaggio politico (Inutilmente a cavallo tra l’europeismo “critico” e l’antieuropeismo), dall’assoluta marginalità dei soggetti politici che ne fanno parte e specificatamente di Rifondazione Comunista, dalla posizione “periferica” in termini di rapporto con il sistema politico dei cosiddetti “movimenti” che non riescono ad assumere una funzione comunque di tipo universalistico essendo del tutto decaduti i cosiddetti “corpi intermedi” e in particolare il sindacato (appare debole anche la presa esterna della stessa FIOM). “movimenti” appaiono davvero collocati su, pur importanti” “single issue” legate fra l’altro a specifiche situazioni locali. La lista Tsipras si è inoltre dimostrata nella sua formazione una sorta di “fusione a freddo” tra corpi diversi, neppure preceduta da un tentativo di aggregazione e protagonismo di base come fu, nel 2013, tentato con “Cambiare si può”, alla fine in ogni caso naufragato miseramente. Soprattutto, però, la lista Tsipras sconta il fatto di non risultare in grado di determinarsi attraverso una precisa posizione all’interno del quadro politico, come sarebbe stato invece possibile per una lista, anche “plurale” nella sua composizione, nella quale i soggetti partecipanti portassero ciascheduno la loro identità senza negarla ma accomunati (oltre che da visibili collegamenti a livello europeo) da una chiara posizione all’interno del sistema politico italiano: posizione che non poteva che essere quella dell’opposizione e della richiesta di “rottura” dell’Unione Europea partendo dalla materialità delle condizioni di classe determinate dalla gestione capitalistica del ciclo e poggiando su questo, assolutamente decisivo, elemento un dato di forte identità spendibile anche per l’immediato futuro. La Lista Tsipras non è nulla di tutto questo risultando oscillante nei suoi slogan tra “europeisti insubordinati” e “muoversi da Tspiras verso Schulz” (come sostiene SeL). Servirebbero alla Lista Tsipras per superare l’ostacolo dello sbarramento al 4% circa 1.300.000 voti( circa 9 voti per ogni firma raccolta per la presentazione della lista, ma questa volta senza vincoli regionali essendo lo sbarramento di livello nazionale) considerato che, in partenza, la somma SeL e Rivoluzione Civile nel 2013 ne raccolse circa 1.700.000 e valutata la prevedibile divisione nell’elettorato di SeL, l’assenza dell’Italia dei Valori che nel frattempo sicuramente vedrà i propri voti dirottati principalmente verso il PD e l’aggressività, essenzialmente mediatica di tipo televisivo(terreno sul quale il PD è favorito, lasciando al M5S la supremazia nel web e la capacità scenica di Grillo sulle piazze) che nelle ultime settimane caratterizzerà sicuramente la campagna elettorale di PD e M5S impegnati entrambi nella ricerca della maggioranza relativa e del minor distacco possibile in questo senso, il cammino della Lista Tsipras verso il 4% appare davvero molto duro. Tutte considerazioni opinabili quelle fin qui svolte: ma lo scenario di fondo, di un duello diretto PD/M5S appare davvero credibile e sarà dall’esito di questo scontro che dipenderà, in buona misura, il prosieguo della liberticida proposta di legge elettorale e quello delle altre riforme istituzionali e costituzionali, con buona pace – comunque – per chi aveva impostato tutto sul nesso presidenzialismo/bipolarismo.

Perchè il “quantitative easing” non è la soluzione / capitali / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Jobs Act, così l'eccezione diventa la regola / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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Verso il quantitative easing della Bce, che cos'è e perché rischia di non bastare - Pagina99.it

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La politica monetaria della BCE: una sola misura non va bene per nessuno | Keynes blog

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Qualche illusione statistica sulla spesa pubblica italiana | Keynes blog

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Krugman: negli Stati Uniti il capitale regna ancora sovrano - Il Sole 24 ORE

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venerdì 11 aprile 2014

mercoledì 9 aprile 2014

Jobs Act, l’Italia denunciata alla Commissione Europea - micromega-online - micromega

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Elio VeltrI: LA FINANZA GLOBALE: FARINA DEL DIAVOLO? | Elio Veltri | ArcipelagoMilano

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MOSCHEA A MILANO. RELIGIONE POLITICA E COSTITUZIONE | ArcipelagoMilano

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Paolo Bagnoli: Le ragioni di una scelta

LE RAGIONI DI UNA SCELTA Quando,qualche mese orsono,decidemmo di dar vita alla Rete Socialista non pensavamo che i fatti politici ci avrebbero dato ragione così presto. Allora,insieme a un gruppo di compagni per lo più provenienti dall’esperienza di Volpedo,si ritenne di compiere un atto di fedeltà ai nostri ideali e di sfida al quadro complessivo della politica italiana promovendo un qualcosa che permettesse al vulgo disperso - che,a differenza di quello manzoniano,un nome però l’aveva:socialista, appunto – di mettersi insieme di mettere insieme considerati due grandi vuoti e due grandi equivoci. I primi due erano,e sono,la totale assenza di sinistra e la totale assenza di una soggettività socialista degna di questo nome;i secondi due,ritenere che il Pd potesse essere mai il “luogo” socialista italiano e che nemmeno Sel lo potesse essere. Formalmente il primo lo è diventato poiché Renzi ha fatto aderire il suo partito al campo socialista europeo;sul secondo ci si domanda ancora,senza nemmeno il senso del ridicolo,se mai Sel abbia fatto formale domanda e dove, eventualmente, questa sia andata a finire;inoltre,se una lettera c’è, perché non venga data risposta. Una pantomima che ci ricorda un racconto di Gabriel Garcia Marquez:Nessuno scrive al colonnello,che almeno aveva il pregio di una buona fattura letteraria. In merito all’adesione del Pd al Pse occorre una postilla. Proprio in questi giorni alcuni socialisti che si erano,già da tempo,schierati con Renzi, hanno cantato vittoria sostenendo che non solo l’avevano vista giusta,ma che Renzi ha, di fatto, “rovesciato la prassi”–l’espressione ha un sapore marxiano,ma su di essa,come taluni sanno, i socialisti hanno dibattuto molto e ad alto livello intellettuale – in quanto, con la sua scelta ha dimostrato che,per una volta non sono i comunisti che mangiano i bambini,ma un bambino che ha mangiato i comunisti! Ognuno,naturalmente,si diverte come meglio crede. Se ci si riferisce al fatto che Renzi è arrivato là dove nessuno dei dirigenti di provenienza comunista era arrivato, è vero,ma il pasto che ha fatto non deve averlo riempito poi molto considerato che i provenienti dal Pci-Pds-Ds da tempo si erano essiccati;l’ultima generazione,quella rappresentata da Gianni Cuperlo,per il quale abbiamo rispetto e attenzione,a dissolversi ha fatto prima della compagnia bersaniana che ha molti soldati in trincea – ossia parlamentari – ma tutti pacifisti visto che nessuno spara un colpo! Il fatto, poi, che nel simbolo del Pd sia stato trovato uno strapuntino per appoggiarvi il nome Pse non dice nulla e non risolve né la crisi del Pd né quella del Pse che non è capace di essere nemmeno una “cooperativa” – l’espressione “ditta” la lasciamo al buon Bersani – qual è il primo.Il Pse,infatti,è un qualcosa che non si sa di cosa si occupi e quale ruolo svolga effettivamente –oh,sì, di documenti ne produce - se non quello di giustificare un gruppo parlamentare il quale,peraltro,stante il vuoto del socialismo italiano e la crisi immensa della Spd, ha bisogno,per essere, di altri deputati che non sono né carne né pesce ed ecco,allora,che i democratici italiani calzano a pennello. Così, abbiamo Martin Schulz – detto fra noi ci sembra più l’altra faccia tedesca di Angela Merkel che non un profilo alternativo al sistema – e che,comunque,essendo il volto del socialismo europeo in Italia conta su un boy scout che ha fatto strada e su un nutrito numero di democristiani variamente assortiti che costituiscono la sostanza vera del segretario-presidente. Il Psi che,per l’ occasione,pensavamo,se non altro per ragioni di orgoglio,avesse qualcosa da dire, si rituffa nella piscina del Pd,ben attento che non chiudano improvvisamente l’acqua,in tranquilla apnea politica. Anche se la realizzabilità sarebbe stata pari allo zero,almeno per facciata,fare un qualcosa che, nell’occasione delle elezioni europee, costituisse un’occasione di incontro tra il socialismo diffuso,ce lo saremmo aspettato. E’ proprio vero che la serietà porta a dei transfer sbagliati! Lo strapuntino su cui sta appoggiato il Pse nel simbolo Pd non tragga in inganno;in Italia Schulz si legge Renzi;nemmeno Bersani o altri della “ditta”,ma se il boy scout non piace si può tradurre Marini,Gentiloni,Zanda,Bindi; ci fermiamo, il rosario sarebbe lungo. Niente di male basta saperlo;forse per arginare la destra può anche servire votare Pd,ma Schulz non c’entra niente,né il socialismo europeo. Se,ancora, si pensa che la vera forza del boy scout è un pregiudicato il quale,in quanto capo dell’opposizione – nell’ attesa probabile che Grillo proprio alle europee gli tolga il ruolo - chiede “agibilità” e,quindi,la violazione della legge,beh!,tutto diventa più complicato. Almeno ci pare;oppure no? Oltre al socialismo europeo c’è un altro fantasma che si aggira in Italia:la lista Tsipras. Confessiamo che vi avevamo guardato con una certa attenzione e non per il mix politico di residualità e professorume messo insieme,ma in quanto postazione da cui poter lanciare almeno un grido,una rabbia,una protesta che testimoniasse la presenza di una sinistra sui generis,improvvisata,ma certo,anche se velleitariamente alternativa, che permettesse ai socialisti che non sono ne vogliono farsi lupetti né tantomeno nuotare nelle acque altrui,di esserci;esserci come tali. Ci saremmo aspettati una qualche apertura di attenzione verso quest’area;di più: si è anche cercato di sondare la possibilità di un confronto pronti a dare e a mettere del nostro,ma anche per Tsipras la questione del socialismo non esiste e dove può mai andare una sinistra che non si pone questo problema? Particolarmente in Italia,un Paese che è stata anche “magna Grecia”,ma del tempo ne è passato. E allora? Allora,da un’ottica socialista interessata alle ragioni del socialismo, le elezioni europee sono un’altra occasione persa. Di fronte a tutto ciò le ragioni coesive che hanno portato alla costituzione della Rete Socialista che,per augurio ha anche la dizione Socialismo Europeo,ma non per Schulz,bensì in quanto il nostro socialismo non solo affonda nei valori della civiltà occidentale,ma è federalista da sempre – se si vogliono dei nomi,Carlo Rosselli,Eugenio Colorni,Ignazio Silone,Piero Calamandrei,Tristano Codignola,Mario Zagari,buttando là a caso – ci sembrano oggi più valide di ieri. L’obbiettivo è quello di arrivare a raccogliere attorno a un progetto politico ricostituivo le tante membra sparse,facendo un passo avanti rispetto a confusionarie trasversalità poiché se,fino alle europee, la storia di essere socialisti da altre parti aveva una sua qualche comprensione,adesso ci sembra non averne, considerato che nè il Pd,nè Sel,nè il Psi – che sta al Pd come quella mascotte che accompagna sempre scodinzolando l’impettito reggimento delle guardie di Sua Maestà – tutto facciano fuorchè porsi il problema che a nostro avviso è centrale:vale a dire, compiere tutti gli sforzi per arrivare a una Epinay italiana,non chiusa a nessuno,ma nemmeno caudataria di nessuno,con grande chiarezza e linearità. Ce la faremo? A ora la partenza è stata lenta per motivi oggettivi;ora bisogna accelerare il passo per tentare;tentare seriamente confrontandosi su tre piani:la cultura politica,la politica e l’organizzazione. La novità rispetto ad altre esperienze tipo quella del Network promossa da Lanfranco Turci consiste in questo:mentre il Network si motivava non tanto in funzione di se stesso,ma di quanto succedeva in altri –Pd e Sel – nella speranza che uno dei due potesse essere appellabile come socialista o,quanto meno potabile per dei socialisti,la Rete ha l’ambizione di essere il frutto,da costruire nei fatti,di un pensiero compiuto del socialismo italiano nel quadro strategico dei una sinistra anch’essa tutta da reinventare entro lo scenario,decisivo della democrazia italiana,di un vero e proprio Reinventing the politics. Qui non si tratta di sapere se si deve essere socialdemocratici,socialisti liberali o chissà cos’altro:si tratta di dare senso culturale e politico al socialismo. Ecco perché la Rete è una grande scommessa,se andrà male non sarà colpa del “destino cinico e baro”,ma solo nostra. PAOLO BAGNOLI