Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
giovedì 28 febbraio 2013
Paolo Bagnoli: Ben altro!
Dall'Avvenire dei lavoratori
La situazione politica
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Ben altro!
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A un primo fiuto della situazione ci sembra che sarà molto se questa legislatura servirà a eleggere il nuovo presidente della Repubblica.
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di Paolo Bagnoli
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L’Italia ha votato e ha scelto quanto da tempo era evidente, se non formalmente: l’ingovernabilità. A un primo fiuto della situazione ci sembra che sarà molto se questa legislatura servirà a eleggere il nuovo presidente della Repubblica. E poi? Niente calza meglio del detto:chi vivrà vedrà!.Quello che è certo,su tutto,che nessuno sembra avere la percezione vera della crisi in atto;un dato che non sempre le semplici elezioni riescono a sanare. E infatti di idee non ne sono venute fuori;invettive,promesse,minacce a iosa,ma idee,cari signori,no;esse sembrano essere una merce ormai bandita dalla politica italiana. Eppure, se il Paese comincerà,prima ancora dell’Europa – che rimane lo scenario di riferimento, non di servilità come lo ha interpretato,e si è visto con quali risultati,Monti - vorrà sapere come uscirne,di idee ne avrà tanto bisogno,prima degli schieramenti,delle primarie,dei giaguari,dei moderati,dell’onnipresente politica per le famiglie,delle mobilità in entrata e altre amenità del genere;è di idee che avrà bisogno:meno retroscena e più scena,quella che oggi Beppe Grillo tiene con vuotezza pari all’intelligenza.
Vediamo di ragionare. Che Grillo avrebbe sfondato era fuori discussione; nessuno si immaginava che il buco fosse così grande:alla Camera i 5 Stelle sono,anche se di pochissimo,sul Pd il primo partito che con un misero 25,4% - un po’ poco per cambiare il mondo - è appena quattro punti sopra Berlusconi e solo grazie a una manciatina di voti ha agguantato il premio di maggioranza,ossia quella cosa scandalosa che,peraltro,gli servirà a ben poco. Sicuramente l’incarico del governo,che poi riesca ad avere anche il governo è tutto da vedere. Governare,chi lo sa.
Nel corso di tutta la campagna elettorale Bersani aveva consegnato al Paese l’immagine della forza tranquilla;di cosa potesse essere tranquillo solo lui lo sa,ma fatto è che una qualche tranquillità doveva averla veramente e lo si coglieva quando accennava alle primarie. Tragico,infantile errore;innamorato delle primarie non ha capito che il voto popolare è altra cosa e questo voto sembra portarsi,come bagaglio a presso,la crisi irreparabile del Pd,l’unguento miracoloso delle primarie e forse anche l’unità del partito stesso poiché è nella logica delle cose che ora Renzi molli gli ormeggi:l’occasione gli è offerta su un piatto d’argento. L’affermazione di Grillo offre una sponda fortissima per alzare la bandiera del rinnovamento,ma per tentare di far sventolare questa bandiera occorre un pennone che sia altro rispetto al Pd.
Con la sua battuta di smacchiare il giaguaro Bersani era risultato simpatico,aveva fatto capire che lui,glielo avevano detto anche le primarie,avrebbe liberato il Paese da Berlusconi e dal berlusconismo; tuttavia, visto che è così addentro alle cose di animali avrebbe dovuto sapere anche che non è mai saggio vendere la pelle dell’orso prima di averlo preso. L’orso non l’ha preso e il giaguaro,che già era andato via,grazie al Pd e a Monti, è tornato tutt’altro che debilitato;più lo hanno attaccato più ha saputo vendere la propria merce e l’emissario dell’Europa ora dovrà spiegarlo ai rigidi tedeschi aggiungendo che il fallimento politico conquistato fa diminuire anche il senso di Europa in Italia. Per non farci divenire come la Grecia ci ha portati da Grillo:non c’è che dire!
Ora Bersani,mai dimentico di essere comunista,adotterà la ricetta che D’Alema adoperò per Di Pietro,ossia“istituzionalizzarlo”.Di Pietro stette al gioco e poi andò a giocare sulla sua porta. Ma Grillo non è Di Pietro; egli ha giocato solo una parte della partita per mandarli a casa tutti costi quel che costi alla democrazia italiana – mai come adesso vicina al bivio di una svolta a destra, oligarchica e autoritativa - e con i seggi che ha è il vero arbitro delle Aule parlamentari. E se il dato dei votanti è alto – il 75,1% -e sicuramente si tratta di una cosa positiva, è anche vero che con una adesione alle urne praticamente insperata le riserve di implemento per Grillo sono notevoli.
Dicevamo del giaguaro. Il recupero di Berlusconi è stato veramente eccezionale. Non era difficile prevederlo considerata l’abilità mediatica del cavaliere e il fatto che la negatività personificata da Monti lo hanno oggettivamente favorito. Inoltre,lo ripetiamo perché ci sembra una cosa su cui riflettere seriamente,essendo tornato a essere lo spauracchio di Bersani, Berlusconi ha acquisito nuovo smalto ed egli, da bravo rappresentante di se stesso, ha giocato le sue carte,certo con grande abilità.
Il fallimento di Monti,come uomo di governo e leader politico,è addirittura palmare. Esso ci dice sostanzialmente due cose:il primo è che gli italiani,nonostante tutto,pur considerata la grave crisi che attraversiamo,preferiscono un qualcosa che assomigli alla politica rispetto alla sapienzialità euro-tecnocratica;la seconda è che egli,insieme a Grillo,pur nell’insuccesso,ha contribuito a destabilizzare quel poco di sistema che ancora stava in piedi segnando,altresì, il tramonto dell’autonomia centrista e quella dell’ancoraggio sacralizzato all’Europa germanizzata. I suoi voti non servono nemmeno al Senato poiché l’alleanza berlusconiana più Grillo supera il centro-sinistra.
Il centro, i moderati, e compagnia cantando, sembrano oramai transitati nel mondo dei più;almeno per questo giro.
Infine un’osservazione finale. Essa riguarda sia la sinistra “sussidiaria” di Vendola che quella “radical-giudiziaria” di Ingroia i cui fallimenti hanno confermato che essa potrà risorgere solo se rinascerà una forza socialista autonoma,forza della democrazia e della lotta alle ingiustizie sociali. I socialisti ufficiali andando a cercare ciambelle per qualche salvataggio castale nel Pd hanno fatto la fine della nave di Schettino. Crediamo sia veramente scoccata l’ora per dire che, per quella strada, non passa niente di socialismo, se non un aggettivo il quale, però, merita ben altro!
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Andrea Ermano: Il principio di realtà
Dall'Avvenire dei lavoratori
Il principio di realtà
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I fattori di consenso emersi dalle urne contraddicono ogni pretesa di egemonia montiana sul centrosinistra. Ma soprattutto escludono ogni ipotesi di Grosse Koalition.
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di Andrea Ermano
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Il principale dato emerso dall'analisi di Roberto Mannheimer sui flussi di consenso nella tornata elettorale appena conclusasi è presto detto. Circa 16 milioni di elettori hanno mutato orientamento rispetto alle precedenti politiche del 2008. Poco meno di metà dei votanti (un terzo degli aventi diritto) è passato cioè dal voto al non voto o viceversa, oppure da una forza politica all'altra.
Il Cavaliere perde oltre 6 milioni di consensi. Qual è la composizione "di genere" di questa grande fuga dal berlusconismo? È lecito supporre che moltitudini di persone percepiscano ormai una sorta di cesura interiore verso un miliardario che si trova sotto processo per corruzione di minorenne. In ciò il crollo della Seconda repubblica, come e più della catastrofe di vent'anni fa, sfonda la zolla del "pudore".
La questione del pudore – notava Perniola nel 1992, quando la deriva di cinismo weimariano tuttora in atto stava incominciando – è la base prepolitica del nostro comune sentire. Su di essa poggiano la coesistenza sociale e l'architettura statuale, cioè il cosiddetto "diritto naturale" cui si richiama Agamben nel suo ragionamento sulla crisi di legittimità che investe oggi "tutti i poteri e le istituzioni".
A tale dinamica globale, si aggiunge l'evento sismico italiano. Ed esso, se non tutto è inganno, pare destinato a investire Berlusconi in modo particolare. Perché? Per la questione del pudore di cui sopra e perché il tentativo di legittimarsi da sé tramite l'esercizio del potere mediatico è collassato.
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Fin qui i fatti. E veniamo al quadro politico. Anzitutto, non pare sbagliato il pronostico di Nanni Moretti secondo cui queste elezioni avrebbero liberato 60 milioni di ostaggi. Il Cavaliere sarebbe ben consigliato se decidesse ora di compiere quel bel gesto, quel passo indietro, che in molti auspicano da diversi anni: ritirarsi a vita privata, magari in una villa lussuosa su un'isola tropicale.
Italia Bene Comune ha conquistato il premio di maggioranza alla camera e 121 seggi al Senato. Per "fiduciare" un governo occorrerebbero ancora una quarantina di senatori e Monti ne ha eletti solo 22. Alla fine Bersani potrebbe anche non trovare numeri sufficienti. Ma la strada è ancora lunga e tutto questo si vedrà quando il nuovo Parlamento avrà eletto i presidenti di Camera e Senato. E quando i nuovi parlamentari si saranno schierati all'interno dei loro gruppi o con i "realisti" o con i "fondamentalisti".
È facile comprendere che la XVII legislatura potrà iniziare veramente soltanto se i "realisti" includeranno nel loro novero la maggior parte dei senatori. A sua volta questa maggioranza senatoriale non potrà che imperniarsi su Italia Bene Comune. Proviamo a riflettere sul responso delle urne in forza del quale toccherebbe a Bersani il compito di esplorare la formazione del prossimo esecutivo.
Si tenga presente che, nel duello Monti contro Vendola, gli elettori hanno negato a Monti una funzione decisoria nella formazione della nuova maggioranza, consegnando invece in dote a Vendola oltre un milione di voti (600 mila più che nel 2008) e affidandogli con ciò un ruolo determinante nel conseguimento del premio di maggioranza da parte del centrosinistra.
L'esito di questo duello è coerente con le linee di forza dell'affermazione grillina. Nel senso che tutti i fattori di consenso fin qui emersi contraddicono ogni pretesa di egemonia montiana sul centrosinistra. Ma soprattutto le urne escludono ogni ipotesi di Grosse Koalition tra Bersani e Berlusconi.
Bene ha fatto, quindi, Bersani a dichiarare che il centrosinistra si appella alla coscienza dei parlamentari M5S ai quali offre un accordo per la presidenza della Camera.
Questa presa di posizione obbedisce alla dura logica del principio di realtà.
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Pierluigi Bersani
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Ovviamente, Grillo teme ora di perdere il controllo sui "suoi". Per questo tenta di sbarrare ogni prospettiva di dialogo con Italia Bene Comune giungendo a definire il leader del PD un "morto che parla". Farà di tutto per impedire una partecipazione dei parlamentari M5S alla gestazione del nuovo esecutivo. Ci riuscirà?
Certo è che un governo Bersani dovrebbe concentrarsi sulle emergenze economiche e sulla questione sociale. Non può esser compito di una maggioranza di governo, invece, redigere le pur necessarissime riforme costituzionali, e ciò dentro un Parlamento di "nominati", per di più instabile.
Occorre un'Assemblea costituente, da eleggersi con metodo proporzionale e capace di lavorare al riparo dalle turbolenze politico-parlamentari. L'elezione di un'Assemblea Costituente dovrebbe mettere il popolo italiano nelle condizioni di esprimere uno specifico mandato sulla "forma di governo", in analogia con il referendum istituzionale del 1946 sulla forma di Stato.
Su questa base i costituenti sapranno se la riforma andrà modellata guardando al sistema americano, francese, tedesco ecc. È l'unica base seria, legittima e realmente fattibile per ridisegnare l'architettura istituzionale del nostro Paese in un passaggio storico ad altissimo rischio.
mercoledì 27 febbraio 2013
Claudio Bellavita: Adesso strizziamo i fazzoletti e lavoriamo
Finiamo di piangerci addosso e dar la caccia ai colpevoli e partiamo dal fatto che in questo parlamento ci sono tra pd, sel e 5 stelle oltre 175 senatori e un numero spropositato di deputati.
Cento anni fa i socialisti si divisero tra quelli che sostenevano il "programma minimo" che avviò il welfare in Italia e i massimalisti, che ritenevano che queste cose sottraevano energia alla rivoluzione, e avviarono Mussolini e il discredito in cui è precipitata la parola "comunista". Non credo sia inutile censire le decisioni che potrebbero trovare d'accordo tutti questi parlamentari, su un programma minimo da attuare prima di decidere se fare nuove elezioni o tirare avanti, e restituire un po' di credibilità alle istituzioni e anche a quei disgraziati che hanno la malattia della politica.
Riduzione dei costi della politica, nuova legge elettorale (non è possibile che il PD abbia 120 deputati eletti e 200 regalati dal porcellum, non è democrazia), conflitto di interessi, revisione IMU prima casa, ripristino prescrizione e legge anticorruzione per cominciare.
Poi , dopo le nostre elezioni l'Europa ha paura: sono tutti a rischio, anche la Germania, l'Italia non è la Grecia, non possono non sentirci: programma europeo di rilancio dell'occupazione con un bilancio europeo decente: se l'Inghilterra non ci sta, se ne vada, un paese conservatore in meno , con i suoi inutili commissari , come la baronessa che ha solo creato un nucleo di spesa con la diplomazia europea che non si è mai sentita se non negli stipendi. Però preoccupiamoci di mandare a parlare gente che usi una lingua diversa dal poltichese italico: l'Italia conta poco anche perchè i traduttori in simultanea non ce la fanno a tradurre i nostri politici: il primo comprensibile è stato Monti...
Francesco Somaini: Tre ipotesi
E adesso?
Le elezioni legislative, con l'esito imprevedibile che hanno prodotto, ci consegnano un Parlamento che ha di fatto davanti a sé soltanto tre ipotesi:
a) una "Grosse Koalition" del Centro-Sinistra con la Destra berlusconiana (e con i Montiani).
b) un percorso accidentato di dialogo con il Grillismo;
c) il ritorno in tempi brevissimi al voto
La terza soluzione mi parrebbe poco sensata (perchè non c'è nessuna garanzia che un nuovo voto ci consegnerebbe una situazione meno incasinata di quella prodottasi). E comunque un ritorno alle urne non potrebbe aver luogo prima dell'elezione del nuovo presidente della Repubblica, essendo ormai iniziato il cosiddetto "semestre bianco" per cui non è più possibile scioglere le Camere (nemmeno una sola delle due). Lo vieta espressamente l'art. 88 della Costituzione.
Se d'altra parte il PD si orientasse verso una Grosse Koalition con la Destra Berlusconiana, il PD stesso si condannerebbe secondo me ad esplodere (e poi a scomparire quando si dovesse tornare a votare).
Io in ogni caso troverei deleteria ed improponibile qualunque soluzione di "governissimo" con Berlusconi, foss'anche nella variante di un eventuale appoggio esterno della Destra ad un governicchio di minoranza del Centro-Sinistra (che dovrebbe fatalmente essere molto accondiscendente verso tutti gli interessi privati di Berlusconi). Un punto mi pare infatti ben chiaro: il Paese deve assolutamente voltare pagina rispetto al Berlusconismo. La prima priorità è uscire da quella stagione.
Rimane pertanto la terza ipotesi: la strada - non certo facile - di aprire un dialogo con il Movimento di Grillo (ammesso però che i grillini siano disponibili ad assumersi delle responsabilità). Certo, con questo si delineerebbe una situazione indubbiamente dinamica, in cui comunque si metterebbero fatalmente in movimento processi politici nuovi. Il PD così come lo conosciamo potrebbe egualmente non riuscire a sopravvivere. Ma per noi che vorremmo un vero partito socialista questo potrebbe anche essere un processo interessante, in cui forse potremmo riuscire perfino a giocare qualche ruolo.
Comunque sia, mi pare evidente che l'esito imprevedibile di queste elezioni apra davvero una stagione politica in cui difficilmente le cose potranno restare così come le abbiamo viste finora.
Il paesaggio politico, in ogni caso, è destinato a cambiare.
E non è detto che questo sia un male.
Un saluto,
Francesco Somaini
martedì 26 febbraio 2013
Vittorio Melandri: Governabilità
Che malinconia a leggere quei numeri accanto al nome PSI: 57.696 voti pari allo 0,2%.
Sia chiaro, è una malinconia di carattere masochistico, dato che vi ho contribuito nel mio piccolo, non votandolo.
Ugualmente a rinfocolarla basta ricordare che nel 1972 il 9,6% fu considerato una sconfitta, che ripetere lo stesso risultato nel 1976 costò la segreteria a De Martino e che nel 1978 il Craxi segretario prima maniera, conquistò proprio un + 0,2% arrivando appunto al 9,8%, prima del ‘grande’ balzo nelle due cifre.
11,4% nel 1983
14,3% nel 1987
14,8% alle Europee del 1989
….. sino al ‘triste solitario e final’ 13,6% del 1992.
Ma tant’è da quando nel disgraziato 1998 gli ex PCI hanno intrapreso la deriva che li ha portati al PD, sul socialismo italiano così bravo a farsi del mare da solo, è stato cosparso il sale.
Questa mattina però, a farmi veramente infuriare oltre l’ennesima delusione accumulata nella notte, è il fatto che …. c’è qualcosa di marcio nel “media system” italiano.
Ma come, lo stesso “media system” che ha accompagnato vent’anni di governabilità, garantita da uno considerato maestro “venditore di frigoriferi agli esquimesi”, e dal suo compare dottore “farlocco”, e sostenitore della secessione del nord, all’indomani di una tornata elettorale in cui il popolo sovrano ha parlato, all’unisono, il detto “media system”, proclama l’ingovernabilità del paese?
Viene in mente quel Ford che dichiarava, “vi faremo macchine di qualsiasi colore purché siano nere”, parafrasando il quale si potrebbe dire che nei titoli del “quarto potere italiano”, si sente l’eco della democratica affermazione:
“votate pure come volete, purché il governo sia quello che decidiamo noi… e i mercati”.
Personalmente ho dato retta a Bersani.
Ho speso il mio unico voto in modo utile, e non potendo esprimerlo per il “PD nuova DC”, causa un divieto espresso dal mio medico curante, mi sono preso ugualmente qualche rischio per la mia salute mal messa, ed ho votato per lui, votando Sel del devoto di S. Pio con lui alleato.
Ora leggo di necessarie larghe intese.
Per quel che vale il mio insignificante parere, o Bersani mette al più presto in piedi un governo che le “larghe intese” le realizza sul campo, in modo trasparente aggregandole attorno ad un progetto immediato fatto di proposte di “Legge anticorruzione/falso in bilancio - Legge elettorale - Dimezzamento dei parlamentari - Legge sul conflitto di interessi” ed altre tremendamente necessarie al paese, cioè automaticamente invise a Berlusconi e alla sua orrenda coorte, oppure se le larghe intese sono quelle volute da Napolitano/Monti/Violante/Letta nipote/Letta zio, vanno tutti a farsi maledire per sempre, e la prossima volta non voto Grillo, gli mando direttamente la mia carta d’identità e la mia scheda elettorale, sempre che non mi sia deciso prima, in un qualche modo, ad andarmene per sempre da questo paese di merda.
Vittorio Melandri
Claudio Bellavita: Fine della seconda repubblica
...e fine del petulante bipolarismo, fine dei governi tecnici che si sostituiscono ai politici inetti e dissipatori, dei commentatori politici che non capiscono niente al di fuori dei giochini di palazzo. Esattamente come alle regionali in Sicilia, ma con una % più alta , i grillini sono il primo partito d'Italia. Il ceto politico, giornalistico , affaristico e burocratico sta già pensando come passare sopra a questa evidenza, esattamente come è passato sopra alla vittoria del referendum sull'acqua. Quel che secondo lor signori non è politicamente corretto non esiste, perchè non deve esistere.
La soluzione c'è, per tirare avanti: la tempra morale degli eletti di Berlusconi è tale che ci vorrà pochissimo per mettere insieme una pattuglia di senatori che assicuri la maggioranza al Senato. Chiederanno di essere pagati, ma in fondo gli basta tirare in lungo a stipendio pieno l'ultima legislatura che una legge elettorale demenziale gli assicura. Come d'altra parte sono rimasti a stipendio pieno le centinaia di direttori generali dei ministeri, moltiplicatisi come un tumore durante la seconda repubblica, e che essendo così tanti assicurano l'impossibilità di fare delle riforme, perchè sono in troppi per redigere i necessari regolamenti applicativi, che sarebbe la parte di loro competenza.
Quest'anno i risultati elettorali sona arrivati in ritardo perchè il materiale consegnato ai seggi era pieno di errori, le scritte sulle buste non corrispondevano ai moduli che bisognava firmare mille volte, le buste non erano adatte a quello che tassativamente dovevano contenere. Non abbiate timore, i responsabili di questo carnevale saranno tutti promossi, per questo abbiamo un governo dei tecnici, cioè fatto da quelli di loro che garantiscono l'applicazione degli ordini di Bruxelles, anche e soprattutto se basati su ipotesi sbagliate.
La modesta soddisfazione che ci è data è la sparizione dei tanti petulanti imbecilli che affollavano i contorni della politica della seconda repubblica: quelli che senza di loro non si può fare un telegiornale ( come l'insopportabile Casini), quelli che senza di loro non si può essere di sinistra, quelli che non essendo capaci di fare i magistrati ci fanno vedere che non sono neanche capaci di fare politica, e tanto meno gli amministratori locali, quelli che vivono di nostalgie, dai vetero socialisti ai neoborbonici, alle badanti di Pannella, ai rifondatori di ogni cavolata seppellita dalla storia.
Non ci resta che sperare in una difficile capacità di autoriforma del partito miracolato da queste elezioni che per 120.000 voti di differenza ha l'onere di indirizzare il paese, dove raccoglie solo il 30% dei voti e una % molto maggiore di antipatie.
Avrà il PD la capacità di indirizzare se stesso al di fuori degli interessi delle lobby di un apparato di potere, fondamentalmente tosco-emiliano, con propaggini laziali, fatto da dirigenti di enti locali e di servizi pubblici di ridotte attitudini ma di elevate pretese, idem per i cooperatori, che pensa di poter governare con i suoi staffisti, i "tecnici della società civile" che spacciano derivati e ricette della tecnocrazia europea senza capirne una mazza, e gli intellettuali di contorno che organizzano recite su temi arcadici : un giaguaro difficile da smacchiare, soprattutto da autosmacchiare? Dove trovare le forze per un ricambio, in un contesto in cui chi cerca di emergere viene abbattuto, sempre con ipocrisie democraticiste: facciamo le primarie a velocità controllata, immettiamo donne e giovani purchè delle nostre famiglie, collaboriamo col sindacato purchè si comporti come noi e lo aiutiamo a coprire le magagne dei centri di formazione che formano solo stipendi per i formatori e tangenti per i loro dirigenti, collaboriamo con chi ci aiuta a sostenere che non c'entriamo con Penati e Monte Paschi?
..Eppure questa autoriforma in tempi brevi e con un massiccio ricambio è la sola speranza che ci resta, prima del tracollo generale alla prossima puntata: ma bisogna entrare a sporcarsi le mani, non si può star seduti al bar sport a commentare e segnare i punti. Anche perchè i commenti li scrivono loro e i loro amici giornalisti che sperano di sopravvivere alla crisi della carta con un posto in RAI...
Salvatore Salzano: Riflessioni post voto
Cari compagni,
due giorni fa su questsa mailing list, elirs@libero.it scriveva così:
"il banco di prova delle teoria e degli enunciati è la "PRASSI". I socialisti perbene queste cose, con amarezza, conoscono e sanno. I moderni vendicatori saranno le "orde grilline" , protagoniste di una inedita forma rivoluzionaria, certamente capace di sradicare dalle poltrone dei palazzi parecchi marpioni. Un rinnovamento certamente benefico. Gli sviluppi sono da verificare, senza anticipazioni ipotetiche e pretestuose."
Oggi, dopo i risultati elettorali, possiamo fare due cose:
1) piangere per l'ennesima sconfitta e dire che la colpa è sempre degli altri e cercare le ragioni del perchè è accaduto ciò che non volevamo (tradotto in termini filosofici significa dire "la colpa è della realtà che non si adegua al nostro pensare")
oppure:
2) analizzare, da socialisti, quello che è realmente accaduto e capire quali sono i nostri spazi di azione.
Io preferisco questa seconda strada. Vivo sulla cresta di una collina, nell'Oltrepo' pavese. Il 26 aprile del 2009 mi sono svegliato, dopo due giorni di pioggia, e affacciandomi dal terrazzo ho scoperto che tutto il mio terreno era franato a valle, e vivevo sull'orlo del precipizio. Invece di piangere e maledire il tempo e il terreno che non capivano le mie esigenze, mi sono fatto coraggio e ho cercato una soluzione per gestire il cambiamento: adesso, dopo una serie di interventi pensati ad hoc, con l'aiuto di un valido ed onesto geologo (fra l'altro era candidato SEL alla regione Lombardia), ho cambiato tutto il modo di concepire lo spazio dietro casa e l'ho trasformato in una comoda stradina che scende giù a valle. Per farla breve, da una frana ho realizzato qualcosa migliore rispetto a ciò che avevo prima.
E' la stessa cosa per il quadro politico attuale.
Di cosa ci siamo lamentati fino ad oggi?
1) il PD aveva ingessato e fagocitato la sinistra, perseguendo una politica di egemonia.
2) il PD non aveva il coraggio di mettere in atto politiche di sinistra, socialiste, in chiave moderna, da terzo millennio
3) la sinistra nel suo complesso non aveva la capacità di parlare alla gente, che non vedeva mai realizzate le promesse che la sinistra di volta in volta faceva.... c'era sempre da mediare, da essere realisti, da capire le ragioni dell'altro..... e intanto perdevamo consensi e credibilità.
4) i meccanismi di gestione della rappresentanza elettorale impedivano la possibilità di cambiamenti forti e duraturi.
Adesso questo voto ha scardinato un sistema politico ingessato, che si perpetuava e non voleva cambiare niente. Io ho votato SEL, anche se sono fra quelli che non ha gradito per niente le primarie e l'alleanza con il PD, e lo sapevo che avremmo preso una batosta, perchè la gente è stanca e non c'è più tempo.
Adesso però è successo qualcosa di imprevisto: a guardare i numeri ci sarebbe una maggioranza fortissima al Senato CSX + Grillo. E se andate a guardare il programma di Grillo, scoprirete che molte cose ci avvicinano a lui, e su altre si può discutere. Allora cosa aspettiamo? Forse temiamo il fatto che il PD vuole sempre fare la parte del leone e non accetta l'idea di un governo con un partito del suo stesso peso? Forse che riteniamo meglio governare con Monti che non con la gente incazzata? Forse vogliamo fare quelli che preferiscono sempre perdere piuttosto che assumerci il rischio di provare a fare qualcosa di serio? Forse vogliamo prenderci la responsabilità di lasciare il paese ingovernato credendo che poi alle prossime elezioni la gente ci dia il 51% dei consensi?
E' venuto il momento di prendersi delle responsabilità davanti alla storia e davanti al Paese.
Secondo me adesso possiamo pensare ad una ipotesi di governo che ci consenta di rompere nettamente con Monti, Berlusconi, ma anche con tanti moderati del PD, quelli che hanno sempre frenato ogni cosa, e pensare a un nuovo modello di economia, basato su green economy, cultura, ritorno del ruolo dello stato in alcuni settori strategici, rinegoziare le condizioni per stare in Europa, il reddito di cittadinanza....... insomma, su molti aspetti Nichi Vendola dice cose che dice anche Grillo. Solo che noi, la Sinistra, non avremmo mai avuto la forza di imporre nulla al PD, che ha mangiato in un sol boccone il PSI e ha demolito SEL. Adesso invece i rapporti di forza sono rovesciati.
Paradossalmente, adesso c'è lo spazio per tornare a parlare di bisogni della gente, di centralità del lavoro, di ambiente... tutte cose che hanno a che fare con la parola Socialismo. E se in Italia abbiamo il coraggio di provare ad essere trainanti in questo cambiamento, le ripercussioni a livello Europeo e mondiale potranno essere positive.
Certo, molte cose ci dividono da Grillo, ma a ben vedere anche dal PD ci dividono molte cose, e comunque le persone responsabili, ad un certo punto, cercano di vedere le ragioni dell'unità rispetto a quelle della divisione.
Qualcuno dice che "questi" (i grillini) non li conosciamo e quindi non possiamo fidarci.... Perchè, forse il fatto che Berlusconi, Monti, Casini, Ichino li conosciamo significa che possiamo governare con loro? Ma non eravamo noi quelli che lottano contro i pregiudizi e hanno il coraggio di cambiare?
Ci vuole molto coraggio, certo, ma in fondo, questa è una fase storica rivoluzionaria, si decidono i destini del mondo. Siamo allo scontro fra pensiero unico liberista e quel qualcosa non ancora ben definito che nasce come eredità del pensiero socialista, dei no-global, degli ambientalisti....... Se sapremo dare alla rabbia dei grillini una sponda rappresentata da valori profondi, i nostri, allora, con il loro coraggio e la loro freschezza, forse potremo veramente dire "vuoi vedere che adesso l'Italia cambia davvero?"
Ecco un riassunto del programma di Grillo, per chi ancora non lo conoscesse:
http://keynesblog.com/2013/02/07/la-grillonomics-analisi-del-programma-economico-del-movimento-5-stelle/
Salvatore Salzano
lunedì 25 febbraio 2013
domenica 24 febbraio 2013
Antonio Caputo: Pericoli per la democrazia
Si sente dire: Anche i giovani fascisti che nei primi anni 20 interrompevano le lezioni dei docenti universitari antifascisti erano molto motivati e sicuramente non lo facevano per interessi materiali....!!!
Stiamo attenti con questa retorica del " ma come sono onesti e bravi i giovani che lavorano con lui !! ". (Grillo?).
Se ci limitiamo ad ammirare l'entusiasmo dei "giovani", ma anche dei "vecchi" , senza entrare nel merito di quali sono le idee che essi condividono, allora dobbiamo arrivare a dire che i "guardiani della rivoluzione" iraniani, ben noti per essere i mastini del regime, essendo quasi tutti "giovani" convinti di dover difendere la purezza islamica dalle contaminazioni occidentali, sono da ammirare ed apprezzare.
La psicologia delle masse manipolate dai populisti di turno e' ben descritta dallo storico tedesco George Mosse in un fondamentale saggio del 1975, "La nazionalizzazione delle masse", a proposito del nazismo, e non solo.
Potremmo ora aggiungere Scientology, il Reverendo Moon, Milingo, Bokassa, Gheddafi... e Beppe Grillo(?), fatte salve le dovute proporzioni e fermo restando che la storia , ripetendosi, trasforma in farsa pur sempre dolorosa per le sue vittime la tragedia, che - Hitler docet - puo' apparire anche farsesca.
In Europa, a partire dal 19° secolo, chi era interessato a far circolare idee politiche nazionaliste aveva, in prima istanza, il problema di spiegarle, di insegnarle, di farle capire.
È da qui che, secondo Mosse, nacque nel 20° secolo, la nazionalizzazione delle masse che si sostanziò subito di una «nuova politica»: si trattò di una politica che si basava sull’idea per cui l’unica vera titolare della sovranità era un’intera e ampia collettività (la nazione); per questo era una politica che aveva bisogno di coinvolgere tutti i membri di quella collettività, i quali, in un modo o nell’altro, dovevano essere toccati da un discorso politico che doveva renderli consapevoli di far parte di questo inedito soggetto collettivo.
Dunque la nuova politica nacque subito con la forma potenziale di una politica «dei grandi numeri», ossia di una politica che aveva bisogno di coinvolgere il maggior numero di persone, e, in prospettiva, addirittura le «masse».
A questi grandi numeri, e poi a queste masse, andavano spiegate le nuove idee.
Ma – aggiungeva Mosse – questa politica era «nuova» anche per un altro motivo: il suo «spiegare» la nazione non faceva appello alla ragione degli illuministi, alla solida cultura, all’indagine lucida e distaccata; e c’erano ottimi motivi perché fosse così: come avrebbe potuto essere altrimenti, se si volevano coinvolgere nel discorso politico anche persone analfabete o semianalfabete?
E come avrebbe potuto essere altrimenti, se si voleva diffondere un discorso politico altamente innovativo e, almeno nelle sue formulazioni iniziali, radicalmente eversivo degli assetti politici dominanti?
Fu così che quei leaders o quegli intellettuali i quali volevano propagare le idealità nazionaliste fecero appello all’emozione, piuttosto che alla ragione; al cuore, piuttosto che al cervello.
E dunque, in primo luogo, concepirono il discorso politico come un discorso religioso:infatti, invitarono le masse a comportarsi nei confronti dei valori ideali (?) che proponevano come i fedeli si comportano nei confronti delle verità rivelate della religione.
Dall’altro lato, modellarono anche i momenti fondamentali di comunicazione sulla base di pratiche fideistiche assimilabili a culti religiosi , dal "me ne frego" al... "vaffa" urlati in piazza, al "sieg heil."..
Inoltre si fece un gran ricorso a simboli, immagini, allegorie, figure memorabili, che incarnassero il "fecondo" avvenire della comunità.
A queste nuove pratiche corrispose infine anche un «nuovo stile politico».
Poiché era uno stile che voleva fare appello alle emozioni, aveva bisogno di manufatti che tali emozioni fossero in grado di suscitare; aveva bisogno, cioè, di un’«estetica della politica», ovvero di una strategia comunicativa che sapesse parlare ai sensi e ai sentimenti.
Per questo si ando' a studiare anche le statue e gli edifici, le poesie e le narrazioni, le bandiere e gli inni, le pitture e le stampe, i melodrammi e le opere teatrali di ispirazione nazionalpatriottica,.... ora Celentano (?), il "mito" del No tav e dell'iceneritorre "cattivo" (?). le nomine telematiche di candidati sconosciuti magnificati perche' ignoti, come il milite della I guerra mondiale (?) lo "tsunami (?), l'attraversamento a nuoto dello stretto di Messina tra lazzi e risate sgangherate in luogo dell'impresa dei mille(?), il "mito" di una impossibile democrazia di tutti e di nessuno, democrazia "diretta" (?) mentre si va in Parlamento a rappresentare chi e che cosa con soli 15 clic sul pc (?)il bog mitizzato (?) pieno zeppo di pubblicita' forse ingannevole ma sicuramente a pagamento e apparentemente "invisibile"di assicurazioni, banche, societa' di scommesse eccetera...(?).
Vale la pena sottolineare che Mosse ha incluso nella sua analisi partiti diversi, non solo il nazista, perché ha ritenuto che la «nuova politica», il nuovo stile politico, fossero modalità organizzative e comunicative a cui nessuna formazione politica contemporanea poteva sottrarsi, nemmeno quelle che non si appellavano esplicitamente ai valori del nazionalismo; e perché l’esame del processo di formazione della nuova politica consentiva di capire meglio fenomeni come il nazismo o il fascismo, i quali, se erano nati per ragioni che avevano a che fare con il contesto politico-sociale dell’Europa del primo dopoguerra, attingevano però il loro repertorio comunicativo da pratiche rituali e da discorsi simbolici che avevano almeno un secolo di vita.
Niente di nuovo sotto il sole direbbe forse il sociologo o lo storico, la storia continua, o si ripete.
Ma un brivido freddo come questa gelida giornata elettorale ci percorre.
Che fare?
Franco Astengo: Una possibile definizione di politica
MEMENTO: UNA POSSIBILE DEFINIZIONE DI POLITICA
In conclusione di una campagna elettorale nel corso del cui dipanarsi i discorsi dei candidati hanno, probabilmente, fatto smarrire il senso profondo del significato della parola “Politica”, lasciando soprattutto i giovani nello sconcerto, ho pensato che forse potrebbe risultare utile riprendere i termini di fondo di una definizione che sembra proprio necessario essere rammentata ai più.
La politica, infatti, è la scienza che si occupa dell’umana coesistenza, quando questa assume l’aspetto di una consapevole identità collettiva, considerata sia dal punto di vista del Potere, sia dal punto di vista del Conflitto.
Potere e Conflitto rappresentano l’origine della forma della politica in quanto norma, rapporto di comando e di obbedienza, concreta modalità di funzionamento di un Ordine.
Le forme storiche della politica sono determinate dalle modalità con cui le categorie del conflitto, dell’ordine, del potere, della forma, della legittimità, del consenso, della produzione e dell’allocazione delle risorse, sono di volta in volta organizzate praticamente e pensate teoricamente.
Della politica, infatti, fa parte anche il modo con cui essa viene discorsivamente mediata e criticata dai suoi soggetti e dai suoi attori.
La politica è una pratica di potere che è sempre anche un’elaborazione intellettuale e valorativa.
Proprio per rispondere a questa indicazione, dell’imprescindibilità dell’elaborazione intellettuale, mi sono rivolto per scrivere questa breve nota ad alcuni autori che, forse, hanno lasciato nei secoli un segno nella costruzione della civiltà umana: Machiavelli, Spinoza, Marx. Schmitt.
Un’ultima annotazione: la modernità è stata impostata sul convergere del conflitto nell’ordine e del potere nella norma, ma occorre ricordare che il conflitto non è destinato a essere del tutto pacificato e che il potere eccede sempre la norma.
Da qui l’esigenza dell’opposizione, all’idea della pacificazione del conflitto e all’eccesso del potere sulla norma.
Una domanda, infine: avete avuto idea di un ragionamento teorico di questo livello nell’esercizio dell’appena conclusa campagna elettorale italiana?
Franco Astengo
sabato 23 febbraio 2013
Gustavo Zagrebelsky: L'unità della Costituzione
L'unità della Costituzione, le riforme costituzionali e la revisione dell'articolo 138
Nota di Gustavo Zagrebelsky
Tutte le Costituzioni sono opere dotate di senso unitario: lo sono per il concetto stesso di Costituzione. Se non lo fossero – se cioè fossero scindibili in parti indipendenti – non “costituirebbero” un bel niente. Il senso di una parte potrebbe essere messa contro il senso dell'altra e, introducendosi “sensi” diversi, si farebbe opera non di costituzione ma di distruzione. Questo vale in generale e, in particolare, vale con riguardo alla distinzione tra la prima e la seconda parte della nostra Costituzione. Non è vero che si può modificare una delle due parti, lasciando intatta l'altra.
Gli esempi non sono difficili da trovare.
Primo. L'art. 1 riconosce, come corollario della democrazia, che “la sovranità appartiene al popolo”, che “la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Il popolo è un concetto complesso, di sintesi del pluralismo. Non è un concetto unitario, olista, come nella democrazia di Rousseau. La sua rappresentanza politica richiede certe condizioni. Supponiamo – per assurdo – che si abolissero le camere rappresentative (seconda parte della Costituzione); o che – più facilmente immaginabile – le camere venissero depotenziate al punto che il loro ruolo fosse reso solo formale o lo si riducesse al punto di essere chiamate a esprimere un sì o un no alle proposte del governo; oppure, che il sistema elettorale portasse a risultati di schiacciamento delle minoranze e di iperrappresentazione o di rappresentazione totale ed esclusiva della maggioranza: supponiamo tutto questo. Diremmo forse che queste modifiche dirette (con modifiche costituzionali) o indirette (attraverso legge elettorale) non influiscono sull'art. 1 della Costituzione?
Secondo. L'art. 2 riconosce i diritti inviolabili della persona umana e gli artt. 13 e seguenti prevedono una serie di diritti specifici. La protezione di tali diritti è rimessa a istituzioni la cui disciplina sta nella seconda parte della Costituzione: innanzitutto la Corte costituzionale e l’insieme dell’organizzazione giudiziaria. Immaginiamo che si ponga mano alla composizione della Corte, ai suoi poteri, ai mezzi che i cittadini hanno di accedere a essa; 1
oppure che si stabiliscano forme di soggezione della magistratura al potere e agli indirizzi della politica (governativa o parlamentare). Diremmo forse che tali modifiche non influiscono sui diritti che rappresentano uno dei contenuti principali della prima parte della Costituzione?
Terzo. L’art. 5 stabilisce, come criteri organizzativi fondamentali, l’autonomia e il decentramento; l’art. 6 protegge le minoranze linguistiche. Sono questi principi insensibili a modifiche che possano riguardare il Titolo V della seconda parte della Costituzione, oppure la struttura del Senato, come organo delle autonomie?
Quarto. L’art. 3 della Costituzione, che prevede il principio di uguaglianza, oltre che nel suo lato formale anche in quello sostanziale, e gli artt. 32 e 34 che prevedono la salute e l’istruzione come diritti sociali, sarebbero insensibili a modifiche della seconda parte della Costituzione, circa il potere di spesa e i limiti dell’indebitamento dello Stato, delle Regioni e degli enti locali? E sono forse insensibili alle riforme che possano interessare l’articolazione sul territorio dei poteri, centrali, regionali e locali in materia fiscale?
Sono solo esempi. Essi dimostrano ciò che non si potrebbe disconoscere: la prima parte della Costituzione, che contiene principi fondamentali di sostanza, non è indipendente dalla seconda, che contiene le norme organizzative che servono a farli valere o che, comunque, ne condizionano l’attuazione.
La distinzione sulla quale – credo – ci si dovrebbe attestare con molta chiarezza non è dunque tra “parti” della Costituzione ma tra i suoi fondamenti sostanziali e organizzativi, da un lato, e le loro regole attuative, dall’altro: fermi i primi, sulle seconde si può certamente discutere, perché le modifiche e gli adeguamenti (ad es. del Senato, alla nuova struttura decentrata dei poteri pubblici; del governo, alle esigenze di efficienza della sua azione; delle maggioranze di garanzia, alla logica bipolare, ecc.) sono certamente possibili e, in diversi casi, anche utili purché inseriti in una legge costituzionale dal contenuto puntuale ed omogeneo.
Ciò che si chiede è dunque un chiaro impegno al mantenimento, nella sua essenza, della Costituzione che abbiamo (con tutti i perfezionamenti che si possono ritenere opportuni). È 2
chiaro che, in concreto, potranno sorgere contrasti interpretativi sulla portata di questa o quella proposta di innovazione, se essa stia entro o sia fuori di questa Costituzione. Penso ad es. al tema del rafforzamento dell'azione di governo o, come si dice, del premierato. Ma sarebbe già un fatto di chiarificazione se si accettasse la premessa che, al Parlamento, i poteri e le garanzie che oggi gli spettano in generale (la legislazione, il controllo sul governo – sfiducia, costruttiva o non costruttiva, compresa -; lo scioglimento come strumento di garanzia, non di lotta politica) non potranno essere sottratti, quali che siano le innovazioni riguardanti il governo, i poteri del presidente del Consiglio, i meccanismi a favore della razionalizzazione degli schieramenti politici in Parlamento. Aggiungerei, in questa prospettiva, la richiesta di un impegno a favore (oltre che della riduzione numerica) anche della qualità della rappresentanza che si esprime nelle due Camere, una qualità che, oggi, rischia di rendere la difesa dei poteri e delle prerogative del Parlamento una azione, per quanto nobile alla stregua dei sacri principi del costituzionalismo liberal-democratico, assai poco dotata di senso, in relazione alle sue condizioni concrete.
Sono queste posizioni di retroguardia, che si possono bollare come quelle dei soliti “parrucconi” da parte degli altrettanti soliti “innovatori”? No. Sono esclusivamente scelte di politica costituzionale, alle quali si contrappongono altre scelte, anch'esse di politica costituzionale che, come tali, devono essere valutate. La contrapposizione “vecchio” e “nuovo” è totalmente priva di significato in materia costituzionale: essa nasconde diversi modi di concepire i rapporti in questa materia e su questi modi come tali, non perché vecchi o nuovi, ha senso fare chiarezza.
venerdì 22 febbraio 2013
giovedì 21 febbraio 2013
Gim Cassano: Verso il voto
Verso il voto.
Abbiamo assistito (in quest’ultima settimana, ormai, non può cambiare più nulla) ad una delle peggiori campagne elettorali della storia repubblicana. In buona sostanza, si è parlato solo di tasse e di IMU, che il pifferaio dichiara che restituirà, da subito, agli italiani (ovviamente, con i soldi degli stessi: se non altro, ‘o comandante, Lauro, quando prometteva pacchi di pasta in cambio di voti, attingeva a quattrini suoi).
Per il resto, promesse da Paese di cuccagna da una parte, qualche timido richiamo alla realtà dall’altra parte, insulti un po’ da tutte le parti, in modo particolare tra il cavaliere ed il “professorino che non capisce nulla di economia”; e poco più di questo.
E’ un po’ poco per una tornata elettorale che si sperava potesse rappresentare la chiusura di un ciclo, e l’apertura di una nuova fase: quella della seconda ricostruzione del Paese. Sembra invece di assistere al ripetersi degli stanchi rituali della Seconda Repubblica, un po’ per inadeguatezza, ed anche perché, in fin dei conti, ciò sta bene a tutti, da Berlusconi a Grillo, senza eccezioni.
Nella vita di un Paese, i momenti che segnano la trasformazione verso nuovi assetti di potere, nuove concezioni culturali e politiche, nuovi equilibri della società e dell’economia, sono sempre accompagnati dall’elevarsi di tono del dibattito politico. A volte, anche della durezza; ma di una durezza determinata dalla consapevolezza di trovarsi di fronte ad un momento cruciale.
Oggi, non stiamo assistendo a nulla di tutto ciò.
Berlusconi lavora apertamente per la paralisi: ben conscio del fatto che, se è fuori dalla sua portata la possibilità di conquistare la maggioranza (altro che sorpasso), l’ottenere un risultato tale da permettergli di paralizzare o almeno condizionare pesantemente il futuro Parlamento è invece un obbiettivo più realistico e non impossibile, che gli consentirebbe di riproporre il dejà-vu del governo Prodi.
E, soprattutto, gli consentirebbe di non dover considerare definitivamente chiusa e persa una partita che riguarda la leadership sulla destra italiana ed i connotati che questa dovrà assumere o mantenere.
Perché, in definitiva, di questo si tratta, anche se nessuno dei due contendenti, Monti e Berlusconi, lo dice apertamente. Se Berlusconi cerca di restare comunque sulla scena, altrettanto chiaramente Monti lavora con lo scopo finale di sostituirsi a Berlusconi nella guida della destra italiana, “mission” affidatagli dal mondo vaticano e da pezzi importanti dell’imprenditoria, ben consci, gli uni e gli altri, del fatto che una destra guidata da Berlusconi sarebbe inefficace e talmente screditata da precludere ogni rapporto in Europa.
A tal fine, non poteva essere accolta la proposta del Cavaliere di farsi da parte, ove Monti avesse accettato di mettersi alla testa dell’intero fronte dei moderati italiani. Ciò avrebbe comportato il lasciare comunque un ruolo al Cavaliere, alla Lega, a zombies come i La Russa, gli Storace, e via dicendo. In sostanza, sarebbe stata un’operazione condotta in piena continuità col passato, una sorta di investitura da parte del cavaliere, del tutto contradditoria con il disegno di far crescere in Italia una destra capace di avere un ruolo europeo.
Disegno, in sé, razionale, ed anche utile alla democrazia italiana: a condizione che chi lo porta avanti lo dichiari apertamente (cosa che non è affatto avvenuta), ed a condizione che una razionale e più moderna rilettura della destra non venga interpretata da chi di destra non è, magari in nome dell’antiberlusconismo, per cosa diversa da quel che è.
Che di questo si tratti, è cosa che non appare da ragionamenti espliciti ed espressi con chiarezza di fronte al Paese ma traspare, all’italiana, da segnali e messaggi, quali l’appoggio dato da Monti a Gabriele Albertini alle regionali di Lombardia. O quale la ripetuta ed oramai noiosa litania di un Centrosinistra col quale si potrebbe collaborare ove si togliesse la fastidiosa presenza di Vendola.
Monti ha imparato molto alla svelta il mestiere del politico. E sa bene che deve pur dare qualche segnale all’opinione pubblica di destra, se vorrà, un domani esser lui a rappresentarla.
In quanto al Centrosinistra, occorre ammettere come la vivacità di “Italia Bene Comune”, in termini di proposta complessiva, sia andata via-via annacquandosi, con una campagna elettorale che di fatto è stata giocata sul terreno scelto dal Cavaliere: quello del fisco e dell’IMU: se le elezioni del ’53 sono passate alla storia come “quelle della legge-truffa”, queste diverranno le “elezioni dell’IMU”.
In effetti, per quanto riguarda il Centrosinistra, il grosso del dibattito politico preelettorale si è ridotto alle schermaglie tra Bersani e Monti che, probabilmente, saranno obbligati dalle nequizie del Porcellum a cercare una difficile intesa. Cosa che non è in sé impossibile, a condizione di aver chiaro che si tratta di due visioni strategiche non coincidenti, e che la partita vera è solo rinviata.
In sostanza, quella attuale è solo la prima fase di una partita tra le forze conservatrici ed una sinistra democratica e riformista che, perché possa venir definitivamente e chiaramente giocata, come è nell’interesse del Paese e della democrazia italiana, richiede che si rendano chiari i caratteri che verrà ad assumere la destra: se quelli cui questa ci ha abituato negli ultimi 20 anni, o quelli di una forza conservatrice democratica e di stampo europeo. Se verrà a realizzarsi questa seconda ipotesi, potremo assistere ad una civilizzazione del dibattito politico, a condizione che non si facciano confusioni tra destra e sinistra. E questo sarà un bene per l’Italia.
Dalle imminenti elezioni, non arriverà, probabilmente, una risposta definitiva a questa domanda.
Il primo rischio è che, con il concorso delle 5 Stelle, il Cavaliere riesca comunque ad assicurarsi una posizione tale da paralizzare qualsiasi riforma.
Il secondo rischio è quello della mancata autosufficienza, o non adeguata sufficienza, al Senato. Se così dovesse essere, sarebbe un grave errore quello di pensare di farvi fronte con il ricorso a transfughi presi dove e come capita.
Per due ragioni: la prima è che queste cose non durano; la seconda, che ciò costerebbe poi carissimo nel momento in cui, prima o poi, si dovrà tornare a votare.
Meglio sarebbe, allora, in questa ipotesi, cercare di concordare poche cose con il senatore Monti: riforma elettorale, riforma dei partiti e del loro finanziamento, alleggerimenti fiscali mirati su lavoro e impresa, esodati, avvio di politiche per lo sviluppo, con la prospettiva di chiamare poi gli italiani a pronunciarsi, con una legge elettorale degna di questo nome, tra un dignitoso partito conservatore ed un blocco progressista e riformista.
La discesa in campo di Berlusconi, ritardando questa scelta, non sarà stata un buon servizio per il Paese.
Da queste considerazioni derivano le mie posizioni circa il prossimo voto: in linea generale, esistono due soli voti “utili” ai fini delle reali prospettive del Paese: a destra, quello dato alla lista Monti, alla Camera ed al Senato; a sinistra, quello dato alla coalizione di Centrosinistra, limitatamente alle due espressioni politiche ivi presenti: il PD e SEL.
Ovviamente, considerando sempre rilevante e significativa la differenza tra destra e sinistra, il mio voto andrà a quest’ultima; ed in particolare, al PD.
Gim Cassano (Alleanza Lib-Lab) gim.cassano@tiscali.it
PS: segnalo:
1- trasmessemi da Rosario Amico Roxas, la lettera che la candidata del PdL, senatrice Ada Urbani, ha inviato ai parroci dell’Umbria, e la risposta (di fuoco) di uno di questi, Gianfranco Formenton. Interessanti l’una e l’altra. Vedi, su Spazio Lib-Lab, il seguente link: "I metodi ipocriti della politica"
2- un’ampia descrizione di Casaleggio, il guru-padrone del Movimento 5 Stelle, redatta da Antonio Amorosi per affaritaliani.it. Vedi,sempre su “Spazio Lib-Lab”, il seguente link: ”"Il Movimento 5 Stelle? E' come webegg: chi comanda è Casaleggio" .
Renzo Penna: Sostenere con il voto la svolta che viene da Milano
Sostenere con il voto la svolta che viene da Milano
di Renzo Penna
Come è già avvenuto due anni fa per il Comune - con la vittoria e l’elezione esaltante a sindaco di Giuliano Pisapia - tocca nuovamente a Milano dare il segno del riscatto della cultura di governo progressista portando alla guida della Lombardia l’impegno civico, la serietà e il rigore di Umberto Ambrosoli. Riscoprendo, dopo un lungo periodo nel quale a prevalere era stato l’individualismo egoista, l’arricchimento facile, il populismo leghista e l’affarismo senza regole della destra berlusconiana, la migliore tradizione riformatrice che può favorire, a livello nazionale, una vittoria limpida della coalizione di centro sinistra in entrambi i rami del Parlamento.
Dopo la bella e partecipata manifestazione di domenica scorsa in piazza Duomo: “prima Milano, poi la Lombardia e l’Italia” diviene la progressione cui può credibilmente puntare Pierluigi Bersani, designato al ruolo di premier dal doppio voto delle primarie.
Naturalmente la sfida rimane difficile, ma come ha commentato Gad Lerner: “il disonorevole esito della reputazione pubblica di Formigoni, indagato per associazione a delinquere e screditato per le sue bugie e le dilapidazioni del suo stile di vita, conferma che la destra lombarda non ha più figure presentabili da mettere in campo”.(1) Mentre si sta sgretolando il sistema dell’arricchimento facile, della sanità privata a spese del pubblico, della cementificazione aggressiva che ha inquinato l’ambiente e devastato il territorio, e che aveva i suoi campioni nei Ligresti, i don Verzè, i Ponzellini e i Daccò.
In maniera analoga in Piemonte le ultime accuse di corruzione e abuso cadute su un assessore di punta della giunta Cota si sommano alla pessima qualità del suo governo, la cui vittoria, ottenuta per una manciata di voti raccolti da una lista fasulla, è stata propiziata - va ricordato - dalla presenza del partito di Grillo.
La presenza a sorpresa sul palco a Milano di Romano Prodi a sottolineare l’importanza della doppia sfida: lombarda e per la guida del Paese, ha rappresentato un segnale pieno di significati perché, prendendo nettamente le distanze da Monti e dal governo tecnico che “non ha saputo accompagnare al rigore una politica di rilancio dell’economia”, ha sancito l’unità e la compattezza della squadra che si è formato nell’intesa tra Bersani e Vendola. Una squadra plurale che resterà unita anche al governo perché, a differenza del passato, “ha imparato la lezione”. E nessuno meglio di Prodi, che negli anni dell’Ulivo ha saputo tenere insieme le diverse anime del riformismo italiano e mantenere nella politica una visione europea, è in grado di rappresentare una garanzia sia nei confronti dei settori economici e produttivi italiani - che vogliono competere con l’innovazione e la ricerca - che delle istituzioni comunitarie.
Ma il professore ha voluto sottolineare anche il comportamento corretto tenuto da Matteo Renzi il quale: “ha perso le primarie e non ha sbattuto la porta, ma ha interpretato come si deve in un partito democratico le regole della democrazia.”(2) In questo modo, sancendo l’autonomia e la compattezza della squadra progressista, Prodi ha spinto Bersani ad un maggiore coraggio, spronandolo a puntare a una “vittoria piena”. A non più rincorrere la coalizione di Monti che, specie in campagna elettorale, sta sempre più disvelando sui temi sociali e del lavoro i lineamenti dogmatici di una politica liberista la quale si manifesta nei ripetuti e strumentali attacchi alla Cgil e alla sinistra della coalizione.
Dal canto suo Nichi Vendola, che ha preso con nettezza le distanze dalla fallimentare esperienza dell’Arcobaleno del 2008 e dalle posizioni di Bertinotti, nel concreto governo della sua Regione, la Puglia, ha saputo dimostrare, in quasi due mandati, capacità e concretezza amministrativa e oggi può vantare, nella correttezza dei conti, nella creazione di posti di lavoro e nella tutela dei più deboli, i migliori risultati tra le regioni del mezzogiorno e non solo.
Stiamo, comunque, andando al voto dopo una campagna elettorale confusa e caotica, senza un confronto alla pari tra i candidati - come è ormai prassi nelle normali democrazie - giocata negli ultimi giorni da promesse mirabolanti e veri e propri imbrogli, quali la lettera sul rimborso dell’Imu inviata a milioni di italiani da Berlusconi. E questo in un Paese che, in maggioranza, vive con crescente incertezza il futuro, per la crisi dell’economia, per la mancanza di lavoro, in particolare, dei più giovani e la perdita del potere d’acquisto dei salari e delle pensioni che sta determinando un preoccupante aumento delle povertà.
Per questo le ultime ore prima del voto vanno utilizzate per convincere chi è ancora incerto se votare sulla necessità di esercitare il proprio diritto, anche superando le legittime perplessità e le critiche nei confronti di un sistema elettorale indegno. Indirizzando il proprio voto nei confronti di una delle formazioni politiche che si impegnano a contrastare l’attuale destra illiberale e antidemocratica e, in particolare - questo è il mio pensiero - verso i partiti che compongono la coalizione “Italia Bene Comune” la quale - con il candidato alla presidenza del Consiglio Pierluigi Bersani - più di altre ha la concreta possibilità di vincere, battere la destra e governare.
E’ il momento - come sostengono nel loro appello Eco e Zagrebelsky - di mettere la parola fine al berlusconismo richiamando gli elettori all’impegno per: “superare in modo netto e definitivo una lunga e umiliante fase della nostra storia.”(3) Solo una volta sconfitto il Cavaliere si potrà infatti finalmente aprire una nuova era, riparando il «tessuto sociale, liberandolo da criminalità e corruzione».
Alessandria, 21 febbraio 2013
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[1] Gad Lerner: “Il vento riformista” - la repubblica 18/02/2013
[2] Marco Merozzi: “Il nuovo ritorno di Romano” - la repubblica 18/02/2013
[3] U.Eco e G.Zagrebelsky: Appello “Tutti al voto per battere il Cavaliere” - Libertà e Giustizia 8/02 2013
21/02/2013 00:29:41
mercoledì 20 febbraio 2013
martedì 19 febbraio 2013
Vittorio Melandri: Basta prese per i fondelli
Basta prese per i fondelli
Fausto Bertinotti su L’Huffington post, prende la parola per spiegare “perché non vale la pena firmare l’appello di Umberto Eco” volto ad invitare a votare per il centro sinistra alle prossime elezioni. A sostegno della sua opinione cita fra l’altro una omissione operata dagli estensori dell’appello: “L’omissione riguarda l’Europa reale, la costituzione materiale che ne sta definendo la natura sociale regressiva e il connesso ritorno dell’élites in un ordinamento postdemocratico, sostanzialmente oligarchico”. Sono sempre più convinto che sono molte le cause che hanno generato il tragico decennio berlusconiano, 2001-2011, che si è snodato in parallelo con la scomparsa istituzionale e non solo, della “sinistra italiana”; in primis ovviamente il consenso più servile e opportunistico, sia ravvicinato che allargato, di cui ha goduto l’immarcescibile Cav. , ma fra le altre, credo proprio si possa facilmente riconoscere l’altrettanto tragico combinato disposto, delle ambizioni personali di Bertinotti e D’Alema, che nel 1998 ha di fatto gettato le basi, ha deposto i “plinti”, su cui poi si è consolidato quel bruttissimo “edificio” tirato su appunto con i mattoni del “berlusconismo”. Or bene che il Presidente emerito della Camera dei Deputati, sostenga l’inutilità di un appello ovviamente ci sta, ma che per farlo metta noi volgo sull’avviso, circa “il ritorno dell’élites in un ordinamento postdemocratico”, credo che come presa per i fondelli vada davvero oltre ogni limite. Ma per “ritornare”?, quando mai le élites se ne sono andate dall’ordinamento, ante-post-dem…ocratico? Non accade solo che “l'autorevolezza di un appello al voto possa favorire una qualche propensione a compiersi”, come con sussiego spiega l’ex vice di Fausto Vigevani alla CdL di Novara, accade anche che a furia di insistere con “l’autorevolezza di continue prese per i fondelli, fra il popolo che potrebbe naturalmente abitare la ‘sinistra politica italiana’, monti un voto di protesta, che diventa un’onda imponente che si infrange su lidi che nemmeno conosce, per poi consumarsi in una risacca di disperazione. Il dramma che continua a compiersi, e che non sembra aver fine, è che di “Bertinotti” che ci spiegano del ritorno di élites che non se ne sono mai andate via, purtroppo le fila della dispersa sinistra italiana sono ancora piene zeppe, e all’orizzonte non si scorge manco un “Papa straniero”.
Vittorio Melandri
lunedì 18 febbraio 2013
Francesco Somaini: Ieri, in piazza Duomo
Ieri sono stato con mia moglie in piazza Duomo. Piazza decisamente gremita (anche se meno che nella memorabile serata dei due arcobaleni con Pisapia). Sono arrivato un po' in ritardo e così non ho potuto ascoltare gli interventi di Vendola, Tabacci e Pisapia.
Ho sentito però un buon intervento di Ambrosoli e un discorso piuttosto efficace di Bersani.
Ho trovato simpatica anche la testimonianza a sorpresa di Romano Prodi.
Nel complesso dunque bella manifestazione. Buone vibrazioni.
Nel pubblico, però, pochi, pochissimi giovani: soprattutto adulti e molti capelli grigi o bianchi. Milano - si sa - è sempre più una città di anziani, ma evidentemente il Centro-Sinistra fatica ad intercettare le giovani generazioni.
Al riguardo sarà probabilmente molto istruttivo il confronto col comizio di Grillo domani sera.
In piazza c'era comunque un grande tripudio di bandiere bianco-rosso-verdi del PD (se posso permettermi davvero bruttine come vessilli), ma si riconosceva distintamente anche la macchia rossa delle bandiere del PSI. Sul palco era inoltre ben riconoscibile Pia Locatelli, con un elegante (e appropriatissimo) cappotto rosso. Non è però intervenuta.
Bersani ha ricordato (bonta sua) la presenza dei socialisti nella coalizione, ma la nota stonata è che sui due maxi-schermi che erano stati appositamente allestiti ai lati del palco venivano di quando in quando proiettati quattro simboli (PD, SEL, Centro Democratico di Tabacci e Moderati di Portas) mentre quello socialista mancava proprio.
Non bello. Umiliante anzi, direi : tanto più se si considera la presenza in bella vista del simbolo dei Moderati (il cui leader Giacomo Portas è in realtà candidato alla Camera in Piemonte con il PD, non diversamente dal segretario nazionale del PSI Nencini che è candidato al Senato nelle Marche).
E' ben vero in effetti che al Senato in Lombardia ci sarà una lista dei Moderati (il che forse giustificava quella proiezione), ma se è per questo in alcune regioni (come ad esempio la Campania) esistono nella coalizione di Centro Sinistra per il Senato anche liste socialiste.
Inoltre il PSI è presente con delle sue liste nella coalizione che appoggia Ambrosoli alle regionali lombarde.
L'esclusione del simbolo PSI dal maxischermo in cui si presentava anche il candidato Ambrosoli mi pare grave (va detto però che mancavano anche i simboli di "Etico - A Sinistra per un'altra Lombardia" e del "Patto Civico", che pure fanno anch'essi parte della coalizione regionale pro-Ambrosoli).
Nel complesso sarei portato ad interpretare l'episodio come un dato ben rappresentativo dell'oggettiva degradazione cui il Partito Socialista Italiano ha di fatto accettato di sottostare.
Io non sono iscritto al PSI, e quindi potrei dire che non è affar mio.
Ma se fossi iscritto a quel partito, considererei questo sgarbo tra le cose da imputare alla dirigenza.
Un saluto,
Francesco S.
Franco Astengo: L’EGEMONIA DELLA TECNICA ECONOMICA SULL’AUTONOMIA DEL POLITICO
L’EGEMONIA DELLA TECNICA ECONOMICA SULL’AUTONOMIA DEL POLITICO (dal sito: http://sinistrainparlamento,blogspot.it )
Le complesse vicende della crisi finanziaria esplosa a livello globale e il loro riflesso sul pensiero e la realtà politica dell’Occidente, e in particolare, dell’Europa hanno prodotto l’affermarsi di una vera e propria egemonia della tecnica economica sulla realtà di governo a livello comunitario e, sia pure in maniera articolata, dei singoli Paesi: al riguardo dei quali, in ogni caso, appare sfumare quell’accelerazione nel processo di dismissione della realtà dello “Stato-Nazione” che molti avevano pronosticato avvenisse in tempi brevi.
La pretesa dell’affermazione piena del marginalismo quale fattore teorico fondamentale su cui si è basata l’offensiva neo-liberista fin dagli anni’80 ha quindi prodotto, nella realtà geo-politica che si sta esaminando, effetti molto precisi dei quali forse si comincia soltanto adesso a rendersi pienamente conto.
A livello comunitario e nello specifico di un rinnovato “caso italiano”, tanto per portare all’attenzione gli esempi più evidenti, siamo di fronte ad una sorta di rappresentazione matematica del mercato, trasformando la metafora smithiana della “mano invisibile” in un sistema di equazioni, con l’obiettivo di considerare espressioni come l’economia pura, la scienza economica come una disciplina autoreferenziale che assorbe ogni tensione conflittuale proveniente dal mondo della politica, e si occupa – assumendo integralmente un ruolo di governo – del funzionamento del mercato concepito come istituzione autoregolata, in grado di massimizzare le proprie utilità esclusivamente secondo le curve della domanda e dell’offerta.
Insomma: “l’economics” al posto della “policy”.
Ne risulta così completamente spiazzato il concetto di “autonomia del politico” che aveva egemonizzato, almeno a partire dagli anni’80 del XX secolo, qualsiasi prospettiva teorica riguardante l’azione politica e di governo della società, accompagnando – appunto – il ciclo liberista con il compito, anteposta la funzione di “governabilità” a quella di “rappresentanza”, di sfoltire la domanda sociale, riducendone al minimo il rapporto proprio con la politica, ridotta al ruolo dello Stato, sulla linea del funzionalismo strutturale di Luhmann.
Una vittoria piena, all’apparenza, della riflessione di Heidegger sull’essenza della tecnica.
Una sconfitta, altrettanto piena, per chi pensava di costruire un’ipotesi diversa, attraverso una strategia di “contenimento” del prevalere dell’economia sulla politica, dimenticando la lezione di Hilferding sul prevalere del fenomeno della finanziarizzazione che è quello che sta alla base dello stato di cose in atto, come qui si è cercato di descrivere.
Siamo di fronte sul piano politico alla creazione di una nuova oligarchia, indifferente alla realtà democratica e alle istanze sociali.
Come può essere possibile contrastare questa egemonia, attraverso la quale sul piano concreto si sta cercando di porre quasi “al di fuori dalla storia” milioni di persone considerate semplicemente come oggetti da sfruttare esclusivamente in funzione della creazione e dell’appropriazione del plusvalore ?
Non sarà sufficiente riproporre la realtà di un’organizzazione politica degli “sfruttati” posta al di fuori e “contro” la realtà dell’unificazione tra economia e politica: una realtà di organizzazione politica della quale, comunque, si sono smarrite le coordinate nel corso di questi anni.
Riprendendo Claudio Napoleoni nel suo “Discorso sull’economia politica” (Bollati Boringhieri 1985) l’obiettivo dovrebbe essere quello di riguadagnare tutta intera la dimensione politica dell’economia rovesciando completamente l’impostazione oggi egemone.
Per avviare, però, un processo di costruzione di una soggettività politica posta in grado di porsi, nel tempo, questo tipo di obiettivo è necessario tornare a introdurre, nel rapporto tra il contesto sociale e quello politico, il principio di “contraddizione sistemica”, in una visione di “distinzione – opposizione” che non riguardi soltanto le finalità, per così dire, “ultime” nella prospettiva di costruzione di una società diversa, ma nell’immediato la ricostruzione di un principio di dialettica politica. Una dialettica politica non annullata dall’egemonia dominante, ma che, anzi, pur nella scansione obiettiva di finalità limitate all’interno di successivi passaggi di transizione, si risulti in grado di proporre un diverso, alternativo, edificio sociale.
In questi anni le forze della sinistra hanno finito con l’acconciarsi al ribadimento della catastrofe, senza riuscire in qualche modo ad allontanarla: se si pensa che sia ancora possibile, invece, un movimento di liberazione da quella stessa catastrofe che stiamo vivendo allora bisogna porsi, ancora, il tema del guardare in modo diverso al rapporto tra l’uomo e il mondo rispetto a quello stabilito, e apparentemente obbligato, dalla triade sfruttamento- appropriazione – dominazione.
Franco Astengo
domenica 17 febbraio 2013
sabato 16 febbraio 2013
venerdì 15 febbraio 2013
giovedì 14 febbraio 2013
Per un' "insurrezione" del Parlamento europeo
PER « UN'INSURREZIONE » DEL PARLAMENTO EUROPEO
Non credo che in Italia ci si sia davvero resi conto della portata e della
gravità delle decisioni del Consiglio Europeo dell'8 febbraio scorso, quando
i Capi di Stato e di Governo, che si pretendono unici proprietari dell'UE,
hanno deciso di ridurre il bilancio comune dei prossimi 7 anni apportando un
taglio di 34 miliardi di euro, rispetto al precedente bilancio previsionale
2007-2013, e come tetto invalicabile meno dell'1 per cento della ricchezza
prodotta nell'Unione.
E con una differenza fra gli impegni e i pagamenti reali cosi importante, da
rendere cronica l'incresciosa situazione di lanciare programmi e spese che
poi non si potranno finanziare, come già é accaduto quest'anno. Lungi
dall'essere una considerazione « infantile », é un fatto che i soldi
riportati in « patria » dal Professor Monti sono una vittoria di Pirro sulle
macerie della casa comune, che lui non ha mosso un dito per salvare.
È accaduta, l'apoteosi del rigore senza equità, nel peggiore dei mondi
possibili; nel mezzo di una recessione che dura da anni e che va
aggravandosi, quale che sia il livello dello spread. Con la Grecia che è
stata scaraventata nella miseria e sui muri delle cui città gli arrabbiati
scrivono: «Non salvateci più!».
Non era accaduto mai finora ; che i governi europei dimenticassero in questo
modo le ragioni per cui l'UE è nata, la sete di democrazia ritrovata che
l'ha ispirata, il Welfare che ha dato forza, e non debolezza, al suo
speciale capitalismo postbellico. E questo, proprio quando il contrario
dovrebbe accadere: se gli Stati hanno pochi soldi in cassa devono in qualche
modo far quadrare i conti, l'unica speranza è che sia l'Europa a «fare
crescita», a mobilitare tutte le risorse disponibili non per sostenere la
vecchia industrializzazione ma per aiutare a nascere un'economia nuova, la
sola che possa riportare il continente al centro del mondo: l'economia
verde, la ricerca, l'istruzione, e non la vecchia automobile per tutti ma i
trasporti comuni a disposizione di tutti.
Per farlo l'Unione ha bisogno tuttavia di risorse proprie, perché solo se
disporrà di un proprio bilancio potrà renderci indipendenti dalle pressioni
nazionaliste, dalla concorrenza dei nuovi Paesi emergenti, e da chi, nei
singoli Stati, protegge i grandi cacciatori di sovvenzioni, i padroni della
finanza e dell'industria. Non vogliamo che gli Stati versino loro contributi
all'Europa, in sterili conciliabili dove gareggiano in taccagneria. Comunque
sono i soldi dei cittadini che usano, abborracciando i loro miseri bilanci
comunitari. E allora, se le cose stanno così, che si introducano, per
aumentare il bilancio UE e renderlo degno di questo nome, le nuove imposte
del futuro che sono la Tobin tax sulle transazioni finanziarie, e la Carbon
tax sui produttori di anidride carbonica. Guadagneremo su due piani:
raccoglieremo risorse ingenti, e rispetteremo il clima. Non a caso i governi
guardano ambedue le tasse in cagnesco: la prima vorrebbero iscriverla nei
bilanci nazionali per tappare i propri buchi, la seconda l'hanno gettata nel
cesto delle immondizie.
Ma, oggi, é importante sapere che non é detta l'ultima parola; e che faremo
di tutto perché l'operazione non riesca: nel prossimo governo italiano, se
vinceremo, e nel Parlamento europeo, per la cui rinascita decidiamo sin
d'ora di combattere.
Infatti, pochi l'hanno notato, ma la partita sul bilancio comunitario non é
ancora finita.
Manca ancora la decisione del Parlamento Europeo. Secondo l'art. 312 del
Trattato di Lisbona senza la sua autorizzazione, nessun bilancio potrà
passare.
E non é un caso se, all'indomani del vertice, all'indomani dell'acquiescenza
scandalosa della Commissione di Barroso a questo accordo vergognoso che
cancella d'un tratto la battaglia per un bilancio europeo ambizioso che pur
ha tentato di fare, il Presidente del Parlamento Europeo ha annunciato che
questo accordo era inaccettabile per la sua Assemblea e i presidenti dei
quattro gruppi maggioritari al PE (PPE, PSE, Liberali e Verdi) hanno
sottoscritto un documento importante di cui troppo poco si é parlato nel
quale si descrivono le ragioni del rifiuto.
Noi ci appelliamo direttamente ai rappresentanti di questa Europa sempre
meno unita eppure così necessaria, perché non cedano di fronte alla
responsabilità storica che oggi hanno.
Perché facciano il loro dovere e conducano fino in fondo la battaglia di
democrazia che hanno annunciato di voler fare. E allora boccino questo
accordo meschino. Prendano sul serio l'appello personale che Helmut Schmidt
rivolse al Presidente Schultz nel dicembre 2011 per un'«insurrezione del
Parlamento europeo» e per la democrazia.
Noi saremo al loro fianco in questa battaglia. Perché, ormai lo sappiamo, le
battaglie progressiste si fanno oggi su due piani in contemporanea: nelle
nazioni e in Europa, guardando le cose da vicino e da lontano, con gli
occhiali cosmopoliti che da tempo Ulrich Beck ci chiede di inforcare.
Nichi Vendola
Giorgio Airaudo
Laura Boldrini
Monica Frassoni
Giulio Marcon
Gennaro Migliore
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mercoledì 13 febbraio 2013
martedì 12 febbraio 2013
Renzo Penna: ELEZIONI: POCO “VERDI” I PROGRAMMI ELETTORALI
ELEZIONI: POCO “VERDI” I PROGRAMMI ELETTORALI
di Renzo Penna
E’ molto severo il giudizio delle principali Associazioni ambientaliste - CAI, FAI, ProNatura, Greenpeace, Legambiente, TCI, WWF - nei confronti dei Programmi e delle “Agende” delle diverse coalizioni e partiti in lizza nelle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013. Secondo le quali è indispensabile che si costruisca anche in Italia un patto basato su un nuovo modello capace di considerare come: “inscindibili la dimensione ecologica e quella economica e sociale dello sviluppo” e sappia promuovere l’ampliamento degli indicatori di base utilizzati dalle politiche per verificare i livelli di progresso e di benessere delle società “andando oltre e superando il PIL”. Perché è illusorio pensare di fuoruscire dalla crisi: “senza il rispetto dei diritti costituzionali alla tutela della salute e dell’ambiente”.
In particolare dalla lettura approfondita dei Programmi viene evidenziato come: a) non assume centralità la grave crisi provocata dai cambiamenti climatici che impone scelte radicali di azzeramento delle emissioni in tutti settori e nel modello produttivo; b) non si pone con urgenza la questione degli indirizzi della nuova politica industriale e della riconversione post-industriale; c) non emerge una consapevolezza sull’importanza di garantire la tutela della biodiversità; d) non si aprono, per i settori che fanno parte del patrimonio consolidato della nostra economia - beni culturali, turismo e agricoltura - nuove prospettive, né si assume la necessità di interventi di rilancio. Nella sostanza “Agenda ambientalista” rivendica al futuro Governo e Parlamento un nuovo modello economico basato su una economia verde, chiede di non proseguire con politiche contingenti condizionate dalle lobby che difendono posizioni dominanti nei settori economici tradizionali e, in campo energetico, ipotecate dagli interessi dei gruppi industriali del comparto delle fonti di origine fossile.
Secondo le Associazioni la ricerca di nuove soluzioni alla crisi economica capaci di dare risposte alla drammatica carenza di lavoro e occupazione non può prescindere da un intervento di tutela del territorio e dei beni paesaggistici e culturali del Paese. Che, nonostante il massacro subito dal dopoguerra ad oggi, mantiene un’intrinseca bellezza e una straordinaria presenza di beni.
In questo contesto la difesa del suolo, il suo assetto idrogeologico e la manutenzione preventiva devono costituire la prima vera “Grande Opera” pubblica da realizzare. Per la quale occorre predisporre un Piano ed avviarlo senza ulteriori indugi con interventi in grado di prevenire i rischi crescenti che derivano dai cambiamenti climatici in atto. A tal proposito le recenti notizie fornite dalla Conferenza nazionale che ha fatto il punto sulla situazione italiana del rischio idrogeologico non lasciano, al riguardo, molti dubbi. Sono infatti oltre 5 milioni le persone esposte al pericolo costante di frane e alluvioni mentre l’82% dei Comuni italiani presenta aree a rischio idrogeologico. In sei regioni (Calabria, Molise, Basilicata, Umbria, Valle d'Aosta e nella Provincia di Trento) questa percentuale sale al 100 per cento, in altre due regioni (Marche e Liguria) al 99% e al 98% in Lazio e Toscana. Non a caso obiettivo dell'incontro è stato anche quello di: “accendere l'attenzione della politica e dei candidati alle prossime elezioni e al nuovo governo su questi temi”.
Negli ultimi 60 anni 3660 persone hanno perso la vita a causa di frane e alluvioni e il costo complessivo dei danni a seguito di questi eventi è superiore ai 52 miliardi di euro. Gli eventi calamitosi, come quelli recenti in Toscana o quelli del 2011 in Lunigiana e a Genova, ma come tutti quelli che hanno funestato il nostro Paese negli ultimi decenni, dalla storica alluvione del Po del 1951 che si è ripetuta nel 1994 e nel 2000, a quella di Firenze dell’Arno del 1966, ai tragici eventi che hanno mischiato le conseguenze di frane e alluvioni come in Valtellina nel 1987 o a Messina nel 2009, non sembra abbiano insegnato nulla. Anche secondo i dati diffusi da Legambiente la dimensione del rischio è ovunque preoccupante: “con una superficie delle aree ad alta criticità geologica che si estende per 29.517 chilometri quadrati, il 9,8% del territorio nazionale”, e il rischio idrogeologico riguarda 6.633 Comuni che hanno aree sensibili nel proprio territorio.
In particolare i fenomeni meteorologici sempre più intensi, concentrati in poche ore e su aree circoscritte, con alluvioni e danni anche in zone non eccessivamente antropizzate, dimostrano la necessità di pianificare e programmare le politiche territoriali nei prossimi anni.
Sono però soprattutto i dati del consumo di suolo in Italia, che risultano dagli studi dell’Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), che impressionano e dovrebbero essere maggiormente tenuti in conto dai programmi dei partiti. Dal 1956 al 2010 siamo passati da un consumo di suolo di 8mila Kmq a oltre 20.500. Tra le regioni che più hanno cementificato il proprio suolo primeggia la Lombardia, seguita dal Veneto e dal Lazio, e il consumo medio totale dell’Italia risulta pari a ben il 6,9%, mentre quello europeo si ferma al 2,8%. “E’ come - sostiene Salvatore Settis - se ogni anno si costruissero due o tre città nuove delle dimensioni di Milano e di Firenze, in un Paese a incremento demografico zero”. E tutto ciò avviene “a danno dei più preziosi suoli agrari - pianura padana, Campania un tempo felix, cioè feconda - colpendo al cuore l’agricoltura di qualità”. Così negli ultimi dieci anni la Superficie Agricola Totale (SAT) è diminuita dell’8%.
E non è neppure vero che l’interruzione di questa dissennata cementificazione porti a conseguenze negative per la manodopera impiegata e le imprese. Di lavoro ve ne sarebbe di più solo se si decidesse di dare priorità alla messa in sicurezza del territorio, al recupero degli edifici abbandonati, alla ristrutturazione e al rinnovamento di molte delle attuali pessime periferie con una edilizia di qualità. Come del resto sostiene anche il recente Rapporto congiunto dell’Associazione nazionale costruttori edili e del Centro di ricerche economiche e di mercato dell’edilizia (Cresme).
Analogamente nelle realtà industriali tecnologicamente superate e, sovente, incidenti dal punto di vista ambientale, occorrono piani di transizione capaci di ridurre il ricatto occupazionale nei confronti dei lavoratori interessati assicurando loro il passaggio ad un altro lavoro. La Green Economy già oggi rappresenta la migliore prospettiva di occupazione per il futuro: quasi il 40% delle assunzioni complessive programmate per il 2012 da tutte le imprese italiane dell’industria e dei servizi si deve alle aziende che investono in tecnologie green, e sono stati oltre 241mila i nuovi addetti in un solo anno.
Sorprende molto, poi, che in questo contesto non desti adeguata reazione e scandalo chi - come l’ex presidente del Consiglio - per farsi votare promette in campagna elettorale un condono edilizio “tombale”. Giustamente per Michele Serra chi si comporta in tale modo: “è un criminale che odia il proprio Paese, attenta all’integrità del suo paesaggio, incoraggia il disprezzo delle leggi e l’egoismo sociale, catalizza i peggiori istinti degli italiani e la loro attitudine a non prendere sul serio alcun divieto, alcuna norma, perché non esiste divieto o norma che non siano contrattabili e superabili”.
Alessandria, 12 febbraio 2013
Nicola Cacace: Redistribuire il lavoro
Segnalo il contributo di Nicola Cacace sul legame tra occupazione e orario di lavoro e la necessità, specie in situazione di crisi come l'attuale, di redistribuire il lavoro per incidere sulla disoccupazione. Insomma la vecchia ricetta tanto critiicata di "lavorare meno per lavorare tutti" e l'obiettivo della riduzione dell'orario di lavoro. Naturalmente l'Italia sta procedendo in direzione opposta aumentando in maniera esagerata l'età pensionabile (l'unico Paese in Europa che nel 2020 obbliga tutti ad andare in pensione a 67 anni!), avendo un orario settimanale di lavoro superiore a quello di Francesi e Tedeschi (che hanno le 35 ore) e facendo pagare lo straordinario meno dell'ora ordinaria. E su quest'ultimo aspetto a decidere è stato, purtroppo, il centrosinistra!
Cari saluti
Renzo Penna
Redistribuire il lavoro la ricetta europea per l’occupazione
Nicola Cacace(A e F di "la Repubblica" 11/02/2013)
Più di 2 milioni di disoccupati, quasi 3 milioni di inattivi - né occupati né in formazione - più di 1 milione in Cassa integrazione, un tasso di occupazione del 56% rispetto al 64% europeo, questi sono i numeri attuali del dramma occupazionale italiano. Con una situazione simile, che spinge i giovani migliori ad emigrare, le donne a stare a casa ed il Mezzogiorno a languire, ci si aspetterebbero politiche del lavoro più attente ad una redistribuzione del lavoro piuttosto che, al contrario, tese a premiare la concentrazione del lavoro su poche spalle. Purtroppo da anni la politica italiana dell’occupazione va in direzione opposta a quella dei paesi europei più avanzati, Germania e Francia in testa. Ce l’ha ricordato anche Mario Draghi, non tanto timidamente, quando disse ad ottobre “in molti paesi dell’Eurozona la disoccupazione è stata mitigata da forme di flessibilità interne e di part time”. In tutti i paese tranne nel nostro. Come scrive anche l’ultimo rapporto annuale Eurostat sulla forza lavoro “nel 2011 il tasso di occupazione è aumentato in 14 paesi membri, anche in coincidenza con l’aumento di 0,3 punti percentuali della quota di lavoro part time sull’occupazione totale, quota che ha continuato a crescere in tutti i paesi, arrivando al 20,3% nel 2011”. I paesi europei con tasso di occupazione superiore al 70% sono anche tutti paesi con quote di lavoratori part time superiori alle nostre: Olanda 49%, Austria e Germania 26%,
Francia, 18% Svezia e Norvegia superiori al 25%, mentre in fondo ci sono Italia e Spagna, con part time del 15%. E questi paesi sono anche quelli con orari annuali più corti dei nostri. Grecia, Italia e Spagna sono i paesi con orari più lunghi e tassi di occupazione più bassi. L’Italia è l’unico paese europeo in cui l’ora di straordinario costa meno dell’ora ordinaria di lavoro. Anche il dato sul lavoro precario che costa meno, non giova alla produttività delle imprese. Aggiungiamo le politiche di allungamento dell’età pensionabile, necessarie per l’allungamento della vita, con l’Italia in testa - nel 2020 saremo l’unico paese europeo con età pensionabile di 67anni - che oggettivamente riducono gli spazi occupazionali. Per concludere, sinché gli attuali ampi divari di costo lavoro con i paesi emergenti non si ridurranno, l’unico modo di competere dei paesi industriali nel mercato globale è quello di puntare sulla qualità di prodotti e servizi più che sulla quantità. E la qualità non ha affatto bisogno di lunghi orari, ma di innovazione, formazione e coooperazione tra lavoratori e imprese. Il saggio Keynes aveva previsto che, a causa del progresso tecnico - la produttività cresce da sempre più della produzione - i nipoti avrebbero lavorato 20 ore la settimana se volevano lavorare tutti. Non invoco le 20 ore di zio Keynes, ma almeno le 35 ore di francesi, tedeschi e paesi nordici. In questa fase dello sviluppo mondiale, con tassi di crescita medi del Pil dei paesi industriali più vicini al 2% che al 3%, senza redistribuzione del lavoro non ci sarà lavoro per tutti e la ripresa, quando verrà, rischia di essere jobless, senza lavoro.
(11 febbraio 2013)
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