Le drammatiche vicende legate al progressivo processo di ulteriore de-industrializzazione in atto nel nostro Paese chiamano ad una riflessione attorno alla possibilità di avanzamento di una proposta di politica economica, unitariamente sorretta nel mondo sindacale e in quello politico, tale da rappresentare una alternativa, aggregare soggetti, fornire respiro ad una iniziativa “di periodo”.
Il concetto di fondo che è necessario portare avanti e rilanciare è quello della programmazione economica, combattendo a fondo l'idea che si tratti di uno strumento superato, buono soltanto – al massimo – a coordinare sfere private fondamentalmente irriducibili.
Una programmazione economica condotta con riferimento all'irrinunciabile valenza europea e avente al centro l'idea dell'iniziativa pubblica in economia attorno ad alcuni fondamentali campi di intervento:
1) Il territorio. Serve un piano straordinario per il ripristino dell'assetto idro-geologico del territorio che va franando dappertutto, dal Nord al Sud, sulle coste e nell'entroterra. Eguale urgenza ha, ovviamente, il tema della difesa dell'ambiente nel sue complesso, dello smaltimento dei rifiuti, della cementificazione;
2) Le infrastrutture. La situazione delle ferrovie italiane è semplicemente disastroso, così come quello delle strade ed autostrade, in particolare al Sud;
3) Il nodo energetico, non risolvibile, ovviamente, con un ritorno al nucleare;
4) Il finanziamento della ricerca destinata soprattutto verso l'innovazione di processo nell'industria;
5) Il rilancio del settore industriale. La Fiat può esercitare il suo ricatto perché questo Paese è privo, da anni, di politica industriale. Siamo, per varie ragioni, pressoché privi di siderurgia, chimica, agroalimentare, elettromeccanica, elettronica. In questa situazione ormai sono asfittici e sottoposti al processo di delocalizzazione anche quei settori “di nicchia” sui quali si era basato lo sviluppo anni'80- anni'90;
6) Il rientro della programmazione pubblica nel settore bancario, con l'obiettivo principale del credito nella media e piccola industria;
7) Il rientro dal precariato e l'inserimento stabile della manodopera extracomunitaria;
8) La lotta all'evasione fiscale, praticamente abbandonata, dopo le roboanti proclamazioni verbali di qualche mese fa.
Accanto a questi punti del tutto irrinunciabili ci sono da valutare anche gli elementi di spreco che vengono principalmente da due parti: il gigantismo dell'apparato politico portato soprattutto dalla personalizzazione della politica (pensiamo alla dimensione gigantesca del debito delle Regioni, elefantizzatosi dal momento dell'elezione diretta dei Presidenti), e il processo di spreco e di diseguaglianze già causato dal cosiddetto “federalismo” così come questo, in maniera del tutto raffazzonato e legato ad egoismi di parte è stato concepito, ed il tema della riconversione ecologica di parte dell'apparato produttivo e delle prospettive di uso del territorio che pure vanno considerate con grande attenzione.
Lasciamo anche da parte, per motivi di economia del discorso, i temi dell'intreccio inedito che si sta realizzando, ormai da qualche anno, tra struttura e sovrastruttura, in particolare nell'informazione: si tratta comunque di un tema assolutamente decisivo nella lotta sociale e politica di oggi.
Come può essere possibile avviare un programma di questo tipo nelle condizioni di crisi globale dentro cui, oggettivamente, ci stiamo trovando?
Quella parte del movimento sindacale che non intende piegarsi al diktat e quei settori della sinistra che intendono portare avanti, assieme, un programma di opposizione e di alternativa, senza cadere nella trappola dell'omologazione ai modelli dell'avversario e senza legarsi a settori politici dai quali possono venire soltanto elementi di ulteriore sopraffazione per il movimento operaio, hanno il dovere di pensare, appunto, nei termini dell'opposizione per l'alternativa , lavorando prima di tutto sul tema della propria autonomia politica, programmatica, organizzativa.
Franco Astengo
91 commenti:
si, Francesco, ma a fianco di questi apprezzabili desiderata bisogna indicare dove prendere le risorse, cioè dove tagliare dei costi parassitari, visto che nuove tasse non si può neanche pensare. E non parlare di patrimoniale diversa dall'IMU, perchè gli immobili non scappano, i capitali in qualunque forma si, per loro c'è la libera circolazione, per i lavoratori no.
Io, per esempio, 100 miliardi all'anno li tirerei fuori dalla completa legalizzazione delle droghe con conversione di una parte delle forze dell'ordine alla tutela del territorio. Una ventina dall' inversione della tariffazione della sanità: anzichè usare i costi di quella pubblica per le convenzioni con i privati, che ne ricavano un grosso margine per utili e corruzioni, fare il contrario (con l'occasione, mi permetto di segnalarti che la Liguria ha una sanità pubblica peggio della Calabria)
Domanda Astengo
Come può essere possibile avviare un programma di questo tipo nelle
condizioni di crisi globale dentro cui, oggettivamente, ci stiamo
trovando?
Risposta Fasce
Cambianto il segno economicista neoliberista dei Trattati europei a
partire da Maastricht in senso socialdemocratico e così facendo
uscire dal coma profondo in cui si trova è attualmente la
Costituzione Italiana - tanto per quanto riguarda la prima parte -
dei "Principi Fondamentali" - e in particolare all'articolo 1
e l'art. 3
art.4 primo comma.
articoli che ne connotano l'intero impianto economico di cui al
titolo - terzo - parte economica, che possiamo definire in brevissima
sintesi modello economico che prevede solennemente quanto indicato
nell'elenco da te proposto alternativo all'attuale modello economico
neoliberista-teocon.
Ovviamente la vulgata Montiana recepita sostanzialmente dallo stesso
PD (aldilà i farfugliamenti di Bersani che quando va bene indica gli
orizzonti - vaghi e indistinti - progressisti ... ) per i quali gli
accenni alla costituzione non sono mai per indicati in riferimento
all'ambito economico.
A questo punto mi concedo una, spero utile, riflessione.
Gli accenni alla Costituzione vengono fatti dalla Bindi ma -
strumentalmente - consapevole dell'ignoranza dei suoi interlocutori
solo quando si tratta di imporre vincoli ai diritti civili delle
coppie gay a chiedere di unirsi in matrimonio.
Per colmare questa lacuna riporto l'art.29
Nel testo non c'è scritto - che il matrimonio deve essere
"tra un uomo e una donna".
Certo nel 1948 non era specificato perchè era "naturale" per cultura
atavica italiana sottinteso ... che i coniugi fossero un uomo e una
donna. Però non è scritto. C'è scritto "dei coniugi".
Con spirito dialogante.
Luigi Fasce
PS per approfondire la questione della programmazione economica
sollevata da Astengo
vedasi
http://www.circolocalogerocapitini.it/lastellapolaredellasinistra.pdf
Sono d'accordo con Fasce, del resto il nostro compito è avanzare proposte
politiche praticabili nell'ambito del rispetto pieno e dell'applicazione
altrettanto piena della Costituzione Repubblicana. Grazie per l'attenzione
Franco Astengo
Approvo, dal piano W"solo" non se n'é più parlato. A parte leggine "ponte", che non si rifanno ad un sistema programmatorio.
D’accordo con Claudio sulla legalizzazione delle cosiddette “droghe”. E’ assurdo che io possa entrare in un qualsiasi locale pubblico del regno e trovarmi davanti decine di bottiglie ognuna delle quali potrebbe farmi andare all’ospedale e al cimitero con poche lire semplicemente se lo volessi (vedi cosa succede nelle happy hours a Mestre e dovunque, con 10€), mentre se il barista mi desse una balla da un Kg di erba, non potrei farmi seriamente del male neppure se lo volessi, ma andremmo in galera tutti e due. E comunque questo prova senza ombra di dubbio che non è la sostanza, ma il comportamento che va regolato e se più o meno siamo stati di regolare il comportamento con l’alcool, il fumo, il chinino, il colesterolo, non si capisce perché continuiamo a tafazzarci al costo di miliardi, regalando alla criminalità organizzata un potere enorme per pura e semplice stupidità da perbenismo proibendo sostanze non molto più letali G
La lettera di Francesco Astengo tocca il punto centrale della crisi e propone delle soluzioni. La lettera è chiara, se non per due punti in cui potrebbe esserci ambiguità per il senso diverso che questi possono avere e che vale la pena di porre più chiaramente in luce. I punti ambigui sono la pianificazione e il liberismo.
La pianificazione può concretizzarsi in diversi processi. Ne indico i due estremi:
la pianificazione alla giapponese, in cui il Ministero dell'industria definisce le risorse che lo stato investe per favorire particolari tipologie e settori , ad esempio indirizzando la ricerca scientifica. Ma senza entrare nelle logiche produttive né direttamente nella produzione.
La pianificazione alla moda dell'Unione Sovietica in cui lo stato decide che cosa produrre, in che quantità e a che prezzo. L'ipotesi è inagibile oggi , ma ne è possibile una versione alla moda marxista italiana con pianificazione totale per l'industria di stato, e ampliando la stessa come è richiesto da molte proposte anticrisi elaborate dalla sinistra
Sul liberismo l'ambiguità riguarda la non distinzione tra le varie scuole di pensiero e le diverse pratiche del liberismo imputandogli genericamente, l'attuale crisi ed i suoi costi sociali.
Riguardo a questi due punti mi sembra che la storia degli ultimi 25 ci abbia detto due cose chiare e non ambigue:
il crollo dell'Unione Sovietica ha dimostrato che la gestione diretta dell'economia da parte dello stato non funziona.
La crisi economica attuale ha dimostrato che il mercato capitalistico senza controlli cioè l'ipotesi di un liberismo laissez faire non funziona
Sia chiaro che il primo punto non vuol dire che non sia realistica una ipotesi di evoluzione delle forme di produzione in senso socialista, vuol solo dire che la strada non è quella del capitalismo di stato, che non è in grado di produrre beni di consumo per una società evoluta.
Allo stesso modo il secondo evento ha dimostrato il fallimento di una economia liberista laissez faire, ma non il fallimento del liberismo nelle sue altre varie versioni classica, Keynesiana, marginalista. Infatti su un liberismo non più laissez faire si basa ancora tutto il mondo economicamente sviluppato dagli Stati Uniti alla Germania, dal Brasile alla Cina.
Invece il più delle volte, come in una discussione tra tifosi, quando una parte parla (ad esempio i sostenitori dell'economia statalizzata) si limita ad enumerare gli insuccessi dell'altra ( il liberismo laissez faire) e così reciprocamente, e siccome gli ambiti delle due tifoserie sono divisi, ciascuno se la canta senza essere smentito. Se però si passa dal tifo ai programmi queste realtà non si possono dimenticare.
Passando alla lettera di Astengo, mi sembra che i primi 4 punti, territorio, infrastrutture, energia e ricerca, siano centrali in ogni ipotesi di uscita dalla crisi, ma su questi non viene fatta nessuna ipotesi concreta a parte il 4o punto che individua l'innovazione di processo come prioritaria. A me sembra che siano centrali e inscindibili sia l'innovazione di prodotto che quella di processo.
I punti 5) settore industriale, 6) settore bancario, 7) precariato li tratto insieme perché sono strettamente collegati. I settori di intervento mi sembrano giusti, in particolare il punto 6) reindirizzare le banche al finanziamento delle medie, piccole e micro aziende.
Per il punto 5) settore industriale, bisogna considerare che in Italia su 23 milioni di occupati 3,5 milioni sono nella PPAA e gli altri divisi più o meno equamente con circa 10 milioni nelle microaziende aziende (media di 4 persone) e circa 10 milioni nelle altre. Per cui le microaziende non possono essere dimenticate per l'importanza oggettiva che hanno in termini numerici, ma anche perché le microaziende non sono aziende nane e malformate ma sono aziende che nascono da idee e iniziativa, che quando sono buone creano innovazione e rinnovano l'economia. Alcune delle aziende più innovative del mondo erano 10 anni fa delle microaziende.
Le grandi aziende italiane invece (vedi Sylos Labini), sono aziende che dalla loro nascita in un paese ancora arretrato e povero hanno imparato ad appoggiarsi allo stato e si cono trovate così bene che continuano a farlo. Ma contemporaneamente i gestori dello stato, cioè la “casta” politica ha trovato utile farsi finanziare da quelli che finanzia e quindi politica e grande industria in Italia vanno a braccetto. Le accuse che si fanno alle grandi aziende per le sovvenzioni avute dallo stato e usate magari per decentrare all'estero, vanno fatte alla classe politica che quei soldi ha dato, e non per caso, senza regole e senza controlli. E' pura ipocrisia accusare gli imprenditori di fare i loro interessi e non quelli dell'Italia. Un imprenditore fa per definizione i propri interessi, anche quando paga un partito politico, sta ai partiti politici intervenire con regole che obblighino gli imprenditori a comportamenti utili anche al paese e controllare che li rispettino. Perché i partiti politici li hanno eletti i cittadini, come strumenti di realizzazione della loro potestà sovrana, mentre gli imprenditori non li ha eletti nessuno e devono rispondere solo a se stessi ed alle leggi. Tutto il discorso sulla FIAT, come lo hanno impostato i partiti e il sindacato è risibile. Il Signor Marchionne non è pagato dallo stato per fare gli interessi dell'Italia, ma dal gruppo di controllo della FIAT per salvare il valore delle loro azioni e questo lo ha fatto bene, perché adesso gli azionisti del gruppo di controllo della FIAT sono padroni della Chrysler, azienda risanata, grazie anche alle tecnologie verdi passate a loro dalla FIAT. Per cui oggi, gli azionisti FIAT non hanno più bisogno della FIAT, grazie a Marchionne che ha fatto bene il suo lavoro, alla corruzione della classe politica ed al velleitarismo massimalista del sindacato che ha fatto male il suo lavoro.
Per quanto riguarda precariato, disoccupazione, extracomunitari, a parte gli effetti positivi del rilancio dell'economia la soluzione è sempre una sola: il welfare.
Quello che serve al rilancio dell'economia italiana sono pochi punti ,
la programmazione ma non una programmazione sovietica, bensì una programmazione alla giapponese per indirizzare le ormai scarse risorse del paese verso settori strategici
lo snellimento di un sistema assurdo di regole e norme creato dalla mente malata dei nostri politici laureati in legge che sta facendo morire le microaziende
l'abolizione di rendite ( notai, commercialisti) che pesano sia sui cittadini che sulle aziende
il controllo e la rottura dei monopoli e degli oligopoli che forniscono servizi di bassa qualità con costi assurdi e anch'essi penalizzano aziende e cittadini (energia, telefoni, trasporti)
un moderno sistema di welfare, che è la vera realizzazione dei diritti dei lavoratori, che non si misura sulla retorica degli articoli della nostra Costituzione ma sui bisogni concreti: un reddito se si è senza lavoro con integrazioni per i figli e l'affitto. Così è in tutti i paesi europei in cui il sindacato ha lavorato per i lavoratori e non come appendice dei partiti.
La separazione netta tra politica ed affari, di cui parlo dopo
Quanto alle risorse per finanziare il rilancio dell'economia Astengo indica
“gli elementi di spreco che vengono principalmente da due parti: il gigantismo dell'apparato politico portato soprattutto dalla personalizzazione della politica (pensiamo alla dimensione gigantesca del debito delle Regioni, elefantizzatosi dal momento dell'elezione diretta dei Presidenti), e il processo di spreco e di diseguaglianze già causato dal cosiddetto “federalismo” così come questo, in maniera del tutto raffazzonato e legato ad egoismi di parte è stato concepito”.
Per dimensionare quantitativamente questi possibili risparmi basta confrontare il costo del personale della PPAA italiana che è di oltre 158 miliardi a fronte del costo (rapportato da 80 a 60 milioni di abitanti) della PPAA tedesca che è di 114 miliardi (dati del 2009). Sono 44 miliardi che comprendono i costi dei parassiti politici immessi dai partiti nella PPAA e nelle aziende pubbliche. Non parlo ovviamente degli impiegati d'ordine assunti magari con una raccomandazione politica, ma di figuri come Loris Zaffra, cioè signori posteggiati come dirigenti in aziende o uffici pubblici solo per clientelismo. Non c'è bisogno di iniziative traumatiche, visto che numericamente (rapportati alla popolazione) i dipendenti sono quasi uguali, basterebbe redigere un mansionario (e già così sparirebbero un bel po di manager inutili per mansioni inesistenti) e poi semplicemente rendere uguali gli stipendi per mansione: qualcuno in Italia avrebbe da lamentarsi di essere pagato come il lavoratore equivalente in Germania? C'è poi l'indicazione di Bellavita dei 100 miliardi che si risparmierebbero con la legalizzazione della droga e dei 20 recuperabili dalla sanità, c'è il recupero dell'evasione ci sono insomma tutte le condizioni e i soldi per un simile piano di rilancio dell'economia, compreso il punto fondamentale che è l'istituzione di un sistema di welfare.
Non sono invece d'accordo con il commento di Fasce e quindi con l'approvazione di Astengo, quando fa riferimento alla Costituzione e agli
“articoli che ne connotano l'intero impianto economico di cui al titolo - terzo - parte economica, che possiamo definire in brevissima sintesi modello economico che prevede solennemente quanto indicato nell'elenco da te proposto alternativo all'attuale modello economico neoliberista-teocon.”
Questo richiamo alla Costituzione come soluzione della crisi è un altro degli stilemi che si trovano in gran parte delle proposte della sinistra, in particolare di SEL, vedi per esempio l'appello di Livorno, ma è palesemente assurda.
La Costituzione non presenta una dottrina economica per lo sviluppo, ma è uno strumento di tutela dei diritti dei cittadini e (dovrebbe essere ma non è) uno strumento della realizzazione della sovranità popolare. Pensare che questo strumento sia anche un modello economico è pura follia e questo la dice lunga anche sulla qualità delle proposte di SEL e sul non senso di tutto il vaniloquio sulle loro proposte, sempre vuote di ogni riferimento reale.
Economia e Costituzione sono cose diverse, che si incrociano certamente perché la produzione è fatta da esseri umani e i processi produttivi possono ledere i diritti delle persone, e anche perché i diritti hanno un costo e quindi solo con una economia sviluppata e forte è possibile garantire i diritti dei cittadini. Ma per la sinistra italiana basta scrivere un diritto su un pezzo di carta senza chiedersi cosa costa renderlo reale e poi quando, ovviamente, le parole sulla carta non si realizzano da se, aggiungere qualche altra legge, sempre senza chiedersi quanto costa. L'esempio del nostro diritto al lavoro costituzionale, pure parole magiche, confrontato con il welfare di tedeschi, francesi, inglesi, poche parola, ma provvedimenti economici concreti è la misura del fallimento della sinistra italiana.
Invece la Costituzione è rilevante per l'ultimo punto, quello della rottura dell'intreccio tra politica ed economia, che può avvenire non con la solita pletora di leggi che sono esse stesse un incentivo al malaffare, ma solo se vengono definite delle regole costituzionali precise di controllo della democrazia dei partiti, che vuol dire poi ridare ai cittadini il controllo sull'uso della sovranità popolare che questa casta ha usurpato. Su questo Claudio Bellavita ha fatto alcune proposte nel suoi 10 punti per un programma
http://circolorossellimilano.blogspot.it/2012/08/claudio-bellavita-dieci-punti-per-un.html
che sarebbe utile riprendere ed eventualmente integrare. Se le regole riguardanti i partiti fossero state in vigore, l'attuale casta politica non avrebbe potuto affermarsi perché gli stimoli di rinnovamento che periodicamente sono apparsi nei partiti e che sistematicamente sono stati sconfitti dalle pratiche antidemocratiche delle oligarchie interne, avrebbero potuto rinnovare i partiti ed eliminarne le caste.
Riporto parte del primo punto per comodità del lettore:
democrazia nei partiti, in Italia e in Europa.
- i partiti che non fanno un congresso ordinario almeno ogni due anni, e quelli che li fanno ma gli iscritti non sono chiamati a votare delle mozioni politiche, o che li fanno, gli iscritti sono chiamati a votare le mozioni , ma i nomi dei dirigenti e dei delegati al livello superiore vengono acclamati e non votati su scheda segreta, non ricevono un euro di finanziamento pubblico e la motivazione viene pubblicata su tutti i giornali, a loro spese , eventualmente da scontare sulla ripresa dei contributi. Vuol dire che se non si introduce la democrazia nei partiti personali si fa un bel risparmio. E un po' di chiarezza (quanti sanno che nello statuto del PD sta scritto che il congresso ordinario si fa una volta all'anno?)
-in Italia vuol dire che i parlamentari sono scelti dagli elettori, o col metodo della preferenza o con quello del collegio unico. Una classe politica screditata come la nostra, all'interno come all'estero, non ha alcun diritto morale di fare delle cooptazioni di recupero a livello nazionale. anzi, è un tumore da combattere, con metastasi nella formazione dei gruppi dirigenti. …..”
Mario Saccone
Concordo con Fasce sul fatto che vi sia profonda CONTRADDIZIONE tra il principi della Costituzione italiana (lavoro, eguaglianza, diritti, democrazia, economia mista ecc.) e quelli dell'Unione europea (le famose "quattro libertà": di circolazione delle merci, dei capitali, dei servizi e dei lavoratori).
E' ormai chiaro che la Ue, come effettivamente è realizzata, non ha nulla a che vedere con i valori dei padri fondatori, e si è risolta in un impianto liberista e antidemocratico, che produce l'effetto (secondo alcuni addirittura progettato e voluto) di ridimensionare lo stato sociale e il potere dei sindacati, cioè l'eredità della socialdemocrazia.
Secondo Fasce da questa situazione se ne esce "cambiando il segno economicista neoliberista dei Trattati europei a partire da Maastricht in senso socialdemocratico". Giustissimo, ma purtroppo NON VI E' ALCUN INDIZIO CHE CIO' STIA AVVENENDO o avverrà in futuro.
Sono ormai quattro anni che imperversa la crisi e nessuna misura seria è stata adottata per regolamentare la finanza, condividere il debito pubblico, dare poteri sostanziali alla Bce, avviare un piano di investimenti sul continente o democratizzare le istituzioni europee. Se non lo si è fatto, è perché verosimilmente NON LO SI VUOLE FARE, o gli interessi forti lo impediscono.
Le soluzioni proposte (fondi salva-Stati ecc.), a parere di molti commentatori, sono solo pannicelli caldi che non convincono nemmeno i "mercati". La "maggiore integrazione" che ci propone la Germania è tutta basata su vincoli ai bilanci pubblici, così da scongiurare l'eventualità che qualche Paesi si sogni di fare politiche keynesiane!
Fino a quando sopporteremo la dittatura dello spread? Il Pil cala, la disoccupazione aumenta e le ultime industrie stanno chiudendo... il tempo a nostra disposizione non è infinito. Anche a sinistra, finalmente, si sta facendo largo l'idea che un'USCITA DALL'EURO sarebbe un vantaggio per l'Italia. Naturalmente con argomenti molto diversi da quelli delle destre xenofobe e antieuropeiste.
Lo sostengono chiaramente alcuni economisti anti-liberisti, per es. Brancaccio
http://www.glialtrionline.it/2012/09/02/brancaccio-monti-e-draghi-hanno-fallito-luscita-dalleuro-non-e-una-bestemmia/
Cesaratto
http://politicaeconomiablog.blogspot.it/2012/08/unagenda-per-lautunno-un-articolo-su-il.html#more
Bagnai
http://goofynomics.blogspot.it/2012/09/la-trappola-delleuro.html
Il mio sospetto è che, se l'euro crollerà, non sarà sufficiente tornare alla lira ma, per poter sfruttare la riacquistata sovranità monetaria, occorrerà uscire anche dall'Unione europea. I trattati della UE continuerebbero infatti a impedirci di: imporre dazi alle importazioni, controllare i movimenti dei capitali, sostenere industrie nazionali, avere una Banca centrale non separata dal Tesoro... tutte operazioni senza cui un'economia mista sembra impossibile.
Resterà la speranza che, sulle ceneri, nasca una NUOVA EUROPA, finalmente sociale (e socialista?).
Saluti P.P.
Una domanda, ma perché nella Costituzione italiana, dopo la prima
parte dei Diritti Fondamentali (quelli che si occupano dei diritti
indicati da Saccone), la terza parte è stata definita "parte
economica".
Non ho tempo per parlare delle due caratteristiche della
costituzione, l'una prospettica e l'altra di programmatica.
Quella programmatica, descritta nella "parte economica", che ha
consentito ai governi prima della resa al neoliberismo di epropriare
le imprese private che producevano e distribuivano l'energia
elettrica e continuare a far produrre le imprese dell'IRI.
Azioni pratiche di governo mica idee utopistiche da realizzare nel
futuro.
Inoltre la Costituzione sancisce (non fosse attualmente in stato
comatoso lo potrebbe rifare) la supremazia dello Stato democratico
sull'economia così come esemplarmente indica l'
Poi continuando nella mia idea folle affermo che di programmazione
c'è anche quella socialista di Lombardi che voleva anche andare
oltre con le "riforme strutturali" a quanto già consolidato.
Possibilità sempre contemplata nella parte economica della
Costituzione.
Poi magari anche Astengo spieghi se lo ritiene, perchè abbia
convenuto con me sul riferimento alla Costituzione. Non credo
propprio per compiacenza.
Follia è l'attuale modello di economia neoliberista-teocon, con la
pressochè completa deregolazione in ambito imprenditoriale di beni
materiali e immateriali e in ambito, e peggio del peggio, di imprese
finanziare, vero e proprio gioco d'azzardo globalizzato lasciato in
mano non più alla "roulette russa" ma ad anonimi e invisibili
programmi computerizzati attivati in automatico.
Con l'aggravante che si è arrivati a questa follia anche con la
connivenza dei governi socialisti europei alla fine del novecento.
Do you remember "la terza via" ?
Un dialogante, franco, socialista saluto.
Luigi Fasce
Non ho nulla da obiettare a Lombardi, né ho messo in dubbio la programmazione, né la nazionalizzazione dell'Energia Elettrica,. Quando la fece, fece benissimo, perché come dicevo, citando Sylos Labini, la grande industria italiana era abituata ( e lo è ancora) a vivere in regime di monopolio sfruttando questa situazione con servizi pessimi e tariffe altissime. Il problema è che Riccardo Lombardi era Riccardo Lombardi, ma i suoi pupilli erano Signorile, De Michelis e Cicchitto. Per cui il risultato finale non fu una azienda di interesse nazionale al servizio del paese, come lui voleva. ma un nuovo monopolio non più al servizio dei privati, ma al servizio dei partiti. E le tariffe rimasero altissime e il servizio pessimo. E' questo il punto tragico della situazione italiana. In tutto il mondo le situazioni di monopolio, anche quelle della classe politica, tendono a degenerare e a corrompersi, ma esiste una soluzione: il ricambio.
Anche l'alternanza tra pubblico e privato è un ricambio che serve a ripulire le degenerazioni. Ma da noi non esiste ricambio. Quando si nazionalizzò si mise in mano alla politica un monopolio, quando si privatizzò si mise in mano ai privati un monopolio. Per questo nei punti di un programma economico oggi in Italia bisogna da un lato bastonare il monopoli privati con delle authority vere, dei civil servants che rispondano al paese e non complici della camarilla tra partiti e grandi imprese, e dall'altro smontare il sistema delle clientele nelle aziende pubbliche. Per quello poi citavo come essenziali punti sulla riforma dei partiti proposti da Bellavita.
Quindi non è questa l'idea folle. L'idea folle è che l'applicazione della Costituzione sia il metodo con cui uscire dalla crisi economica. Questo discorso si sta ampliando lo si trova in SEL ed emerge un po dappertutto e sta sostituendo una seria analisi della situazione economica e delle soluzioni. Purtroppo la base concreta di questa follia è l'ignoranza ormai totale della sinistra su quelli che sono oggi il lavoro produttivo, la produzione e l'economia.
Credo che fare un esempio concreto di agire economico sia il modo più semplice per capire perché questa è una follia. Prendo il bel libro di “economia” di Paolo Sylos Labini “Torniamo ai classici” Sottotitolo: “produttività del lavoro, progresso tecnico e sviluppo economico”.
Tanto per evitare equivoci i classici sono gli economisti liberali classici, Smith, Ricardo, che non sono quelli del laissez faire, quindi non sono i responsabili della crisi economica, ma quelli che insieme ai successivi economisti liberali come marginalisti e Keynesiani. hanno definito principi economici che sono seguiti da tutto il mondo sviluppato dagli Strati Uniti alla Cina, dalla Germania al Brasile
Il sottotitolo presenta a grandi linee gli elementi di base della teoria economica che era già dei classici e che Labini ha sviluppato ulteriormente. Questa teoria economica lega i tre elementi produttività, progresso tecnico e sviluppo, ma anche l'occupazione e la distribuzione del reddito.
Questi elementi hanno tra loro rapporti complessi: una innovazione tecnologica può generare un aumento della produttività, un aumento della produttività elevato, riduce la quantità di lavoro per prodotto e quindi potrebbe ridurre l'occupazione, ma contemporaneamente può ridurre il prezzo delle merci e quindi aumentare i consumi e quindi rialzare la quantità di lavoro, non per prodotto ma complessiva a causa del maggior numero di prodotti e quindi mantenere il livello occupazionale. L'aumento del profitto corrispondente potrebbe essere in parte preso dai lavoratori con un aumento delle retribuzioni e quindi indurre un maggior consumo e di nuovo più produzione e più lavoro.
Insomma questi sono gli elementi che un economista serio cerca di capire nel loro funzionamento per poter agire su di essi con interventi di politica economica. La descrizione che ne do è sommaria e quindi incompleta, ma un testo di economia non è uno scherzo ed io non sono un economista. Però sarebbe bene che nella cultura comune, almeno di chi intende fare politica alcune cose di base si sapessero e tra le cosa di base c'è sicuramente la distinzione tra cosa è l'economia e che cosa sono i diritti.
Nel libro di Labini la Costituzione non è citata, perché non c'entra niente. Ovviamente se si dicesse a Vendola o a Veltroni o a Nencini, che bisogna agire sull'innovazione per aumentare la produttività e quindi la competitività, ma stando attenti ai problemi che ne deriveranno per l'occupazione per esempio istituendo un sistema di welfare, avremmo come risposta un farfugliare sui problemi identitari della sinistra, una affermazione che l'Italia è una repubblica fondata sul lavoro, ma niente altro. In Germania la SPD di Brandt, in Svezia la socialdemocrazia di Olof Palme hanno messo su un sistema di welfare, che è un esempio di socialismo concreto, non a suon di Costituzione, ma agendo sull'economia. Il welfare è una azione economica concreta di distribuzione di reddito e corrisponde a ciò che Keynes indicava come strumento per far ripartire l'economia: dare reddito ai lavoratori produttivi che lo investono in consumi di base e quindi contribuiscono allo sviluppo. L'istituzione del Welfare è stato un elemento determinante per lo sviluppo dell'economia di questi paesi.
In Italia nessun partito e neppure il sindacato, hanno ancora avuto il coraggio di impegnarsi sul welfare. E questo perché finanziare il welfare vuol dire ridistribuire al paese quella grandissima parte di reddito che gli italiani danno allo stato in tasse, e di cui i partiti si sono impossessati per sostenere il loro enorme sistema clientelare. Tutti i partiti, SEL compresa.
Tornando alla lettera, Luigi Fasce dice “Inoltre la Costituzione sancisce la supremazia dello Stato democratico sull'economia”
Non saprei cosa dire. Lo stato democratico e l'economia sono due realtà diverse non comparabili ne rapportabili. La Costituzione dice già tante cose inutili, che forse da qualche parte sancisce anche la supremazia dello stato democratico sull'economia. Se però andassimo alla deriva come la Grecia, cosa non ancora del tutto esclusa, mi piacerebbe vedere a che serve la supremazia dello stato democratico sulla economia.
A parte questo. comunque, l'articolo 41 non mi sembra sancisca nulla. Inizia con
“L'iniziativa economica privata è libera.” Affermazione piuttosto precisa, forse perché deve averla scritta un liberale di scuola classica, probabilmente Einaudi.
Il seguito è un po confuso, probabilmente l'ha scritto uno di sinistra , che se è ancora vivo. sarà in SEL. “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l'attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”
Anche questa frase non sancisce nessuna supremazia, dice solo che lo stato controlla che, ad esempio, in Italia non si facciano lavorare i bambini, non si mettano i lavoratori in condizioni di pericolo per la loro salute, che le aziende non inquinino, cioè tutte cose che attengono ai diritti dei cittadini nei rapporti con l'economia, ma che non definiscono di per se nessun piano economico.
Poi Fasce aggiunge:
Follia è l'attuale modello di economia neoliberista-teocon, con la pressoché completa deregolazione in ambito imprenditoriale di beni materiali e immateriali e in ambito, e peggio del peggio, di imprese finanziare, vero e proprio gioco d'azzardo globalizzato lasciato in mano non più alla "roulette russa" ma ad anonimi e invisibili programmi computerizzati attivati in automatico.
Anche su questo non vedo cosa dovrei dire, visto che non c'entra nulla con quanto ho scritto. Ma mi sembra che a questo frase convenga bene il paragone delle tifoserie, che presentavo nel mio intervento: si attacca la follia degli altri per evitare di far la critica della propria.
Mario Saccone
Condivido Saccone. L'Italia è un repubblica fondata sul lavoro non vuol dire che è fondata sul lavoro dipendente. E infatti la Dc ha fondato la sua base elettorlale sulla pensione ai contadini, agli artigiani e ai commercianti a spese degli operai. Non vuol dire neanche che per mantenere un posto di lavoro pericoloso per la salute del lavoratore e dell'ambiente, bisogna buttare 250.000 euro di contributi pubblici per tenere in vita una miniera di carbone allo zolfo, e che dobbiamo pagare sulle nostre bollette circa 180.000 euro si sconti sulll'energia per ogni posto di lavoro all'Alcoa, unica fonderia di alluminio che non sia basata sull'energia nucleare che non si può spegnere mai.
Infinita è la capacità retorica della sinistra confusa che si esprime in sindacalese, eternata dalla "foto di gruppo delle anime morte" sui gradini della Cassazione...
D’accordo, (Estratto dal documento LBS che avevo preparato per la campagna di Pisapia)
Tre parole chiave: lavoro, benessere, speranza.
Personalmente avrei tre parole chiave da suggerire, che sostituiscono termini astratti con parole concrete, concrete aspirazioni e preoccupazioni di tutti e sono: lavoro, benessere (anzi forse meglio ancora stare bene o qualità della vita) e speranza. Sono tre semplici parole comprensibili a tutti noi e sono cose che si possono promettere onestamente. Naturalmente non dobbiamo imbrogliare le persone, dicendo che offriremo un lavoro a tutti, ma dobbiamo impegnarci perché questo avvenga. Promettiamo l’impegno sincero e appassionato, non il risultato. E vorrei ribadire che siamo ancora a un livello di astrazione elevato, per una comunicazione efficace occorre procedere alla elaborazione di messaggi più specifici, ma questo è compito degli esperti di comunicazione e non pretendo di avere questa competenza.
Lavoro è nell’articolo 1 della nostra costituzione (Art. 1. L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro), non c’è società senza lavoro e non c’è persona completa senza la possibilità di lavorare, la Sinistra non può rinunciare a ribadire la propria appartenenza alla grande famiglia dei laburisti. Dire che siamo per una società di persone che lavorano, non è scontato e non è neppure operaismo: i lavoratori non sono gli operai e non è neppure un termine di cui dobbiamo avere paura. Tuttavia poiché la lingua usata ha un peso, se si vuole evitare il suono un po’ frusto ed equivoco del partito dei lavoratori, diciamo almeno che la sinistra è il partito di chi lavora, o il partito del lavoro. Il che esclude i rentier e i parassiti di ogni genere, a cominciare dagli usurai e dai racketeers, che nel nostro paese sono più di una fascia marginale. Negli Stati Uniti la legge RICO (Racketeer Influenced and Corrupt Organizations Act nota come RICO Act o RICO) è stato uno strumento importante di lotta contro la criminalità e, in un paese con milioni di commercianti e artigiani e piccoli imprenditori, un partito che assuma prioritariamente la difesa di chi vive del proprio lavoro si colloca in una posizione centrale negli interessi diffusi e nei valori comuni. Ed esclude anche le grandissime fasce di parassitismo annidate nel pubblico impiego, un parassitismo che forse rappresenta il coacervo più conservatore e dannoso della società italiana. Non solo in termini economici, che peraltro sono tuttaltro che irrilevanti, ma soprattutto in termini culturali ed esistenziali o dell’esperienza quotidiana. Ma include invece, artigiani, commercianti, professionisti e imprenditori che onestamente e appassionatamente investono le proprie risorse e i propri talenti nella sfida al mercato.
E’ un dramma che la sinistra abbia abbandonato a Berlusconi la rete di chi commercia ed è a contatto con il pubblico, perché queste persone sono spesso di origine popolare e di cultura socialista, ma soprattutto rappresentano un formidabile sistema di trasmissione delle opinioni. Il giornale di categoria “L’esercente”, è stato negli ultimi decenni del xix secolo un giornale di sinistra e questa tradizione popolare di commercianti, artigiani, esercenti si è continuata a rinnovare per un secolo finché malintesi ideologi dell’operaismo hanno ributtato di là intere categorie esattamente (tanto per provare, se ce ne fosse ancora bisogno, l’acume degli ideologi) nel momento in cui il capitalismo industriale manifatturiero lasciava il campo a quello dei servizi, della finanza e della conoscenza.
Ma che significa in concreto “essere per il lavoro”? In primo luogo, come abbiamo già detto, riconoscere che per la grandissima maggioranza delle persone lavoro o progetto di vita si equivalgono. Oggi ci sembra normale parlare di “mercato del lavoro” ed è una fortuna, perché questo termine significa, fortunatamente, anche “regole” per far funzionare questo mercato (il “nero” è il mercato puro, come lo vorrebbe la destra: fame soperchierie e sfruttamento) ma non dobbiamo mai dimenticare che la mercificazione del lavoro, è la riduzione dell’uomo a merce (libero, ma in catene d’oro) e che il lavoro è una merce virtuale, e che nel mercato del lavoro che molti economisti trattano come ogni altra merce c’è una asimmetria: la domanda di lavoro è astratta, chiede prestazioni, ma l’offerta di lavoro coincide con il progetto di vita del lavoratore, a tutti i livelli. L’imprenditore che investe le sue risorse sul mercato ha aspettative esistenziali e progetti di vita non diverse da quelle dell’operaio: il lavoro è la sua prospettiva di vita e in questo senso “essere per il lavoro” vuol dire riconosce che il lavoro è la più importante, seria, e persino drammatica aspirazione di tutti, soprattutto i giovani.
Ma al tempo stesso dobbiamo rifiutare la concezione per cui chi “lavora” è solo chi fa i propri affari, mentre chi lavora per gli altri è in genere un fannullone. Questa concezione per cui chi salta la coda o ti blocca la macchina con la sua in seconda fila e poi si scusa dicendo “ma io sto lavorando” è da rifiutare perché presume che chi sta facendo i propri affari abbia un diritto particolare a non rispettare le regole comuni, particolarmente quelle che impongono di contribuire al benessere comune con il proprio reddito.
Ma essere per il lavoro non si ferma alla, pure importantissima, difesa del diritto a lavorare, ma investe anche due altre importanti aspetti: la qualità del lavoro e la democrazia sul luogo di lavoro. Il lavoro non è uguale per tutti, ci sono lavori difficili, pericolosi, ripetitivi e poco pagati e ci sono lavori piacevoli ben pagati, ma non è tutto qui. I lavori migliori hanno un riflesso interno positivo sulla personalità, sono lavori che migliorano la persona accumulano esperienza: i lavori peggiori hanno riflessi negativi sulla personalità non accumulano esperienza, ma la riducono. Non è la fatica o l’usura che contano, ma l’espansione o meno della personalità In questi mesi Radio tre ha trasmesso una serie di impressionanti testimonianze dei cavatori della Lunigiana, lavoro usurante, faticoso (una o due ore di salita a piedi con ogni tempio per raggiungere il posto di lavoro) e pericoloso se mai ve ne fu uno. Ma i cavatori erano persone straordinarie che raccontavano la loro esperienza lavorativa con un attaccamento e una proprietà di linguaggio che difficilmente troveremmo anche in un professore universitario. L’impegno per la qualità del lavoro e la democrazia può anche aiutare ad affrontare il problema drammatico della sicurezza sul lavoro e del migliaio di morti sul lavoro che ogni anno il nostro paese deve sopportare. Queste tragedie non possono essere eliminate del tutto, ma possono essere ridotte. E in più il Paese ha un debito verso le moltissime vittime che hanno contribuito a renderlo prospero. Non si capisce perché gli imprenditori possano diventare “cavalieri” del lavoro, mentre ai morti sul lavoro (ad alcuni di essi solo) spetta solo il patetico e oscuro titolo di “stelline” (cadenti?) . Il problema è che in Italia queste stelle sono più numerose che nel firmamento e forse sarebbe ora che anche alle vittime del lavoro venisse riconosciuto il titolo più serio di cavaliere del lavoro. Al fondo sono stati cavalierati sia Benito Mussolini che Silvio Berlusconi e, con i disastri che hanno fatto, nessuno gli ha tolto il titolo; non si vede quindi perché non debbano esserlo anche Pasquale Miranda 58 anni: travolto da uno smottamento mentre lavorava all’allacciamento alle fognature di Torino, oppure Sam Modu Dipo, 39 anni,: stava scaricando dal suo camion indumenti da consegnare a una lavanderia, il mezzo lo ha schiacciato e tutti gli altri 982 morti sul lavoro fino al 9 dicembre 2007 (L’Unità, 9 dicembre 2007) e 1.050 nel 2009.
E chi non lavora perché il lavoro non ce l’ha? Un partito del lavoro ovviamente deve difendere anche chi non lavora. L’ISTAT conferma che gli italiani vogliono lavorare, anche quelli che il lavoro non ce l’hanno e quindi il nuovo partito deve promuovere la massima accessibilità al lavoro, tramite l’educazione, la difesa del merito, la apertura dei mercati del lavoro e tutto quanto favorisce l’accesso al lavoro. su questo punto potremmo scrivere pagine e pagine, ma l’essenziale è che si proceda al più presto.
Credo che in se oggi la parola "lavoro" sia inflazionata. A meno che non pensiamo al lavoro "fisico", cioè a qualsiasi movimento che il nostro corpo fa, consumando energie.
Propenderei di più per "attività":
1) attività produttiva;
2) attività amministrativa;
3) attività sociale;
4) attivita assistenziale;
e perché no?
5) attività imprenditoriale o istitoria;
ecc.,
che darebbe più senso all'organizzazione umana. e forse umanizzante della società attuale. Ci pensiamo?
Giampaolo Mercanzin
Compagne e compagni,
ridefinire linguaggi passando per la Torre di Babele può essere
esercizio mentale utile per non fare addormentare il cervello (come
le parole crociate), ma mi pare che sradicare il pensiero socialista
non sia opportuno.
Il Capitale del buon Carletto è di tutta attualità, almeno per la
parte dell'analisi critica al capitalismo, attualmente geneticamente
modificato in neoliberismo (Moltinazionali e finanza sovra, al di
fuori stati che dettano agende e leggi a stati e Unione di Stati).
Si scrive Capitale, ma si legge Lavoro.
Certo come psicologo ho già aggiunto note su note sull'importanza del
lavoro, comportamento umano indispensabile per la sopravvivenza umana
che fa da sottofondo alla questione tardivamente successiva, posta su
tutt'altro piano, politico e non esistenziale, che è la "lotta della
classe dei lavoratori". Non sarebbe meglio anziché emettere pensieri
liberi, ricapitolare la nostra storia socialista ?
Un dialogante saluto ... socialista.
Luigi Fasce
"Lavoro" rimane l'insostituibile definizione dell'oggetto della contraddizione con il capitale. Grazie per l'attenzione Franco Astengo
Non sono d’accordo. Lavoro è una bella parola, con una tradizione, che tutti capiscono. Non è che una parola si usura se viene usata molto, si usura se viene usata male (vedi Carofiglio la manomissione delle parole). E non è neppure possibile ogni volt reinventarsi un linguaggio. Attività è un sinonimo, ora et labora vuole dire proprio questo, ma chi siamo noi per scartare una convenzione che i nostri predecessori e antenati ci hanno trasmesso? Tra l’altro se ognuno di noi si mettesse a proporre un nuovo termine, anche ammesso che fosse più esatto (ma esatto per le parole vuol dire consenso più ampio) si finirebbe per inflazionare la lingua, non una sola parola. E’ precisamente ciò che sta avvenendo oggi con neolingua su neolingua che si aggiunge a quella convenzionale creando l’effetto babele che molti lamentano e che Calvino chiama “la peste del linguaggio”. Personalmente credo molto nella eredità che le parole si portano dietro e nel compito che ognuno di noi ha nel lavoro, giustappunto, di manutenzione. Io farei molta fatica se si decidesse di non usare più la parola lavoro, ma poi alla fine è l’uso collettivo che decide quale termine avrà il sopravvento. g
Riprendo le considerazioni sul lavoro. Non sapevo che si fosse cercato a suo tempo di presentare l'argomento lavoro nella campagna per Pisapia e mi rammarico che se ne sia tenuto così poco conto. Per lo meno questa è la mia esperienza nei rapporti con il Comune. Per motivi contingenti, come membro di una Associazione che opera per i lavoratori che hanno perso il lavoro in età matura, mi sono letto il piano del welfare ambrosiano preparato dall'Assessore Majorino.
Il problema principale “strategico” per chi perde il lavoro è quello di ritrovarne uno per avere il reddito con cui vivere, il problema immediato “tattico” è sopravvivere in attesa di ritrovarne uno. Se la persona è in età matura, spesso strategia e tattica si mischiano nel problema di sopravvivere fino alla pensione, che risolve il problema del reddito. I provvedimenti che i governi, compresi quelli di sinistra hanno preso in questi anni, spostando la pensione senza nessun attenzione per chi appunto, espulso dal lavoro, contava nell'arrivo della pensione hanno frantumato un bel po di speranze
I provvedimenti della Ministra Fornero, al solito sono elenchi di mini provvedimenti ad hoc per gli esodati delle poste, o quelli delle ferrovie o quelli delle manifatture tabacchi chiuse nel 1890 (ovviamente sto inventando i nomi che non ricordo, ma credo che la realtà sia questa), ma mai su interventi complessivi. Perché questo governo come tutti gli altri non vuole o non sa, risolvere i problemi del paese moribondo ma solo fargli un po di maquillage. Per cui un milioni e mezzo di lavoratori di oltre 40 anni, licenziati a zero lire della piccola industria o licenziati con buonuscite ormai esaurite si trovano di fronte il buio degli anni che sono stati aggiunti all'età della pensione. Ovviamente la Ministra Fornero dice che devono trovarsi un lavoro. Non credo che la ministra, che è anche lei in età matura abbia provato a mandare il suo curriculum alle aziende. Si sarebbe accorta che a parte casi sporadici, nessuno le avrebbe risposto. Anzi essendo donna non le avrebbe risposto proprio nessuno.
Le cifre sono impressionanti circa 1 milione e mezzo di precari con più di 40 anni, di cui 380 mila sopra i 55 anni. L'organizzazione da più di 10 anni li monitora ed ha organizzato incontri, congressi con università, pubblicato un libro, collaborato ad un progetto di legge, ha fatto una mole di lavoro impressionante, di cui io che collaboro solo da poco conosco solo una parte. Aggiungo come elemento che giudico, in questa realtà, estremamente qualificante: non riceve un soldo da nessun ente pubblico e si sostiene con le bassissime quote di iscrizione e con il 5 per mille, per cui può liberamente dire quale è la situazione, perché ne risponde solo coloro che questa situazione vivono.
Ma torniamo al piano del welfare ambrosiano. Non c'è nulla nel piano che affronti il problema. Dal punto di vista del welfare ambrosiano l'iter che può seguire il lavoratore che ha perso il lavoro è semplice, deve aspettare di trovarsi in miseria o di avere disturbi mentali causati da ansia e depressione. Dopo di che potrà presentarsi ad uno degli infiniti sportelli di Majorino e sarà adeguatamente (nei limiti del bilancio) trattato.
Si potrebbe osservare che il problema è un problema nazionale, dappertutto affrontato a livello nazionale. Ma in Italia non lo è, e non solo per la perfidia della destra Berlusconiana, ma perché la sinistra quando è stata al governo non ci ha mai neppure pensato. Al solito ha prodotto provvedimenti per i lavoratori delle manifatture tabacchi, ma non un provvedimento organico per tutti coloro che sono senza lavoro. Se non si spezzetta il problema in una miriade di problemini da risolvere in modo clientelare a che serve la politica?
Già nelle officine di Pisapia si cercò di criticare l'assenza del problema dei precari e disoccupati giovani e vecchi dal welfare. Ma le officine iniziarono con un programma già scritto da sindacati e partiti e il risultato delle officine fu solo l'integrazione sintattica di alcune frasi di semantica molto impoverita suggerite dai partecipanti alle officine, non un nuovo programma impostato e discusso dai partecipanti. (La critica non è tanto di non aver fatto nelle officine l'impossibile esercizio di creare in poco più di un mese un programma discusso con i cittadini, ma sul fatto che oggi viene spacciato come tale).
Ora come associazione stiamo cercando di capire come intervenire sul il piano del Welfare Ambrosiano. Il documento è al solito un grande esercizio di retorica che si adegua alla parole della moderna sociologia e che dice tutto su tutto un mondo che esiste solo parzialmente. Nel mondo vero esiste il problema dell'enorme massa di disoccupati e di precari.
Il welfare statale non c'è. L'attuale giunta è costituita da quasi tutti i partiti della sinistra dal PD a Sel a Rifondazione che però dicono di non poter intervenire con il welfare locale perché il problema è nazionale e va trattato in Parlamento. Ma in Parlamento non fanno nulla. Ovviamente i sostenitori dei partiti potranno elencare proposte di legge innumerevoli che trattano dei problemi del precariato, della disoccupazione, perfino del salario minimo garantito. Ma è un gioco. Non c'è nessuno impegno politico per costruire una maggioranza e quindi si può chiedere tutto. Ma una voce welfare nei programmi dei partiti della sinistra finora non c'è.
Da qualche parte ho letto, mi dispiace di non essere in grado di riferire le cose più esattamente, ma penso che in questo thread di discussione socialista la cosa sia nota, che a fine ottocento dopo la svolta di Costa, i socialisti si presentarono alle elezioni locali per i sindaci. Dove vennero eletti, i sindaci socialisti si trovarono le mani legate perché le leggi di allora non permettevano di prendere provvedimenti di assistenza a lavoratori e disoccupati. Lo fecero lo stesso. Vennero destituiti dai prefetti, ma il più delle volte vennero rieletti e rifecero le stesse cose.
Dubito che il nostro sindaco, che è così pauroso da chiedere ai cittadini di non lasciarlo solo, oserebbe mai fare una cosa simile, figurarsi Majorino. Però è questo che oggi si deve fare.
PS. L'associazione ( www.atdal.eu ) si occupa dei lavoratori che hanno perso il lavoro in età matura non per una mania di frammentazione, ma perché la persona che la ha fondata nel 2002 sulla base della proprio dura esperienza, dopo essersi rivolta a partiti sindacati si rese conto che a loro non interessava nulla di diverse centinaia di migliaia di lavoratori (quanti erano allora), perché non erano organizzati e quindi non rappresentavano un valore né per i partiti né per i sindacati.
Evidentemente partiti e sindacati non sanno più cosa vuol dire organizzare i lavoratori se non se li trovano già organizzati dal capitale nelle grandi fabbriche e infatti sono ridotti sempre più a difendersi nei bunker dei pensionati e della PPAA. L'obiettivo che ha l'Associazione è quello di organizzare i precari maturi per collegarli alle altre realtà dai precari (come San Precario), agli esodati, ai disoccupati ed elaborare obiettivi e piattaforme comuni. Ma dove trova il sindacato, ad esempio tra gli esodati, trova un muro. E i partiti sono completamente assenti.
Mario Saccone
Io mi ritengo piuttosto tradizionalmente
socialdemocratico, ho lavorato molti anni in stretta collaborazione con i
socialdemocratici scandinavi che ammiro e non mi pare di aver mai trovato un
pregiudizio antimprenditoriale. Inoltre cercavo di approfondire l'intento
costituzionale che secondo me parla di lavoro in senso ampio. Al momento non
vedo alcun modello funzionante che sostenga l'abolizione del lavoro autonomo
o imprenditoriale. Una economia tutta di produttori dipendenti non ha
funzionato, non c'è luogo al mondo in cui sia stata provata nelle più
diverse forme e in cui funzioni. Una economia tutta solidale, che ne è la
parente più vicina, è stata provata in alcune temporanee situazioni (maoismo
compreso), non mi sembra abbia funzionato. Il modello di una economia di
mercato regolata dallo stato, in tutte le variazioni possibili, è quello in
cui siamo collocati e nonostante la necessità evidente di profonde revisioni
è ancora, mi sembra, il modello più accettabile. Ribadisco, il laburismo
all'italiana cioè l'operaismo ha prodotto molti guai e ha molto ristretto le
possibilità di egemonia della sinistra. Non credo sia un cedimento
ideologico ragionarci su, e comunque se devo essere sincero la purezza
ideologica non mi ha mai attratto. Buona parte della mia famiglia ha una
tradizione imprenditoriale di immigrati meridionali a Milano sinceramente e
attivamente socialisti. Penso spesso a loro nei miei ragionamenti. G
Caro Luigi, la nostra storia socialista va studiata, ma il mondo è cambiato.
Non ci sono più molti operai e ci sono pochissimi contadini, siamo in una
società di servizi che dovrebbe esser sensibilissima alle battaglie
sindacali e invece no, lo sono solo i servizi pubblici. Una volta eravamo
soggetti ai cicli delle produzioni industriali, adesso a quelli della
finanza creativa. dobbiamo rimentterci a studiare, ma guardando all'oggi e
al domani, non alla Fiumana
giusto: la mitologia ideologica dell'operaismo, di figure di lavoratori che
se sono realmente esistite in Italia sono durate poco (l'operaio massa ecc)
ha determinato tanta spazzatura , l'emarginazione della sinistra estrema, e
l'ingessatura del sindacato. Certo è difficile basare politica e sindacato
su figure di lavoratori che non esistono più e non riuscire a occuparsi di
quelli che esistono:i braccianti immigrati dell'agricoltura e dei servizi, i
precari non in regola, e anche quelli in regola e senza difesa , altro che
art. 18. Insomma una sinistra che cerca come referente sociale il lavoratore
che non c'è. Erede peraltro della persistenza della cultura gramsciana, che
aveva come riferimento un'Italia prevalentemente contadina e cattolica:
nelle campagne sono rimasti solo più gli imprenditori agricoli, forti di
ottime organizzazioni che gli hanno insegnato i vantaggi dell'Europa,e non
mi sembra che le chiese siano piene.
E' vero, il mondo è cambiato, ma è necessario capire la natura della trasformazione preservando la continuità di un processo ed evitando il rischio (pericolosissimo!) di disfarsi di categorie come lavoro e capitale. Insomma sono mutate quelle che nel gergo degli economisti si definiscono "catene del valore", sono mutate la loro composizione, qualità ed articolazione. I processi dell'innovazione hanno guidato l'evoluzione dell'industria accentuando il ruolo dei servizi, e sono andate determinandosi "catene" più lunghe, dall'industria ai servizi, a sempre più alta "intensità di conoscenza". In questo senso il dibattito "deindustrializzazione o terziarizzazione?" viene superato, lasciando spazio a un campo molto vasto e intersecato di "modelli di business" e rapporti di produzione. E in tutto questo il ruolo dell'industria rimane intatto! Non è materia da relegare ai romanzi di Charles Dickens! Un errore da non compiere, e che può nuocere molto, se fatto, alla difesa dei principi della democrazia. Daniela Palma
Sono d'accordo con Guido Martinotti, soprattutto la dove dice.
“Il modello di una economia di mercato regolata dallo stato, in tutte le variazioni possibili, è quello in cui siamo collocati e nonostante la necessità evidente di profonde revisioni è ancora, mi sembra, il modello più accettabile.”
E' questa la strada che va seguita. E se si è d'accordo su questo, tutte le cianfrusaglie dei psicologismi identitari e delle confusioni tra etica ed economia, andrebbero spazzati via. La strada diventa quella di cercare un alleanza sociale per rilanciare economia e lavoro con chi ci sta, anche allargando le intese con strati sociali come le piccole imprese e perfino con la borghesia imprenditoriale vera. Intese per il rilancio dell'economia, come nella politica inaugurata in Svezia dall'economista socialdemocratico Meidner negli anni 50 e che ha portato 30 anni di prosperità.
Sono d'accordo anche con le osservazioni sempre “tranchant”, ma è giusto che lo siano, di Claudio Bellavita.
Nella lettera di Guido Martinotti ci sono poi osservazioni sugli imprenditori progressisti che sono importanti perché non indicano delle eccezioni, ma dei movimenti concreti che sono iniziati anche un secolo fa con lavoratori che sono diventati imprenditori senza dimenticare la loro origine, ma che nella realtà di oggi possono rappresentare una realtà molto significativa. Cosa è un imprenditore?
Una descrizione completa del tipo umano imprenditore è probabilmente impossibile, ma qualche elemento si può indicare. Un imprenditore è uno che
ha delle idee nuove,
sa trasformare l'idea in un progetto cioè definire le attività che concretizzano l'idea,
sa realizzare questo flusso di attività coordinando le persone che le svolgono,
sa gestire le emergenze o situazioni non previste mantenendone operativo il flusso.
Sembrano tutte capacità positive e umanamente anche belle, e sembrano essere quelle che stanno dietro all'evoluzione sociale ed economica dell'umanità.
Però le idee, se ne consideriamo l'effetto sociale non sono neutrali. Se l'idea nuova è “facciamo lavorare i bambini che costano poco” l'idea è ottima, ma socialmente è un delitto. Così anche quando la capacità di coordinamento vuol dire, alla Taylor dividere il lavoro on modo che possa essere fatto da una “scimmia intelligente”.
Inoltre tutto quanto detto sopra si applica anche ad una idea che non è un gran che, nel processo dell'innovazione, ma che è un elemento importantissimo nella diffusione delle idee, delle tecnologie e della innovazione. L'idea è quella del “copiamo quello che ha fatto qualcun altro”. Per cui un imprenditore può essere in realtà anche uno che semplicemente
sa gestire le persone, magari realizzando un falansterio taylorista
e in genere siccome a questo tipo di imprenditore, che è numericamente il più diffuso, non sono richieste le capacità socialmente più feconde, ma appunto quella di dirigere il falansterio taylorista, ne deriva la connotazione autoritaria, poco sociale, ma anche illiberale di molta borghesia imprenditoriale. Come appunto quella italiana che copia più che innovare.
L'idea comune nella sinistra è che capitalismo voglia dire imprenditoria per cui uscire dal capitalismo vuol dire eliminare gli imprenditori. Ma nell'elenco delle caratteristiche umane dell'imprenditore non c'è niente che implichi il capitalismo e cioè l'avere un capitale che viene investito per costruire ed alimentare l'apparato produttivo che comprende, come merce, i lavoratori.
Queste sono aspetti accessori, ma assumono importanza soprattutto nel rapporto con quelli che contribuiscono al progetto imprenditoriale con il loro lavoro perché in una economia capitalista il lavoro si compra come merce. E questo ovviamente indirizza pesantemente ruolo e comportamenti di un imprenditore capitalista verso gli aspetti autoritari.
Ma come potrebbe essere una diversa forma di produzione, che so, la forma di produzione preconizzata da Marx? La domanda è un po assurda: perché poi di fatto sarà quella a cui ci porteranno le oggettive condizioni sociali storiche e naturali del mondo. Però come ha dimostrato la “rivoluzione delle forme di produzione “ che ha portato al capitalismo., anche l'azione cosciente dei protagonisti, in quel caso della borghesia, interviene nel processo. Come faceva osservare Salvemini nella sua bellissima storia della rivoluzione francese, però l'azione cosciente non porta necessariamente dove vorrebbero quelli che coscientemente la promuovono, ma la dove, date le condizioni oggettive può andare. Si potrebbe dire che l'azione cosciente la orienta nell'insieme di possibilità storicamente date. Il che comunque non è poco. Per cui avere le idee chiare e vedere quali sono le forze che concretamente agiscono diventa necessario.
A me sembra che gran parte delle capacità indicate sopra elencate restino importanti nello sviluppo verso una nuova forma di produzione. Forse andrebbe cambiato l'ordine del processo e rimarcati gli aspetti di collaborazione. Si potrebbe dire che gli attori della nuova forma di produzione sono tutti i cittadini che sanno
immaginare con gli altri nuove idee e nuovi sistemi
li sanno insieme comunicare al mondo trasmettendo e conquistando alla loro visione ampi strati sociali
insieme sanno discutere, valutare, pianificare il progetto con cui realizzare l'idea o il sistema
lavorando insieme ed auto-organizzandosi le realizzano
Non mi sto inventando nulla. Questi passi sono quelli che stanno dietro a molte “imprese” innovative. Con, per ora, il limite che è associato al fatto che ogni società in fondo si “crea” i suo cittadini e quindi la società capitalista non crea certo di per sé persone capaci di comunicare disinteressatamente tra loro, di collaborare senza egoismi, di controllare il proprio ego senza soffocarlo, di trasmettere i propri entusiasmi e di ricevere quelli degli altri. Per fortuna queste sono comunque prerogative della natura umana per cui, oggi, queste cose già succedono. Ragion per cui la rivoluzione delle forme di produzione non la fanno i rivoluzionari, ma i cittadini che lavorano, producono ed hanno idee.
Mario Saccone
Caro Martinotti, condivido quel che tu scrivi. Sono diversi anni che vado sostenendo come il dominio della finanza sulla società e del capitale sul lavoro stiano colpendo le condizioni di vita di vasti ceti: lavoratori dipendenti ed autonomi, artigiani, commercianti, professionisti. Per le tre ultime categorie citate vi è una parte profondamente connessa con chi vive, invece, di posizioni di rendita personale, immobiliare o finanziaria e che vede crescere con questi ultimi benessere e ricchezza, ma una larga parte che soffrono, come la maggior parte della società, la depauperazione figlia del liberismo e della globalizzazione. Si è andato nei fatti creando in Europa un blocco sociale maggioritario interessato ad un profondo cambiamento delle politiche economiche, ma tra tali ceti non vi è la consapevolezza dei cambiamenti intervenuti negli ultimi anni nella composizione sociale, nè esistono forze politiche, almeno in Italia, che si sforzino di far chiarezza nell’opinione pubblica e di proporre programmi politici in grado di far convergere le forze sociali interessate a difendersi dal capitalismo di rapina che domina le economie contemporanee. Cari saluti. Giovanni Baccalini
Caro Martinotti, le tue ultime considerazioni mi inducono ad una breve integrazione della mail che ti ho poco fa inviato. Nella percezione di molti le parole lavoro e lavoratori sono percepite come indicanti il lavoro dipendente manuale e d’ordine ed i relativi addetti. Come se I lavoratori autonomi, gli artigiani, i piccoli commercianti, i ricercatori, gli insegnanti ed i professionisti non si guadagnassero da vivere lavorando duramente. Visto il senso dei cambiamenti in atto, forse sarebbe opportuno accompagnare il sostantivo lavoro con gli aggettivi dipendente o autonomo e d’ordine o intellettuale. Cari saluti. Giovanni Baccalini
Sono d’accordo al 100% con te, e la cosa, come sempre, mi rincuora. Una conseguenza è che le forze politiche organizzate che si rifacevano alle contrapposizioni tradizionali continuano a usurpare delle contrapposizioni fittizie per coprire la loro sostanziale complicità omertosa. In questi anni basta vedere chi è stato bene e ha rafforzato le proprie posizioni, per capire che questo ceto sociale-politico è largamente trasversale e l’occasione Monti non ha fatto che dare forma parlamentare a una Grosse koalition che esisteva da tempo nella realtà dei comportamenti. Non c’è bisogno di essere grillini per capirlo: quasi metà degli italiani ha più o meno subodorato il gioco e si rifiuta di continuarlo. E i vari Grillo ci inzuppano il pane. E’ una tragedia G
Caro compagno Giovanni Baccalini,
per intanto, l'articolo recita "L'Italia è una Repubblica
democratica, fondata sul lavoro.", inteso in senso generale, le
nostre madri e padri costituenti erano davvero avveduti. Questo a
proposito del secondo post, per il primo più sostanzioso il discorso
da fare è piùlungo..
Mi pare che l'impegno del GdV fosse proprio far capire quello che in
tu sintetizzi e che ora a Volpedo 5 pare si voglia continuare nella
sessione mattutina ad approfondire il "che fare". Nel pomeriggio
vedremo con chi.
Per me è l'ora di stabilire quale sia il "profilo identitario"nel
solco del socialismo europeo da proporre alla sinistra in Italia,
quale debba essere il modello economico alternativo a quello
neoliberista e programmi conseguenti.
Sono 15 anni giusti essendo andato in pensione nel 1997 e da allora
studio e organizzo seminari e convegni per chiarirmi le idee da
quando mi sono reso conto che con i governi anche di centrosinistra
facevano politiche liberiste (ma ancora - primi anni novanta - non
sapevo che fossero liberiste perchè ancora mi occupavo
professionalmente di psicologia applicata per 40 ore settimanali in
Consultorio e poi in Ospedale).
Dopo tutti questi anni mi sembra di aver studiato abbastanza ed
essermi fatto una idea di quale sia il "profilo identitario" della
sinistra e di avere identificato il modello economico antagonista a
quello neoliberista. Identità e modello economico li ho trovate nella
Costituzione Italiana, dopo lettura di tantissimi libri, l'ultimo e
Collin Crouch, penultimo Roncaglia.
Quelli di prima si possono vedere dalla bibliografia che ho messo in
calce ad ogni mio intervento e relazione ai convegni fatti. Nella
Costituzione, prima parte, "Principi Fondamentali" e "titolo terzo
parte economica", c'è quasi tutto, basta riuscire a cogliere in
senso complessivo. Ma bisogna leggerla attentamente ! Invece mi pare
che molti, posto che l'abbiano letta, se la siano dimenticata. Certo
nulla si dice nella Costituzione della funzione della moneta, ma per
capirlo c'è il libro di "Testa o croce" di Ruffolo e in Roncaglia
"Economisti che sbagliano", e comunque la partita sarebbe facilmente
affrontabile posto che l'Unione Europea facesse esattamente quello
che sta facendo il governo neoliberista USA (i neoliberisti piace
l'intervento pubblico quando si tratta di socializzare le perdite)
pur di agevolare le "sue" multinazionali stampando fiumi di moneta
per sostenerle.
Purtroppo stante il principio del sistema economico liberista che
prevede dogmaticamente
la competizione anziché la cooperazione globale, gli USA sono
indebitati fino al collo con la Cina ... e ciononostante ...
proclamano in modo altisonante la grandeur americana ... "è la
missione degli USA avere la supremazione sul mondo". Penso invece che
sia la reazione annaspante di autodifesa visto che gli armamenti sono
la loro più fiorente industria pagata dallo Stato con i soldi dei
cittadini contribuenti. Dunque sviluppo economico che necessita
assolutamente della guerra,oggi fattasi permanente con il terrorismo.
Ma siamo alla stessa stregua del'URSS, che buttava nella voragine
soldi per gli armamenti in feroce folle competizione con gli USA
quasi tutte le risorse distraendole da quelle per i consumi, i
servizi e le infrastrutture utili per i cittadini.
Come uscirne da questa trappola neoliberista, rinegoziando i Trattati
europei modificandoli radicalmente in senso cooperativistico. Poi
passando alla cooperazione globale, che vuol dire regolamentazione di
finanza e commercio, cambi, con criteri solidaristici e ecologici.
Terra. Non dimentichiamo che siamo già oltre i 7 miliardi di persone
sull'asfittico limitato pianeta Terra.
Di recente è stato scritto un appello da prestigiosi personaggi di
rilievo mondiale che ci fa sperare e che ci fa sapere che non siamo
soli a batterci.
Inoltre Crouch ci da una buona notizia l'ONU si occupa anche di
"Diritti economici e umani" e ha stipulato con diverse "imprese
globali" il "Global Compact" "che punta ad ancorare le imprese a una
precisa serie di impegni in termini di responsabilità sociale".
La cattiva notizia è l'assenza di sanzioni.
E' la storia, fasulla, dell'economia sociale di mercato di cui Monti
si vanta di essere paladino, sapendo di mentire, di fronte ai
deputati del PPE che in termini di mistificazioni in campo morale
sono campioni.
Un dialogante socialista saluto.
Luigi Fasce
FOSSE SOLO GRILLO CHE CI INZUPPA, mi preocupa di più Renzi, chepur travstio da rottamatore è la vera opzione centrista e continuista: i Terzi Poli, i Montezemoli, o suoi epigoni o suurogati sono infatti in crisi come Pdl e Pd. Se vincese le primarie il Osx perderebbe le elezioni, mentre se avese un buon successo dal 30% in su, il csx vincrebbe formalmente le elezioni, ma perderebbe il controllo del governo, nelle mani dei deputati renziani. Le discussioni sul pericolo di un accordo con l'UDC francamente sono meno importanti del peso di Renzi nel PD. Vi ricordate le quinte colonne?
Non so che età avete voi. Io ne ho abbastanza per stabilire che con persone dai capelli bianchi e la mancanza di una generazione giovane, volonterosa, fantasiosa, ecc., difficilmente il PIL italiano potrà crescere. Perché si consuma sempre meno e di conseguenza si PRODUCE sempre meno. Le migrazioni verso il nostro paese producono si PIL, ma lo trasferiscono ai loro paesi d'origine, per cui a quello italiano non fanno poi più di tanto bene.
Per questo avevo postato sulla questione di questo trhead, una diversa configurazione dei rapporti nella società civile, che non è più quella pauperistica studiata nel 19° secolo.
La lotta di classe è del resto ormai impraticabile se non per i "nostalgici" che di regola non portano mai bene, in quanto braccianti ed operai sono oggi una ristretta minoranza, assolutamente incapace di "fare la rivoluzione" e sono le professioni che hanno un ruolo determinante.
Va quindi ripensata la teoria economica: TERRA, CAPITALE, LAVORO. Soprattutto con l'aggiunta di SERVIZI, che sono poi quelli che formano il WELFARE.
Per questo avevo spostato la terminologia da LAVORO (purtroppo sempre inteso come subordinato) ad ATTIVITA', in quanto credo nel "divenire" delle cose e non nella "conservazione" dei miti.
Oggi Marchionne, for exemple, si confronta ccon colossi molto più forti ed astuti del Golia di Davide ed, "incapace" com'è, non garantisce nulla alla FIAT& ASSOCIATI italiana, tanto meno lo sviluppo. Inutile fargli la guerra; inutile che le OO.SS di qualsiasi riferimento, pretendano i suoi "miracoli": da una rapa, non si ricava rosolio! . Dovrebbe solo essere LICENZIATO (costa l'iradidio!) e sostituito con un trust di cervelli che pensa all'innovazione, stimolando la volontà di "comprare italiano" chd da troppo tempo è carente nel cittadino, il quale non vede competitività con le "prestigiose e futuristiche" produzioni straniere.
Vi faccio il mio esempio, (dovuto ad un mio ricchissimo docente - liberale - che ancora negli anni 70 diceva che gli operai facevano auto buone quando erano per i "padroni" ed scadenti ora che dovrebbero servire a se stessi): Sono entrato in Università di Padova nel 1971, in piena bagarre, rivoluzionaria. Mi fu affidata - ero molto scomodo - la gestione dei servizi: la più pericolosa. Bene, visto il funzionamento delle MENSE, imposi al personale, che riqualificai, di mangiare a pranzo ed a cena, le stesse cose del menu' degli studenti. La qualità improvvisamente si capovolse come il palmo della mano (da cosi a isoc!). Marchionne non è neanche riuscito a stimolare i propri dipendenti a comprare FIAT, in quanto non ha modelli né cilindrate.
Ovviamente non pretendo di insegnare agli industriali il loro mestiere, ma vedo che (certamente con secondi fini) Della Valle, ad esempio, una strigliata al "mostro sacro" l'ha data.
Vedremo le puntate successive cosa porteranno ed il "Governo Tecnico" cosa sarà in grado di pensare oltre alle politiche "finanziarie".
Giampaolo Mercanzin
Il motivo del successo di Grillo e di Renzi sta nel fatto che rispondono a delle richieste dei cittadini, tra cui le principali dovrebbero essere ineludibili per tutti:
ricambio della classe politica (che oggi è solo una casta).
Soluzioni realistiche e concrete per uscire dalla crisi
Grillo e Renzi rispondono in modo che molti di noi ritengono inaccettabile, ma rispondono. E queste sono le uniche risposte che i cittadini ricevono su problemi ormai evidenti a tutti, anche a noi, ma a cui nessun altro, e noi meno di tutti, da risposte che non siano una accozzaglia di provvedimenti incoerenti e di slogan populisti. Ragion per cui i cittadini non possono che rivolgersi a Grillo e a Renzi.
Da anni lavoratori e cittadini pongono richieste alla classe politica a cui questa non risponde, ma come succede sempre, quando esiste una esigenza reale, qualcun altro risponde. Nei paesi sani in cui esiste una classe dirigente appena accettabile, per intelligenza ed onestà, nella politica, nell'economica e nella informazione, le risposte vengono da questa. Nei paesi malati come l'Italia in cui questa classe dirigente, appena accettabile per intelligenza ed onestà, non esiste, le risposte le hanno date gli avventurieri d'alto bordo come Berlusconi o gli sbandati sottoproletari come Bossi. Con risultati che sono sotto gli occhi tutti, anche dei cittadini. Che comunque continuano a fare le stesse richieste, a cui questa volta rispondono i comici e Renzi, quest'ultimo non lo conosco e quindi non qualifico.
Non sarebbe il caso di smetterla di perdere tempo con le caratteristiche identitarie della sinistra, con assemblee e Strati Generali in cui si entra solo per definire alleanze elettorali, e da cui si esce con le alleanze, ma senza le risposte alle richieste dei cittadini. E questo da più di 20 anni sempre nello stesso identico modo. E invece di porsi domande assurde del tipo: quale figuro di questa classe politica sostenere, se il farfuglione Vendola, il romanziere Veltroni, lo skipper D'Alema e i vari pigri parassiti che sonnecchiano nei partiti e partitini, perché non cominciare a discutere di riforma dei partiti e di proposte realistiche di uscita dalla crisi.
Mi si obietterà che questo non è un compito da Circolo Rosselli. Ma perché no? Il nome del Circolo onora non certo dialoganti osservatori della politica, ma uomini che sono intervenuti attivamente nella realtà del loro tempo, facendo quello che allora andava fatto. Quello che bisogna fare oggi è molto meno pericoloso e difficile. Si tratta di iniziare a dare risposte concrete ai cittadini. Se invece di perdere tempo da 20 anni, ci si fosse messi allora umilmente e faticosamente al lavoro, oggi non saremmo in questa situazione. Se non iniziamo adesso tra 20 anni sarà peggio. Ma pochi di noi tra 20 anni ci saranno, è forse questo il motivo di questa accidia? Certo che allora il nome del socialismo in Italia sarà qualcosa simile al Luddismo? Che cosa è e perché ci dovrebbe riguardare?
Mario Saccone
Sono d'accordo con Mario Saccone e per essere concreti luneì 24 settembre con un gruppo di amici e di associazioni depositiamo in Cassazione tre proposte di legge di iniziativa popolare che se fossero approvate senza stravolgerle cambierebbero il volto di questo paese:
1)Riforma dei partiti, democrazia interna, taglio dei costi della politica, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione se ci sono parenti entro il terzo grado ecc;
2)Precariato, introduzione del reddito di base e garantito, riduzione delle forme contrattuali da 46 a 5;
3)Economia sommersa e criminale( 700 miliardi di PIL secondo Eurispes), riciclaggio ed evasione fiscale, vendita dei beni mafiosi, inteventi per stroncare l'evasione fiscale.
Si possono trovare sul sito : www.nomos.name- il Popolo che propone le leggi.
Sarebbe molto interessante entrare nel merito, ma per farlo bisogna studiare perchè proporre una legge non è come fare un comizio, ma pochi ne hanno la voglia e il tempo.
Elio Veltri
Caro amico,
la proposta di ragionare sulla diversa configurazione dei rapporti della società civile è giustissima. Però credo, e lo dico anche per me, che sarebbe utile non imporre la discussione solo su una razionalizzazione delle proprie esperienze, ma proporre l'inizio di una discussione in cui ciascuno porti la sua esperienza e in cui si inseriscano anche i risultati di anni di ricerca sociale e politica. Integrare le diverse esperienze è difficile ma è necessario. Tanto per fare un esempio la mia esperienza è diversa o per lo meno mi ha portato a una diversa
"razionalizzazione" ma è sicuramente confrontabile ed integrabile con la tua.
Per me l'esperienza è stata quella del lavoro produttivo non manuale e cioè della produzione di beni non fisici ma altrettanto "concreti" di quelli prodotti da lavoro operaio. E' l'esperienza di molti informatici, di tanti lavoratori dello spettacolo e dei media, che producono beni che sono venduti e da cui gli imprenditori ricavano un profitto, ne più nemmeno di quello che ricavano dai beni prodotti dal lavoro operaio. Queste attività vengono normalmente catalogate tra i servizi, ma questi non sono servizi, sono prodotti. Ma anche se il meccanismo di base dello sfruttamento è lo stesso, condizioni di lavoro, aspetti sociologici e psicologici di questa categoria di lavoratori produttivi i sono diversi. La riproduzione di questa forza lavoro è diversa (più costosa) di quella del lavoro manuale e infatti in molti paesi il lavoro manuale si alimenta con lavoratori immigrati da paesi meno sviluppati.
Per cui, benvenuta una proposta di revisione dei modi con cui si analizza la realtà sociale ed economica di oggi. Se tu sei interessato ad una aperta e libera discussione, lo sono anch'io e credo che troveremo altri compagni.
Quanto a Marchionne mi sembra che il dibattito in corso sia stucchevole. Il signor Marchionne non è pagato dal governo italiano o dai sindacati, ma dai grandi azionisti FIAT per salvare e se possibile incrementare il loro capitale.
Marchionne è stato bravissimo. Ha trasformato i proprietari della FIAT in proprietari della Chrysler. Cioè da proprietari di una azienda in crisi e con poche probabilità di sviluppo in un paese allo sbando, a proprietari di una delle più grandi aziende americane, che è uscita dalla crisi anche grazie alle tecnologie verdi cedute dalla FIAT. Se una persona va giudicata dal raggiungimento degli obiettivi che gli sono stati dati, Marchionne è bravissimo. E invece di rinfacciagli impegni che ha preso solo a parole e con molte riserve, si farebbe bene a rinfacciare al governo ed ai sindacati gli obblighi che questi avevano con lavoratori e con il paese e che loro non hanno rispettato dando a Marchionne una libertà d'azione totale senza impegni scritti e senza controlli.
Mario Saccone
Caro saccone, io ho portato solo un esempio concreto. Quanto a Marchionne concordo. Purtroppo tutta la politica è stata sostituita dal teatrino televisivo. Elio V.
Su Marchionne spero che i commenti benevoli che ho letto siano sarcastici.
Esiste o non esiste la responsabilità sociale dell'impresa ?
La parola del capo della maggiore industria del Paese ha valore o gli
impegni "presi solo a parole" non valgono nulla ?
Sul "piano" proposto dalla Fiat, prendere o lasciare, è stato fatto un
referendum nelle fabbriche, lacerando il fronte sindacale e creando un
dramma umano a migliaia di lavoratori ed alle loro famiglie, ricattati ed
illusi.
Cos'era, una zingarata di Amici Miei ? E Marchionne è la reincarnazione
del conte Mascetti o del prof. Sassaroli ?
Almeno adesso si dovrà dare atto che aveva ragione la CGIL nel dire che gli
impegni della Fiat non erano né chiari né seri, e dunque le rinunce estorte
ai lavoratori erano senza contropartita. O no ?
Per fortuna c'è Della Valle:
«Il vero problema della Fiat non sono i lavoratori, l'Italia o la crisi (che
sicuramente esiste): il vero problema sono i suoi azionisti di riferimento e
il suo amministratore delegato. Sono loro che stanno facendo le scelte
sbagliate». «Continua questo ridicolo e purtroppo tragico teatrino degli
annunci ad effetto da parte della Fiat, del suo inadeguato Amministratore
Delegato e in subordine del Presidente. Con il comunicato rilasciato ai
giornalisti, Marchionne e Company hanno superato ogni aspettativa riuscendo,
con alcune righe, a cancellare importanti impegni che avevano preso nelle
sedi opportune nei confronti dei loro dipendenti, del Governo e quindi del
Paese». «È bene comunque che questi "furbetti cosmopoliti" sappiano che gli
imprenditori italiani seri, che vivono veramente di concorrenza e
competitività, che rispettano i propri lavoratori e sono orgogliosi di
essere italiani, non vogliono in nessun modo essere accomunati a persone
come loro».
Queste cose in un Paese serio, invece del patron della Tod's, le avrebbero
dette il capo del governo ed il ministro del lavoro. Tecnici dei miei
stivali.
Luciano Belli Paci
Caro Veltri,
Credo che si siano incrociati due thread del Circolo Rosselli. Nella lettera a cui tu fai riferimento rispondevo alla lettera di Gianpaolo Mercanzin che giustamente chiedeva di ragionare sul cambiamento di configurazione della società civile rispetto alla tradizione e proponevo di impostare una discussione aperta con diverse esperienze per contribuire a indivduare questi nuovi elementi in modo meno soggettivo.
Invece ho apprezzato molto la proposta che ho letto in Nomos, perchè appunto affronta il tema della riforma dei partiti (per ora ho letto con attenzione solo questa parte). Credo che questa proposta sia utilissima, anche se non so valutare la concreta possibilità di successo della proposta. Ma non credo che un discorso così importante debba dipendere dalla probabilità di successo immediate.
Se anche queste non ci fossero bisogna che le idee presentate diventino elementi di discussione diffusa e di consapevolezza. La discussione sulla sostanza della Costituzione e non sulla forma, porta ad individuarne i limiti, che non mettono in dicussione le sue parti positive ma solo i suoi punti deboli, alcuni motivati storicamente, come la mancanza di elementi di indirizzo e di controllo della libertà di informazione o come lo spazio estremamente limitato lasciato alla democrazia diretta che credo sia un limite storico della concezione della democrazia che è propria delle classi dirigenti italiane..
Per cui la discussione di una riforma dei partiti, ma anche di un rafforzamento della democrazia diretta e degli strumenti di garanzia della Sovranità popolare diventa un elemento centrale della politica dei prossimi anni.
Mario Saccone
Purtroppo basta leggersi le statistiche ISTAT sulle attività economiche in Italia per stupirsi come la prima forma d'attività in Italia sia quella legata al cemento (Oltre il 24% del totale). Una pressione sull'economia del belpaese che meriterebbe ben altre volontà regolatorie!
Ciao.
Sergio Tremolada
Concordo totalmente con luciano e vorrei ricordarvi le pressioni che vennero
fatte (solo pochi mesi fa...) sui lavoratori della fiat, con tutte le
promesse del caso (qualcuno ci credette anche in questa lista, per odio alla
fiom).
Il signor marchionne ha già preso fin troppo in giro gli italiani e i
lavoratori (vi ricordate quando si definì un metalmeccanico?).
In un paese serio, come ha scritto luciano gallino, il ministro del lavoro
lo avrebbe già convocato ad horas, gli avrebbe presentato il conto di tutti
i miliardi di aiuti pubblici che in questi anni si è preso la fiat, gli
avrebbe dato 72 ore di tempo per decidere e avrebbe indi proceduto di
conseguenza...
Siamo invece in Italia, dove Renzi passa per socialdemocratico...
Mi fermo qui: Romiti era un padrone duro, gli operai li licenziava e li
metteva in cassa integrazione, ma evitava di prenderli in giro...
Ciao
Giovanni
Ciao Giovanni, ciao Luciano.
Chiedo scusa se mi inserisco. Ma quando si dice che "il ministro del lavoro gli avrebbe dato 72 pre di tempo per decidere e avrebbe indi proceduto di conseguenza..." che cosa si intende?
Solo per capire; perché uno dei punti difficili è capire cosa si può fare in quesi casi...
Cosa avrebbe fatto un Mitico Governo Politico di fronte a questa crisi? perdonatemi ma non lo vedo...
Per una visione divesra (ma immagino lo avrete già letto) Alessandro Penati su Repubblica
http://www.linkiesta.it/sergio-marchionne-fiat-alessandro-penati
Ciao
Francesco Maria
Mi chiedo se viviamo nello stesso paese. Che la grande impresa italiana sia abituata a farsi finanziare dallo stato e a gestirsi i soldi come vuole, lo si sa da sempre e questa malcostume, che è politico prima che aziendale, è stato denunciato da Sylos Labini come una delle cause della crisi italiana. Si sa quindi da sempre che la responsabilità sociale dell'impresa non fa parte del patrimonio etico delle grandi imprese italiane.
La responsabilità sociale dell'impresa esiste se la società nel suo insieme la esige, ma se la società non lo fa, la responsabilità sociale è ne più ne meno come il diritto al lavoro sancito dalla Costituzione: non c'è e non c'è mai stato.
La cosa è così ovvia che mi vergogno a spiegarla. Supponiamo che ci sono in un paese due tipi di aziende quelle che hanno responsabilità sociale e che non corromperebbero mai nessuno e quelle che non hanno responsabilità sociale e che corrompono tranquillamente i partiti per avere leggi ad hoc,. Cosa pensate che succeda in quel paese, se nessuno controlla che la responsabilità sociale venga esercitata, se cioè si lasciano quelli che non hanno responsabilità sociale inquinare e mettere in pericolo la salute dei lavoratori per tener bassi i costi di produzione e corrompere il potere politico per avere facilitazioni che li rendono più concorrenziali ?
Succede semplicemente che quelle che hanno sensibilità sociale chiudono dopo pochi anni. Così è stato ad esempio con la Olivetti di Arnaldo Olivetti sostituita da quella di De Benedetti.
Però in Italia invece di individuare la responsabilità principale che è quella di chi doveva fare controlli e non li ha fatti, che non doveva lasciarsi corrompere e si è fatto corrompere, si preferisce indignarsi solo con chi si approfitta di questi comportamenti. E' una cosa che non ho mai capito, ma è diffusissima.
Per cui si ritorna la punto di partenza il Signor Marchionne è un dirigente pagato dagli azionisti FIAT ed a quelli deve rispondere. Per cui l'esecrazione di Marchionne è un esercizio facile ed inutile. Invece in parlamento e nel sindacato siedono persone che in un caso sono elette dai cittadini e nell'altro anche se non sempre direttamente elette, fanno parte di organizzazioni il cui fine è quello della difesa dei lavoratori. Per cui verso i cittadini e verso i lavoratori le responsabilità risiedono li. E li diventa centrale il discorso che proponeva nel suo intervento Elio Veltri e che si concretizza per ora nella proposta di legge di regolamentazione dei partiti, che è un passo verso una riforma che permetta ai cittadini di liberarsi di chi non fa controlli e si fa corrompere.
Sergio hai perfettamente ragione. Purtroppo quel settore è quasi un debito GM
Quello che hanno fatto Ayraut e Hollande in Francia, Credo si chiami "moral suasion" e in questo i governi francesi sono molto bravi...
Più suggestiva, ma credo fantascientifica, l'ipotesi avanzata ieri da Mucchetti a "L'Infedele": forzare il gruppo FIAT, nel caso volesse uscire dall'Italia, a cedere a Audi-Volkswagen il marchio Alfa-Romeo.
Se poi pensassimo a una "immoral suasion", credo che tra partite di calcio truccate, stili di vita non convenzionali, cocaina e frodi fiscali, ce ne sarebbe d'avanzo, anche senza ricorrere ai sistemi utilizzati da Putin nella "lotta contro gli oligarchi"...
Pierpaolo Pecchiari
Pierpaolo ha già in parte risposto.
In ogni caso, siccome gli aspetti simbolici hanno valore, eviterei di
dire, come ha fatto la signora fornero, che aspettava una telefonata da
Marchionne.. Lo si convoca, e basta. E poi si procede con queste
formulette che vanno oggi tanto di moda (però sempre ai danni dei più
deboli). Forse una spending review verso la Fiat darebbe così tante belle
sorprese da indurre ad una class action nei suoi confonti...
Tralascio poi il capitolo di tutti i comportamenti antisindacali della
fiat in questi anni.
Che poi il signor Marchionne è quello che è dimostrato dalla sua
intervista odierna a repubblica.
Infine, qualora non ce ne fossero altre, le dichiarazioni che Renzi in
questi mesi ha fatto a favore di Marchionne lo qualificano, ai miei occhi,
più di ogni altra bischerata da lui detta (e sono tante...)
Un saluto
Giovanni
Ma avete letto la difesa di Marchionne di Penati su Repubblica di ieri? Con la
preferenza a Chrysler avrebbe salvato i conti FIAT. La Fornero è di Torino
non ha la forza di convocare la Fiat, al più può aspirare ad essere convocata
per darle la linea.
Caro Francesco,
ti consiglio un bel film: "We want sex". Non è un porno, ma un film sulle
lotte sindacali delle lavoratrici della Ford in Gran Bretagna. Una vicenda
vera, con una vera multinazionale, vere lavoratrici sindacalizzate e una
vera ministra del lavoro laburista. Non una maestrina finta-tecnica.
A Saccone mi permetto di far notare che negli Stati Uniti se un politico o
un grande manager viene platealmente meno alla parola data è finito.
Finito, spacciato, sputtanato a vita
Anche li, per chi non se ne fosse accorto, c'è il capitalismo.
Il problema è che il nostro governo è il governo più ideologico che l'Italia
abbia avuto negli ultimi 50 anni (altro che le posizioni "ideologiche" che
vengono sempre rinfacciate alla sinistra !) e l'ideologia dell'assoluto
laissez faire impedisce perfino di aprire bocca per rimarcare
l'inaffidabilità della Fiat, per invocare la piccola, ma importante,
sanzione morale del discredito. No, non siamo negli USA: siamo nel paese
delle banane dove tutto è permesso, senza neppure un briciolo di vergogna.
LBP
Eh già...anche la FIOM che fa un corrusco proclama"intervenga subito il governo" non si addentra in spiegazioni di quel che si dovrebbe fare in quell'intervento. Perchè, se mai è il governo che deve dire "intervenga il sindacato a livello europeo e noi lo appoggermemo con tutto il nostro peso". Il problema è che le vendite FIAT in Italia crollano perchè c'è la crisi ma anche perchè in Italia si producono solo modelli vetusti: quelli nuovi, della 500, si producono in Serbia e Polonia. Tocca al sindacato far rilevare che qui c'è una illecita concorrenza da parte di paesi che hanno un welfare molto più modesto del nostro, e al governo di scatenare l'avvocatura dello stato a sostenere questa posizione i via giudiziaria e scatenare i commissari italiani per sostenerla in via politica. E pensare che la FIOM si era messa sulla buona strada con una manifestazione dei sindacati europei davanti a Mirafiori ( a cui non si sa perchè, forse solo per gelosia, UILM e FIM non han voluto partecipare)
Mi sembra invece che i trattori della New Holland si vendano benissimo, e i modelli prodotti in Italia siano molto aggiornati e tengano la concorrenza. Sarà perchè i contadini italiani e le loro organizzazioni sanno come farsi valere in Europa? non potrebbe la coldiretti fare un corso di formazione ai sindacati dell'auto? ----- Original Message -----
Purtroppo dove convivono, moneta bunoa e moneta cattiva, secondo la regola, quella cattovas scaccia quella buona.
Marchionne è un prodotto della moneta cattiva. Non compriamolo che va fuori mercato da solo..
Caro Saccone,
infatti: l'Olivetti di Adriano è stata una grande azienda, quella di De Benedetti nessuno se la ricorda più (anzi, ce la ricordiamo perché ha chiuso lo stesso, con poca gloria e poco onore...).
Come ha commentato qualcuno ieri sera all'Infedele, Marchionne è riuscito in un capolavoro: ha delocalizzato da un paese meno ricco ad uno più ricco (naturalmente sempre con i soldi dello Stato). Vediamo quanto riuscirà ad andare avanti con il gioco delle tre tavolette...
G
Ci sono due o tre domande propedeutiche alla questione Marchionne, a cui non so dare risposta. La prima: è stata fatta da qualcuno una indagine sulle condizioni di lavoro a Pomigliano post accordo? E’ peggiorata significativamente? La seconda domanda me la ponevo quando era al suo culmine “lo scontro fra capitale e lavoro” e me la pongo anche adesso: è stata fatta da qualcuno una indagine sulle condizioni di lavoro negli stabilimenti tedeschi che producono auto e gli stabilimenti italiani della Fiat? Quali differenze c’erano allora, e quali ci sono adesso? Terza domanda: ho letto da qualche parte che Pomigliano è “lo stabilimento più avanzato d’Europa”. Posto che sia vero, come mai allora la produttività in Italia è così bassa (notizia di ieri su tutti i giornali)? Questa bassa produttività si applica anche a Pomigliano? Avendo queste informazioni forse si potrebbe fare un discorso con miglior cognizione di causa.
Cordialmente. Lorenzo Borla
Marchionne si sta rivelando il #Renzi del management industriale. Alla fine di "moderno" resterà solo il golfino (ma ogni tanto lo lava?)
“il Signor Marchionne è un dirigente pagato dagli azionisti FIAT ed a quelli deve rispondere. Per cui l'esecrazione di Marchionne è un esercizio facile ed inutile. “
Può darsi, però gli imprenditori e i loro ideologi bocconiani ci hanno riempito gli orecchi e le tasche per anni con l’etica delle imprese, l’etica in generale il bilancio sociale delle imprese e via sbrodolando. Non ci sono mai stati tanti convegni sull’etica come nel eriodo in cui quelli che li facevano stavano derubandoci. Non è poi vero che l’impresa meno socialmente responsabile (es la Olivetti di De Benedetti) sia più efficiente. È andata a remengo molto rapidamente, così come sta facendo la FIAT. Ma i soldi nostri dati agli Agnelli & Co uno Stato minimamente onesto ce li farebbe in qualche modo restituire G
Caro Claudio,
non ce lo vedo proprio questo governo "appoggiare il sindacato con tutto il suo peso".
Preferisce fare dichiarazioni come quella di Monti sullo Statuto dei lavoratori, appoggiando così, indirettamente, le posizioni di Marchionne, che si lamenta perché la Fiom non si fa mettere i piedi in testa....
Ciao
G
e poi manca la domanda principale: quali sono le condizioni di lavoro negli stbilimenti di Detroit? perchè circola l'idea che gli operai di Detroit , che nell'avventura di marchionne avevano messo il loro fondo pensioni e il TFR (e gli è andata molto bene, ma allora non si sapeva) non fossero molto contenti di lavorare più intensamente degli italiani
Caro Lorenzo,
non so risponderti nello specifico. Sono però reduce da un convegno dove Giuseppe Berta e Marcello Messori hanno mostrato chiaramente, in due approfondite relazioni, che:
1) il costo del lavoro è sceso notevolmente in Italia negli ultimi dieci anni
2) la produttività oraria italiana è tra le più basse d'Europa
3) parimenti, gli investimenti in sviluppo e ricerca vedono l'Italia agli ultimi posti.
La relazioni tra 2 e 3 è, come ovvio, molta stretta
Un caro saluto
giovanni
All'ultima domanda mi pare che abbia risposto recentemente Gallino (cito a
memoria): la produttività oraria degli stabilimenti italiani non è diversa
da quella dei tedeschi; le statistiche sono falsate dal fatto che negli
stabilimenti italiani si lavora 2 o 3 giorni a settimana perché c'è la cassa
integrazione.
Peraltro, è logico che produrre di più per aumentare ulteriormente lo stock
di invenduto sui piazzali non interessi l'azienda. Il problema è fare
prodotti che vendano, la produttività viene dopo.
Alle altre domande non so rispondere.
So solo che, da avvocato, se un cliente viene da me e mi spiega di avere
fatto un contratto con un tizio, che il contratto prevedeva che lui dovesse
dare X e tizio dovesse dare in cambio Y, che lui effettivamente il suo X lo
ha dato tutto mentre tizio del suo Y ha dato il 5 % e dichiara che il
restante 95 % non lo darà perché non gli conviene più, io a quel cliente
consiglio di fare causa.
A tizio-Marchionne si applica una logica diversa ? Può darsi. E va pure
bene così ? Può darsi, sarà il nuovo che avanza ...
Luciano Belli Paci
Per rispondere a questa domanda basta poco.
Marchionne sta giocando nei paesi del NAFTA le stesse carte che ha giocato qui in Europa: il "ricatto occupazionale" e l'uso del celeberrimo "esercito di riserva del capitalismo"...
E i risultati cominciano a vedersi, come spiegano gli articoli qui sotto. Certo che se qui si leggono solo gli articoli dei corifei zerbinati, si potrebbe trarre l'impressione che per Marpionne negli USA sono tutte rose e fiori, e se le cose per FIAT Auto in Italia vanno male è solo perché 1) siamo diventato un paese di pezzenti, che non possono più permettersi di cambiare auto ogni tre-quattro anni 2) la gente qui da noi non ha voglia di lavorare...
Chrysler workers have harsh words for Marchionne Mood 'really not very good' in van plant
Michigan Chrysler workers reject union-backed local contract
Windsor Chrysler workers vote 99.1% in favour of strike mandate
Chrysler threatens to move production if CAW strikes
Lui fa il suo mestiere e noi facciamo il nostro. Se le ore di cassa integrazione e l' indennità di disoccupazione non fossero pagati da noi tutti ognuno può fare quel che vuole. Basterebbe provocare depressioni o suicidi od anche un blocco stradale per non potersi chiamare fuori dalla responsabilità collettiva. Abbiamo un articolo del codice civile(art. 2043) che chiunque provoca un danno ingiusto è tenuto a risponderne. Bisogna ovviamente provare il nesso causale tra il danno e l'omissione o l'azione del soggetto
Gentile Prodessore,
non vedo un rapporto stringente tra quanto scritto e le osservazioni. Non ho detto che l'azienda che non è socialmente responsabile sia più efficiente., ma che è avvantaggiata economicamente. E in più, in un paese il cui lo stato non è lui stesso socialmente responsabile e anzi garantisce alle aziende che lo pagano, vantaggi come commesse e posizioni monopolistiche, le aziende che invece hanno responsabilità sociale vanno, dopo un po va a fondo. Ciò non toglie che l'azienda non socialmente responsabile non possa andare a fondo anche lei, ma per motivi evidentemente diversi: incapacità gestionale economica o produttiva o ancor più banalmente per qualche manovra speculativa.
Sulla etica non posso che essere d'accordo. A cavallo degli anni 2000 il dibattito sull'etica nelle aziende imperversava nel PD e me ne sono sorbito un bel po. Siccome in quel periodo lavoravo in RAI , mi capitò tra le mani il codice etico della RAI. Lo portai a Milano ed una sera in una delle riunione sul Codice Etico lessi le regole con cui i giornalisti RAI si impegnavano a svolgere il loro lavoro con obiettività ed onestà. L'ironia non fu molto gradita.
Ma anche in questo caso non capisco il riferimento. Il codice etico delle aziende è una bufala, fatto che non mi sembra che di questi tempi abbia bisogno di essere ribadito. Ma anche qui secondo me il problema non è in chi raccontava le balle, ma in chi le accettava e non perché fosse un credulone ma perché era un colluso, e questi collusi sono gli uomini politici a cui i cittadini hanno delegato la loro sovranità perché governassero e imponessero delle regole che li difendessero dagli imbroglioni, e invece da sempre con gli imbroglioni fanno comunella.
Dire che l'esecrazione di Marchionne è facile ed inutile, oltre al suo senso letterale, ha un evidente senso traslato Ed è che sarebbe invece utile anche se difficile, costruire le condizioni per cui questo non si ripeta. E la condizione prima mi sembra sia quella di sostituire questo personale politico che regole e sanzioni non mette perché gestisce lo stato come strumento di potere per se stessa. Questo è l'obiettivo del mio intervento. Poi se uno vuole prendersela con Marchionne, anche perché a suo tempo ha dovuto subire le ipocrisie sull'etica, la cosa è comprensibile, ma a me continua a sembrare inutile.
Non dimentico che c'è una opposizione strutturale in questa società tra i lavoratori e chi “compra” i lavoratori sul mercato del lavoro e credo che questa opposizione strutturale sia una delle contraddizioni che con un processo storico porterà ad una forma di produzione nuova, ma per ora di questa nuova forma si vedono solo tracce (che tra l'altro i partiti della sinistra neppure vedono). E o ripetono stancamente vecchi slogan per soddisfare la loro velleitaria identità di sinistra oppure pasticciano su ipotesi pseudo socialdemocratiche, senza avere neppure la decenza di andare a studiare queste esperienze e di fare un po di autocritica storica.
Nel cammino verso una “socialdemocrazia italiana” capace di sostituire la retorica Costituzionale con un welfare serio, in Italia lo scoglio primo non sono paradossalmente la grande borghesia industriale che percepisce una rendita politica garantitagli dai monopoli e dagli oligopoli, o i partiti della destra che fanno appunto il loro lavoro, questo è il secondo scoglio. Prima ancora di arrivare ad uno scontro con loro, uno scontro socialdemocratico intendo (che vuol dire scontro non velleitario, e magari anche più duro), bisogna superare il muro dell'attuale sinistra.
Quando l''opposizione popolare riesce ad emerge a tratti, è intercettata e resa nulla dal velleitarismo di una sinistra radicale e dalla ipocrisia dei sedicenti riformisti. E non è secondario da parte di tutti costoro l'essersi conformati in un ceto redditiero, la cui rendita èderiva dal potere politico ed è perfettamente evidente nei privilegi da ancien regime che questi signori si sono votati. Hanno infranto uno dei principi del diritto naturale che è la divisione dei poteri, in questo caso il potere esecutivo e quello legislativo, Si sono guardati in faccia, politici di destra e di sinistra, hanno riconosciuti eguali interessi, ed hanno votato tutti insieme i loro privilegi, poi il sottoinsieme di questi signori che siede al governo ha messo in esecuzione la legge.
Veltroni, Vendola, Ferrero, D'Alema, Pisapia, percepiscono un vitalizio, che si sono votati da se. In Francia nell'89 li avrebbero ghigliottinati. Qui continuano ad occupare, con altre illegalità rese possibili da altri buchi della Costituzione, il potere ed ad usarlo per se stessi, e quando i problemi del paese, le indecenze del potere economico sono tali che la rabbia dei cittadini giunge ai loro orecchi, si esercitano in opposizioni retoriche, esecrazioni e accuse, che sono appunto facile ed inutili.
Per cui oggi per riuscire a imporre sistemi di regole e di welfare, se deve prima smontare questo ceto politico di sinistra mandando a casa Veltroni, D'alema , Bersani, Vendola, Ferrero ecc. dopo con partiti rinnovati e con un nuovo personale politico (e scusate, con un rinnovato sistema di militanti politici, che non perdano tempo con le parole e chiedano fatti) il nuovo sarà possibile.
Mario Saccone
Dire che l'esecrazione di Marchionne è facile ed inutile, oltre al suo senso letterale, ha un evidente senso traslato Ed è che sarebbe invece utile anche se difficile, costruire le condizioni per cui questo non si ripeta. E la condizione prima mi sembra sia quella di sostituire questo personale politico che regole e sanzioni non mette perché gestisce lo stato come strumento di potere per se stessa. Questo è l'obiettivo del mio intervento. Poi se uno vuole prendersela con Marchionne, anche perché a suo tempo ha dovuto subire le ipocrisie sull'etica, la cosa è comprensibile, ma a me continua a sembrare inutile.
Non dimentico che c'è una opposizione strutturale in questa società tra i lavoratori e chi “compra” i lavoratori sul mercato del lavoro e credo che questa opposizione strutturale sia una delle contraddizioni che con un processo storico porterà ad una forma di produzione nuova, ma per ora di questa nuova forma si vedono solo tracce (che tra l'altro i partiti della sinistra neppure vedono). E o ripetono stancamente vecchi slogan per soddisfare la loro velleitaria identità di sinistra oppure pasticciano su ipotesi pseudo socialdemocratiche, senza avere neppure la decenza di andare a studiare queste esperienze e di fare un po di autocritica storica.
Nel cammino verso una “socialdemocrazia italiana” capace di sostituire la retorica Costituzionale con un welfare serio, in Italia lo scoglio primo non sono paradossalmente la grande borghesia industriale che percepisce una rendita politica garantitagli dai monopoli e dagli oligopoli, o i partiti della destra che fanno appunto il loro lavoro, questo è il secondo scoglio. Prima ancora di arrivare ad uno scontro con loro, uno scontro socialdemocratico intendo (che vuol dire scontro non velleitario, e magari anche più duro), bisogna superare il muro dell'attuale sinistra.
Quando l''opposizione popolare riesce ad emerge a tratti, è intercettata e resa nulla dal velleitarismo di una sinistra radicale e dalla ipocrisia dei sedicenti riformisti. E non è secondario da parte di tutti costoro l'essersi conformati in un ceto redditiero, la cui rendita èderiva dal potere politico ed è perfettamente evidente nei privilegi da ancien regime che questi signori si sono votati. Hanno infranto uno dei principi del diritto naturale che è la divisione dei poteri, in questo caso il potere esecutivo e quello legislativo, Si sono guardati in faccia, politici di destra e di sinistra, hanno riconosciuti eguali interessi, ed hanno votato tutti insieme i loro privilegi, poi il sottoinsieme di questi signori che siede al governo ha messo in esecuzione la legge.
Veltroni, Vendola, Ferrero, D'Alema, Pisapia, percepiscono un vitalizio, che si sono votati da se. In Francia nell'89 li avrebbero ghigliottinati. Qui continuano ad occupare, con altre illegalità rese possibili da altri buchi della Costituzione, il potere ed ad usarlo per se stessi, e quando i problemi del paese, le indecenze del potere economico sono tali che la rabbia dei cittadini giunge ai loro orecchi, si esercitano in opposizioni retoriche, esecrazioni e accuse, che sono appunto facile ed inutili.
Per cui oggi per riuscire a imporre sistemi di regole e di welfare, se deve prima smontare questo ceto politico di sinistra mandando a casa Veltroni, D'alema , Bersani, Vendola, Ferrero ecc. dopo con partiti rinnovati e con un nuovo personale politico (e scusate, con un rinnovato sistema di militanti politici, che non perdano tempo con le parole e chiedano fatti) il nuovo sarà possibile.
Mario Saccone
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