LA “GREEN ECONOMY”: DECISIVA PER L’OCCUPAZIONE
di Renzo Penna
I temi dell’Ecologia e dell’Ambiente stanno rapidamente cessando di essere considerati settoriali per divenire generali e caratterizzare, ai diversi livelli, l’indirizzo politico-programmatico dei governi e delle amministrazioni. Mentre i contenuti, se continuano a contemplare la tutela della natura e la valorizzazione del paesaggio, si completano ed estendono ai temi dell’economia e del lavoro. Nel nostro Paese i risultati dei recenti referendum ambientali - che hanno colto completamente impreparato il Governo, ma sorpreso anche parte dell’opposizione - stanno producendo, in questa direzione, una decisa accelerazione. Analogamente sta capitando, sia per reagire alla crisi che per effetto del disastroso incidente alla centrale giapponese di Fukushima, in Europa e negli Stati Uniti.
Così in Germania - che conta già 370 mila addetti nelle rinnovabili - il governo della Merkel decide di fuoriuscire dal nucleare e si impegna a produrre entro il 2030 almeno il 50% dell’energia elettrica da fonti pulite. E, nel contempo, le elezioni nel Bad Wurttemberg - il Lander di Stoccarda che con 10,7 milioni di abitanti è il più industriale della nazione - sono vinte dai verdi con un programma che al primo posto mette la “green economy” e formula precise proposte che riguardano le prospettive dei “green job”, i lavori verdi.
Negli USA, sotto la spinta di Barack Obama, Washington stanzia 70 miliardi di dollari per incentivare studi e imprese nel solare, nell’eolico, nei bio-combustibili e nella bio edilizia.
Solo nell’aggiornamento termico dei vecchi edifici, in direzione di un forte risparmio energetico e di una riduzione delle emissioni in atmosfera, si stima verranno prodotti, nei prossimi anni, un milione e 300 mila posti di lavoro. E la Cina, in questo campo, non è certamente intenzionata a rimanere indietro, basta pensare che Pechino ha destinato, per sostenere la produzione, il 38 per cento dei fondi al settore ambientale.
Per le forze politiche del centro sinistra italiano non si tratta, quindi, solo di prendere atto e, con opportunismo, “cambiare cavallo”, ma ripensare a fondo la propria strategia, in direzione di una sostenibilità dello sviluppo basata sulla innovazione, la qualità dei prodotti e delle produzioni e una nuova consapevolezza dello stato del clima e dei limiti delle principali risorse naturali.
Nel nostro paese la quota stanziata dal governo a favore dell’economia verde è ridicola, solo l’1,3 per cento, e irresponsabile il comportamento tenuto nei confronti delle energie rinnovabili. Dopo l’incertezza sugli impegni di qualche mese fa, nell’ultima manovra economica è stato nuovamente inserita una norma che taglia del 30% gli incentivi alle energie pulite.
Ma nonostante l’indifferenza dell’esecutivo la nuova economia si sta rapidamente muovendo anche in Italia. Nel censimento che la Bocconi ha svolto per conto di Assolombarda fra le aziende “green” in provincia di Milano è, ad esempio, emersa la presenza di 400 società con 50 miliardi di fatturato e 25 mila dipendenti.
Se nel settore delle rinnovabili le indicazioni dell’ultima fiera Solarexpo di Verona confermano che sarà il fotovoltaico a trainare l’intero comparto che, nel prossimo biennio, avrà bisogno di 70 mila tra ingegneri, personale gestionale e venditori specializzati, numerosi altre sono le attività interessate dalla economia verde. Un settore anche da noi promettente è rappresentato dall’edilizia dove, secondo il direttore del Kyoto Club Gianni Silvestrini, è possibile ridurre di un terzo i consumi energetici, recuperare l’occupazione persa in questi anni e incrementarla con una politica di risparmio ed efficienza che interessi, in primo luogo il settore pubblico. A questo proposito la decisione del comune di Firenze di approvare un piano edilizio che non prevede il consumo di nuovo suolo - a “volumi zero” - si muove proprio nella direzione di incentivare le ristrutturazioni del patrimonio edilizio esistente con l’aggiornamento termico ed atmosferico dei vecchi edifici e la riqualificazione delle aree dismesse. Degna di nota anche la scelta adottata per favorire la mobilità sostenibile e la qualità dell’aria quella di allargare nel centro del capoluogo toscano le aree libere dal traffico e dedicate alla pedonalizzazione.
Ma lo stesso settore chimico, che per decenni ha prodotto un forte impatto ambientale, registra con la società Novamond importanti novità nel settore delle plastiche biodegradabili che possono trasformare e sostituire parte degli attuali impianti petrolchimici in bioraffinerie con la creazione, anche qui, di nuovi posti di lavoro.
Così come l’industria del riciclo e del recupero dei materiali che con il Conai, il consorzio per il recupero degli imballaggi, ha creato, in dieci anni di attività, 90 mila posti di lavoro all’interno delle oltre 300 aziende che mettono in atto efficienti sistemi di raccolta differenziata. Con una significativa riduzione degli smaltimenti dei rifiuti nelle discariche e forti benefici nell’abbattimento delle emissioni inquinanti.
Un comparto destinato ad un ulteriore sviluppo considerati gli obiettivi di legge della Comunità Europea che prevedono di raggiungere il 65 per cento nella raccolta differenziata dei rifiuti urbani entro il 2012 e conseguire nel 2020 la quota del riciclo al 50 per cento. Mentre oggi siamo, come media del paese, al di sotto del 30 per cento nella differenziata e al 20 nel riciclo. Per un raffronto con altre nazioni è utile segnalare che la Gran Bretagna è già al 34 per cento nel riciclo e la Germania, addirittura, al 62 . Bisognerà, di conseguenza, sviluppare questa pratica in settori oggi trascurati come i rifiuti ingombranti, gli apparecchi elettrici ed elettronici (Raee) e l’organico per il quale produrre “compost” di qualità. Un aiuto consistente a questa attività potrà venire se le pubbliche amministrazioni prenderanno finalmente sul serio la norma sul “green public procurement” che le obbliga negli acquisti a una quota del 30 per cento di prodotti verdi. Una misura che la Provincia di Alessandria ha iniziato ad adottare nel 2006.
E’ del tutto evidente che la decisione del Comune di Alessandria di abbandonare nella gestione dei rifiuti la raccolta domiciliare e riportare i contenitori sulle strade rappresenta una scelta regressiva al posto di un indirizzo di innovazione legato alla filiera del riciclo, del recupero dei materiali, del risparmio energetico e della riduzione delle emissioni climalteranti. Si tratta, nei fatti, di un sostanziale ritorno indietro alla centralità delle discariche inquinanti, mal sopportate dai cittadini, e alla pratica dell’incenerimento.
Anche il mondo della formazione si fa green, gli eco-master universitari sono aumentati di cinque volte negli ultimi otto anni e le prospettive per i prossimi tempi accademici sono di ulteriori incrementi. In questo favoriti dalle buone opportunità occupazionali che lo sviluppo della green economy italiana promette. Mentre diverse Università si stanno attrezzando attraverso un’ampia offerta di nuovi corsi e master “ecologici”, sarebbe bene che Comune e Provincia di Alessandria, insieme all’approvazione di un significativo sostegno economico, richiedessero alla locale sede dell’Amedeo Avogadro una forte specializzazione dei corsi dell’ateneo in dottorati in Economia ambientale. Per rispondere ai futuri fabbisogni professionali e formativi connessi alle attività e ai nuovi lavori verdi. Esiste infatti un rapporto diretto tra impegno nei campi ambientali e capacità di incremento delle produzioni. Nei prossimi cinque anni, in Italia, diverse fonti concordano nel prevedere che la green economy realizzerà oltre un milione di posti di lavoro e rappresenterà uno degli elementi più concreti per superare l’attuale crisi.
Alessandria, 7 luglio 2011.
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