IL RIFORMISTA 26-07-2011
Accordo europeo: più ombre che luci
Sergio Cesaratto Lanfranco Turci
Che giudizio dare dell’accordo europeo di “salvataggio della Grecia” stipulato giovedì 21 giugno? Agenzie di rating e borse già han dato il loro: Moody’s ha tagliato di nuovo il rating della Grecia mentre gli spread fra BTP italiani e Bund tedeschi permangono a livelli insostenibili. L’ennesimo accordo europeo e la manovra italiana non sembrano averci portato benefici di sorta.
I punti dell’accordo sono: A) coinvolgimento del settore privato nell’alleviare i debiti della Grecia; B) l’estensione dei compiti del European Financial Stability Facility (EFSF). Tralasciamo il retorico accenno a un piano Marshall per la Grecia - put your money were your mouth is, direbbero gli inglesi.
Il primo punto era volto a tranquillizzare il Parlamento tedesco. Le banche hanno allungato la scadenza dei loro crediti e accettato qualche taglio che, secondo la Frankfurter Allgemeine Zeitung, pare gravare per metà sulle stesse banche greche. Venendo al punto più rilevante, lo EFSF creato nel 2010 (e lo European Stability Mechanism-EMS dal 2013) sono fondi finanziati dai governi europei. Lo EFSF già ha elargito prestiti a Grecia, Irlanda e Portogallo (GIP). Ora ne elargirà degli altri alla Grecia, allungati nella scadenza e con tassi più bassi (3,5%) - cosa in sé positiva. Dovrebbe inoltre intervenire-non si sa con quali risorse- nei mercati per calmierarli qualora si scateni una tempesta speculativa sui titoli sovrani. Uno studente di economia obietterebbe: ma questo è compito della banca centrale! Già. In effetti alla BCE rimarrà il compito di decidere quando lo ESFS dovrà intervenire mentre il come rimane indefinito, vi lasciamo immaginare il tutto con quale tempestività Ma, soprattutto, in un mondo normale la banca centrale è strumento dei governi, qui si sono invertiti i ruoli. L’intervento sarà poi subordinato a condizioni restrittive decise da non si sa chi: così abbiamo firmato l’ennesima cambiale in bianco. Infine lo EFSF sosterrà il capitale delle banche e garantirà il valore dei titoli sovrani greci qualunque cosa dicano le agenzie di rating, sicché la BCE potrà continuare ad accettarli in cambio della liquidità necessaria alla sopravvivenza delle banche greche. Così, ancora, saranno i governi a sostenere i titoli pubblici posseduti dalla banca centrale e non questa a sostenere i titoli dei governi. Avendo sfidato le leggi di gravità creando l’euro con una BCE solo vincolata al controllo dell’inflazione, senza una politica espansiva comune, gli europei continuano nelle bizzarrie.
Ma tutti questi impegni sono un passo in avanti, o no? Assolutamente no. EFSF e ESM hanno un difetto congenito: a mettere i soldi sono anche paesi indebitati come Italia e Spagna. Quindi ogni lira che l’Italia presta alla Grecia mentre procrastina il suo redde rationem, aggrava la situazione debitoria italiana e relativo redde rationem. Se per alleviare il debito di un fratello, un altro si indebita, i mercati capiscono che quella famiglia è inaffidabile. E fra il comico e il tragico l’Italia deve ora indebitarsi al 5 o 6% per prestare ai GIP al 3,5%. Un noto sito irlandese, Irish Economy, giubilava per cotanto regalo dal nostro”comico” presidente del consiglio.
Tirando le somme. Vera vincitrice è stata la BCE. Essa si è definitivamente sottratta al compito, proprio delle banche centrali di tutto il mondo, di sostenere il debito sovrano per inseguire i propri fantasmi inflazionistici. Tabellini e altri sul Sole, e diversi articoli sul NYT e Financial Times lo sottolineano (vedi http://politicaeconomiablog.blogspot.com) ricordando che le banche centrali sono state inventate proprio per frenare le crisi finanziarie e appare assolutamente improprio che tale ruolo sia attribuito all’EFSF, con improbabili capacità e risorse. Ogni pur meritevole passo di europeizzazione del debito, non può reggere senza la stampella della BCE.
L’accordo di giovedì rappresenta dunque un passo falso,se non un passo indietro nella soluzione della crisi poiché avalla l’arroccamento della BCE nella posizione di mero guardiano del’inflazione e del mercantilismo tedesco, e non di banca sovrana degli stati europei.
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