Gli italiani: da santi, poeti e navigatori a……. barzellettieri, creazionisti, esperti e sociologi.
di Renato Fioretti
Come italiani, di una cosa possiamo essere sicuri: il nostro è proprio uno strano Paese.
Vario e, soprattutto, mutevole! Non a caso, dimostriamo di avere la grande capacità di riuscire a passare indenni (o quasi) dalla feconda produzione di santi poeti e naviganti, a quella, altrettanto prolifica, d’impenitenti barzellettieri (alla Berlusconi), inverosimili scienziati “creazionisti” (alla De Mattei), esperti (alla De Rita) e sociologi (alla De Masi)!
Anticipo che non è mia intenzione intrattenere il lettore riproponendo qualche (ormai) famigerata performance dell’anziano e licenzioso Premier; al riguardo, sono fermamente convinto che il miglior antidoto al diffuso senso d’imbarazzo (nazionale) sia rappresentato da un ecumenico “oblio” circa le sue inqualificabili gesta.
Così come non intendo dilungarmi rispetto all’incresciosa situazione nella quale - dal punto di vista della credibilità internazionale - è precipitato il nostro Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) e alle (almeno) stravaganti considerazioni recentemente espresse dal Presidente del Centro Studi Investimenti Sociali.
Al riguardo, è sufficiente ricordare poche cose.
Rispetto al disagio del Cnr, non si può evitare di rilevare che esso è frutto delle ricorrenti “esternazioni” del suo Vice-presidente. Infatti, ad appena qualche settimana dalla (disarmante) dichiarazione circa il terribile terremoto-tsunami che ha devastato il Giappone e sconvolta l’opinione pubblica mondiale, definito: “Una manifestazione terribile ma paterna della bontà di Dio”, l’ineffabile Roberto De Mattei si è superato.
L’ha fatto - attraverso i microfoni di “Radio Maria”- rifacendosi all’opera un autore del V secolo.
Il riferimento a Salviano di Marsiglia gli è, difatti, servito per riproporre l’insensato convincimento secondo il quale la Provvidenza si sarebbe servita dei barbari per liberare l’impero romano dagli omosessuali, o meglio gli “invertiti” che, insieme alle loro vittime, sono condannati alla stessa punizione e destinati a non avere parte al Regno di Dio!
Come già evidenziato, anche il Presidente del Censis aveva già attirato l’attenzione dei “media” e l’interesse degli esperti quando, nel commentare gli sconfortanti dati forniti della Confcommercio - secondo i quali il livello dei consumi in Italia era tornato pari a quello del 1999 - era riuscito, a mio parere, a mettere insieme un’incredibile serie di sciocchezze nell’indicare le motivazioni del rilevante calo.
All’epoca avevo definito assolutamente incredibile che Giuseppe De Rita - nel corso di un’intervista rilasciata a Elena Polidori (La Repubblica, 11/01/2011) - addebitasse la marcata contrazione dei consumi alla sostanziale mancanza di “offerte di acquisto” capaci di stimolare il bisogno “compulsivo” di aumentare i consumi. Così come trovavo (eufemisticamente) “improbabile” e affatto semplicistico che lo stesso, ignorando i più elementari elementi di carattere politico-economico - presenti in un Paese (ancora) in profonda crisi - potesse ritenere di risolvere la situazione attraverso un pressante invito, agli imprenditori, a essere più abili nel produrre - e offrire - “qualcosa di nuovo”!
In quest’occasione ritengo (solo) opportuno evidenziare quanto, a mio parere, possano essere considerati letali - per le sorti dei lavoratori - anche trent’anni d’insegnamento di Sociologia del lavoro!
Sono stato indotto a questo tipo di considerazione dalle valutazioni che Domenico De Masi ha riservato alle manifestazioni tenutesi in tutta Italia per protestare contro il precariato nel mondo del lavoro.
Infatti, nel corso di un’intervista al quotidiano “La Repubblica” (10/04/2011), De Masi ha esordito affermando due cose rispetto alle quali - escludendo che siano dettate dalla (semplice e inverosimile) “mancata conoscenza” dei fenomeni in discussione - denuncio una sostanziale malafede.
A mio parere, al solo fine di evitare di affrontare i nodi “reali” del deprecabile fenomeno della precarietà elevata a sistema, l’intervistato ha sostenuto che la precarietà è dettata da due motivi: la mancata “redistribuzione”, tra più soggetti, del lavoro “residuo” e la “decrescita”, secondo la quale - quasi per una maledizione divina - se ci sono paesi che crescono economicamente, devono essercene altri, inevitabilmente destinati a impoverirsi!
Personalmente, reputo poco proficuo avviare una discussione rispetto alla teoria dei “vasi comunicanti” applicata agli aspetti più eclatanti della globalizzazione; mi limito a rilevare il modo estremamente semplicistico attraverso il quale essa è associata al fenomeno della precarietà. Mi preme, piuttosto, rilevare la singolarità della prima delle due motivazioni addotte da De Masi.
Rispetto a essa, trovo assolutamente fuorviante sostenere che la semplicistica formula del “lavorare meno, lavorare tutti” possa avere una qualche incidenza sull’ingiustificato e ricorrente indice di precarietà contro la quale protestavano gli aderenti alle manifestazioni.
A mio avviso, applicare l’antica formula - tanto cara a Pierre Carniti - potrebbe, al massimo, produrre qualche effetto positivo sul versante di un (temporaneo) allargamento della base occupazionale; ma non avrebbe alcuna conseguenza rispetto all’abnorme proliferazione del c.d. lavoro “atipico”. Sostenere il contrario, equivale a una mistificazione della realtà!
Non solo, l’estroso sociologo ha anche sostenuto che se i circa due milioni di manager, dirigenti e professional rinunciassero alle consuete due ore di “overtime”, che quotidianamente trascorrono in più nelle loro aziende, si libererebbero automaticamente - a favore dei manifestanti (del 9 aprile scorso) contro la precarietà del lavoro - ben 110 milioni di giornate lavorative, cioè un anno di lavoro per 500 mila precari.
Quale sia il legame logico tra la (auspicabile) disponibilità del maggior numero di posti di lavoro cui fa riferimento De Masi - peraltro, tutta da dimostrare - e la soluzione dei problemi denunciati da milioni di soggetti che non invocano un lavoro, ma, molto più semplicemente, rivendicano il riconoscimento di diritti e dignità, tutele e garanzie, che le vigenti normative non prevedono a loro favore, non è dato sapere!
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