lunedì 21 marzo 2011

Sinistra e libertà: No alla guerra e no a Gheddafi

"No alla

guerra e no a Gheddaffi. La posizione di SEL Il Coordinamento Nazionale di
Sinistra Ecologia Libertà, riunitosi oggi a Roma con la relazione di Nichi
Vendola e la discussione successiva, ha approvato il seguente documento
sulla vicenda libica:

La guerra contro la Libia è la

risposta più sbagliata e pericolosa alla domanda di democrazia che si è
affermata in tutto il Mediterraneo nel corso degli ultimi mesi.

Chiediamo un immediato cessate il fuoco per consentire l'avvio di un
negoziato tra le parti che abbia come interesse superiore quello della
protezione delle popolazioni civili, con l'obiettivo di mantenere l'

integrità e l'autonomia di quel Paese sotto un nuovo governo democratico.
Chiediamo che si apra subito un corridoio umanitario per consentire ai
profughi di salvarsi dalla guerra e l'immediata predisposizione degli
strumenti più adeguati per garantire ad essi un'

accoglienza su tutto il territorio europeo A meno di ventiquattro ore
dall'avvio dei bombardamenti da parte della Coalizione dei volenterosi
appare evidente che lo scenario più probabile è quello di una vera e propria
escalation militare, che potrebbe portare ad esiti che vanno ben oltre la
stessa risoluzione 1973 del Consiglio di Sicurezza dell'

Onu, ivi compresa l'invasione militare terrestre delle forze della
coalizione. Il presidente Sarkozy ha ribadito, fin dall'avvio dei
bombardamenti francesi, che l'obiettivo da perseguire è quello di "andare
fino in fondo", prefigurando uno scenario di guerra che è ben distante dalle
iniziali dichiarazioni di protezione delle parti che avevano partecipato
alla ribellione contro il regime totalitario del colonnello Gheddafi. Per
questo, fin da subito, come Sinistra Ecologia Libertà, avevamo espresso la
netta contrarietà per la parte della risoluzione 1973 che consentiva l'uso
dell'offensiva militare ad una coalizione di cui, oggi, l'Italia fa
pienamente parte. Questa risoluzione è tardiva, a fronte di una situazione
sul campo libico che necessitava un celere intervento politico e diplomatico
a favore degli insorti quando questi ultimi avevano il pieno controllo di
una parte importante del Paese e prima che Gheddafi potesse riorganizzare le
sue forze e procedere alla riconquista delle zone liberate dal suo regime.

Le settimane che sono trascorse hanno evidenziato la debolezza dell'

intervento politico della comunità internazionale, che non è riuscita
neppure ad imporre le sanzioni economiche e commerciali che avrebbero
davvero indebolito il regime di Gheddafi, dal congelamento dei conti e delle
partecipazioni azionarie legate al rais fino all'indispensabile e totale
embargo del commercio delle armi.

Siamo convinti che il

principio della non interferenza negli affari dei singoli stati sia un
delitto contro un principio più grande ed importante, quello del rispetto
dei diritti umani. Siamo altresi' convinti che ogni qual volta la parola
"umanitario" si sia accostata alla guerra si siano prodotte violazioni e
violenze ancora più gravi. La realpolitik seleziona i diritti umani a
seconda degli obiettivi strategici. Accade così che in Yemen si spari sulla
folla che protesta, provocando decine di vittime, che in Bahrein ci sia
l'intervento repressivo dell'Arabia Saudita, per non parlare di quanto
accade da anni in Somalia o, più recentemente, in Costa d'Avorio, senza che
vi sia una reazione degna da parte della comunità internazionale a garanzia
del principio, evidentemente per essa NON universale, della tutela dei
diritti umani.

Consideriamo il

colonnello Gheddafi uno dei peggiori dittatori del pianeta. Senza
esitazioni, mentre gran parte dei paesi occidentali lo riveriva, ne abbiamo
denunciato le nefandezze. Mentre il presidente del Consiglio Berlusconi si
affannava nel baciamano al tiranno, grato per i suoi servigi economici ed
ancor di più per la ferocia con la quale la Libia controllava il flusso dei
migranti dall'Africa, noi eravamo dalla parte di chi chiedeva la revoca del
trattato con la Libia e l'immediata messa in opera di misure che
proteggessero le vite dei migranti detenuti nel deserto libico.

Siamo stati fin dall'inizio e senza esitazioni dalla parte delle popolazioni
che, sollevandosi, hanno rovesciato i regimi autocratici della Tunisia e
dell'Egitto, cosi' come abbiamo sostenuto e sosterremo le mobilitazioni per
la libertà e la democrazia in Marocco, Algeria, Yemen, Bahrein e Albania. Lo
abbiamo fatto con convinzione, sicuri che il complice silenzio di Paesi oggi
in prima fila nella guerra, come la Francia e l'Italia, fosse motivato da
opportunismo balbettante oltre che dalla reale incomprensione di ciò che in
quei Paesi stesse accadendo, a partire dalla scomparsa dell'orizzonte
fondamentalista nella narrazione di quelle società. È evidente, infatti, che
gli unici soggetti che avessero rapporti con quelle realtà fossero le forze
della società civile internazionale, nelle quali pienamente ci riconosciamo,
e non certo le diplomazie a lungo complici dei regimi.

Per noi il no alla guerra e l'inimicizia e l'avversione nei confronti di
Gheddafi hanno ugual rilievo. Dobbiamo uscire dal vicolo cieco tra inerzia e
guerra per generalizzare il tema dei diritti umani e della democrazia.

Per questo chiediamo che il nostro Paese non partecipi, in ottemperanza
all'articolo 11 della Costituzione e anche in ragione del passato
colonialista dell'Italia, alla guerra promossa dalla cosiddetta Coalizione
dei volenterosi e che, al contrario, l'

Italia si faccia promotrice di una iniziativa politica per determinare il
cessate il fuoco e l'apertura del tavolo negoziale, oltre a richiedere
l'applicazione delle parti della risoluzione 1973 che consentirebbero di
promuovere un' intervento positivo per il cambio del regime e la protezione
dei civili. Per ottenere questo risultato è fondamentale il coinvolgimento
dell'Unione Africana e della stessa Lega Araba, che stanno prendendo
pesantemente le distanze dall'intervento militare. Gli stessi Paesi che si
sono astenuti sulla risoluzione 1973, a partire dalla Cina passando per la
Germania, il Brasile e la Russia, stanno indicando nell'intervento militare
una forzatura della stessa risoluzione. Insistiamo nel credere che sia il
tempo del cessate il fuoco per consentire a forze di interposizione sotto
chiaro mandato dell'Onu, di Paesi che non abbiano partecipato all'attacco di
queste ore e che non abbiano interessi economici diretti nell'area, di
garantire la transizione alla democrazia e la protezione dei civili.

Siamo molto preoccupati per ciò che l'intervento militare può voler dire per
le stesse domande di democrazia espresse in quell'area, pregiudicando la
direzione progressista delle rivoluzioni arabe: dal silenzio dei governi
occidentali alla guerra come unico strumento di relazione internazionale,
siamo di fronte al peggior volto dell'

occidente.

Riteniamo che ci debba essere un ruolo completamente diverso dell'Europa.
L'iniziativa francese e l'inerzia tedesca rappresentano l'

evidente assenza di una politica comune. Le pericolose dichiarazioni di
irresponsabilità dei governi europei, in cui l'Italia tristemente primeggia,
nei confronti dei profughi ne evidenzia la regressione culturale e civile.
Essere una superpotenza affacciata su un mare in ebollizione comporta
tutt'altre responsabilità. Si adotti, quindi, una vera politica
euro-mediterranea, che impedisca alla guerra di essere la "continuazione
dell'inesistenza della politica". Si affronti l'

emergenza profughi sospendendo il Frontex e determinando una nuova politica
di accoglienza ed integrazione di uomini e donne i cui diritti umani non
possono essere difesi con le bombe nei Paesi di provenienza, per poi essere
calpestati appena mettano piede sul suolo europeo. Non si dimentichi mai che
la più grande violazione dei diritti umani Gheddafi l'ha messa in opera
proprio sui migranti, su mandato delle potenze europee, e che di queste
violazioni in primo luogo dovrà rispondere al Tribunale penale
internazionale. Una politica euromediterranea che sappia tutelare davvero i
diritti e la sicurezza delle popolazioni, a partire dal riconoscimento dei
diritti e della sicurezza reciproca di Israele e Palestina.

Siamo convinti che questo

sia il momento di coinvolgere l'opinione pubblica in una generale
mobilitazione per i diritti umani, la democrazia e la pace. Proprio per
questo chiediamo di non militarizzare innanzitutto i pensieri, di non
abbandonare mai lo spirito critico e la cognizione delle conseguenze che gli
atti di queste ore possono determinare. La costruzione della pace è l'unica
alternativa e non possiamo scoraggiarci dicendo che il suo raggiungimento
sia pieno di ostacoli. Costruire la pace significa dire la verità,
emanciparsi da ogni logica di campo, essere contro i dittatori senza
esitazioni e stare sempre dalla parte delle popolazioni che subiscono le
violenze delle guerre.

Sinistra Ecologia

Libertà domenica 20 marzo 2011 ore 19,43

14 commenti:

Luciano ha detto...

Questo documento di SEL unisce ad alcune considerazioni condivisibili un
nocciolo profondamente sbagliato.

Giusto affermare che sarebbe stato meglio intervenire con tutti i mezzi
politico-diplomatici nelle settimane passate. Ma se dalla condanna del
ritardo fai discendere la condanna dell'intervento ONU crei un corto
circuito logico: il detto popolare è "meglio tardi che mai", non "meglio mai
che tardi".

Nel momento in cui il consiglio di sicurezza dell'ONU ha finalmente deciso,
Gheddafi aveva ribaltato le sorti del conflitto, stava stravincendo e non
aveva alcun motivo di prendere in considerazione vie di uscita indolori. Era
palese che se avesse travolto le ultime sacche di resistenza sarebbe stato
un bagno di sangue. Era questione di ore.

Dire che - in quel momento, non due settimane prima - ci si dovesse limitare
a sanzioni economiche o simili equivale ad affermare che dovevamo stare a
guardare l'imminente mattanza degli insorti.

Poiché ancora mi vergogno, come essere umano, del fatto che nessuno
intervenne nel 1994 per prevenire e fermare lo sterminio in Rwanda, questa
volta non posso che essere d'accordo con l'intervento, che peraltro era
invocato anche dalla lega araba (la sua doppiezza successiva fa parte di un
copione ben noto).

Quanto al richiamo all'art. 11 Cost., capisco la coazione a ripetere, ma
anche l'analfabetismo costituzionale dovrebbe avere un limite.

Non esiste una norma che dice che l'Italia ripudia la guerra, punto.
Figurarsi, può essere addirittura un "sacro dovere" (art. 52).

L'Art. 11 dice testualmente "L'Italia ripudia la guerra come strumento di
offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle
controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri
Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che
assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le
organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo."

Nel nostro caso l'azione militare (si può discutere sulla definizione di
"guerra", ma qui non mi interessano le sottigliezze) non è né strumento di
offesa alla libertà degli altri popoli - semmai il contrario - né mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali. L'azione è autorizzata
dall'ONU, e l'ONU è appunto uno di quegli organismi rispetto ai quali il
nostro Paese ha accettato di limitare la propria sovranità.

Detto questo, si possono avere - per carità - tutte le ragioni per non
condividere l'azione, per diffidare dei suoi protagonisti, per ravvisare un
elemento di insostenibile ridicolaggine nel comportamento di un governo come
quello italiano che passa dal servo encomio al codardo oltraggio nel giro di
pochi mesi ...

però bisognerebbe motivare le proprie scelte in un modo un po' più serio,
meno pavloviano (nel senso dei cani).

Ciao.

Luciano Belli Paci

giovanni ha detto...

Caro Luciano,
sono sostanzialmente d'accordo con te.
Mi resta però il fondato dubbio che, di fronte al verificarsi di analoghe situazioni in Arabia Saudita o in Iran piuttosto che in Cina, il mondo occidentale non si muoverà con altrettanta durezza.
Che differenza c'è tra quanto ha fatto Putin in Cecenia e quanto fece Milosevic in Kossovo?
Siamo intervenuti allo stesso modo?
Per non parlare, appunto, del Ruanda...
Il problema, se vogliamo dirla tutta, è che, sulla base del diritto internazionale positivo, questa guerra è illegale, trattandosi di affare interno di uno stato. Viene legittimata dall'ONU sulla base del principio dell'ingerenza umanitaria, che possiamo anche apprezzare, ma che, come tutti capiamo, ha il difetto di prestarsi a molteplici interpretazioni, a seconda dei casi (e delle convenienze...).
Ciao
Giovanni

paola ha detto...

Totalmente d’accordo con Giovanni. Aggiungo che la schizofrenia di atteggiamenti nei confronti di Gheddafi da parte di tutto l’Occidente meriterebbe uno studio “multistrato”, dalle ragioni economiche a quelle storiche a quelle geopolitiche a quelle energetiche e forse chissà, a quelle di una certa baldanza un po’ truculenta e viriloide che il colonnello ha sempre impersonato (quasi un modello di bunga-bunghismo). Aggiungo anche che non si è mai parlato di intervento umanitario quando Gheddafi era ben accetto da Frontex per la repressione disumana e violenta dei migranti: un vergogna di questi anni, di cui noi l’Italia è stata complice consapevole ed anzi incoraggiante. Ci sono racconti agghiaccianti su cosa avviene nei campi di detenzione libici. Violenze e torture su tutti, fame, botte, violenza sessuale come prassi nei confronti delle donne. Riporto qui sotto un brano, da una “Lettera degli eritrei a Tripoli (da Fortress Europe, luglio 2009)”. Qualcuno obietterà: beh, meglio tardi che mai. Ma questa è una battuta un po’ inadeguata, forse, e forse, qualche domanda conviene porsela.

segue

Anonimo ha detto...

segue

Lettera degli eritrei a Tripoli. Torturati in Libia come in Eritrea

TRIPOLI, 23 luglio 2009 - Abbiamo ricevuto questa lettera dalla comunità eritrea di Tripoli. Sotto anonimato, per evidenti motivi di sicurezza. A quanto pare infatti l’Ambasciata eritrea in Libia starebbe cercando di individuare le nostre fonti per metterle a tacere

"Per gli eritrei, senza riguardo se in Eritrea o in Libia
In un’epoca di civilizzazione, il mondo tende sempre più verso due opposti estremi: alcuni governi adottano dittature sempre più reazionarie, e altri invece democrazie estremamente liberali. Quale è la tendenza in Eritrea e in Libia? Noi eritrei in Libia, abbiamo fatto esperienza della situazione di entrambi i paesi. E non vediamo nessuna differenza, qui come là c’è solo violenza e tortura. L’unica differenza è che l’Eritrea sta torturando i propri cittadini, mentre la Libia lo fa con gli stranieri. Ma le torture sono simili in tutto e per tutto, ed è vergognoso doverne parlare nel XXI° secolo.

Oggi i rapporti di molte organizzazioni non governative ci dicono che l’Eritrea è una “piccola grande prigione”. Lo dice il rapporto di Human Rights Watch, ma ci sono molte altre cose che non vengono dette. Persone innocenti sono detenute indefinitamente senza capi d’accusa e senza nessun processo. Molti di loro sono danneggiati a vita dalla detenzione, sia danni fisici che mentali. Sono trattati alla stregua di quanto accade a Guantanamo.

[…] Negli ultimi anni molti Paesi, non consapevoli della situazione dell’Eritrea, hanno deportato molti eritrei, buoni candidati per queste galere.

[…] Torniamo alla Libia. Gli eritrei fuggono da queste torture cercando qualche forma di sollievo altrove nel mondo. Ma la difficoltà della situazione sembra emigrare con loro. La Libia non ha differenze dall’Eritrea rispetto alle carceri. Ovunque ci sono prigioni, tutte con torture simili, ma grazie a Dio in Libia nessuno viene fucilato. I principali centri di detenzione in Libia dove gli eritrei vengono imprigionati sono:

1. Ganfuda (Bengasi): si trova nella città di Bengasi e vi sono portate persone catturate lungo la strada per Tripoli
2. Kufrah: è la prima città libica dopo il confine sudanese. Qui vengono portati i disertori presi al confine col Sudan mentre tentano di entrare in Libia
3. Misratah: ufficialmente è chiamato “campo” e le persone sono formalmente sotto la tutela dell’Unhcr, ma non raggiunge nessun livello di un campo profughi. Circa 700 eritrei vi sono detenuti da oltre due anni e senza nessuna speranza.
4. Fellah: è una prigione a Tripoli, nel quartiere di Abu-Salim dove molti immigrati di diverse nazionalità sono portati per soggiorno illegale in Libia.
5. Tuaisha-Binkeshir: a Tripoli
6. Gurgi: a Tripoli
7. Zliten: a circa 150 km a est di Tripoli, usata soprattutto per detenere i migranti catturati durante l’imbarco per la traversata del terribile mare per raggiungere l’Europa.
8. Zawiyah e Surman: a circa 70 km a ovest di Tripoli.
9. Zuwarah: nella città di Zuwarah, vicino al confine con la Tunisia, usata per detenere i migranti catturati durante l’imbarco o intercettati in mare.

In fin dei conti, la sofferenza è la stessa, cambia solo il posto. Tutte le informazioni sono basate su testimonianze oculari. Stiamo tentando di esplorare le similarità e le differenze tra i tipi di violenza in Eritrea e Libia. Tutte le vittime di queste violenze stanno cercando come soluzione, di ottenere una protezione internazionale sotto la quale poter vivere in sicurezza. Nessuno sa esattamente quando, ma tutti qui aspettano il giorno in cui tutte queste sofferenze avranno fine e tornerà la libertà!!!"

Anonimo

tratto da:

http://fortresseurope.blogspot.com/2006/01/lettera-degli-eritrei-tripoli-torturati.html

lanfranco ha detto...

la guerra umanitaria purtroppo non esiste,soprattutto per gli stati.Può esistere solo per i volontari.Da parte degli stati la si applica secondo le convenienze il che non vuol dire che a volte queste convenienze non vadano anche a vantaggio dei popoli coinvolti.continuo a pensare che un governo italiano meno compromesso con gheddafi avrebbe potuto proporre prima una iniziativa dura alla comunità internazionale per cercare di stoppare gheddafi quando gli insorti erano più forti e una mediazione con la minaccia di intervento poteva avere qualche possibilità.quanto meno non ci saremmo fatti prendere la mano da questo napoleone in 16° di sarkozy con i suoi interessi petroliferi.Ora poi sentire l'empito militarista di quella caricatura di gerarchetto di Larussa mi fa venire il voltastomaco.Speriamo solo che gheddafi crolli alla svelta...

Dario ha detto...

Caro Luciano il né aderire né sabotare storico aveva almeno una sua dignità ideologica, quello di Vendola mi sembra solo il solito cerchiobottismo di una sinistra radical chic. Come si fa a pensare di perseguire la via diplomatica con chi ha dimostrato da tempo di farsene un baffo della diplomazia, ma soprattutto con chi ha scatenato i mercenari contro il suo popolo. Persino mia suocera, che di politica di alto livello ne comprende poco, la scorsa settimana mi chiedeva angosciata "ma quand'è che si interviene per salvare quei poveracci"Dario Allamano

peppe ha detto...

la crisi libica rischia di diventare un nuovo pantano. Fra l'altro la unilaterale e pretestuosa interpretazione di Sarkozy della risoluzione UNU potrebbe innescare una escalation del conflitto poi difficile da controllare. Effettivamente la posizione della Germania è quella più realistica. Anche perchè nella crisi libica (ha ragione Lanfranco) a differenza di quella tunisiana ed egiziana vi sono evidenti interessi esterni inglesi e francesi che hanno aizzato la ribellione.

giovanni ha detto...

Caro Giovanni, e’ un ragionamento ineccepibile, l’unico di quelli fatti del tutto incontrovertibile. Verrebbe da aggiungere che lo spirito umanitario si manifesta con grande intensità quando ci sono di mezzo il gas e il petrolio o le loro vie di transito. Cari saluti. Giovanni Baccalini

mario ha detto...

A chi invoca la recente risoluzione ONU (che metterebbe tutto il fronte anti-Gheddafi al riparo "democratico-legalitario") replico che di quella stessa risoluzione si è già fatto carta straccia....Sarkozy docet! Siamo di fronte ad un copione ampiamente noto e ripetuto! La verità è che di tanto in tanto certe nazioni "occidentali e democratiche" hanno bisogno di individuare un unico "Signore del Male" (specie se detentore di risorse importanti) su cui concentrarsi, dimenticando volutamente i tanti altri suoi emuli che da anni ed anni fanno e continuano indisturbati a fare ben peggio dell'odioso Gheddafi in ogni angolo del mondo. Quindi, la favoletta della risoluzione ONU ed altre fanfaluche per cerebrolesi e videolesi le si vada a raccontare altrove: "salvaguardia dei diritti civili ed umani" un corno!!!! Mi e ci si spieghi perché nessuno interviene per fermare i continui massacri nel Darfour ! Perché si spalancano gli occhi sulla Libia e si chiudono del tutto sulla Birmania, sul Ruanda, sullo Yemen, sull' Iran ed anche sulla Bielorussia.......ma l'elenco potrebbe continuare!
Mai come oggi il circo mediatico-politico sull'affaire Libia sta mostrando tutta la sua inconsistenza e tragica risibilità!
Mario Francese

pier paolo ha detto...

Anche io trovo pessimo il documento approvato dal coordinamento
nazionale di SEL.
E lo trovo pessimo - anche se capisco l'intenzione di conciliare la
necessità di presentarsi come "sinistra di governo", ma al tempo stesso
di non scontentare iscritti e simpatizzanti che per la maggior parte
sono per la pace "senza se e senza ma".
Trovo il documento approvato pessimo perché "dice e non dice", cosa già
intollerabile su temi di politica interna, ma inaccettabile quando si
discute di politica estera.
segue

pier paolo ha detto...

segue

Inoltre quel documento pare voler evitare come la peste un'analisi
dell'interesse nazionale italiano - o almeno di quella che ne dovrebbe
essere la sua interpretazione da sinistra. Personalmente ritengo che il
processo decisionale, su temi di politica estera, debba prevedere una
generazione e valutazione di opzioni di intervento incentrata proprio
sull'analisi dell'interesse nazionale, ma vedo che nel caso della Libia
si è preferito ritornare su temi astratti, quali la liceità della
guerra, il fatto se un intervento militare possa essere giustificato in
caso di crisi umanitaria, oppure una discussione ancora più astratta e
in questo caso fuori luogo sulla bontà del pensiero neo-girondino
riguardo l' "esportazione della democrazia". Temi interessanti, ma in
questo momento fuorvianti. Le uniche analisi interessanti sono quelle,
tutte dietrologiche, sulle reali motivazioni di Francia e Gran Bretagna.
segue

pier paolo ha detto...

segue

Ma il problema in questo momento non è cosa fanno Francesi e Inglesi,
bensì cosa dovremmo fare noi.

A mio parere è interesse dell'Italia che la situazione in Libia sia
stabilizzata al più presto.
Una crisi libica prolungata potrebbe avere - come già accade - effetti
evidenti sul rialzo dei prezzi dei combustibili fossili, con conseguenze
potenzialmente devastanti per un'economia come la nostra, che ancora non
si è ripresa dalla crisi e che rischia la stagflazione, per l'effetto
combinato con la crisi del sistema industriale, e probabili ulteriori
rialzi dei tassi di interesse da parte della BCE.
Parimenti una Libia stabilizzata, in mano a un regime meno folle e
sanguinario - e più rispettoso dei diritti umani - ci permetterebbe di
affrontare la questione dei migranti in maniera diversa, non con i lager
e i ricatti gheddafiani.
Infine la stabilizzazione della situazione è importante non solo come
obiettivo da perseguire, ma anche per il modo in cui ci si arriva.

pier paolo ha detto...

segue

La
Libia potrebbe essere l'ennesimo banco di prova per un'Unione Europea
che dovrebbe darsi una seria politica estera comune, e smettere di fare
da spettatore passivo a fronte di tragedie umanitarie provocate da
tiranni sanguinari. Brutto da dire, ma vale qui il vecchio detto "se ci
sei batti un colpo" - anche se per ora i segnali sono purtroppo inquietanti.

Ciò premesso la valutazione delle opzioni disponibili è presto fatta.

1) Diplomazia: parlare con Gheddafi e i suoi amabili pargoletti per
convincerli ad andarsene in esilio. Credo che nemmeno i fautori
dell'attribuzione del Premio Nobel per la Pace a Silvio Berlusconi in
nome della sua azione pacificatrice in Georgia (???) e dell'asserita
mediazione tra Russia e USA credano a simili barzellette...

2) Embargo e sanzioni: in realtà non hanno mai funzionato, né con l'Iraq
Saddam, né con l'Iran degli ayatollah, e a dire i vero nemmeno con
l'Italietta autarchica del '36. Anche l'unico caso di embargo totale
applicato duramente per decenni, quello degli USA conto Cuba, è
questionabile. Cuba è stata ridotta alla fame, ma il regime castrista è
ancora lì.
Certo, si potrebbe considerare un embargo sul petrolio libico, ma credo
che a nessuno interessi in questo momento avere gasolio e benzina
venduti alla pompa a prezzi intorno ai due euro e mezzo...

3) Fregarsene. Se si fosse trattato di una dura repressione di rivolte
di piazza stile Egitto o Tunisia, magari avremmo potuto voltarci
dall'altra parte, e limitarci a una sana e soprattutto gratuita
indignazione "ex post" di fronte a foto di fosse comune o reportage
giornalistici di atrocità più o meno perverse.
Purtroppo gli insorti controllano metà del territorio libico, e ci sono
troppi giornalisti e televisioni in circolazione...

A questo punto l'unica opzione che consenta una stabilizzazione veloce
della Libia è quella dell'azione militare volta a ribaltare il regime e,
se possibile, ad assicurare Gheddafi alle attenzioni del Tribunale
Internazionale, o meglio ancora dell'Ente Supremo...
La scommessa è che il regime sia - come stavano dimostrando le
manifestazioni a Tripoli - alla frutta, e che una spallata decisa possa
convincere altri pezzi della classe dirigente libica - come è già
avvenuto immediatamente dopo le prime rivolte di piazza - ad abbandonare
il tiranno, magari cercando una soluzione "alla Romena", facendogli fare
la fine di Ceausescu.

Altre soluzioni all'orizzonte non ne vedo.

Comunque meglio il documento di SEL che l'insensato balletto del nostro
governo, che anche in questo caso ci fornisce l'ennesima occasione per
vergognarci di essere Italiani. Berlusconi e l'insulso gagà Frattini ci
stanno riportando alla peggior tradizione di casa Savoia, che ai tempi
di Pietro Micca riuscì a cambiare alleanza per ben due volte nel corso
dello stesso conflitto... Il sole dell'impero (della truffa) pare essere
tornato a splendere sui colli fatali di Roma...

PpP

luigi ha detto...

Perfettamente allineato con te caro compagno Belli Paci.
Mi permetto solo di integrarti alzando lo sguardo ai fatti socialisti
europei.
A me le diagnosi mi piacciono ...
ma quando si passa a proporre le terapie ?
Siccome non si interviene in tante altre parti del globo con le
stesse caratteristiche dittatoriali di Geddafi ... ebbene nessun
intervento ? Coscienza a posto ?
Personalmento prendo sempre posizione anche all'interno di nodi
gordiani e sono per approfittare delle favorevoli circostanze ... di
necessità virtù per intanto sbarazziamoci di Geddafi e come
socialisti europei cerchiamo di contattere forze politiche o
sollecitiamo forze politiche progressiste e di sinistra libici per
impostare costituzione (noi italiani possiamo suggerire la nostra),
poi proponiamo al PES e all'Internazionale Socialista di fare
l'elenco dei paesi sotto dittatura da metterli nel libro nero e uno
alla volta mettere in atto politiche utile per sconfiggerli.
Mi pare che ci sia in atto un processo di identificazione dei nostri
compagni che sparano le loro idee con i capi di governo che
attualmente per la stragrande maggioranza sono di destra conservatori
liberisti teocon. Noi socialisti siamo all'opposizione quasi
d'appertutto e anche quando siamo al governo facciamo come quelli di
destra. Noi dobbiamo sollecitare PES e Internazionale socialista a
produrre un disegno complessivo nei confronti della globalizzazione e
delle ricadute manovre di legge e di armi in vari ambiti geopolitici.
Senza socialisti europei con una chiara visione del mondo e linea
politica noi ci troviamo qui come i polli di Renzo.
Buon dibattito.
Luigi Fasce