mercoledì 23 febbraio 2011

Tomaso Greco: A Milano la precarietà si può battere. Un'idea per Pisapia

A Milano la precarietà si può battere. Un’idea per Pisapia.
di Tomaso Greco

Se vi hanno detto che Milano è una città post-industriale, vi hanno informato male. Milano è una grande fabbrica a cielo aperto, forse la più grande d’Europa, solo non ne vediamo gli sbuffi, i fumi, le torri. Produce quotidianamente precarietà, da quasi dieci anni. Nel dedalo di stage non retribuiti o pagati a buon pasto, di contratti a progetto, collaborazioni, lavoro subordinato svolto nelle forme di lavoro autonomo, si è persa una generazione e forse più. Uno su mille ce la fa e, dopo la traversata tra i marosi del precariato, approda a un posto di lavoro stabile e con delle garanzie. Ma questo non cambia l’immagine di una metropoli dove, a fronte di un gran numero di opportunità, è sempre più difficile entrare in forma stabile nel mondo del lavoro. E non è solo un problema che riguarda le nuove generazioni: investe la città condannandola all’invecchiamento -sempre più giovani “scelgono” di vivere nell’hinterland per sottrarsi
al caro vita milanese- o a veder partire i migliori talenti. Un problema politico che investirà chi sederà a Palazzo Marino per i prossimi cinque anni. Giuliano Pisapia ha una carta importante da giocare per ridurre e, perché no, sconfiggere il precariato. Se infatti è prevedibile che il mercato del lavoro milanese sarà in espansione in vista di Expo 2015 e, in quanto tale, capace di attrarre risorse e persone dal resto d’Italia, con gli attuali meccanismi in entrata rischia di lasciare, a manifestazione passata, una voragine ancora più larga di quella attuale. Serve un sindaco capace di chiedere e ottenere una legge che dia vita, almeno fino al 2016, al contratto unico di inserimento con flessibilità decrescente. Del resto ne hanno parlato in molti, da Nerozzi a Ichino, ma hanno dovuto fare i conti con un mercato del lavoro messo in ginocchio dalla crisi. Funzionerebbe così: i preesistenti contratti di lavoro subordinato rimangono tali,
mentre le nuove assunzioni sono tutte regolate con un contratto di lavoro a tempo indeterminato che può essere risolto nei primi tre anni. A flessibilità decrescente perché se per i primi mesi può essere risolto senza oneri per il datore di lavoro, successivamente l’indennità da pagare al lavoratore aumenta in maniera proporzionale alla durata del contratto. Al termine dei tre anni scattano le tutele previste per tutti gli altri contratti subordinati. I vantaggi per il lavoratore sono quelli di uscire, da subito, dall’insicurezza. I vantaggi per l’azienda sono di poter investire in modo continuativo sulla formazione del lavoratore e, cosa non indifferente, essere esentata dal pagamento dei contributi per i primi sei mesi del contratto. Contributi che dovranno venire successivamente versati solo nel caso il rapporto si interrompa, per decisione del datore di lavoro, prima della fine del terzo anno. Il vantaggio per la città, e per il Paese,
sarebbe enorme. Se la Moratti vanta, a torto o a ragione, il Pgt come fiore all’occhiello della sua amministrazione, ridisegnare la fisionomia lavorativa del capoluogo lombardo, mettendo fine all’ostracismo per chi ha meno di 35 anni, potrebbe essere la vera grande riforma di cui Milano ha bisogno.

6 commenti:

pierpaolo ha detto...

Purtroppo mi hanno abituato a ragionare in termini di causa-effetto.

Poiché i guasti del sistema derivano dalla scellerata legge 30, bisogna indire un referendum per abolirla. Una volta vinto il referendum si potrà discutere di quella che le persone colte chiamano "flex-security", ovvero di ammortizzatori sociali.
Alle aziende italiane piace avere a disposizione moderni schiavi, cui oltre dare salari da fame non si pagano i contributi? Lamentano che sarebbero costrette a chiudere a fronte di un aumento del "costo del lavoro" legato al pagamento di oneri previdenziali-assistenziali? Bene, peggio per loro. La cosiddetta precarietà va chiamata per quello che è, con una parola antica che noi socialisti dovremmo conoscere bene: sfruttamento.

Intendiamoci bene: immaginando aziende sui 15-20 dipendenti il maggior costo dovuto al pagamento di salari e stipendi appena ragionevoli dovrebbe essere intorno ai 100.000 € anno. Cifre risibili. Se un'azienda rischia di non essere più competitiva per questo, tanto vale che fallisca - e questo lo può confermare chiunque sappia leggere un conto economico...

E infatti in termini "liberali" consentire alle aziende di evitare il pagamento dei contributi è una forma surrettizia di "aiuto di Stato" a realtà decotte, che non potrebbero sopravvivere senza sfruttare i propri dipendenti perché incapaci di fare innovazione di prodotto/processo, penetrazione dei mercati internazionali, delocalizzazione delle attività.

PpP

P.S. Tomaso, fammi dire: se in una notte d'estate sei tormentato dalle zanzare, eviti di grattare dove ti prude, ma ammazzi le zanzare...

Tomaso ha detto...

Caro Pierpaolo,


la situazione, purtroppo, è meno rosea e più antica di quella che emerge dalla tua analisi.
Prima della legge 30 c'erano già cococo e stage sotto-pagati o non pagati per nulla.
Oggi un giovane lavoratore passa, in media, tre anni vagando nell'universo del precariato prima di trovare un posto di lavoro stabile. Il che si traduce in "progetti" che sfuggono ai minimi sindacali del lavoro subordinato, spesso di 8-10 mesi l'anno (di solito quei contratti finiscono a luglio per ricominciare a settembre, ad esempio) e che accollano al lavoratore il rischio di saltare senza rete da un posto di lavoro all'altro.
Nella speranza di essere riconfermato è disposto a fare ore e giornate di straordinari non pagati, così come si sottopone (non ha alternativa) a ricatti di ogni natura.
Rileggi la mia proposta: contratto a tempo indeterminato, per tutti. Certo, a flessibilità decrescente, ma con indennizzi crescenti. E dopo 36 mesi nessuno può più mettere in discussione il tuo posto di lavoro. I primi sei mesi non ti vengono versati i contributi? E' un incentivo per le assunzioni, oltre a evitare che le aziende aggirino la norma licenziando allo scadere dei 36 mesi. Perché in questo caso devono versare in un colpo solo quei sei mesi di contributi.
Del resto quanti contributi versa un giovane lavoratore durante lo stage? E durante i mesi di disoccupazione che lo costringono ad accettare qualsiasi condizione retributiva? Tra l'altro dovresti sapere che le aliquote contribute per i contratti a progetto sono notevolmente inferiori rispetto al lavoro subordinato....
Insomma lavoro vero, senza andare a caccia di zanzare....


T.

Lanfranco ha detto...

Di proposte contro la precarietà ce ne sono molte ormai.Noto che a proposito di referendum abrogativi,se si volesse seguire questa strada,occorrerebbe partire non dalla legge 30 ,ma addirittura dal pacchetto treu.Cmq quella indicata da tommaso è meno criticabile di quella sostenuta da ichino,perchè quest'ultima aprirebbe un varco sull'art.18 e con l'aria che tira di destrutturazione della tutela contrattuale e legislativa del lavoro si tratterebbe di cosa tutt'altro che racccomandabile.lo dico anche con una certa autocritica perchè in altri momenti ho sostenuto convintamente le idee di ichino.Esiste anche un'altra proposta sostenuta ufficialmente dal pd:quella di alzare il costo previdenziale del lavoro precario per renderlo meno appetibile alle imprese.ha fra l'altro il pregio di migliorare in prospettiva la posizione previdenziale dei giovani precari.Quello cmq che bisognerebbe fare da parte delle forze di sinistra è di uscire dai conclavi di studio,scegliere una proposta e farla diventare oggetto di una grande campagna popolare capace di coinvolgere i giovani e i lavoratori precari in genere,come si faceva una volta quando si faceva politica di massa e la sinistra sapeva parlare e rappresentare davvero il mondo del lavoro.ora al massimo si presenta una proposta di legge.

luciano ha detto...

Anche a me la proposta formulata da Tommaso pare interessante.
Ma Pisapia non c'entra nulla, visto che la materia non è di competenza
comunale (né provinciale, né regionale ...). Non esistono scorciatoie
localistiche.
La precarietà non si può battere "a Milano", bensì a livello nazionale.
Meglio ancora a livello sovranazionale. Aggiungendo finalmente ai parametri
di Maastricht alcuni parametri "sociali" e tra questi i necessari limiti
alla precarietà del lavoro, evitando così almeno in area UE la concorrenza
al ribasso sulle condizioni di lavoro.
Luciano Belli Paci

Francesco ha detto...

E' vero che la proposta investe il potere legislativo (nazionale o europeo),
e non già quello di un sindaco o di un consiglio comunale. Ma è anche vero
che Pisapia e la sua maggioranza se ne potrebbero fare in qualche modo
latori, se non altro per sostenere, anche in campagna elettorale, la loro
sensibilità rispetto al problema. Considerato cioè che Giuliano potrebbe
diventare il sindaco della città che ha fatto del lavoro precario la sua
cifra distintiva, non troverei sbagliato un suo intervento chiaro sul tema,
con l'individuazione di alcune proposte costruttive per il miglioramento
della situazione (pur chiarendo evidentemente che non sarà nelle sue
competenze di sindaco risolvere il problema, ma solo, in realtà, il
contribuire a sollevarlo).
In passato, ricordo del resto che i consigli comunali prendevano posizioni
perfino su temi di politica estera.
Qui la cosa non sarebbe in fondo così scombiccherata.
Un saluto,
Francesco Somaini

luigi ha detto...

Le leggi, e purtroppo la legge 30 è una delle tantissime,
privatizzazioni, privatizzazioni, privatizzazioni, smantellamento
delle imprese IRI (con governi di centrosinistra), addirittura
privatizzazioni di imprese di interesse nazionale, energia,
trasporti, ecc., esternalizzazioni di servizi del cosiddetto welfare
municipale, liberalizzazioni cui si è fatto seguito dal tempo del
trattato Maastrich che ha sostituito bellamente il titolo terzo
parte economica della nostra Costituzione.
Dunque hai voglia di mettere pannicelli caldi sulla ferita se non si
va a incidere nella causa prima del bubbone canceroso che è il
barbarico neoliberismo nelle cui metastasi siamo ancora avvolti.
La strada è lunga, rimettere i cocci insieme della sinistra in Italia
e in europa, poi riformare in senso socialdemocratico l'economia in
toto ripristinando la costituzione economica. Ma per rimettere i
cocci assieme della sinistra all'interno del socialismo europeo
occorre rintracciare il collante ideologico che la contenga, che sia
condiviso e poi i cocci possono essere rimessi pazientemente
assieme. E' quello che abbiamo tentato di fare a Livorno il 19
febbraio scorso di cui dobbiamo ancora fare il doveroso consuntivo e
poi stilare il manifesto di Livorno del 2011.
Tutti possono contribuirvi. La documentazione è rintracciabile in
www.circolocalogerocapitini.it
sotto argomento
eventi.
Buona lunga lettura.
Luigi Fasce