venerdì 25 febbraio 2011

Corrado Ocone: la perdita del cuscinetto

La perdita del cuscinetto
.pubblicata da Corrado Ocone il giorno venerdì 25 febbraio 2011 alle ore 9.32. di Corrado Ocone

“Le nuove ragioni del socialismo”, anno IX, n.85, gennaio 2011



“La vita dell’uomo moderno non è favorevole all’approfondimento. Essa si sottrae alla tranquillità e alla contemplazione, è una vita di attività continua e affrettata, una lotta senza scopo e riflessione. Chi si ferma un istante è subito superato…Il nostro sguardo è sempre rivolto alla novità più recente, a ogni istante siamo sotto il dominio di ciò che è ultimo, e quello che precede è subito dimenticato, non soltanto prima di comprenderlo, ma addirittura ancor prima di vederlo con esattezza”. Era il 1935 quando Nicolai Hartmann, grande filosofo tedesco ancora poco conosciuto in Italia, scriveva queste parole nella sua Fondazione dell’ontologia. Da allora, il fenomeno descritto in modo così vivido ed efficace si è ancora più radicalizzato: grazie ai nuovi media, dalla televisione ad Internet, viviamo ormai in un mondo dell’informazione globale che, proprio perché dominata dal mito della velocità e della novità, spesso o quasi mai possiede quei requisiti di attendibilità o veridicità che pure sarebbero necessari. Viviamo nel tempo della realtà in presa diretta, di cui i reality sono per così dire l’epifenomeno paradigmatico. Anche in considerazione del fatto che mostrano in definitiva come nulla vi sia di più irreale o fantastico di una realtà costruita sull’im-mediato.

Sul fenomeno dell’accelerazione e compressione sul presente dell’esperienza temporale non mancano certo le analisi storiche, sociologiche, psicologiche, filosofiche. Non ne sono state ancora molto scandagliate invece le conseguenze politiche: i nessi fra di essa e la “crisi teorica” e “reale” della democrazia. Una crisi che porta la democrazia a trasfigurarsi in qualcosa di molto diverso rispetto al dispositivo classico fondato sulla rappresentanza, avvicinandola pericolosamente alla configurazione populistico-demagogica di certi regimi autoritari (in campo scientifico non a caso ha avuto fortuna il termine post-democrazia coniato dal politologo inglese Colin Crouch). L’elemento comune, a mio avviso, è in quello che, civettando un po’, si potrebbe definire il predominio del tre sul due, cioè nell’affievolirsi e nella scomparsa in entrambi gli ambiti del terzo, dell’elemento di mediazione fra gli opposti. Una vita che non ci porta a riflettere per bene sugli elementi che ci pone innanzi la realtà, che “non è favorevole all’approfondimento” come dice Hartmann, è una vita basata sulle emozioni e sulle impressioni, sulle immagini piuttosto che sui concetti. Esse vengono assunte in maniera acritica, non mediata, senza il distacco che è proprio di quell’ “osservatore” imparziale di smithiana memoria. Ugualmente succede che in politica i partiti storici e il parlamento non fungano più da cuscinetto fra la pancia degli elettori e i leader carismatici, perdendo quella funzione storica di organizzazione e articolazione fra i diversi interessi che realizzavano mediando fra di essi e fra essi e le idealità.

Ma in verità la crisi della mediazione è ancora più generale. Oggi persino i processi si svolgono, come è noto, prima che nei tribunali in quelle pubbliche piazze che sono diventate le televisioni E la mediazione rischia purtroppo di eclissarsi persino nella società se, come accade, la politica colpisce e impoverisce quei ceti medi o “riflessivi” che per Croce rappresentavano la borghesia in senso ideale (altra cosa da quella storica e concreta a cui non risparmiava critiche anche feroci). La “classe media” in democrazia adempie, infatti, proprio al compito di anteporre l’universale, che è proprio della cultura e dell’istruzione, ad una visione strettamente economicistica del reale.

Irriflessione diffusa, morte dei partiti, insignificanza dei parlamenti, giustizia-spettacolo, impoverimento dei ceti medi, politiche (soprattutto di bilancio) sacrificanti la cultura in ogni sua espressione: come si vede tutto si tiene. E tutto purtroppo descrive alla perfezione lo “stato presente” della democrazia in Occidente e soprattutto, con aspetti di indubbia radicalità, nel suo anello più fragile che è l’Italia.




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