40 anni dopo una strage impunita - di Roberto Cenati ANPI zona 3Condividi
Oggi alle 13.19
A quarant’anni da Piazza Fontana
Aldo Aniasi che, all’epoca della strage di piazza Fontana, era sindaco di Milano, nel convegno svoltosi a Palazzo Marino, alla Sala degli Alessi, l’11 dicembre 1999, intervenne e rilasciò una preziosa testimonianza su quei terribili giorni.
“Penso sia utile ripetere – scriveva Aniasi – il contesto nel quale si è svolta la strage, qui a Milano.
Lo scontro davanti al Teatro Lirico, qualche settimana prima, (il 19 novembre 1969) fra la polizia e gli operai che uscivano da una manifestazione sindacale sul problema della casa, aveva provocato la morte di un Agente di Pubblica Sicurezza (Antonio Annarumma) – un giovane certamente innocente – vittima di una vicenda anch’essa – per la verità – molto strana, per lo meno per le responsabilità di chi aveva guidato la polizia.
Pochi giorni dopo, ai funerali di questo Agente, a cui partecipavano rappresentanti del Governo e delle Istituzioni, uscirono allo scoperto – per la prima volta – con gagliardetti e distintivi, i reduci delle formazioni fasciste del pseudo governo della repubblica di Salò, provocando incidenti e cercando di aggredire giovani di sinistra. Mario Capanna che era presente, aveva rischiato il linciaggio, salvato per un pelo da un gruppo di poliziotti.
Non va dimenticato che proprio in quel tempo, in pieno centro a Milano, la Piazza San Babila – a poche centinaia di metri dalla Prefettura – era presidiata da giovani fascisti che la occupavano, la controllavano, minacciando chi appariva a loro un avversario. C’era certamente tolleranza, inerzia da parte dei rappresentanti dello Stato che avevano alte responsabilità nella nostra città.
Credo che sia superfluo ricordare singolarmente i nomi, perché sono sufficientemente noti – come poi dimostrano le vicende degli anni successivi – Si trattava di personaggi, tutti di convinzioni di estrema destra.
In quel giorno (12 dicembre 1969) io ero in Piazza Cavour, impegnato in un Convegno internazionale – e fui avvertito che una caldaia era scoppiata in piazza Fontana. Corsi, e vidi uno spettacolo – come tutti sanno – orribile, e già le autorità dello Stato erano qui riunite e fui accolto… da una dichiarazione che trovava da più parti conferma: “ricordate la strage del 1921, la strage del Diana: gli Anarchici”. E fu subito indicato immediatamente che quella non era solo una pista – anzi era una certezza. A poche ore di distanza dallo scoppio della bomba, il prefetto di Milano, Libero Mazza, inviò un telegramma al Presidente del Consiglio Mariano Rumor, per comunicargli che “l’ipotesi attendibile che deve formularsi indirizza indagini verso anarchici o frange estremiste”. Un secondo telegramma venne spedito il giorno dopo dal ministro degli Interni Franco Restivo alle polizie europee: “In questo momento non possediamo alcuna indicazione valida riguardo agli autori della strage, ma indirizziamo i nostri primi sospetti verso i circoli anarchici”.
“Debbo dire che chiedevo a me stesso – continua Aldo Aniasi – come potevano essere già, con precisione, individuate le responsabilità. Corsi a Palazzo Marino, convocai la Giunta, e nella Giunta si manifestarono i primi dissensi: forti dissensi sulle responsabilità; una parte degli assessori indicavano le responsabilità della sinistra, e sia pure in maniera un po’ velata, mi consideravano fra i responsabili morali per avere tollerato, o per aver favorito, manifestazioni della sinistra. Erano – come ricordate, le giornate dell’autunno caldo, le giornate nelle quali i lavoratori scendevano nella piazza per il rinnovo dei contratti, e particolarmente per quello dei metalmeccanici.
Si discuteva in quelle giornate dello Statuto dei Lavoratori, della istituzione delle Regioni; c’erano convinzioni che in Italia si stesse tentando una svolta, o quantomeno – un passaggio verso sinistra.
Ecco, la strage va collocata in quel contesto: noi ricordiamo anche la bomba non scoppiata nella Banca Commerciale, le bombe di Roma all’Altare della Patria. Indubbiamente, però, fu chiaro sin dall’inizio, che si trattava di un tentativo di criminalizzare la sinistra. Milano al centro dell’offensiva perché città simbolo per il ruolo che esercitava ed esercita nel Paese e nell’economia.
Ecco, una interpretazione già allora fu tentata: fu accreditata la responsabilità della sinistra da parte delle autorità milanesi dello Stato. Quindi fu poi amplificata dai mass media, dalla stampa, dalla Rai-TV. Il “mostro” Valpreda – certo -. Mi ricordo un autorevole corrispondente della TV che annunciò: “è stato arrestato l’autore della strage”. (crediamo si tratti di un certo Bruno Vespa...n.d.r.)
Milano e l’Italia hanno corso un grave pericolo. Se Milano avesse ceduto alla paura, il corso degli avvenimenti – forse – avrebbe potuto essere un altro. Milano democratica si mobilitò.
La città reagì con compostezza, con fermezza e con senso di responsabilità; i sindacati, gli studenti, le associazioni democratiche, il municipio di Milano ed i comuni dell’hinterland. Ai funerali la piazza del Duomo era affollata all’inverosimile: c’era un silenzio impressionante.
Un ricordo personale… Io attraversavo la piazza accompagnando Pietro Nenni: disse: “questa gente è garanzia di democrazia”. Parlammo delle tesi del “Diana” e Nenni affermò : “oggi come allora, ci sarà una speculazione dei reazionari”; nel 1921, in Galleria, si gridava: “morte ai socialisti”.
Ecco, dopo trent’anni, non è stata fatta ancora giustizia. C’è però una certezza storica, c’è una certezza sul disegno eversivo che ha colpito l’Italia; c’è la certezza della complicità dei settori dell’apparato dello Stato, cosa che allora già dicemmo; anzi, il Comitato antifascista per la difesa dell’ordine repubblicano (costituito all’indomani delle bombe alla Fiera campionaria di Milano) aveva sostenuto subito questa tesi. “Esprimiamo la nostra condanna – si leggeva nel manifesto del Comitato antifascista del 12 dicembre 1969 – per il crimine, lo denunciamo all’opinione pubblica come chiaramente ispirato ed organizzato da forze reazionarie che nelle provocazioni e nel terrorismo cercano l’occasione per avventure autoritarie. La Resistenza ha aperto nel Paese un processo irreversibile di progresso sociale e politico che le forze democratiche non consentiranno a nessuno di fermare.
Emersero allora la responsabilità delle tolleranze, della debolezza, delle coperture e delle complicità all’interno degli apparati dello Stato.
Va dato merito all’antifascismo milanese e a quello dell’intero Paese di avere in questi trent’anni fatto vivere la memoria di questa e delle successive stragi.
Certo, è doveroso chiedere giustizia, è doveroso che si colpiscano i colpevoli, ma è altrettanto importante che ci si renda conto dei pericoli che possono correre le istituzioni democratiche; che la libertà e la democrazia non sono mai definitivamente acquisite”.
Anche se con una generale e scandalosa sentenza di assoluzione (che addebitava le spese processuali alle parti civili), il 3 maggio 2005 la Corte di Cassazione ha messo definitivamente la parola fine ad ogni possibile verità giudiziaria sulla strage del 12 dicembre 1969 in piazza Fontana, deve essere ricordato che quasi dieci anni di indagini hanno dato definitivamente un nome ai gruppi dell’area di Ordine Nuovo che idearono e organizzarono la strage e confermato le coperture di cui hanno goduto da parte di settori dello Stato portatori di un progetto politico di congelamento dei fermenti democratici che crescevano nell’Italia della fine degli anni sessanta.
Le stesse sentenze di assoluzione per gli ultimi imputati (gli ordinovisti Delfo Zorzi, Carlo Maria Maggi, attualmente imputati per concorso nella strage di piazza della Loggia a Brescia, Giancarlo Rognoni, capo del gruppo milanese “La Fenice”, vicino a Ordine Nuovo) scrivono che nei confronti dei padovani Freda e Ventura, non più processabili, perché assolti definitivamente, sono emerse con le nuove indagini prove che, se fossero state disponibili venti anni orsono, avrebbero portato all’affermazione delle loro responsabilità: colpevolezza storica provata dunque, anche se non più traducibile in una sentenza di condanna.
L’unico colpevole accertato della strage di piazza Fontana è Carlo Digilio; era l’artificiere di fiducia di Ordine Nuovo nel Veneto. Collaboratore di giustizia, dichiarò di avere svolto una perizia tecnica sull’esplosivo. E’ morto il 12 dicembre 2005.
Queste considerazioni non assolvono comunque un ceto politico complice, una magistratura che ha guidato il processo verso la negazione della verità, un’opinione pubblica distratta e quasi anestetizzata.
Concludo con una amara considerazione di Francesca Dendena, Presidente dell’Associazione familiari delle vittime di Piazza Fontana, pubblicata in un libro a fumetti uscito recentemente sulla strage del 12 dicembre 1969.
“La verità storica oggi la conoscono gli addetti ai lavori e quei cittadini che hanno seguito con passione la vicenda. Ma nel Paese non esiste. E forse la si vuole negare, dopo aver negato quella giudiziaria”.
Roberto Cenati – presidente ANPI di Porta Venezia
Nessun commento:
Posta un commento