lunedì 21 dicembre 2009

In ricordo di Igor Man

Da Mondi e politiche

http://mondiepolitiche.ilcannocchiale.it/2009/12/20/in_ricordo_di_igor_man.html


Igor Man - Il Crocifisso dall'Ucraina, la Stampa del 20 novembre 2009


Arrivò l’estate e mia madre si portò via. Per sempre. Lei aveva lasciato scritto a mio padre di non portarci al cimitero. «Non mi vedrete epperò sarò sempre accanto a voi, in casa, nel Mondo». Da convinta allieva di Tolstoi, mia madre insegnò la scrittura ai contadini di Cibali. Era una menscevica nobile e molto attiva, sicché amici fascisti (si può essere amici e fascisti solo a Catania) consigliarono a mio padre di lasciare l’Isola. Prima di partire ci fu concesso di traslare mia madre nella semplice tomba di marmo creata da Emilio Greco. Dal tumulo emerse persino il triciclo che il piccolo dei fratelli aveva voluto andasse con sua madre, ma non ci fu verso di trovare un crocifisso d’arte povera, ucraino. Prima di lasciare la Sicilia, mio padre promise «adeguate ricompense» a chi avesse mai trovato quel Crocifisso.(...)


http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6638&ID_sezione=&sezione=


Igor Man - Gesù Cristo, il volto dell'innocente negli orrori delle guerre, TERTIUM MILLENNIUM, N.2/ Maggio 1997


Convinto, come sono, che nessuna guerra sia "giusta" anche se qualcuna è imprescindibile, più volte anch'io mi sono posto l'interrogativo che con dolorosa civiltà ha postulato Norberto Bobbio: «Ma avranno le previsioni sulla pace la stessa credibilità delle previsioni sulla guerra?». Porsi un simile interrogativo significa garantirsi molti tormenti ancora ma, forse, chi genuinamente "pretende" la pace, e subito e per sempre, non vuole più soffrire. (Penso ai palestinesi: arabi ed ebrei; penso agli uomini disperati del Rwanda, del Burundi, dello Zaire e del Sudan e della Bosnia, eccetera). Anche chi combatte vuole la pace. La pace e basta. Verosimilmente perché la cultura della guerra è morta col Vietnam.


Una volta la società accettava la guerra "perché la guerra risolve". A quelli della mia generazione insegnavano che la guerra era un "male necessario". Oggi è diverso. Mi dice un Cardinale-Pastore, oggi tutti hanno capito che la guerra non risolve nulla, dà solamente la medesima illusione dell'intervento chirurgico su un organismo mitragliato dalle metastasi d'un tumore cattivo. «La pace, invece, fermando la corsa della morte, salva la vita, dona la speranza della giustizia».


Forse è veramente così. ("E' vero davvero"). Non lo so. Io sono soltanto un vecchio cronista che ha scarpinato per il mondo inciampando di continuo nella guerra: anche se tutte le volte che l'ho attraversata, ho incontrato una immensa domanda di pace. Ho fatto (da cronista, armato solo di taccuino e di biro) tutte le guerre mediorientali; ho raccontato la lunga guerra civile che ha trasformato il Libano da produttore di benessere in produttore di cadaveri; ho testimoniato dell'orrore del Vietnam e delle infinite guerre di guerriglia che hanno sferruzzato il mondo negli ultimi cinquant'anni e posso dire che "ovunque e comunque" ho visto invocare la pace. Soprattutto da chi combatteva o era costretto a farlo.(...)


http://www.vatican.va/jubilee_2000/magazine/documents/ju_mag_01051997_p-14_it.html


Igor Man, - Nel Golfo senza Hemingway, la Stampa dell'11-2-1991, da "Diario arabo", ed.Bompiani, pp.78-81


(...) Tutto questo per dire come il giornalismo in generale, quello italiano in particolare, stia vivendo una sorta di dramma dell'incomunicabilità. Fisica, materiale, effettiva. Lo vive da tempo, ma con questa guerra "censurata" siamo giunti all'ultimo atto. (...) Ecco, l'unico modo di vendicarsi della incomunicabilità contingente rimane quella di affidarsi alla comunicazione scritta. Lo scrivere come salvezza (...) se è vero che "La storia" di Elsa Morante è il più sublime reportage, in forma di romanzo tolstoiano, che sia mai stato scritto su di una guerra contemporanea, è vero altresì che, dimenticando non dico Tolstoj ma Hemingway (impresa comunque difficile), una piccola ragazza del sud può scrivere una autentica storia di guerra. Mi riferisco a Bassa Intensità, il libro di Lucia Annunziata (in questo momento in servizio tra Amman e Baghdad) dove figurano le corrispondenze che non furono scritte ma pensate, durante un anno e passa di Salvador. Una guerra a "bassa intensità", per dirla in gergo militare, raccontata stupendamente con avveduta umiltà. Il lettore avrà notato com'io parli solamente di libri scritti da donne. forse perché di giornalisti uomini capaci di raccontar guerre non ce ne siano? Certo che ce ne sono, soltanto sul Libano si contano almeno tre buoni libri di altrettanti colleghi italiani. Gli è che le donne non dico scrivano meglio ma scrivono in un modo non concesso agli uomini. Scrivono con lo stesso travaglio col quale si fa un bambino, sicché il loro non è soltanto un libro, è una specie di "figlio". Bello o brutto che sia, ha sangue e muscoli, ha la voce della vita. (...)


Igor Man, - La canzone diventa preghiera, la Stampa del 12-2-1991, da "Diario arabo", ed.Bompiani, pp.72-84


(...) Sul prestigioso El Pais leggiamo di una festa da ballo di cinque marines donna e venti maschi, nella discoteca Mopp, frammezzo le dune del fronte arabico. Si sono scatenati col rap nel "ballo della maschera", inventato "involontariamente" dal marine Meil Bulke, 22 anni, newyorkese. Il ballo simula l'angoscia di quando Meil s'era perso nel deserto, chiuso, nella tuta antichimica, con la maschera antigas sul volto. "Avevo perduto l'orientamento, andavo su e giù, sbandavo da una parte all'altra, soffrivo come un condannato a morte". Ad un certo momento Meil si è sorpreso a mugolare il salmo che cantava da bambino in chiesa, "e alla fine ho beccato la via che porta al campo"(...)


***


Igor Man ricordato dai colleghi de La Stampa


Il cuore di un maestro, Marcello Sorgi, la Stampa, 19 dicembre 2009


(...)A un certo punto della sua lunga carriera, Man aveva preso una sorta di seconda cittadinanza in Medio Oriente e nel mondo arabo nostro dirimpettaio e non ancora soffocato dal fondamentalismo. Andava e veniva, tornava e ripartiva, allungava orgoglioso il lungo medagliere di foto dei suoi intervistati. Accanto a Che Guevara, ad Allende, a un gruppo di misteriosi guerriglieri boliviani armati fino ai denti, a un Kennedy avvicinato svagatamente a un ricevimento a Washington, da un elegantissimo Igor in dinner jacket e papillon, comparvero così l’israeliana Golda Meir, l’egiziano Mubarak, il vecchio re Hassan II del Marocco, il ras della Tunisia Bourguiba, e poi, in varie pose, un Arafat di cui Man era spesso ospite esclusivo e autorizzato, raro privilegio, a descriverne la vita riservatissima nella casa araba dove il the bolliva lento tutto il giorno, tra nuvole d’incenso e fiori di gelsomino sparsi un po'dappertutto.


Con molti anni di anticipo, Man aveva capito che dalla sponda orientale a noi più vicina la polveriera islamica stava incubando dentro e attorno a un Occidente del tutto impreparato a contenerla. Per questo Igor, che aveva visto nascere il khomeinismo in Iran, era desolato quando gli americani avevano dovuto abbandonare la Somalia infestata dai fondamentalisti. Ed era disperato di fronte alla prima guerra del Golfo, quella del '91 in cui l'Italia si commosse per le gesta eroiche del maggiore Bellini e del capitano Cocciolone, ma non immaginava neppure cosa sarebbe accaduto dieci anni dopo. Toccò a Man raccontare nella sua rubrica «Diario arabo» la cultura, i valori e anche gli eccessi del mondo islamico: lo faceva umilmente, in trenta righe, tutti i giorni. E ogni articolo si concludeva con una «sura», una massima del Corano.(...)


http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6755&ID_sezione=&sezione=


Con la morte di Igor Man muore "il vecchio cronista" della Stampa, Mimmo Candito, blog della Stampa, 18 dicembre 2009


(...) Il suo “Diario arabo”, quelle notazioni quotidiane che sulle pagine del nostro giornale hanno accompagnato e spiegato le complesse filiere nelle quali s’andava dipanando la preparazione - fino a poi lo scontro sul terreno - della guerra del Golfo tra Saddam Hussein e il resto del mondo guidato dai marines di Schwarzkopf, quel diario giornaliero gli aveva dato alla fine la popolarità che solo il giornalismo televisivo riesce altrimenti ad attribuire; e il merito, com’egli stesso ha riconosciuto, stava nell’aver saputo legare la cronaca quotidiana di un’inquietante confronto politico con le motivazioni culturali e religiose che inevitabilmente stavano ripiegate dietro l’apparenza del conflitto geostrategico. Prendendo a spunto i versetti del Corano, e leggendone con cura e rispetto il senso profondo, Man offriva ogni giorno al lettore strumenti nuovi e “altri” per la comprensione di fatti e di personaggi che si mostravano inaccettabili nella semplificazione mistificatrice di tipizzazioni di comodo.


E da questa vicinanza all’Islam come religione (ma anche come struttura identitaria, sempre riproposta e offerta all’attenzione del lettore) Man era passato progressivamente a vivere con una partecipazione intensa la dimensione cattolica della sua propria storia privata; è stata però, la sua, una religiosità laica, mai perduta dentro le anse difficili del fideismo, ma ugualmente intensa, verrebbe da dire pubblicamente intensa, in quello spazio nel quale un personaggio popolare finisce per essere obbligato a consumare anche i momenti più intimi del proprio vissuto quotidiano. E il racconto dei suoi incontri privati con gli ultimi due Pontefici lo coinvolgeva e lo emozionava anche al di là dei doveri che il cronista deve sapersi dare.(...)


http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/giornalisti/grubrica.asp?ID_blog=126&ID_articolo=219&ID_sezione=&sezione=


Scrittore non solo cronista, Arrigo Levi, la Stampa, 19 dicembre 2009


(...) Igor ora se n’è andato, ha lasciato all’improvviso i suoi affezionati lettori e i suoi amici e rivali di tutta una vita. Fra tutti noi, Igor era forse, per istinto, il più esotico nei suoi interessi. Quando diventai, nel 1973, direttore della Stampa, era considerato uno specialista sia di America Latina sia di Medio Oriente. Quelle vaste aree del globo le aveva girate da un capo all’altro, era stato testimone di tutte le crisi e aveva incontrato tutti i grandi protagonisti che meritasse incontrare. Lo sanno bene i suoi lettori, che hanno gustato ogni sette giorni i suoi ricordi di Vecchio Cronista su questo giornale. Igor si chiamava davvero, per ascendenza parzialmente russa (lo incontrai un giorno a Zurigo dove era andato a trovare nel più famoso Grand hotel una vecchia zia, gran signora, che parlava un russo musicale ed elegante che le generazioni successive hanno dimenticato). Il cognome Man, al posto del siciliano Manzella, gli era parso, giustamente, più esotico e più adatto al mestiere che faceva. Una piccola dose d’inventiva era pur necessaria, in quel nostro mestiere. Senza esagerare.(...)


http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=6758&ID_sezione=&sezione=

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