11/12/2009
Rincorsa pericolosa
La Stampa
MARCELLO SORGI
E’ inutile girarci attorno: quello di Berlusconi ieri a Bonn, al congresso del Ppe, è stato un discorso di rottura, di un leader che sta prendendo la rincorsa per andare ad elezioni anticipate e che a questo punto conta solo sull’appoggio del popolo - del «suo» popolo - per uscire dalle difficoltà. Un piano esposto in un tono che il Presidente della Repubblica, anche lui nel mirino del premier, ha definito «violento», e che ha lasciato stupiti parte dei delegati europei cattolici moderati che erano lì ad ascoltarlo.
Ad evitare equivoci e a neutralizzare l’efficacia - ormai scarsa - degli unguenti e dei brodini che i più prudenti collaboratori del Cavaliere si affrettano a spargere e a distribuire da mesi, per lenire i bruciori provocati dalle sue ultime uscite, Berlusconi stesso, interrogato poco dopo il suo intervento, a proposito delle reazioni durissime che aveva provocato a Roma, da Fini all’opposizione fino al Quirinale, ha risposto che non aveva «niente da chiarire».
E aveva detto quel che aveva detto perché «stanco delle ipocrisie. Tutto qui».
Non siamo insomma di fronte all’ennesima «uscita di pancia» di un uomo che ci ha abituato da sempre a un linguaggio fuori dalla politica, quando non antipolitico (ieri tra l’altro ha parlato di sé come di uno «con le palle»). Semmai lo è stato, il Cavaliere non è più uno sprovveduto: è in carriera da quindici anni e sa benissimo quel che fa. Se ha scelto Bonn, e la platea del Ppe, per alzare la mira contro la Corte Costituzionale, i magistrati e gli ultimi tre Presidenti della Repubblica, è perché è consapevole che con questi argomenti e con questi obiettivi, la legislatura già avvitata su se stessa andrà verso un precipizio, e nessun accordo sarà possibile per salvarla. Né con la parte della sua maggioranza più vicina al presidente della Camera, giustamente convinto che le riforme, e soprattutto quella della giustizia, non debbano alterare l’equilibrio costituzionale tra i diversi poteri. Né tanto meno con quella parte dell’opposizione, che faticosamente, e d’intesa con Napolitano, stava valutando proprio in questi giorni la possibilità di un’intesa, magari provvisoria, per por fine alla guerra che s’è aperta dopo la cancellazione del lodo Alfano da parte della Consulta.
Per chi ancora nutriva qualche dubbio, ora è chiaro che di queste mediazioni, compromessi, accordi ipotizzati e sudati a costo di buona volontà e reciproche rinunce dei diversi interlocutori, a Berlusconi non importa niente. Non gli servono. L’Italia com’è, e il suo sistema istituzionale che funziona normalmente, in cui appunto chi vince le elezioni governa, porta in Parlamento per farle approvare le leggi che fanno oggetto del suo programma, ma se poi sbaglia, o forza, o comunque fa qualcosa che non è previsto dalla Costituzione, incappa nella rete degli organi di garanzia, per Berlusconi non assomigliano per niente a ciò che ha promesso ai suoi elettori. Dunque, sono da cambiare. Con le buone o con le cattive, con chi ci sta e contro tutti quelli che non ci stanno. Tra i quali ultimi, per inciso, il Cavaliere annovera i magistrati che da anni cercano vanamente - anche se talvolta in maniera persecutoria - di processarlo, e che per questo vanno assimilati a tutti gli altri suoi avversari «comunisti», presenti e nascosti, a suo giudizio, nelle pieghe dei poteri e dell’establishment nazionali.
Dal discorso di Bonn - pronunciato non a caso all’estero, per smentire il ritratto dell’Italia che a dispetto del Cavaliere i media stranieri fanno circolare in tutto il mondo - è lecito ricavare anche di che tenore sarà la prossima campagna elettorale del premier. Con al fianco Bossi, l’unico alleato che considera fidato e che ieri s’è affrettato, da solo, a schierarsi con lui, Berlusconi, ottenuto lo scioglimento delle Camere anche grazie al sostegno della Lega, con cui la trattativa preelettorale è molto avanti, si rivolgerà agli elettori con uno schema molto semplice. Non starà neppure a perdere tempo per sminuire le accuse che si porta sul collo o alleggerire il peso delle vicende personali che hanno macchiato la sua immagine. Dirà più o meno così: come sono io lo sapete, ma se non volete che tornino «quelli», votatemi anche stavolta.
Un giudizio di Dio. Voglia il Cielo che un Paese ridotto com’è riesca a evitare anche questa prova. O a sopportarla, con le ultime risorse, se davvero ci si arriverà.
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