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lunedì 27 gennaio 2025
Franco Astengo: Formula elettorale, rappresentanza, governabilità
FORMULA ELETTORALE, RAPPRESENTANZA, GOVERNABILITÀ' di Franco Astengo
Partiamo dal basso della "macelleria politica": la proposta di Franceschini del "marciare divisi per colpire uniti" (Von Moltke) ha riavviato, sia pure flebilmente, il dibattito sulla formula elettorale in Italia, tema abbandonato da tempo in favore di soluzioni come quella del premierato (del resto ormai in declino).
Bisognerebbe comunque affrontare l'intero tema elettorale non soltanto quello della formula che traduce voti in seggi: una scelta di riflessione di fondo andrebbe imposta tenendo conto dalla larghezza della disaffezione al voto che ormai mette in discussione la legittimità dell'esito delle urne. I primi due partiti usciti dalla tornata europea Fdi e PD rappresentano sommati circa il 24% dell'intero corpo elettorale e questo fatto rappresenta un problema democratico.
Per di più la sciagurata riduzione del numero dei parlamentari ha agito - assieme - sia sulla rappresentanza politica sia su quella territoriale, funzionando da ulteriore punto di lacerazione tra l'elettorato e le forze politiche.
Purtuttavia anche la cosiddetta "proposta Franceschini" si preoccupa soltanto del lato "governabilità" del problema trascurando totalmente come avviene da tanto tempo la parte "rappresentanza".
In realtà il tema del governo andrebbe affrontato per scavare a fondo il significato vero del termine, chiamando in causa i “fondamentali” della filosofia politica.
Con l’avvento della concezione della divisione dei poteri per culminare, nell’età classica della dottrina, nella pratica dello Stato di diritto, il “governo” è stato progressivamente ricondotto al profilo del semplice potere esecutivo, quale esecutore della volontà popolare sovrana rappresentata dal potere legislativo.
Nasce qui la distinzione tra legge e decreto (come fa notare Kant, nella “Metafisica dei Costumi”), tra norma generale e norma particolare, e sarà su questo punto che partirà un processo di delimitazione e ridefinizione dell’ambito dell’attività di governo rispetto alla funzione legislativa che, nella nostra Costituzione, assume la denominazione (non effimera) di “Repubblica Parlamentare” e si stabilisce la “Centralità del Parlamento” (Il “Parlamento come specchio del Paese” nella visione togliattiana).
La Costituzione disegna con grande chiarezza lo scenario della centralità del Parlamento e della presenza nelle istituzioni di un largo spettro di rappresentatività, sia sotto l’aspetto delle idealità che delle capacità progettuali.
In quale punto allora si è innestato il meccanismo di una vera e propria “inversione di tendenza” rispetto al dettato costituzionale?
Attorno agli anni’70-’80 del secolo scorso era partito il dibattito sul cosiddetto “eccesso di domanda”: dalla società saliva ormai verso la politica la richiesta di un consolidamento e di un allargamento dei meccanismi universalistici del welfare e salivano di tono le rivendicazioni operaie in tema di salario e garanzie del lavoro; richieste ormai non più riservate a determinate e precise aree dell’Occidente capitalistico.
La risposta è stata duplice: da un lato la spinta a recuperare il ruolo prioritario degli “spiriti animali” del capitalismo attraverso il lancio di una forte controffensiva portata avanti su entrambe le rive dell’Atlantico attraverso le opzioni di un “liberismo selvaggio”; dall’altro lato la spinta a ridurre il rapporto tra politica e società attraverso il taglio del cosiddetto “eccesso di domanda”.
Nasce da questo punto il dibattito sulla “governabilità” e la ricerca di nuove forme – autoritative – di governo e sorge anche una distinzione tra “governance”, espressione di un potere articolato sul territorio per rispondere, spezzettando le diverse problematiche, in maniera sostanzialmente neo-corporativa ai bisogni espressi dai ceti sociali più forti e “governament” utilizzato per normalizzare le dinamiche sociali più fortemente conflittuali, attraverso l’espressione di un potere centrale fortemente concentrato e posto, attraverso opportuni tecnicismi che dovrebbero includere anche la legge elettorale, al riparo da dibattiti giudicati inopportuni.
Nessuna risposta, insomma, in termini di allargamento democratico, di ruolo delle istituzioni rappresentative, di presenza dei soggetti intermedi (partiti, sindacati), la cui funzione nel frattempo è stata ridotta al solo rango di selezionatori del personale di governo, provvisti di denaro ed elargitori di “incentivi selettivi” e non certo di soggetti propositori della rappresentanza politica e sociale.
Si sono così smarrite le coordinate di fondo dell’appartenenza sociale e del legame diretto tra questa e l’appartenenza politica, si è perso il ruolo di sede di confronto dialettico da parte del Parlamento e l’idea di “governo” come esecutivo è via, via evaporata fino a ricomparire il fantasma della stabilità: una sorta di “Pax romana” della politica e si sta insistendo su questa strada sulla quale non si potrà che incontrare ulteriori danni inflitti alla democrazia.
Diventa così decisivo affrontare il tema della rappresentanza, ponendosi una domanda: attorno a quale contraddizione si può collocare il confronto a questo livello, come si regola oggi la relazione tra struttura e sovrastruttura e la relativa ricaduta sulla presenza istituzionale e la forma di governo (quest’ultima appare, infatti, decisamente incamminata sul terreno dell’autocrazia tecnocratica)?.
Tutto questo in tempi di vero e proprio disfacimento dell’azione politica.
Il salto nella capacità di delineare una prospettiva si gioca, almeno a mio giudizio, nel passaggio da un generico riferimento alla necessità di soggettività ad una proposta di modello di organizzazione della rappresentanza nelle condizioni economiche, culturali, sociali (di mutamento antropologico, come è stato fatto notare) date e futuribili, almeno nel medio periodo (constata anche la velocità assunta dal procedere dei cicli storici così come è imposta dal vorticare dell’innovazione).
Vanno in discussione i diversi livelli di organizzazione e aggregazione nel rapporto tra società, corpi intermedi, sedi di decisionalità politica: quel circuito che era stato garantito per un lungo periodo dal sistema dei partiti.
Si tratta di reperire un modello di espressione del consenso sviluppato in sedi adeguate (forse non sarà più sufficiente la sola sede parlamentare e lo stesso corollario delle istituzioni locali) per arrivare ad affrontare in maniera sufficientemente equilibrata la normativa necessaria per regolare (e contenere) l'uso (e lo sviluppo) dell'intelligenza artificiale rispetto al modificarsi della molteplicità delle attività umane che dovranno relazionarsi in quella direzione.
L'impressione su ciò che si sta verificando è quella di un'arretratezza "strutturale" della nostra discussione, qui alla periferia dell'Impero.
Non basta discutere su di una governabilità appesa tra formula elettorale proporzionale o maggioritaria .
Così restiamo destinati, alla fine, ad esprimere una rappresentanza mediocremente corporativa fondata su interessi immediati e non mediati da un'idea (necessaria da ricostruire) di una prospettiva futura.
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