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mercoledì 7 novembre 2018
Paolo Bagnoli: Sovranismo, trumpismo e antisemitismo
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la biscondola
sovranismo trumpiano
e antisemitismo
paolo bagnoli
da Nonmollare
Ci domandiamo se ci volevano gli ebrei uccisi a Pittsburgh per scoprire che in America la destra radicale nazista, razzista, antisemita è una realtà assai diffusa e drammaticamente attiva. Nel Paese delle libertà per antonomasia il tasso di odio verso gli ebrei è molto alto; con Pittsburgh si viene a sapere che suoi esponenti sono stati tranquillamente candidati nelle file repubblicane alle elezioni di metà mandato. Tutti costoro, naturalmente, sono tifosi di Donald Trump. Non crediamo che il Presidente americano sia personalmente antisemita, certo che quando inneggia all’America first non pensa sicuramente agli americani neri o ebrei o spanish; il suprematismo che predica è quello dell’ America bianca e reazionaria. I suoi messaggi muscolari, la fissazione di avere una nazione pluriarmata e sovranista – solo all’interno - sdoganano l’immissione del fattore violenza nel confronto civile e politico; a rendere naturale quanto è storicamente contrario allo Stato democratico, alla libertà che lo sottende e alla convivenza di tante diversità nel segno, altrettanto fondamentale, della coesione sociale. Non è certamente un caso che il Ku Klux Klan si sia schierato al suo fianco fin dall’inizio della sua discesa in campo. Trump, infatti, è uomo che crea tensioni volutamente per finalità immediate di consenso in primo luogo, ma anche per soddisfare una specie di ansia psicologica per cui è lui e solo lui l’uomo che comanda infischiandosene allegramente se le sue decisioni creano tensioni o aggravano situazioni già di per se complesse. Sia che si tratti di spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme – anche l’ultra reazionario neopresidente brasiliano Jair Bolsonaro ha annunciato che farà altrettanto - sia che si annunci di voler modificare, addirittura con violazione della prassi istituzionale, l’emendamento 14° della Costituzione che sancisce lo “ius soli” fissato in una legge del 1866 e, successivamente, codificato sul piano costituzionale il 9 luglio 1868. Va ricordato che il 14° emendamento venne concepito per garantire il diritto di cittadinanza ai figli degli schiavi neri che erano stati liberati; ma il riconoscimento di quel diritto segnò l’idea che più ha caratterizzato gli Usa; ossia, quella della “società aperta”. Un’idea di grande rilevanza per un Paese di immigrati i cui cittadini hanno la doppia identità e che basa il sentimento nazionale su uno “stile di vita” di cui vanno orgogliosi. Se cade, però, l’idea della “open society” è l’idea stessa dell’America quale paese delle libertà ad esserne compromesso; conquista il campo la società chiusa e, con essa, la violenza, il tragico della diversità di cui, come la storia ci dice, sarebbero proprio gli ebrei a farne per primi le spese. Coi fatti drammatici di Pittsburgh una lunga stagione storica sembra, così, essersi incamminata sulla strada del tramonto in un contesto regressivo di civiltà poiché l’America non è più la terra nella quale gli ebrei possano sentirsi al sicuro. La questione non riguarda solo l’America poiché l’odio antisemita, mai completamente sopito dopo la decreazione rappresentata dalla Shoah anche in Europa, di solito fa presto a risvegliarsi in tutta la sua devastante forza. Quanto avvenuto in America non riguarda solo l’America ove è suonato un significativo campanello d’allarme. L’Europa non può limitarsi a guardare e a condannare, serve di più poiché al vecchio pregiudizio antiebraico di matrice cattolica che non è mai stato del tutto cancellato anche quando risultava come sopito, si aggiunge oggi la realtà di un antisemitismo proclamato da parte di frange estreme presenti nell’immigrazione islamica che sta caratterizzando il quadro del vecchio continente. Donald Trump con il suo linguaggio zeppo di invettive contro chi considera suoi avversari – altro che America, il suo programma è “Donald first” – ha dato coraggio, al di là di ogni limite, quei gruppi estremistici che fino a oggi non erano venuti allo scoperto e avevano coltivato il loro odio in silenzio. I fatti di Pittsburgh sembrano dire che il tempo del silenzio è finito; ora l’odio può venire allo scoperto. E l’antisemitismo è da sempre un fattore presente nell’odio civile e sociale. Primo Levi diceva che quanto è accaduto può accadere di nuovo. Non esagerava, non aveva torto. Il linguaggio del sovranismo, del primatismo, del populismo demagogico non può dirsi, automaticamente, come antisemita, ma la violenza
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nonmollare quindicinale post azionista | 029 | 05 novembre 2018
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del linguaggio crea odio, nemici di comodo; insomma feconda un camp pericoloso che non si sa quale direzione, di estremismo in estremismo, possa prendere. Sicuramente, tutte le volte che l’odio soffia nel dibattito pubblico, alla fine l’antisemitismo fa capolino; ancora oggi ricorrono pericolosi riferimenti sull’intreccio tra la finanza e gli ebrei, vecchie e malate teorie sul controllo del mondo e così via. I fatti che accadono, tutti i fatti, risentono sempre di climi culturali. E poi, talora, all’improvviso questa cultura genera nuove gravissime e inaspettate situazioni, all’improvviso, come avvenne nell’Italia del 1938 quando le leggi razziali misero in essere quanto non era pensabile. Da un giorno all’altro persero tutti i diritti; la persecuzione divenne sistematica. Una domanda ci inquieta. Può essere che così stando le cose anche nella nostra Europa, in marcia dietro la bussola del populismo sovranista, l’antisemitismo si senta sdoganato? Pensiamo alle parole di Primo Levi e avvertiamo un brivido; ma i buoni sentimenti non bastano occorre un’azione di politica civile. Ne va di mezzo la nostra civiltà.
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