Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
venerdì 30 novembre 2018
Paolo Bagnoli: Progettare la democrazia
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"PROGETTARE LA DEMOCRAZIA"
di Paolo Bagnoli
27-11-2018 - EDITORIALE
La rivoluzione democratica
Ci risiamo. E’ triste, ma ci risiamo. A cosa? Al tentativo di scaricare sulle istituzioni quella che altro non è se non la debolezza della politica; l’incapacità di chi è al governo nel governare, appunto. In questi giorni, che ci stanno squadernando tutto l’egoistico avventurismo possibile, le due forze del governo a contratto hanno cominciato a far veicolare ragionamenti di riforma della Costituzione. Questa volta non si parla di abolizione di una delle due Camere, ma di elezione diretta del Capo dello Stato. In tal modo, oltre a voler volgere altrove dal presente l’attenzione del Paese, si cerca maldestramente di giustificare il pantano in cui il governo ha portato l’Italia non solo all’Europa, ai poteri forti e così via - ai nemici del popolo,per intenderci - ma anche all’assetto costituzionale. E’ un qualcosa di maldestro e di ignobile; un qualcosa che, tuttavia, segna il ritorno di un vecchio vizio nostrano: ritenere che soluzioni tecniche possano risolvere quelle politiche. Il più recente clamoroso esempio è quello di Matteo Renzi il quale, in un’ubriacatura di se stesso e del proprio solipsistico ruolo, cercò di modificare la Costituzione in abbinato alla legge elettorale pensando che, se tutto fosse andato in porto, lui sarebbe stato il dominus guidante e dominante l’Italia per una lunga stagione politica. Come poi sono andate le cose è ben noto. La lezione, però, non è servita a nulla.
La debolezza crea paura e arroganza; l’incertezza conduce allo sbandamento; l’insufficienza dell’operare politico genera fratture profonde nella realtà democratica con gravi ripercussioni sociali. Debolezza, paura, arroganza, incertezza sono quattro caratteristiche proprie delle forze riunite nel contratto che le rappresenta in maniera doppia poiché, come emerge chiaramente, appartengono a entrambe. Il presidente del consiglio lasciamolo pure nell’illusione fanciullesca di essere l’avvocato del popolo visto che delle ragioni dell’Italia non lo è sicuramente. Recentemente ha dichiarato di non essere preoccupato; se, in una situazione del genere non lo è, vuol dire che è irresponsabile. Tertium non datur.
Tanti italiani e con essi l’Europa tutta – quella comunitaria è accertato – sono in attesa di vedere come questa tragicommedia del governo gialloverde andrà a finire. Tra dichiarazioni spaccone e atteggiamenti volitivi sia la Lega che i 5Stelle sono in surplace, aspettando il momento che ritengono ognuna più favorevole per rompere. Tra le due la prospettiva più drammatica la vivono i 5Stelle che non hanno altra prospettiva politica se non il governo, la Lega ha ancora la riserva del centro-destra; nessuna delle due, comunque, ha un’idea vera e culturalmente forte dell’Italia che vuole; a malapena sanno quella che non vogliono. Ma in negativo non si governa; in negativo non si produce politica alcuna.
Dobbiamo ancora una volta constatare come, quanto più la crisi si inacidisce, tanto più il problema di fondo di una democrazia mutilata da oltre un quarto di secolo sia sempre lì a urlare l’esigenza di progettare la politica se vogliamo ricostruire un sistema democratico conforme alla lettera e allo spirito repubblicano della Costituzione. Ciò non può avvenire se sovranismo, populismo, demagogia si consolidano e prendono campo essendo i tre fattori antipolitici e intrinsecamente antidemocratici. Occorrerebbero soggetti politici i quali, prima di cercare voti, si dotassero di idee capaci di generare dei pensieri compiuti che muovano strumenti – ossia dei partiti – propositori, mediatori e soggetti di un sano confronto/incontro democratico; rappresentanti identità e istanze sociali traguardate in un’ altrettanto compiuta idea dell’Italia. Sulla rabbia e i proclami si possono ottenere successi elettorali, ma il meccanismo che li genera è tale che il popolo prima plaudente può velocemente girare le spalle. Così, di sbandamento in sbandamento, aumenta la corrosione strutturale di quanto sta a fondamento della Repubblica e dei suoi principi fondamentali, comprese le norme non scritte che da essi civicamente si ricavano. La questione riguarda la responsabilità del civismo repubblicano, un qualcosa di cui sembra esserci solo un vago sbiadito ricord
giovedì 29 novembre 2018
Internazionale socialista: A global call for a sustainable world society
Socialist International
‘A global call for a sustainable world society –
before it’s too late’
Despite the efforts of the United Nations and many governments, international organizations and
civil society movements against climate change, recent data prove that if we don’t intensify our
action it will be too late.
The UN Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC), at its most recent meeting, stated that
there is only a dozen years for global warming to be kept to a maximum of 1.5C, beyond which even half a
degree will significantly worsen the risks of drought, floods, extreme heat and poverty for hundreds of
millions of people. Urgent and unprecedented changes are needed to reach the target, which is affordable
and feasible.
On the eve of the forthcoming COP24, which opens at the beginning of December, we, leaders of the
largest global progressive political family, the Socialist International, are launching an appeal to
increase multilateral cooperation on this crucial challenge for humankind, and to deploy more
intensive action at all levels.
The Socialist International has for years been active in identifying the multi-faceted dimension of the
fight against climate change. Through the work of its 'Commission for a Sustainable World Society'
the SI has also outlined needed policies, such as a global tax on CO2 (and other greenhouse gases).
We are committed and active in bringing about a revolution in thinking, policies and lifestyles, to
address these new challenges. Creating a new paradigm in how we act, how we produce, and how
we consume. This mind-shift requires the Sustainable Development Goals (SDGs) to become part of
our basic education curriculum, professional training and R&D, as well as our policy decisions.
It is crucial the SDGs be implemented if we are to fight poverty and illiteracy, secure peace, protect
human rights, manage population movements, and guarantee just, sustainable societies for
generations to come.
Key to the success of this sea-change is social justice, equality and a healthy, cohesive, participative
society which respects the dignity of all.
We deplore conservative and populist circles around the world who systematically undermine the
efforts to combat climate change. Their motives coincide with the powerful oil and gas industries
that vehemently lobby against any regulation that might undercut their profits while protecting the
environment. We call on all to oppose conscious efforts to distort scientific facts and minimize the
catastrophic risks of global warming.
2
The Sustainable Development Goals are a cornerstone for a wider Global Social Contract. A Social
Contract that can unite our planet’s governments and peoples at a time of heightened discord,
through common goals that promote responsible cooperation and regulation.
The social impacts of Climate change are associated with a great number of risks, amongst them,
financial risks which need to be assessed in future investment.
Social partners, civil society and citizens need to rise to the challenge of social responsibility,
integrating the efforts for low carbon societies into their daily lives.
We call on social partners and civil society to unite in our common efforts to implement the SDGs.
We are committed to be front runners in the fight for a more humane, sustainable planet!
30 November 2018
Signatories
(In alphabetical order)
H.E. Mahmoud Abbas President of Palestine, Chairman of Fatah
Hon. Samuel Ofosu Ampofo Chairman of the National Democratic Congress, NDC, Ghana
Araz Alizade Leader of the Social Democratic Party of Azerbaijan, SDPA
Isabel Allende Vice-President of the SI, Senator, Socialist Party, PS, Chile
Johnson Asiedu Nketiah Vice-President of the SI, National Democratic Congress, NDC, Ghana
Almazbek Atambaev Chairman of the Social Democratic Party of Kyrgyzstan, SDPK
Colette Avital Vice-President of the SI, Meretz, Israel
Luis Ayala Secretary General of the Socialist International
Omar Barboza President of the National Assembly, President of A New Era, UNT, Venezuela
Sükhbaatar Batbold Vice-President of the SI, former Prime Minister of Mongolia, Mongolian
People’s Party, MPP
Mustafa Barghouti Leader of the Palestinian National Initiative, PNI
Mohamed Bazoum President of the Party for Democracy and Socialism of Niger, PNDS-Tarayya
Mustafa Ben Jaafar Honorary President of the SI, Ettakatol, Tunisia
Victor Benoit President of the Social Democrat Assembly for the Progress of Haiti, Rasanbleman,
Vice-President of the SI
Davor Bernardić President of the Social Democratic Party, SDP, Croatia
3
Rubén Berríos President of the Puerto Rican Independence Party, PIP, Puerto Rico, Honorary
President of the SI
Jorge Bom Jesus President of the Movement for the Liberation of São Tomé and Príncipe/Social
Democratic Party, MLSTP/PSD
Yury Buzdugan Leader of the Social Democratic Party of Ukraine, SDPU
Cuauhtémoc Cárdenas Honorary President of the SI, Mexico
Carlos César President of the Socialist Party, PS, Portugal, Vice-President of the SI
Ousainou Darboe Leader of the United Democratic Party, UDP, Vice-President of The Gambia
Ahmed Ould Daddah President of the Assembly of Democratic Forces, RFD, Mauritania, Vice-
President of the SI
Sher Bahadur Deuba President of the Nepali Congress Party, former Prime Minister of Nepal
Elio Di Rupo President of the Socialist Party, PS, Belgium, Vice-President of the SI, former Prime
Minister
Ousmane Tanor Dieng First Secretary of the Socialist Party, PS, Senegal, Vice-President of the SI
Samuel Doria Medina President of the National Unity Party, Bolivia
Mohamed Hadj Djilani First Secretary of the Socialist Forces Front, FFS, Algeria
Colum Eastwood Leader of the Social Democratic and Labour Party, SDLP, Northern Ireland
Álvaro Elizalde President of the Socialist Party, PS, Chile
Turfan Erhürman Leader of the Republican Turkish Party, CTP, Cyprus
Andres Esono Ondo Secretary General of the Convergence for Social Democracy, CPDS, Equatorial
Guinea
Elsa Espinoza Vice-President of the SI, Institutional Revolutionary Party, PRI, Mexico
Khelil Ezzaouia President of ETTAKATOL, Tunisia
Olivier Faure First Secretary of the Socialist Party, PS, France
Robert Fico Leader of the Social Democracy Party, SMER, Former Prime Minister of Slovakia
Rafael Filizzola Leader of the Progressive Democratic Party, PDP, Paraguay
Mizuho Fukushima Vice-President of the SI, Social Democratic Party, SDP, Japan
Fofi Gennimata President of the Movement for Change, Greece
Gerardo Giovagnoli Secretary of the Party of Socialists and Democrats, PSD, San Marino
Pedro Miguel González Secretary General of the Democratic Revolutionary Party, PRD, Panama
4
Ouafa Hajji President of the Socialist International Women
Tarja Halonen Honorary President of the SI, Former President of Finland
Eero Heinäluoma Vice-President of the SI, Finnish Social Democratic Party, SDP, Finland
Janira Hopffer Almada Leader of the African Party for the Independence of Cape Verde, PAICV,
Vice-President of the SI
Brendan Howlin Leader of the Labour Party, Ireland
Pendukeni Iivula-Ithana Vice-President of the SI, SWAPO Party, Namibia
Bernal Jiménez Vice-President of the SI, National Liberation Party, PLN, Costa Rica
Walid Jumblatt Leader of the Progressive Socialist Party, PSP, Lebanon
H.E. Roch Marc Christian Kaboré President of Burkina Faso, Leader of the People’s Movement for
Progress, MPP
Chantal Kambiwa Vice-President of the SI, Social Democratic Front, SDF, Cameroon
H.E. Ibrahim Boubacar Keïta President of Mali
Ukhnaagiin Khürelsükh Prime Minister of Mongolia, Chairman of the Mongolian People’s Party,
MPP
Kemal Kılıçdaroğlu Leader of the Republican People’s Party, CHP, Turkey
Albin Kurti Leader of the Movement for Self-Determination, Vetëvendosje, Kosovo
Driss Lachguar First Secretary of the Socialist Union of Popular Forces, USFP Morocco
Ricardo Lagos Former President of Chile, former Special United Nations Envoy on Climate Change,
Chair of the SI Commission for a Sustainable World Society
Rasim Ljajić Leader of the Social Democratic Party of Serbia, SDPS
Pia Locatelli Vice-President of the SI, Italian Socialist Party, PSI, Italy
Pere López Leader of the Social Democratic Party, PS, Andorra
Carlos Lupi President of the Democratic Labour Party, PDT, Brazil, Vice-President of the SI
Ahmed Majdalani Leader of the Palestinian Popular Struggle Front, Palestine
Carlos Maldonado President of the Radical Party, PR, Chile
Hrant Markarian Chairman of the Armenian Revolutionary Federation, ARF, Armenia
Shazia Marri Vice-President of the SI, Pakistan People’s Party, PPP
Seiji Mataichi President of the Social Democratic Party, SDP, Japan
5
Julião Mateus Paulo Vice-President of the SI, MPLA, Angola
Mustafa Mauludi Secretary General of the Kurdistan Democratic Party of Iran
Attila Mesterhazy Vice-President of the SI, Hungarian Socialist Party, MSzP, Hungary
Rafael Michelini President of New Space, PNE, Uruguay, Vice-President of the SI
Heraldo Muñoz President of the Party for Democracy, PPD, Chile
Mario Nalpatian Vice-President of the SI, Armenian Revolutionary Federation, ARF, Armenia
Riccardo Nencini Secretary General of the Italian Socialist Party, PSI, Italy
Nermin Nikšić President of the Social Democratic Party, SDP, Bosnia and Herzegovina
Julia Ojiambo Leader of the Labour Party of Kenya
Cemal Özyiğit Leader of the Social Democracy Party, TDP, Cyprus
George Papandreou President of the Socialist International, former Prime Minister of Greece
Peter Phillips Leader of the People’s National Party, PNP, Jamaica
Vlad Plahotniuc Chairman of the Democratic Party of Moldova, Vice-President of the SI
Henry Ramos Secretary General of the Democratic Action Party, Venezuela, SI Vice-President
Antti Rinne Chairman of the Social Democratic Party, SDP, Finland
Jesús Rodríguez Vice-President of the SI, Radical Civic Union, UCR, Argentina
Pedro Sánchez President of the Spanish Government, Secretary General of the Spanish Socialist
Workers’ Party, PSOE, Spain, Vice-President of the SI
Tiémoko Sangaré President of African Party for Solidarity and Justice, Adema-PASJ, Mali
Nabeel Shaath Vice-President of the SI, Fatah, Palestine
Jan J. Sithole President of the Swazi Democratic Party, SWADEPA, Swaziland
Mikalai Statkevich Leader of the Belarusian Social Democratic Party (Narodnaya Hramada), BSDP,
Belarus
Sandra Torres Leader of the National Unity for Hope, UNE, Guatemala, Vice-President of the SI
Bokary Treta President of the Assembly for Mali, RPM, Vice-President of the SI
Zharmakhan Tuyakbay Chairman of the Nationwide Social Democratic Party, OSDP, Kazakhstan
Miguel Vargas President of the Dominican Revolutionary Party, PRD, Dominican Republic, Vice-
President of the SI
Faysal Ali Warabe Leader of the Justice and Welfare Party, Somaliland
6
Svetlina Yolcheva President of the Bulgarian Social Democrats, PBSD, Bulgaria
Bilawal Bhutto Zardari Chair of the People’s Pakistan Party, PPP
Martin Ziguélé President of the Movement for the Liberation of the Central African People, MPLC,
Central African Republic
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mercoledì 28 novembre 2018
martedì 27 novembre 2018
lunedì 26 novembre 2018
domenica 25 novembre 2018
sabato 24 novembre 2018
Franco Astengo: La deriva della democrazia liberale e rappresentativa
LA DERIVA DELLA DEMOCRAZIA LIBERALE E RAPPRESENTATIVA di Franco Astengo
… Domanda: Dentro al movimento c’è di tutto: quale sarebbe il denominatore comune?
Risposta: Vogliamo poter vivere decentemente con quello che guadagniamo. E invece lo stato fa estorsione attraverso le tasse.
Domanda: Chiedete meno tasse ma anche più servizi pubblici: non è una contraddizione?
Risposta: Basta tassare i più ricchi. Macron non ha aspettato un attimo per togliere la patrimoniale. Fa presto a tornare indietro
Domanda: C’è qualche partito politico che la convince?
Risposta: Ho votato scheda bianca alle ultime elezioni. L’ultimo uomo politico integerrimo è stato il generale De Gaulle.Il movimento dei gilet gialli è apolitico e sindacale
Più avanti, in conclusione:
“Lavoriamo alla costituzione di assemblee citoyennes (assemblee della società civile, n.d.r.) Abbiamo già creato un sito e dobbiamo capire come far funzionare questo nuovo strumento di democrazia.
Il botta e risposta sopra riportato è tratto da un’intervista rilasciata da Jacline Mouraud, la signora che con il suo video contro le accise sulla benzina, cliccato da oltre sei milioni di persone, è diventata uno dei simboli della protesta dei “gilet gialli” che sta scuotendo la Francia.
E come si diceva un tempo : “Quando brucia Parigi, brucia l’Europa”.
Un commento all’intervista elaborato attraverso i canoni consueti della politologia farebbe esclamare: “Grande è la confusione sotto il cielo”, senza aggiungere se la situazione possa essere giudicata più o meno eccellente.
In effetti troviamo di tutto: la richiesta di una redistribuzione del reddito con la tassazione delle ricchezze, la scheda bianca, il richiamo all’autoritarismo nella figura del generale De Gaulle, l’organizzazione della politica dal basso attraverso le “assemblee dei cittadini” e l’incertezza finale (aperto il sito) sugli sbocchi che questa situazione potrà assumere nel tempo.
C’è molto, in verità, di quello che fu l’effimero movimento dei Forconi in Italia ma al proposito è necessario considerare il fatto che ci troviamo in Francia, paese in cui la forza delle proteste di massa è sempre apparsa molto più duratura e “pesante” rispetto ad altri paesi, ma nel quale molto spesso alle proteste è seguita una “stretta” di tipo repressiva.
In questa rappresentazione del movimento dei “gilet”, si trova anche molto delle origini del M5S italiano. Movimento 5 stelle che ha però subito molto presto il corrompimento del potere, anche a causa di una crescita elettorale verificatasi in tempi rapidissimi al punto da far considerare la struttura del movimento, costruita appunto con i “clic” e i “like”, assolutamente porosa per infiltrati di varia natura come dimostra il caso di Corleone.
Dopo aver annotato come il movimento dei gilet francesi si stia estendendo in Belgio e in Germania (Germania dove sta montando il movimento estremista dell’AFD e che comunque rimane la patria del “partito dei pirati”) e tornando alla situazione francese non si può non notare la completa sparizione dalla scena dei partiti della sinistra tradizionale mentre “France Insoumise” si è posta in sintonia con la rivolta (mentre il partito della Le Pen ha cercato di infiltrarsi. Su questo la replica della Mouraud è stata secca: “Ognuno può partecipare a titolo individuale ma non accetteremo sigle di partito e ci stiamo organizzando per presentare un’alternativa politica nuova”).
In sostanza questa vicenda pare proprio essere una rappresentazione plastica della crisi verticale della democrazia liberale rappresentativa.
Che da tutto questo compaia materia di ampia e intensa riflessione (sempre usando linguaggio d’antan) sembra scontato.
La trasformazione della democrazia rappresentativa in “democrazia del pubblico” e in “democrazia recitativa” attraverso lo svilimento del ruolo dei partiti politici, l’affermazione dei partiti personali, l’avvento del web come luogo deputato all’orientamento e alla decisionalità (web come incubatore del neo – populismo) ha rappresentato i fenomeni attraverso i quali è passata questa vera e propria deriva.
La previsione sugli esiti di questa fase non può che essere incerta e lo vediamo in Italia: i rischi di involuzione autoritaria restano alti e lo dimostra l’attacco alla libertà di stampa con lo strangolamento prima di tutto dei piccoli giornali e il tentativo di accentramento nel Governo di scelte fondamentali nella comunicazione come quelle riguardanti la divulgazione scientifica a mezzo della televisione.
Dalla parte di quello che era stato definito “ceto medio riflessivo” cominciano ad apparire appelli alla “disobbedienza civile” ( lo fa oggi Zagrebelsky): quel “ceto medio riflessivo” che appare però travolto da un’inedita polarizzazione sociale con l’emergere di un esteso “polo escluso” (frantumato però al suo interno) che in Francia blocca il traffico e in Italia aspetta il reddito di cittadinanza.
Tutto questo avviene nel cuore dell’Europa mentre a livello globale emergono tendenze imperialiste , regimi rigidamente conservativi e programmi di riarmo atomico.
La politica sta mutando nella sua essenza rispetto ai canoni che hanno presieduto la fase successiva alla seconda guerra mondiale e alla spartizione di Yalta: ma sta mutando in maniera molto diversa dalla “fine della storia” che era stata pronosticata al momento della caduta del muro di Berlino.
Ed è con questa mutazione che bisogna fare i conti, esprimendo però la convinzione che con il ribellismo cui non offrire una strutturazione politica le cose si faranno sempre più difficili soprattutto per chi pensa ancora come rimangano da affrontare per intero le disuguaglianze economico – sociali.
Disuguaglianze in crescita impetuosa: particolare da non dimenticare.
giovedì 22 novembre 2018
Andrea Fumagalli: «Dietro la sfida sui numeri con Bruxelles un azzardo politico dei gialloverdi» - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
mercoledì 21 novembre 2018
martedì 20 novembre 2018
lunedì 19 novembre 2018
domenica 18 novembre 2018
Franco Astengo: Bipolarismo
NUOVO BIPOLARISMO di Franco Astengo
Prevedere quale meccanismo di riallineamento s’innesterà nel sistema politico italiano da qui alle elezioni europee, e in seguito in esito al risultato delle stesse, appare molto complicato, al limite dell’azzardo nella formulazione di una previsione politica.
Pur tuttavia va svolto un tentativo di delineare in questo senso uno scenario.
Lo scopo nel far questo è anche quello di stimolare una riflessione complessiva per non trovarci comunque totalmente impreparati al momento della determinazione di talune scelte politiche che pure si dovranno compiere.
Si notano, infatti, segnali ancora embrionali e del tutto sotto traccia di una modifica nelle relazioni tra i contraenti il patto di governo ben oltre la sceneggiata della “lite continua”.
Il collante della maggioranza è il potere e tutto questo bailamme è inscenato soprattutto dal M5S per avere visibilità e cercare di mantenere, allungando il filo delle promesse, la maggior parte possibile del proprio elettorato.
Torniamo al merito.
Fino a qualche tempo si poteva immaginare, nel corso della fase, l’apertura di uno scenario di confronto bipolare tra i due soggetti, Lega e M5S.
Confronto bipolare che avrebbe avuto nelle elezioni europee un sicuro momento di show down con una possibile modificazione dei rapporti di forza e una successiva ricontrattazione degli equilibri, oggi si scorgono elementi utili a far pensare possibile (se non ancora probabile) un rinsaldamento comunque dell’alleanza, magari anche attraverso l’innesto di nuovi partner.
L’esito della votazione al senato del cosiddetto “decreto Genova”potrebbe anche aver rappresentato una prova generale per questa nuova frontiera di maggioranza e di governo.
Si tratta di analizzare due elementi di grande importanza:
1) Proprio la natura dei nuovi innesti nella maggioranza e il determinarsi di una definizione negli equilibri politici nel M5S finirebbe con lo spostare nettamente a destra l’asse politico dell’ attuale maggioranza che risulterebbe rinforzata da FdI e da settori di Forza Italia come quelli facenti capo al Presidente della Regione Liguria, Toti.
2) In questo modo l’esito delle europee si modificherebbe di senso: non più la regolazione del conto nella contesa interna, ma l’affermazione complessiva di un’area di governo capace di puntare davvero al 60% dei votanti per porsi quindi in una condizione di effettiva egemonia. Del resto la stessa pregnanza dei temi europei avrà, nella valutazione dell’esito della scadenza elettorale della prossima primavera, anche un decisivo impatto sugli equilibri interni;
3) Questa situazione determinerebbe (tenuta ben conto della ferrea legge per la quale in politica non esistono vuoti) un’oggettiva richiesta bipolare. Nello spostamento secco a destra della maggioranza di governo naturalmente si tiene conto dello sfrangiamento della società afflitta da elementi d’impoverimento generale, sia sul piano economico sia sul terreno culturale. Inoltre si consoliderebbero relativa nuove oligarchie strettamente collegate proprio al nuovo blocco politico di governo.
4) La sinistra sarebbe così chiamata a riempire il vuoto creato con il recupero della dimensione bipolare. Una dimensione bipolare che però si sarebbe formata in maniera affatto diversa da quella che abbiamo vissuto a cavallo della fase di transizione tra il 1994 e il 2008. Non ci sarebbe, infatti, più spazio per il “bipolarismo temperato” e la ricostituzione del centro sinistra. L’inesistenza di una classe definibile di per sé come “borghese” (sull’argomento si è cimentato recentemente anche De Rita) spiazzerebbe definitivamente il PD indipendentemente dall’esito del congresso e vane le attese di rientro di qualcuno. La necessità vera, come stiamo reclamando di molto tempo, sarebbe quella della presenza di una spiccata e radicale espressione di sinistra. Tornerebbe il tema dell’alternativa in luogo dell’alternanza.
5) Nel sistema politico italiano si presenterebbe così in sostanza un bipolarismo “secco. Bipolarismo “secco” fondato sulla necessità di affrontamento della nuova qualità delle contraddizioni sociali tra materialiste e post – materialiste tali da reclamare un’alternativa e non un’alternanza. Andrebbero in gioco anche elementi fondamentali rispetto alla stessa essenza della democrazia. Uno spostamento a destra porterebbe ancora al centro della scena la modifica della Costituzione e il tema di una legge elettorale in grado di assicurare il “possesso” delle istituzioni alla maggioranza.
In questo momento (e da molto tempo) è però assente un soggetto fondamentale: quello di una sinistra capace di interpretare questa nuova possibile dimensione del bipolarismo.
All’ordine del giorno appaiono, invece, nuovi elementi di rottura e scissione trasversali rispetto a ciò che rimane di sinistra nel nostro sistema politico.
Tenuto conto dell’analisi fin qui svolta il tema è semplice e già sollevato da un sacco di tempo nell’insensibilità generale e nella prevalenza della cura di orticelli sempre più di dimensioni ridotte: quello del soggetto, del partito, in grado di funzionare da riferimento per l’alternativa necessaria.
Felice Besostri: Unione europea 2019, la vittoria dei lemming
Unione Europea maggio 2019: la vittoria dei lemming
I lemming sono piccoli roditori artici, il cui habitat è normalmente il bioma tundra, vivono dunque per la stragrandissima maggioranza al di fuori dei territori appartenenti all’Unione Europea, se si eccettua la piccola colonia groenlandese, grazie alle speciali relazioni con la Danimarca.
I lemming sono uno dei pochi vertebrati che può riprodursi così rapidamente da dare origine a fluttuazioni caotiche, anziché seguire una crescita uniforme verso il numero massimo di individui o ad oscillazioni regolari, hanno dato così origine alla credenza popolare che in caso di sovrappopolazione diano origine ad una migrazione collettiva, il cui esito finale, dopo una folle corsa, è un suicidio di massa. Si tratta di una leggenda, questa credenza popolare non ha nessun fondamento scientifico. I lemming migrano spesso in gruppi numerosi, e di conseguenza molti di loro periscono per cause accidentali oppure per la pressione degli altri individui che può causarne la caduta in corsi d'acqua, dirupi, scogliere e burroni. A causa della loro associazione con questo bizzarro comportamento, il suicidio dei lemming è una metafora assai usata per riferirsi a persone che seguono acriticamente l'opinione più diffusa, con conseguenze pericolose o addirittura fatali. I lemming europei sono di un tipo particolare divisi in due grandi tribù, gli europeisti responsabili e i populisti sovranisti, ma come lemming hanno un destino comune: correre verso le elezioni del 2019 in ordine compatto travolgendo tutto e tutti, in particolare i dissidenti. E’ scomparsa la tradizionale divisione destra-sinistra, liquidata come relitto ideologico del passato. Gli europeisti responsabili avevano una volta un collante, che risaliva ai padri fondatori dei primi embrioni di unità europea la CECA e la CEE, cristiano democratici e socialdemocratici , che si è riflesso nell’accordo di potere PPE- PSE: un accordo sempre più logorato dallo squilibrio dei rapporti di forza con i cristiano democratici, il gruppo parlamentare più numeroso, sempre più conservatori e sempre meno sociali. Dal canto suo il PSE, non sta meglio, pur conservando il primato di raggruppamento politico più votato, junior partner di una politica economica sempre più lontana da quella socialista democratica tradizionale, anche sul terreno dei diritti e della solidarietà internazionale. I due grandi partiti europei PPE e PSE non si sono mai trasformati in partiti sovranazionali, trasformazione possibile soltanto con un’UE federale, con un esecutivo, la Commissione europea responsabile verso il Parlamento europeo, a sua volta competente a tracciare l’indirizzo politico. Per avere partiti europei serve una legge elettorale europea uniforme, invece che 28 presto 27 leggi elettorali nazionali. Sono leggi sì con principi comuni, ma alcuni di essi, la soglia d’accesso per esempio o la suddivisione in circoscrizioni, facoltativi ( 14 stati non avevano soglia d’accesso), variabili ( soglie d’accesso del 1,8, 3 , 4 e 5 per cento) e, appunto nazionali: situazione al limite della tollerabilità con un Parlamento rappresentativo delle popolazioni degli Stati membri ( art. 190 TCE), ma incompatibile con un Parlamento europeo, che, dopo il Trattato di Lisbona, rappresenta direttamente i cittadini UE ( art. 10 TUE). Nell’UE attuale il potere è concentrato nei governi degli Stati nazionali, che formano la Commissione Europea e costituiscono il Consiglio europeo. Logico che comandino gli Stati più forti e i partiti, che ne esprimono Primi Ministri o i Presidenti, nelle forme di governo semi-presidenziali. I partiti eurooei sono confederazioni di partiti, che nulla hanno a che vedere con quelli prefigurati dai trattati europei , cioè formazioni politiche, che “a livello europeo contribuiscono a formare una coscienza politica europea e ad esprimere la volontà dei cittadini dell'Unione”( art. 10 par. 4 TUE e 12 CDFUE) e che hanno statuti determinati da regolamenti europei ex art. 224 TFUE, che ne stabiliscono anche il finanziamento milionario in Euro ex art 224 TFUE.
La realtà è altra, nel PPE stanno i catalani semiseparatisti della Unió Democràtica de Catalunya e gli spagnoli centralisti del Partido Popular. Sempre del PPE fanno pare la FIDESZ dell’ungherese Orban e la OeVP dell’austriaco Kurz, che sabotanllllllllllllllll-.
lo ogni possibile intesa sui migranti. La leadership del PPE sarà per la prima volta in un erede di Strauss il CSU Weber e non un esponente della tradizione europeista della CDU di Adenauer e Kohl. Il PSE non sta meglio, orfano dei laburisti di Corbyn sarà ancora più distanziato nel voto popolare, anche per le sconfitte elettorali disastrose dei socialisti francesi, olandesi e tedeschi e del PD italiano, ircocervo centrista, nelle loro ultime elezioni nazionali. I pochi partiti al potere nell’Europa orientale (Slovacchia, Bulgaria e Romania) sono impresentabili come modelli di buon governo e rispetto dei diritti umani. Gli spagnoli del PSOE e i portoghesi del PSP sono periferici e tenuti in sospetto per le loro aperture a sinistra. La
venerdì 16 novembre 2018
Franco Astengo: Ancora su Iri, industria e programmazione economica
ANCORA SU IRI, INDUSTRIA, PROGRAMMAZIONE ECONOMICA di Franco Astengo
L’inserto economico del “Corriere della Sera” ha ospitato, lunedì 12 novembre, un importante articolo di Riccardo Gallo dal titolo: “IRI, io ci sono stato, credetemi non si può rifare”.
L’autore è stato un protagonista della fase conclusiva del ciclo delle PPSS, prima come consigliere dell’Efim tra il 1985 e il 1990 e successivamente vicepresidente dell’IRI nel 1991: IRI trasformata in SPA l’anno successivo per l’avvio del piano di privatizzazioni.
Si è discusso molto in questi mesi d’intervento pubblico in economia e alcuni hanno proprio accennato alla ricostituzione di un soggetto tipo – IRI, all’interno del quale concentrare le risorse di un rinnovata iniziativa pubblica in grado di avviare una una ripresa di capacità industriale del Paese.
Rammentato il quadro generale nel quale ci stiamo muovendo caratterizzato dai vincoli europei, dall’enormità del debito pubblico e dalla presenza di un governo che da un lato si muove sul terreno dell’assistenzialismo (reddito di cittadinanza) e di una nuova ondata di privatizzazioni (cioè in pieno regime di confusione) è il caso di riprendere alcuni temi sollevati nell’articolo di Gallo e di sviluppare contemporaneamente alcuni punti di discussione.
Nell’articolo Gallo ricostruisce la storia dell’IRI nelle sue tre fasi: dal 1933 l’istituzione voluta dal fascismo (affidandone però le sorti a un manager socialista come Beneduce) per reazione alla grande crisi del ’29 e per salvare le banche nazionali; nell’immediato dopoguerra quando l’ente fu mantenuto in vita e non sciolto (com’era stato deciso anche all’ENI e al CONI,prima posti in liquidazione e poi ricostituiti) per realizzare le infrastrutture indispensabili per uscire dal disastro della guerra. Così l’IRI gestì autostrade, telecomunicazioni, mezzi di trasporto terrestri, aerei e navali, sistemi di difesa, materiali da costruzione (cemento, acciaio) e credito (banche).
Poi dagli anni’70 la fase dello “scambio politico”, attraverso l’acquisizione d’imprese private realizzate in funzione clientelare rispetto alla politica.
Negli anni’80 le compensazioni delle perdite avvennero a spese dei contribuenti (ricordate i BOT a 3 mesi?) con la relativa esplosione del debito pubblico e all’inizio degli anni’90, finiti i soldi dello Stato, dichiarati incostituzionali i prestiti, l’UE imposte di trasformare l’IRI in s.p.a.
Il governo a quel punto si vantò di aver privatizzato ma sostiene Gallo era tutta una finta.
Fin qui il Bignami ma l’articolo tocca un punto di grande interesse al riguardo del quale proprio oggi è necessario recuperare non soltanto una capacità riflessione ma anche di proposta e d’iniziativa politica.
La fase dello “scambio politico” infatti, si attuò in una condizione di totale assenza di un piano industriale per il Paese, mentre stavano verificandosi almeno quattro fenomeni concomitanti:
1) L’imporsi di uno squilibrio nel rapporto tra finanza ed economia verificatosi al di fuori di qualsiasi regola e sfuggendo a qualsiasi ipotesi di programmazione;
2) La perdita da parte dell’Italia dei settori nevralgici dal punto di vista della produzione industriale: siderurgia, chimica, elettromeccanica, elettronica. Quei settori dei quali a Genova si diceva con orgoglio “ produciamo cose che l’indomani non si trovano al supermercato”;
3) A fianco della crescita esponenziale del debito pubblico si collocava nel tempo il mancato aggancio dell’industria italiana ai processi più avanzati d’innovazione tecnologica. Anzi si sono persi settori nevralgici in quella dimensione dove pure, si pensi all’elettronica, ci si era collocati all’avanguardia. Determinante sotto quest’aspetto la defaillance progressiva dell’Università con la conseguente “fuga dei cervelli” a livello strategico. Un fattore questo della progressiva incapacità dell’Università italiana di fornire un contributo all’evoluzione tecnologica del Paese assolutamente decisivo per leggere correttamente la crisi;
4) Si segnalano infine due elementi tra loro intrecciati: la progressiva obsolescenza delle principali infrastrutture, in particolare le ferrovie ma anche autostrade e porti e un utilizzo del suolo avvenuto soltanto in funzione speculativa, in molti casi scambiando la deindustrializzazione con la speculazione edilizia e incidendo moltissimo sulla fragilità strutturale del territorio.
Sono questi riassunti in una dimensione molto schematica i punti che dovrebbero essere affrontati all’interno di quell’dea di riprogrammazione e intervento pubblico in economia completamente abbandonata dai tempi della “Milano da Bere” fino ad oggi.
Sarà soltanto misurandoci su di un’idea di progetto complessivo che si potrà tornare a parlare d’intervento e gestione pubblica dell’economia: obiettivo, però, che una sinistra rinnovata dovrebbe porre all’attenzione generale senza tema di apparire “controcorrente”. La stessa questione del “deficit spending” andrebbe affrontata in questa dimensione.
Nel quadro di una resa ai meccanismi perversi di quella che è stata definita “globalizzazione” e dei processi dirompenti di finanziarizzazione dell’economia, “scambio politico” e assenza di una visione industriale hanno pesato in maniera esiziale sulle prospettive di crescita dell’Italia.
Oggi ancora una volta ci si sta muovendo in direzione osticamente contraria, recuperando il “peggio” degli anni passati: dall’assistenzialismo, alla subordinazione delle scelte al clientelismo elettorale arrivato, proprio in occasione delle elezioni del 4 marzo 2018, a codificare su scala di massa il “voto di scambio”,come pure era già avvenuto su scala numericamente più modesta negli anni scorsi:ricordando “meno tasse per Totti” e il solito “milione di posti di lavoro”. Ma forse, da questo punto di vista, ci trovavamo ancor in una fase artigianale.
Oggi verrebbe da scrivere che siamo ben infilati dentro il tunnel.
giovedì 15 novembre 2018
mercoledì 14 novembre 2018
martedì 13 novembre 2018
Alessandro Pollio Salimbeni: Verso il manifesto per l'alternativa. Cambiare l'Italia
Verso il Manifesto per l’alternativa: Cambiare l’Italia
L’Italia sta correndo un serio rischio di collasso
a. finanziario, perché non si riesce ad invertire il ciclo né la manovra ancorché in deficit ha il volume e l’orientamento politico-sociale per farlo;
b. materiale, con la crisi acuta tra infrastrutture ed eventi naturali;
c. civile, per le dosi crescenti di intolleranza e di violenza nella politica e nei comportamenti.
La miscela di queste tre componenti può diventare incontrollabile e la continua “ricerca del nemico” peggiora le condizioni descritte. E allora bisogna dire la verità su tali condizioni, disegnare discontinuità forti in termini non tanto di indignazione quanto di nuovo profilo di politiche pubbliche, costruire intorno a questi nuovi profili uno o più soggetti politici che si facciano carico del cambiamento del Paese. Certamente questo riguarda la sinistra ma altrettanto certamente riguarda anche settori culturalmente e politicamente moderati e di sicuro orientamento democratico. Il richiamo alla Costituzione antifascista nata dalla Resistenza assume in questo contesto il valore di continuità democratica e di ispirazione per valori ed obiettivi di coesione nazionale, equità, giustizia sociale, sostenibilità.
E’ un processo lungo, a quanto appare, mentre le urgenze e i rischi sono a breve ma è bene non farsi illusioni di scorciatoie. Ecco perché occorre iniziare adesso, per aggregazioni progressive e non con logiche di cartello tanto più se elettorale: i cartelli sono infatti una nuova forma sotto la quale si presentano forze politiche che portano su di sé il peso (proporzionale alle dimensioni di ciascuna) delle responsabilità della situazione attuale e dunque fanno parte del problema e non della soluzione, non per un destino cinico e cattivo ma perché, come è sotto gli occhi di tutti, non propongono un punto di vista nuovo come nuovi sono i paradigmi con i quali misurarsi.
Su questo punto poggiano il consenso ed il successo di M5S e della Lega, a cui nessuno rimprovera nemmeno più essere stata corresponsabile di almeno dieci degli ultimi venti anni di governi e maggioranze parlamentari. Le risposte non possono essere nella continuità sostanziale degli ultimi anni, e ciò vale per chi ha governato quanto per chi si è opposto senza esiti, nemmeno elettorali.
Concentrare l’attenzione solo su alcune condizioni preliminari, cioè le vere urgenze del Paese, significa limitarsi ad indicare alcuni punti di carattere fondativo, che indichino senza equivoci la direzione di marcia e del senso generale della impronta da dare all’opera di cambiamento del Paese. Appunto, una Alternativa che prima è di punto di vista, di analisi e poi di proposta. Ne devono risultare senza quasi necessità di ulteriori spiegazioni e motivazioni il carattere di equità, giustizia sociale e redistributiva, di rispetto delle regole e di proiezione verso il futuro che la collettività nazionale sceglie di darsi in questo difficile passaggio d’epoca, in cui si ridefiniscono i paradigmi di fondo.
E allora, in primo luogo, si propone la reintroduzione dell’IMU, anche per la prima casa, la riforma del catasto, e la reintroduzione dell’imposta di successione. Un fisco improntato a stabilità, equità, progressività e basato essenzialmente sul patrimonio e non sui consumi è l’unica garanzia di sostegno al risparmio delle famiglie, alle possibilità di avanzamento sociale, di stabilità delle condizioni economiche e finanziarie, di equità nella considerazione di costi e benefici di tutte le politiche pubbliche. La reintroduzione delle due imposte principali, oltre ai fattori di equità, metterebbe a disposizione la base sia per la semplificazione del bosco di provvedimenti accumulati negli anni sia per costruire un nuovo sistema complessivamente più giusto ed efficiente. E il risultato finale può davvero diventare quello del fisco amico – perché lo è nei risultati – e del fisco più leggero – perché solo così pagano tutti.
Una seconda condizione preliminare è un fortissimo intervento per la parità tra uomo e donna nei livelli retributivi e con un programma straordinario di sostegno al lavoro femminile.
La terza condizione preliminare è la ripresa delle politiche di sostegno alla innovazione tecnologica e al digitale, sviluppando il programma Industria 4.0, piani regolatori delle reti e delle piattaforme digitali (come chiesto dai grandi soggetti sindacali italiani) e sostenendo le politiche della proprietà pubblica dei dati sull’esempio di Barcellona.
La quarta condizione preliminare riguarda alcuni primi interventi nel settore della giustizia: reintroduzione del reato di falso in bilancio, come punto di partenza di una operazione di revisione delle norme in materia economica con particolare riferimento al rapporto tra economia, amministrazione (e relativi codici e procedure), impugnazione e competenze per LLPP e contratti, ecc.; abolizione della legge Bossi –Fini e superamento della legge Giovanardi.
Numerose altre proposte, che hanno medesimo orientamento sociale ed economico, possono essere sostenute e il programma che segue ne indica un certo numero: ma queste sono condizioni preliminari nel campo finanziario, economico, sociale e della grande innovazione di sistema. La forza o le forze che intendono proporle hanno, secondo noi, il dovere morale di chiedere si proceda ad elezioni politiche da svolgere con sistema tendenzialmente proporzionale per esplicitare il mandato di cui hanno bisogno, con alternative chiare e semplici perché gli elettori possano scegliere in piena consapevolezza. Proporzionale perché, come agli inizi dell’epoca storica della democrazia, la rappresentanza e la sua legittimazione sono di nuovo in primo piano, sono in crisi da tempo e vanno ricostruite.
Per quanto riguarda le altre proposte, se ne presentano le linee fondamentali di scorrimento.
1. collocare l’Italia in Europa e nel mondo
Definire l’arco dell’interesse geopolitico e geostrategico nazionale è una questione politica essenziale.
Sviluppo dei processi di integrazione nella Unione Europea: l’interesse dell’Italia è chiaro e consiste nel fatto che solo grandi soggetti politico-economici possono tornare a dare stabilità internazionale, sviluppando politiche economiche e sociali orientati all’equità e azioni per il ristabilimento di condizioni di equilibrio ambientale. Le condizioni produttive e sociali in grado di portare verso questi obiettivi non sono più nelle mani degli storici soggetti statuali occidentali e i volumi di risorse (di ogni tipo) necessari – da un lato – e la forza di nuovi soggetti planetari (attuali come la Cina e potenziali come l’Africa) richiedono uno straordinario cambiamento. Per l’Italia (ma vale anche per gli altri Paesi della UE, come indicano tutti i risultati elettorali) occorre indicare con chiarezza quali sono i vantaggi concreti, per la vita di tutti i giorni, che l’integrazione europea può portare. Integrazione a mezzo di cooperazione rafforzata.
Ciò implica affrontare con modi tempi e strumenti adeguati i nodi politici e strategici di fondo: assetti geostrategici, poteri e caratteri delle istituzioni europee, politica estera e militare, rilanciare la iniziativa per lo Spazio economico del Mediterraneo che sarebbe la “gamba” europea del “Piano Marshall” (meglio non chiamarlo così!) per l’Africa e potrebbe aiutare a stabilizzare il bacino (al di là delle giaculatorie sulle primavere arabe) perfino con effetti sulla Palestina e certamente darebbe un ruolo innovatore alle aree del nostro Sud. Riprendere la questione dei settori da portare progressivamente a cooperazione rafforzata per riequilibrare il processo di ampliamento esagerato, certamente in riferimento alla integrazione fiscale e sociale su un versante e su quelli militare e della politica estera dall’altro. A questo proposito, vale un esempio della storia: siamo come circa 200 anni fa, quando si esaurì l’idea che il Congresso di Vienna avrebbe sistemato gli equilibri in Europa per sempre. I protagonisti dell’epoca pensavano questo e invece stavano maturando il ’48 e, come si disse, la primavera dei popoli, tra cui quello italiano. Insomma, allora – esattamente come oggi – stava già cambiando il paradigma per tutti: oggi c’è bisogno di cambiare radicalmente i punti di vista e i parametri dei giudizi, nessuno dei protagonisti è più quello di prima, anche se deve rimanere fermo il primo degli obiettivi, la progressiva riduzione degli armamenti tattici e strategici.
2. reagire alla polarizzazione combinata con la frammentazione economica, sociale e di istruzione/formazione (linea dell’equità e della uguaglianza): politiche fiscali basate sulla progressività, rilancio qualificato della sanità e della scuola pubblica, reddito minimo (paga oraria minima? redditi di inserimento? Contributi figurativi ai fini pensionistici per i periodi di accertata disoccupazione involontaria), politiche attive del lavoro, politiche per le donne [antidiscriminatorie (contro il sessismo in ogni suo aspetto, consultori e obiettori IVG), promozionali (carriere, riconoscimento lavoro di cura, potenziamento servizi infanzia e famiglia in generale)].
3. verso un più equilibrato e sostenibile modello di sviluppo: economia della conoscenza, economia circolare, innovazione digitalizzazione e sburocratizzazione (riforma della PA), riforma della giustizia civile e amministrativa; perno sulle quattro filiere che ci fanno grandi nel mondo: made in Italy, enogastronomia, macchinari, turismo (linea dello sviluppo) – e sulle filiere per rifare l’Italia: piano di opere di manutenzione del territorio, investimenti qualificati per infrastrutture (compresa clausola di supremazia), diritto all’abitare, rigenerazione urbana.
Articolazioni possibili:
a. Investimenti e fondi europei: va ripreso il lavoro impostato da Fabrizio Barca; come usare l’incremento necessario degli investimenti pubblici come leva per incrementare quelli privati; quali strutture tecniche e di progettazione/pianificazione diventano necessarie;
b. agenzie del lavoro e di sostegno all’impiego, forme di integrazione temporanea del reddito e strumenti per l’integrazione pensionistica per i periodi di disoccupazione involontaria;
c. cambiamento e innovazione della PA (sia per asciugare i serbatoi di precariato permanente e di lunghissimo periodo sia però impegnando il sistema a ringiovanire e specializzare in competenze non tradizionali la PA;
d. superamento delle barriere all’accesso alla salute: diagnostica e strumentistica (tempi e costi), dimensionamento e qualità delle strutture, territorializzazione;
e. istruzione e formazione (a cosa serve la scuola, a formare cittadini e dare loro competenze professionali oppure solo offrire à la carte personale variamente qualificato per un sistema produttivo in corso di sconvolgimento? Gli insegnanti vanno dove ci sono gli studenti o viceversa? La valutazione: continuiamo a far finta che siano tutti bravi? E a quando un piano vero e moderno di diritto allo studio per attuare la lungimirante disposizione della Cost? Un giudizio - da cui ricavare le linee di azione – sulle riforme affastellate senza disegno strategico di ricomposizione e coerenza, come nel caso della alternanza scuola-lavoro);
f. lavoro giovanile: in realtà le risposte vere e di lungo periodo sono nel rilancio complessivo di una economia che torni a produrre e non a distruggere ricchezza. Poi ci possono essere misure specifiche di sostegno, quali tagli sostanziosi e strutturali al cuneo fiscale. Sarebbe molto utile la istituzione del servizio civile (capisco l’impopolarità ma può produrre effetti positivi su molti piani diversi e convergenti nelle politiche per la cittadinanza) riconosciuto a tutti gli effetti giuridici, economici e di carriera.
g. Rivedere le politiche pensionistiche nel senso di aumentarne la flessibilità a valle della distinzione tra previdenza e assistenza, anche attraverso separazioni funzionali;
h. Politiche della ricerca;
i. Il territorio come risorsa complessiva: le città e il consumo di suolo, le acque, i rifiuti, la salvaguardia e la ricostruzione, la prevenzione dei disastri (sismicità, vulcani, ecc.). Valorizzare le esperienze di gestione pubblica dei servizi come fattore di sviluppo non solo locale, superando il tradizionale schema di giudizio di tipo giuridico-amministrativo. In generale, gestione pubblica ove possibile e motivata dai risultati: basta con le campagne superficialmente “nazionali” che sono state solo enormi costi per le finanze pubbliche senza risultati, come nel caso dell’Alitalia;
j. Revisione radicale del fiume di contributi a imprese, comprese start up e simili, perché manca qualsiasi riscontro sulla effettiva portata di questi interventi. Invece servono strumenti di finanziamento relativamente “piccoli”, erogati dalle banche o dai PIR (da valutare con attenzione e interesse perché raccolgono molto risparmio e si tratta di vedere come verranno gestiti in uscita – in ogni caso sarebbe bene cancellare la possibilità che i PIR finanzino imprese immobiliari): il punto delicato è l’equilibrio tra livelli “bassi” di garanzie da chiedere e non tanto il rispetto dei requisiti delle varie Basilea quanto la necessità di non aprire voragini di crediti di sicuro incaglio. Del resto, il sostegno va dato in qualità di capitale di rischio, perché questo è il tema assente;
k. il tema del Meridione deve correre lungo tutti i temi, verificando bene se, dove e come sia necessaria una sottolineatura ovvero una specifica declinazione. In generale, uscire dalla logica degli interventi speciali in economia: il tema è molto più in termini di fallimento dei gruppi dirigenti (politici e non solo), delle soluzioni amministrative e di governo (in particolare delle Regioni), della presenza e della autorevolezza delle istituzioni (perfino qualcosa di più della questione crucialissima della legalità. Forse un tratto specifico è quello delle condizioni urbane. Nell’insieme, o c’è una serie di politiche nazionali entro le quali si iscrive anche l’area Sud (ma vedi anche il tema dello Spazio Mediterraneo) oppure si replicheranno le (critiche) esperienze precedenti.
4. Rispetto delle regole, rinnovare meccanismi e apparati decisionali (ed anche le tecnostrutture per gli apparati analitici, di indagine conoscitiva e di controllo ex post) comprese le procedure partecipative (linea della democrazia).
Non può venire mai meno l’impegno contro le grandi organizzazioni criminali, tanto più a fronte di evidenti cambiamenti delle strategie, oggi orientate al diretto inserimento nei circuiti legali dell’economia locale e nazionale, pur dovendo rimanere alta la vigilanza, come oggi non è, verso forme inferiori e antiche nella intermediazione della manodopera (caporalato).
Particolare urgenza assume la necessità di rivedere tutta la normativa in materia di diritto dell’economia, in particolare la disciplina delle OOPP, la contrattualistica pubblica, il rapporto tra giurisdizione amministrativa e quella ordinaria. Così come vanno riviste le norme che hanno effetto diretto ed indiretto su fattori di competitività, dalle troppo diverse velocitò cui il Paese si muove, alle numerose strozzature infrastrutturali.
Dopo il referendum del 2016, silenzio generale preoccupante. Alcuni punti essenziali possono essere
a. Bicameralismo differenziato: camera politica (che dà la fiducia, per capirsi) e camera delle regioni, con distinzione delle funzioni e modo di costituzione sul modello tedesco (rinvio per comodità); è una necessità indotta dal fatto che la sua centralità nel sistema è in gran parte presunta, essendo in parte non piccola svuotata dal trasferimento a livello europeo e regionale di parte della competenza esclusiva di tipo legislativo, da cattive prassi i cui fondamenti oggettivi non sembrano destinati a venire meno (maggioranze meno ampie e coese di un tempo), da leggi finanziarie sostanzialmente vincolate;
b. Riduzione del numero dei parlamentari da 630 a 400/450 e costituzione di agenzie di ricerca e supporto;
c. Sfiducia costruttiva e poteri del presidente del consiglio;
d. Legge elettorale: sistema tedesco in tutti i suoi punti fondamentali, perché è quello che ha dato migliore prova, è del tutto compatibile con la nostra storia istituzionale e culturale, tiene in equilibrio rappresentanza e decisione; rivedere nel suo insieme la legge per il voto degli italiani all’estero, in connessione con le leggi sulla cittadinanza; divieto di liste personali o personalizzate;
e. Obbligo e tempi certi di esame delle leggi di iniziativa popolare (senza cambiare il numero di firme richieste);
f. Legge sulle procedure di discussione pubblica (alcune regioni hanno buone leggi ma non so se buone esperienze);
g. No all’ampliamento degli argomenti sottoponibili a referendum, no ai referendum di indirizzo;
h. Legge ordinamentale sui partiti e sindacati;
i. Revisione dell’assetto delle grandi agenzie tecniche nazionali, disgregate da anni con le regionalizzazioni (qualcuno ne ha mai fatto un bilancio?);
j. Nessun ricorso né a primarie né ad elezioni dirette perché le une e le altre fanno parte del problema (verticalità, verticismo, populismo, iperdelega) e non della soluzione.
5. sostenere l’integrazione lavorativa e sociale degli immigrati (linea della solidarietà e della integrazione): interventi legislativi (Dublino, ius soli); interventi operativi (traffico nel Mediterraneo, campi UNHCR in Libia e negli altri snodi sub sahariani; politiche di accoglienza (salute, lingua) e di integrazione (lavoro, abitazione). Attuazione direttiva europea sul voto agli immigrati (salvo requisiti). Sono state sovrapposte senza residui accoglienza e integrazione che invece sono azioni del tutto distinte (materialmente ed eticamente): la prima tendenzialmente non ha limite perché si misura con situazioni di emergenza vitale [ma forse qui c’è una linea di distinzione che va pensata e verificata: il controllo (per quanto possibile) degli arrivi serve anche a distinguere le emergenze vere da quelle create (per lucro e malavita)], la seconda ha limiti oggettivi e misurabili (es. ampiezza e caratteristiche del mercato del lavoro).
lunedì 12 novembre 2018
domenica 11 novembre 2018
Intervista con De Magistris
IntervistaDe Magistris
"La mia lista alle europee per dare voce all’opposizione sociale"
MATTEO PUCCIARELLI
«L’opposizione sociale al governo gialloverde c’è, trasformiamola in un’opposizione politica», spiega Luigi de Magistris. Il sindaco di Napoli lancia un appello pubblico che dà appuntamento il 1° dicembre a Roma: sullo sfondo c’è il tentativo di varare una "coalizione civica" per le prossime europee, a cui parteciperebbero – da una posizione defilata, si dice Sinistra Italiana, Prc, Verdi. De Magistris non fa nomi ma tra gli "amici" del progetto ci sono Erri De Luca, Michela Murgia, Ilaria Cucchi, Mimmo Lucano, Cecilia Strada. E dagli Usa è pronto ad intervenire in collegamento anche Bernie Sanders, il leader socialista della sinistra americana.
È pronto al salto nazionale?
«Beh, se sei il sindaco di Napoli rappresenti già un punto di riferimento; semmai, dopo un’esperienza così importante e lunga, abbiamo deciso di provare a costruire con chi ci sta un campo largo, un fronte democratico e popolare, che possa unire tutte quelle esperienze che da anni lottano per diritti, beni comuni, contro le mafie, per lo sviluppo sostenibile, contro le privatizzazioni e l’austerità».
Nel suo appello la parola "sinistra" non compare mai, è un caso?
«Il punto è che per molti anni troppi hanno utilizzato la locuzione senza poi tradurla politicamente. Io invece senza dire "sinistra" credo di averla fatta nella mia città: rottura di sistema e affidabilità di governo».
A chi si rivolge? Agli elettori della sinistra radicale? A quelli che si sentono traditi dal M5S?
«Escluse alcune categorie, cioè fascisti, razzisti, corrotti, mafiosi e ladri, noi parliamo a tutti, partendo dal presupposto che il nemico non può essere un altro essere umano. Vogliamo un’Italia costruita non sul rancore ma sulla solidarietà».
Questo governo sembra avere un consenso popolare ancora molto forte. Lo spazio c’è?
«Manca un’opposizione parlamentare, ma ne esiste una sociale. Serve dare voce a quella.
C’è una prateria politica davanti».
Il suo "fronte" parla al Pd?
«Non ho nulla contro i partiti, ma non sono direttamente coinvolti.
Penso ci siano esponenti di primo piano e militanti del Pd che avrebbero voglia di entusiasmarsi di nuovo per qualcosa. Oggi a me il Pd pare tutto impegnato in una guerra tra gruppi dirigenti, lontano da ciò di cui ci sarebbe davvero bisogno».
Non teme di rifare l’ennesima "Sinistra Arcobaleno"?
«Questo è il più grande rischio e perciò non parliamo di una aggregazione ma di una esperienza di base, dai territori, per passare dalla resistenza al contrattacco. Basta con questo votare il meno peggio o per cacciare qualcuno, investiamo su chi si porta dietro storie credibili».
In vista delle europee, a che esperienze continentali si rifà?
«Mi ha sempre colpito Podemos ma anche l’esperienza della sindaca di Barcellona Ada Colau».
Una leadership come la sua non è troppo legata al Sud?
«Quando mi candidai come indipendente all’Europarlamento presi più preferenze al Nord che al Sud. Comunque, se il nostro progetto andrà in porto, saremo in tanti. Le nostre sono battaglie con eguale forza in Calabria come nel Veneto, valorizzare autonomie e differenze è un messaggio forte».
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Abbiamo davanti una prateria politica che è quella di chi non vuole un’Italia costruita sul rancore
IL FATTO di Quotidiano | 7 novembre 2018
Una nuova forza politica, “un fronte democratico popolare”. É quello a cui pensa il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, leader del movimento Dema e in procinto di lanciare l’ultimo progetto di sinistra con un appello “rivolto alla società civile, al mondo dei movimenti, delle associazioni”. De Magistris ha affidato a una nota i dettagli dell’idea: “È giunta l’ora della costruzione di un fronte popolare democratico, senza confini politici predeterminati, senza recinti tradizionali. Non è un quarto polo, non si deve ricostruire il collage delle fotografie già viste e sconfitte. É il luogo in cui l’ingresso è vietato solo a mafiosi, corrotti, corruttori, fascisti e razzisti”. Il sindaco ha evidenziato come “la nuova coalizione non sarà la sommatoria delle esperienze della vecchia sinistra”, ma sarà aperta a un campo molto più ampio: “Organizzazioni di base, associazioni, comitati, movimenti, militanti politici, sindaci, amministratori, eletti dal popolo che provano ogni giorno, pagando anche sulla propria pelle il prezzo di ogni forma di violenza”. Il progetto sarà presentato il 1 dicembre al Teatro Italia di Roma, appuntamento in cui De Magistris scioglierà il nodo su una sua candidatura alle elezioni europee di maggio.
IL MANIFESTO
«Il primo dicembre vi saprò dire se mi candiderò in prima persona alle europee, ma è certo che non lascerò il ruolo di sindaco di Napoli»: Luigi de Magistris ieri è tornato sul percorso che il suo movimento, Dema, sta seguendo non solo in vista delle prossime scadenze elettorali (dopo Bruxelles ci saranno le regionali in Campania nel 2020) ma anche sul piano nazionale. Per capire come si muoveranno sindaco e movimento bisognerà sciogliere molti nodi, l’appuntamento è a Roma al Teatro Italia.
Il tentativo di costruire «un fronte democratico e popolare» va avanti da molti mesi. Tra gli interlocutori ci sono Nicola Fratoianni con Sinistra italiana, Maurizio Acerbo per Rifondazione comunista e Diem 25. «La porta è aperta a tutti quelli che stanno difendendo i diritti degli italiani e di chi ha scelto di abitare qui – ha proseguito -, che stanno lottando contro un sistema violento dal punto di vista finanziario e istituzionale, a chi non si rassegna all’annichilimento dei diritti». Per poi specificare: «Non pensiamo ai collage né a un quarto polo della sinistra. Vogliamo lottare non solo per difendere la Costituzione ma per attuarla. Vogliamo dimostrare che il laboratorio Napoli può essere un punto di riferimento per l’Italia e l’Europa».
A ottobre de Magistris aveva lanciato l’idea di candidare il sindaco sospeso di Riace, Mimmo Lucano, alle europee. Per adesso Lucano sembra concentrato nel tenere vivo il suo progetto di accoglienza diffusa, nonostante l’ostilità del governo verdegiallo. C’è poi molta attenzione all’ala sinistra dei 5S che si riconosce nel presidente della Camera, Roberto Fico. Ma una fuga dal Movimento, nonostante i tanti mal di pancia, non sembra all’orizzonte. Restano, invece, le difficoltà a tenere il consiglio comunale di Napoli: le ultime tre sessioni sono saltate per mancanza del numero legale. Tante le tensioni innescate dal recente rimpasto di giunta ma anche dalle difficoltà economiche dovute ai debiti delle passate gestioni e al predissesto. Proprio dai 5S al governo de Magistris attende le norme per mettere in sicurezza i conti del comune partenopeo e dei tanti municipi in Italia con l’acqua alla gola.
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sabato 10 novembre 2018
giovedì 8 novembre 2018
Franco Astengo: Numeri dagli USA
NUMERI DAGLI USA 2018 di Franco Astengo
Il lavoro contenuto in questo testo espone schematicamente (tutti i dati sono comunque disponibili a verifica) alcune osservazioni riguardanti le elezioni di midterm svoltesi negli USA il 6 novembre scorso.
E’ evidente che il dato politico più rilevante sia stato rappresentato dal passaggio della maggioranza della Camera dei Rappresentanti dal Partito Repubblicano a quello Democratico e su questo punto si sono concentrate le attenzioni della maggior parte degli osservatori.
Risulta importante, però, analizzare i dati anche in proiezione delle presidenziali 2020, tra due anni, quindi un tempo non lunghissimo quello che rimane da trascorrere in attesa di un nuovo responso dalle urne.
Allo scopo di eseguire questa operazione di analisi del voto sono stati allora presi in considerazione i numeri in cifra assoluta e non in percentuale riguardanti i 36 stati nei quali si è proceduto al rinnovo della carica di Governatore. Si tratta, infatti, di dati disponibili nell’immediato e di facile lettura.
Si ritiene infatti che il tipo di elezione e la dimensione territoriale di riferimento, quella dello Stato, rappresentino al meglio la stessa dinamica dell’elezione presidenziale: preponderante bipartitismo pur in presenza di qualche candidato aggiuntivo e confine geografico del voto all’interno dello Stato.
Condizioni come abbiamo avuto occasione di verificare nel novembre 2016 assolutamente decisive, stante il sistema elettorale in vigore per l’elezione presidenziale, all’esito della quale non concorre la maggioranza del voto popolare su tutto il territorio della Nazione bensì la maggioranza acquisita attraverso i delegati dei diversi Stati.
Gli stati interessati all’elezione della carica di Governatore, in questa tornata, erano 36 su 50: in 20 di questi è prevalso il Partito Repubblicano , lo stesso numero di Stati nei quali aveva prevalso Trump nel 2016
Diverso sarebbe stato il discorso se si fossero esaminati i dati prendendo a riferimento le precedenti elezioni dei diversi Governatori.
L’esito delle elezioni del novembre 2018 dimostra come nella sostanza non sia mutata più di tanto la geografia del voto in vista delle elezioni presidenziali. Si conferma il colore rosso (quello del GOP) nell’area centrale del Paese, quella che risultò decisiva per il successo di Trump.
Il voto popolare invece si è, in una qualche misura, “spalmato” a favore dei repubblicani che nel computo finale hanno ridotto il distacco che a novembre 2016 si era determinato nei riguardi dei democratici affermatisi – appunto –nel voto popolare ma perdenti nell’elezione dei delegati alla Convenzione.
Addentriamoci allora nei meandri dei numeri.
Prima di tutto va segnalato che non si è verificato il presunto boom nella partecipazione al voto.
Nel novembre 2016 nei 36 stati presi in considerazione erano stati deposti nelle urne 106.452.641 voti, ridotti nel novembre 2018 a 84.204.287, quindi con una flessione di 22.248.354 voti. Evidentemente come da tradizione le elezioni governatorali attraggono meno elettrici ed elettori di quelle presidenziali.
Il Partito Democratico ha conservato la maggioranza del voto popolare con 41.558.159 voti rispetto ai 52.539.756 voti convenuti nel 2016 sul nome di Hillary Roadman Clinton. Il partito democratico quindi flette di 10.981.597 suffragi.
La diminuita partecipazione al voto ha fatto arretrare anche il Partito Repubblicano che scende da 48.046.227 (Trump 2016) a 40.652.420 voti: meno 7.393.807.
I voti assegnati ai cosiddetti “altri” scendono da 5.866.658 (2016) a 1.993.708 (2018) con una flessione di 3.972.950 suffragi.
In percentuale sul totale dei voti validi il Partito Democratico rimane stabile al 49,35%, il Partito Repubblicano sale dal 45,13% al 48,27% mentre gli “altri” scendono dal 5,52% al 2,38%.
Un commento assolutamente sintetico può indicare come, se si fosse pensato con il voto di midterm di minare le basi per una riconferma di Trump, questo risultato non è stato raggiunto.
Siamo di fronte ad un esito del voto fortemente contrastato che conferma la spaccatura verticale della società americana soprattutto vista sotto l’aspetto dell’espressione di valori fondativi:una situazione del tutto inedita per quel che riguarda i tempi più recenti,
Quello del novembre 2018 può essere considerato infatti una sorta di voto d’attesa, senza che si siano dimostrati slanci particolari: il GOP può aver perso in alcune situazione di vantaggio come dimostra il voto alla Camera dei Rappresentanti ma si è probabilmente rafforzato in situazione di sofferenza, attraverso appunto la già citata “spalmatura” del voto che ne ha dimostrato una certa capacità di uscire da un “recinto” pre determinato.
Infine l’elenco degli stati interessati per questa rilevazione suddivisi tra quelli a maggioranza democratica e quelli a maggioranza repubblicana.
Democratici: California, Colorado, Connecticut, Hawaii, Illinois, Kansas, Maine, Michigan, Minnesota, Nevada, New York, Nuovo Messico, Oregon, Pennsylvania, Rhode Island,. Wisconsin
Repubblicani: Alabama, Alaska, Arizona, Arkansas, South Carolina, South Dakota, Florida, Georgia, Idaho, Iowa, Maryland, Massachusetts, Nebraska, New Hampshire, Ohio, Oklahoma, Tennessee, Texas, Vermont, Wyoming
mercoledì 7 novembre 2018
Paolo Bagnoli: Sovranismo, trumpismo e antisemitismo
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la biscondola
sovranismo trumpiano
e antisemitismo
paolo bagnoli
da Nonmollare
Ci domandiamo se ci volevano gli ebrei uccisi a Pittsburgh per scoprire che in America la destra radicale nazista, razzista, antisemita è una realtà assai diffusa e drammaticamente attiva. Nel Paese delle libertà per antonomasia il tasso di odio verso gli ebrei è molto alto; con Pittsburgh si viene a sapere che suoi esponenti sono stati tranquillamente candidati nelle file repubblicane alle elezioni di metà mandato. Tutti costoro, naturalmente, sono tifosi di Donald Trump. Non crediamo che il Presidente americano sia personalmente antisemita, certo che quando inneggia all’America first non pensa sicuramente agli americani neri o ebrei o spanish; il suprematismo che predica è quello dell’ America bianca e reazionaria. I suoi messaggi muscolari, la fissazione di avere una nazione pluriarmata e sovranista – solo all’interno - sdoganano l’immissione del fattore violenza nel confronto civile e politico; a rendere naturale quanto è storicamente contrario allo Stato democratico, alla libertà che lo sottende e alla convivenza di tante diversità nel segno, altrettanto fondamentale, della coesione sociale. Non è certamente un caso che il Ku Klux Klan si sia schierato al suo fianco fin dall’inizio della sua discesa in campo. Trump, infatti, è uomo che crea tensioni volutamente per finalità immediate di consenso in primo luogo, ma anche per soddisfare una specie di ansia psicologica per cui è lui e solo lui l’uomo che comanda infischiandosene allegramente se le sue decisioni creano tensioni o aggravano situazioni già di per se complesse. Sia che si tratti di spostare l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme – anche l’ultra reazionario neopresidente brasiliano Jair Bolsonaro ha annunciato che farà altrettanto - sia che si annunci di voler modificare, addirittura con violazione della prassi istituzionale, l’emendamento 14° della Costituzione che sancisce lo “ius soli” fissato in una legge del 1866 e, successivamente, codificato sul piano costituzionale il 9 luglio 1868. Va ricordato che il 14° emendamento venne concepito per garantire il diritto di cittadinanza ai figli degli schiavi neri che erano stati liberati; ma il riconoscimento di quel diritto segnò l’idea che più ha caratterizzato gli Usa; ossia, quella della “società aperta”. Un’idea di grande rilevanza per un Paese di immigrati i cui cittadini hanno la doppia identità e che basa il sentimento nazionale su uno “stile di vita” di cui vanno orgogliosi. Se cade, però, l’idea della “open society” è l’idea stessa dell’America quale paese delle libertà ad esserne compromesso; conquista il campo la società chiusa e, con essa, la violenza, il tragico della diversità di cui, come la storia ci dice, sarebbero proprio gli ebrei a farne per primi le spese. Coi fatti drammatici di Pittsburgh una lunga stagione storica sembra, così, essersi incamminata sulla strada del tramonto in un contesto regressivo di civiltà poiché l’America non è più la terra nella quale gli ebrei possano sentirsi al sicuro. La questione non riguarda solo l’America poiché l’odio antisemita, mai completamente sopito dopo la decreazione rappresentata dalla Shoah anche in Europa, di solito fa presto a risvegliarsi in tutta la sua devastante forza. Quanto avvenuto in America non riguarda solo l’America ove è suonato un significativo campanello d’allarme. L’Europa non può limitarsi a guardare e a condannare, serve di più poiché al vecchio pregiudizio antiebraico di matrice cattolica che non è mai stato del tutto cancellato anche quando risultava come sopito, si aggiunge oggi la realtà di un antisemitismo proclamato da parte di frange estreme presenti nell’immigrazione islamica che sta caratterizzando il quadro del vecchio continente. Donald Trump con il suo linguaggio zeppo di invettive contro chi considera suoi avversari – altro che America, il suo programma è “Donald first” – ha dato coraggio, al di là di ogni limite, quei gruppi estremistici che fino a oggi non erano venuti allo scoperto e avevano coltivato il loro odio in silenzio. I fatti di Pittsburgh sembrano dire che il tempo del silenzio è finito; ora l’odio può venire allo scoperto. E l’antisemitismo è da sempre un fattore presente nell’odio civile e sociale. Primo Levi diceva che quanto è accaduto può accadere di nuovo. Non esagerava, non aveva torto. Il linguaggio del sovranismo, del primatismo, del populismo demagogico non può dirsi, automaticamente, come antisemita, ma la violenza
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nonmollare quindicinale post azionista | 029 | 05 novembre 2018
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del linguaggio crea odio, nemici di comodo; insomma feconda un camp pericoloso che non si sa quale direzione, di estremismo in estremismo, possa prendere. Sicuramente, tutte le volte che l’odio soffia nel dibattito pubblico, alla fine l’antisemitismo fa capolino; ancora oggi ricorrono pericolosi riferimenti sull’intreccio tra la finanza e gli ebrei, vecchie e malate teorie sul controllo del mondo e così via. I fatti che accadono, tutti i fatti, risentono sempre di climi culturali. E poi, talora, all’improvviso questa cultura genera nuove gravissime e inaspettate situazioni, all’improvviso, come avvenne nell’Italia del 1938 quando le leggi razziali misero in essere quanto non era pensabile. Da un giorno all’altro persero tutti i diritti; la persecuzione divenne sistematica. Una domanda ci inquieta. Può essere che così stando le cose anche nella nostra Europa, in marcia dietro la bussola del populismo sovranista, l’antisemitismo si senta sdoganato? Pensiamo alle parole di Primo Levi e avvertiamo un brivido; ma i buoni sentimenti non bastano occorre un’azione di politica civile. Ne va di mezzo la nostra civiltà.
martedì 6 novembre 2018
lunedì 5 novembre 2018
domenica 4 novembre 2018
sabato 3 novembre 2018
Franco Astengo: 4 novembre
A CENTO ANNI DAL 4 NOVEMBRE. di Franco Astengo
Questa nota è stata ispirata da un’intervista rilasciata ieri dal capo di Stato Maggiore, Generale Farina sulla ricorrenza del 4 novembre. Si sono lette parole così dense di retorica bellicista e nazionaliste da non poter essere lasciate senza replica.
Ricorrono i 100 anni dalla conclusione della prima guerra mondiale e naturalmente sono previste al riguardo cerimonie e manifestazioni di ricordo.
Mentre lorsignori celebreranno quella che D’Annunzio poi appellò “vittoria mutilata” e che deve essere prima di tutto ricordata come porta aperta sulla tragedia del fascismo, noi rammentiamo qui la memoria di quante e quanti si opposero a un massacro durato quattro anni.
L’Italia entrò in guerra attraverso un vero e proprio colpo di stato come paese aggressore un anno dopo lo scoppio del conflitto europeo.
L’Italia sofferse 650.000 morti e un milione di feriti e nel corso dei 3 anni e mezzo di conflitto.
In quell’occasione si prepararono le condizioni per l’avvento del fascismo.
Questa, ridotta in pillole, l’essenza storica dell’andamento e dell’esito della prima guerra mondiale per cui si può ritenere che non ci sia proprio nulla di trionfalistico da celebrare e che non ci sia nessuna grancassa nazionalista da suonare.
Il nostro primo pensiero però va rivolto ai soldati al fronte vittime della decimazione imposta da un’assurda disciplina voluta in prima persona dal generale Cadorna e dagli alti comandi. Un'apposita commissione parlamentare di inchiesta su Caporetto istituita all'indomani della fine della guerra diede le cifre ufficiali delle condanne a morte: 1006 delle quali 729 eseguite. Queste cifre non comprendono le esecuzioni sommarie e l'applicazione della pena capitale in trincea a discrezione degli ufficiali responsabili in caso di emergenza, una stima di questi casi, che comprendono quelli di decimazione si attesta a 300 soldati fucilati.
Da ricordare ancora come I soldati che si rifiutavano di uscire dalle trincee durante un assalto ad esempio potevano essere colpiti alle spalle dai plotoni di carabinieri e di queste esecuzioni non si ha menzione ufficiale.
Va rammentato ancora che per la prima volta nella storia che immense collettività furono coinvolte in una guerra totale, dove l’intera popolazione visse un’esperienza comune di sacrificio e di dolore per i familiari al fronte e per le nuove condizioni di esistenza imposte dalle esigenze belliche.
Ne furono sconvolte le comunità urbane come quelle rurali, la vita familiare e la vita individuale, i rapporti fra uomo e donna, le relazioni sociali, le abitudini civili.
In tutti i paesi in guerra la popolazione civile fu sottoposta a un’inaudita esperienza di disciplina collettiva: il potere statale fece sentire la sua forza in una dimensione addirittura di onnipotenza, investito della decisione di vita e di morte per milioni di cittadini come mai era avvenuto in passato. .
Le manifestazioni di dissenso e di opposizione alla guerra furono perseguite come atti di disfattismo.
Il movimento operaio si scisse, probabilmente in una dimensione irreparabile.
Quanto abbia pesato l’adesione dei due grandi partiti, quello francese e quello tedesco nel terribile agosto 1914 sulla rottura storica del movimento operaio deve essere ancora oggi tema di riflessione.
Probabilmente la nostra sconfitta, come movimento operaio, non nacque dal fatto che in Russia nel 1917 si sarebbe fatta una “Rivoluzione contro il Capitale” (quello di Marx beninteso, come scrisse subito Antonio Gramsci che poi la sostenne così come aveva riflettuto, ed anche oscillato, sul concetto di“neutralità attiva e operante” al momento dello scoppio della guerra) ma proprio dalla scelta di francesi e soprattutto tedeschi.
La grande SPD cedette al nazionalismo, un punto da considerare ancora, certamente non obsoleto rispetto alla nostra riflessione di oggi.
Il Partito Socialista Italiano fu l’unico dei grandi partiti occidentali a non allinearsi alla logica nazionalistica e questo va pure ancora ricordato.
Durante la guerra continuarono le agitazioni popolari avverso le sempre più precarie condizioni di vita che la condizione bellica stava imponendo.
In particolare nel 1917, in Italia,si svolsero scioperi intensi, lunghi e partecipati. La classe operaia tornò a lottare nella sua totalità, scoppiarono le rivolte a Torino, Livorno, Terni, Napoli, in Lombardia.
Il più importante fra questi atti di rivolta si verificò nell’agosto 1917 a Torino .
Fu quella passata alla storia come “La rivolta del pane” .
Una ribellione sfortunata, nel corso della quale il movimento operaio lasciò sulla strada decine di morti e alla quale dedichiamo questo spazio in memoria di quanti, donne e uomini, seppero lottare in quel momento difficile per affermare le ragioni della loro sopravvivenza, della convivenza civile e della pace.
E’ passato un secolo: serve ancora ricordare, riflettere, analizzare e soprattutto non piegarsi alla retorica nazionalista.
Oggi più che mai è importante la nostra autonomia di pensiero e la nostra capacità di visione dei fatti della storia, al di fuori da ogni indulgenza e senza retorica.
venerdì 2 novembre 2018
giovedì 1 novembre 2018
Sergio Cofferati: «Basta con le tensioni, Landini scelta giusta per il futuro Cgil» - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
Review of ‘For a Left Populism’
Review of ‘For a Left Populism’: In this book, political scientist Chantal Mouffe argues that populism could be the only way to reinvigorate a faltering left
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