mercoledì 1 agosto 2018

Franco Astengo: Odio come categoria poltica

ODIO COME CATEGORIA POLITICA di Franco Astengo. Odio:Molti ne discutono e denunciano ma non pare che si stia cercando di realizzare una qualche analisi che sul piano politico risulterebbe necessaria. Si tratta di questo: L’Odio è stato trasformato da sentimento che sospende la categoria dell’etica a strumento politico usato per mistificare il passaggio verso l’autoritarismo personale inteso come elemento decisivo per superare la crisi della democrazia liberale. E’ questa la vera novità che emerge dal confuso panorama che si presenta guardando al sistema politico italiano: un vero e proprio punto di svolta rivolto verso il compiuto imbarbarimento nei rapporti sociali e politici. Le democrazie occidentali, e in particolare quella italiana, si trovano ad affrontare alcuni punti di crisi molto acuti: 1) Crisi di legittimità, dalla quale deriva una difficoltà di accettazione delle regole del gioco costituzionale; 2) Crisi di partecipazione per la difficoltà di “entrata nella politica” e d’integrazione nell’ordine costituzionale da parte di strati sociali che sembrano preferire l’abbandonarsi senza discernimento alle promesse elettorali e potrebbero presto scivolare nell’idea dell’affidarsi al cosiddetto “uomo forte” e a un regime sostanzialmente autoritario (già si teorizza di “democrazia autoritaria” sul modello delle grandi potenze che sembrano proprio indicare questa strada comune a USA; Russia, Cina, Turchia e forse già domani Brasile). Nel sistema politico italiano tentativi in questa direzione se ne erano già verificati, da Berlusconi a Renzi, ma adesso la questione sta facendosi sempre più acuta; 3) Crisi di distribuzione, con la difficoltà a individuare strumenti coerenti di democrazia economica. All’interno di questo quadro si sta verificando una crisi del sistema che appare insieme della struttura e della sovrastruttura: una situazione del tutto inedita, almeno nella storia repubblicana. Così si è trovato chi ha pensato di riesumare l’antico dilemma di Rousseau (precedente di due secoli la cosiddetta “democrazia del web”): far decidere tutti o far decidere in pochi? Il tema cioè della cosiddetta “democrazia diretta”. “Democrazia diretta” che – appunto – seminando odio si sta cercando di trasformare in dominio del virtuale. Sul dominio del virtuale s’intende poggiare una nuova autocrazia, con un salto all’indietro nella storia negando così il tratto positivista dello storicismo. Il grande bersaglio di questo “dominio virtuale” appare essere rappresentato dalle forme date della mediazione politica: le forme assunte nel passaggio dal notabilato alle espressioni della democrazia di massa. Non è un caso che da qualche tempo si sono intensificate le discussioni intorno al tema del ruolo del Parlamento e dei Partiti. Da alcune parti il Parlamento è stato indicato come un’istituzione in via di estinzione e se ne propugna, nella fase di transizione, una composizione per sorteggio (azzardando impropri paragoni con la democrazia ateniese). Un’argomentazione, questa del Parlamento in via di estinzione, che sembra fare presa al punto che per confutarla Nadia Urbinati, dalle colonne di Repubblica, ha provveduto a elaborare alcune distinzioni di merito ricordando, come tra l’altro, sia necessario distinguere tra consessi destinati a redigere le leggi e consessi destinati a giudicare e facendo notare che, nel secondo caso, il sistema del sorteggio è stato mantenuto risultando ancora presente nel nostro ordinamento, come nel caso dei giudici popolari in corte d’assise e in corte d’appello. Il dibattito sul ruolo del Parlamento trascina con sé naturalmente quello sui partiti e – più in generale – quello sulla democrazia: c’è, infatti, chi pensa a una democrazia (e di conseguenza a una rappresentanza parlamentare) limitata al solo ruolo di controllo della tecnica, con le Camere poste sostanzialmente in una funzione da giustizia amministrativa (il ritorno all’antico Parlamento di Parigi in tempo di monarchia assoluta?). Esprimendo la convinzione dell’insostituibilità del Parlamento quale sede ed espressione della rappresentanza politica e di conseguenza del relativo ruolo dei partiti pare il caso di entrare nel merito di una visione della crisi del sistema politico. Un sistema politico “alimentato” da domande e richieste di servizi che esso cerca di soddisfare in uscita, fornendo alla collettività i servizi che riesce a fornire. Ma di tanto in tanto il sistema politico è scosso da crisi, vale a dire è chiamato a “processare” carichi nuovi che non appartengono alla routine dei suoi normali processi digestivi. E’ il caso del cosiddetto “eccesso di domanda” esploso con la società dei consumi e la modifica dell’assetto sociale sulla base dell’individualismo consumistico e corporativo. Una situazione che si è cercato di risolvere attraverso il “taglio dell’eccesso di domanda” e la separatezza tra sistema politico e richiesta sociale, come si era tentato di fare in Italia attraverso il sistema elettorale maggioritario, le riforme costituzionali, l’adesione al trattato di Maastricht. L’esito di queste operazioni è stato però quello dell’accavallarsi della crisi e del congestionamento del sistema. Il sistema politico si è quindi trovato, da qualche anno, in una paralisi di sovraccarico. Una situazione definibile di mancanza di “sequenza”. Siamo, infatti, di fronte ad una crisi dovuta all’incapacità della classe politica di recepire le richieste della società civile e di porle in ordine di priorità, esattamente “in sequenza”. E’ capitato nella gestione del governo da parte del PD tra il 2013 e il 2018, con il tentativo, già segnalato, di risolvere il tutto spostando il baricentro del sistema dal Parlamento al Governo attraverso le riforme costituzionali, poi bocciate dall’elettorato. Capita adesso al governo Lega – M5S che, fatta la voce grossa su alcune apparenti emergenze che ci si propone di affrontare si pensa di risolverle seminando odio e divisione sociale. L’operazione “divisione sociale” si è inverata attraverso l’espressione di una vera e propria “fame di potere”, cercando di occultare la necessità di scalare la montagna dell’ordinare “in sequenza” l’agenda politica. Un’operazione quella del riordino della sequenza di grandissima difficoltà allorquando si tratta di conciliare –ad esempio - “flat tax” e “reddito di cittadinanza”: grandissima difficoltà derivante non tanto dai vincoli di bilancio (che pure pesano) ma dall’antitesi che le due proposte presentano tra di loro come riferimenti sociali, esigenze di accumulo di risorse e financo per opposte destinazioni territoriali. Il governo Lega – M5S usando la categoria dell’odio copre l’incapacità di elaborare una successione storica “distanziata” in modo tale che un certo carico, o una certa crisi, venga superata prima che se ne apra un’altra. Naturalmente è necessario che questa “distanziazione” avvenga per opera di soggetti in grado di definire la “differenza di sequenza” individuando un ordine “ottimale” di successione, secondo cui certe crisi conviene siano affrontate prima di altre. A suo tempo una risposta arrivò elaborando la teoria del passaggio dalle élite ai partiti della mobilitazione sociale (passaggio verificatosi almeno in Occidente): le decisioni siano adottate attraverso il meccanismo politico, partiti e sistemi di partiti. In questo modo si realizzarono due risultati stabili, almeno per un certo periodo: l’allargamento lineare della cerchia degli influenti e l’oscillazione ciclica nell’orientamento delle decisioni, disponendo del fatto che i partiti della mobilitazione sociale usavano della rappresentanza politica nel senso di ricercare riferimenti diversi e antagonisti. L’aver abbandonato questa strada ci ha condotto alla situazione attuale, di grave rischio e di potenziale ritorno all’indietro, verso situazioni che l’Italia e l’Europa hanno già vissuto nei primi quarant’anni del secolo scorso. Ci si è imposto di seguire la “modernità della tecnologia” il “decisionismo” e la “governabilità”. Si è rinunciato, di fatto, all’abbinamento valori – interessi nel senso della concezione del mondo o più limitatamente della concezione di società. Si è consentito come si è già ripetuto più volte, l’utilizzo del sentimento dell’odio come categoria politica. Un utilizzo oggi dispiegato a piene mani rivolgendosi sempre “contro” che ci ha condotto alla situazione attuale, di grave rischio e di potenziale ritorno all’indietro, verso situazioni che l’Italia e l’Europa hanno già vissuto nei primi quarant’anni del secolo scorso. La responsabilità maggiore di questo stato di cose è però da assegnare non tanto ai fomentatori dell’oggi ma a chi, nel recente passato, si è arreso all’idea della necessaria sudditanza della politica all’economia e alla tecnica facendo del governo il solo “totem” possibile e abbandonando la necessità della distinzione ideologica intesa quale fattore di costruzione della rappresentanza sociale per abbracciare una presunta “fine delle ideologie” che altro non voleva significare che “pensiero unico” come custode dell’assurdità di una “semplificazione sociale”. Adesso tocca a noi riflettere sulla necessità di un’immediata inversione di tendenza nell’opporsi alla mostruosità che è stata costruita e che alcuni stanno sfruttando pericolosamente: non sarà facile anche perché bisognerà uscire da quegli schemi prefissati seguendo i quali si è arrivati nella situazione di oggi

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