Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
venerdì 31 agosto 2018
Jobs Act, bilancio sgravi contributivi: cresce il lavoro precario, fragile e senza qualità - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
giovedì 30 agosto 2018
mercoledì 29 agosto 2018
martedì 28 agosto 2018
lunedì 27 agosto 2018
My experience with Communes and Committees in Rojava - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
domenica 26 agosto 2018
Franco Astengo: Identità
IDENTITA’ di Franco Astengo
27 agosto 1978, quarant’anni fa.
In quel giorno l’Espresso pubblica il saggio firmato da Craxi su Proudhon (in realtà scritto da Luciano Pellicani) dal titolo “Il Vangelo socialista”: un testo che viene ritenuto come una vera e propria sfida all’egemonia culturale del PCI anzi si potrebbe dire rivolta all’intellettuale organico gramsciano.
Riprendo dall’articolo dell’Espresso, a firma di Marco Damilano, che ricorda oggi quella vicenda una definizione molto precisa: “Quel testo rappresentava una sorta di carta d’identità”.
Si potrebbe affermare, allora, come si fosse realizzata quasi una “ControLivorno” (per dirla con un riferimento, quello del ’21, ancora molto caro a molti compagni socialisti come simbolo di una rottura insanabile): ovverosia di una cesura questa volta davvero irrecuperabile perchè posta sul piano delle idee. Un saggio quello di Pellicani firmato da Craxi da considerare quasi un Manifesto della “libertà possibile” nel “socialismo possibile” una sorta di “Controutopia”, nel richiamo – oggettivo –a Bernstein citando – appunto – Proudhon, il teorico della “Proprietà è un furto”.
Ma in quel saggio è citata anche Rosa Luxemburg, forte contestatrice di Lenin sul tema del partito, poi trucidata dal governo socialdemocratico per aver tentato di esportare in Germania la rivoluzione d’Ottobre.
Tornando alle valutazioni possibili di quel testo alla luce delle dure repliche della storia, lo si può considerare (almeno sul piano delle dinamiche politiche in allora innestasi nel sistema italiano) come l’espressione di un’ambizione di rappresentare il punto di riferimento (e di saldatura) della linea autonomista (della quale Craxi era stato, per la verità, sempre fedele interprete) così spiccatamente portata avanti dal Midas in avanti e anche la suffragazione della divisione fermezza /alternativa palesatasi durante i 55 giorni di Moro.
Ecco: sul confronto fermezza / alternativa forse ci sarebbe da indagare più a fondo rispetto al peso che quella contrapposizione ebbe sul resto della fase politica traguardando gli anni’80 e quindi forme e modi attraverso le quali (ricordando anche l’esito elettorale dell’83) si arrivò alla presidenza socialista.
Il traguardo della Presidenza socialista fu tagliato senza il PCI, in completa disarmonia rispetto a come De Martino aveva provocato la crisi del capodanno ’76: molta acqua in quei sette anni era per davvero passata sotto i ponti.
Contraddizioni, come sempre, a sinistra e questa volta in forma assai anomala rispetto a quelle espresse nel passato.
Il mio maggiore interesse però riguarda un punto che mi permetto di ritenere essenziale: quello del determinarsi e degli effetti provocati, da quel momento e per il decennio successivo, di un grado di vera e propria incomunicabilità a sinistra.
Una rottura, quasi priva di canali di comunicazione (il camper di Veltroni e D’Alema? Qualche giunta sempre più vacillante?) derivante proprio dalla lotte delle idee apertasi in quella fine estate ’78, piuttosto che – come sarebbe apparso in seguito – dagli atti del governo a prima presidenza socialista, dai fischi di Verona, dal fraintendimento di Frattocchie ’83, dalla vicenda della scala mobile.
Una separatezza che non sarà colmata neppure al momento della liquidazione del PCI, quando l’idea della “socialdemocratizzazione migliorista” aveva ceduto il passo, nel dibattito tra il XIX e il XX congresso comunista, all’indeterminatezza di un “democratico” legato come solo aggancio all’idea dello “sblocco del sistema politico”.
La liquidazione del Pci avvenne così in un impasto vagamente liberaldemocratico con ambigue aspirazioni kennedyane supportate da ampie zone grigie di burocratismo amministrativo e di gestione della “praxis” del potere.
Intanto la scissione di “Rifondazione Comunista” non è mai apparsa mai in grado di muovere un passo proprio sul piano della rivisitazione teorica finendo preda del mix movimentismo – governativismo fino ai limiti dell’irrilevanza politica.
Nello stesso tempo, e in parallelo, il PSI esauriva la sua storia sotto il peso di Tangentopoli, senza che l’identità acquisita nella tumultuosa stagione a cavallo dei ’70 e degli ’80 potesse salvaguardarne l’esistenza. O almeno così decretarono i suoi dirigenti pro – tempore.
Si può dire che il testo sul “Vangelo socialista” abbia posto in competizione le idee, lasciando al PCI il massimalismo e provocando una radicale rottura politica che poi il governo a guida socialista avrebbe reso insanabile, quasi come lascito tragico dell’improvvisa scomparsa di Berlinguer?
La scomparsa di Berlinguer ha rappresentato un altro tornante non superato soprattutto perché rimase incompiuta un’elaborazione possibile, anche sul piano teorico, della riflessione che il segretario del Pci aveva avviato sulla crisi del sistema dei partiti. Una riflessione in seguito interpretata semplicisticamente (o maliziosamente) come frutto di un improvviso afflato moralistico.
Forse sì possiamo affermare che dal “Vangelo socialista” la rottura fu insanabile anche per il mutamento di natura dei due partiti.
Proviamo quindi ad affermare questa insanabilità della rottura, anche se non disponiamo – ovviamente – di alcuna controindicazione salvo quelle che ci vengono fornite dalle analisi sulle fasi di rispettivo scioglimento dei due partiti.
Quel che è certo che – al di là delle responsabilità reciproche – quella stagione di ricerca di una “identità del moderno” (Saggio su Proudhon versus Svolta della Bolognina) si è conclusa, come scrive ancora l’Espresso in una sintesi efficace di cui mi approprio indebitamente: “La modernità politica è diventata, invece, vincere, senza dire chi sei”.
Franco Astengo: Avviso ai naviganti
AVVISO AI NAVIGANTI di Franco Astengo
Alcuni punti di sintesi e di proposta, scusandomi per la semplificazione:
1) L’oggetto del contendere non sono i migranti. Tra l’altro ci si atteggia a gradassi con numeri molto ridotti, considerato che il lavoro grosso è stato eseguito dai predoni del deserto. Il punto è quello dello spostamento degli equilibri politici d’Europa verso il gruppo di Visegrad, tanto per cominciare. In questo senso l’atto più grave è costituto dall’incontro in pompa magna con Orban;
2) Non si può nuovamente lasciare la Resistenza alla Magistratura, occorre la politica;
3) Non è possibile rendersi complici per “ignavia”: val pena evocare Facta (che però era il Capo del Governo) il 28 ottobre 1922 e la complicità di Casa Savoia;
4) Le tendenze autoritarie, come ben si vede, non si erano esaurite con l’esito del referendum del 4 dicembre 2016. Il tema della Costituzione è più che mai di pressante attualità non essendo stata fornita una risposta politica ai milioni di elettrici ed elettori che avevano votato “NO” non per strumentalizzazione politica ma per seria consapevolezza di ciò che sta accadendo. Su 19 milioni di “NO” 3 o 4 milioni di voti nella direzione appena indicata ci saranno pur stati?
5) Tutto questo non significa infilarsi nel tunnel della “Concentrazione Repubblicana”. A un eventuale collegamento democratico si può ben aderire ma con l’autonomia di una soggettività politica della sinistra alternativa. Soggettività che è più che mai necessario costruire prendendo finalmente atto della somma delle insufficienze esistenti e compiendo – altrettanto finalmente- qualche gesto di generosità politica. Un soggetto posto sulla base dell’analisi dell’espansione delle contraddizioni sociali in atto, valorizzando tutti i tratti della nostra storia. Sull’Europa esiste un’antica tradizione critica che deve metterci al riparo dalle tentazione macroniane e dare una svolta alla subalternità del presente. Per il resto esiste un substrato internazionalista che, sul piano del pensiero politico, va recuperato, aggiornato, valorizzato al di fuori dalle pericolose infatuazioni sovraniste (il “sovranismo” di cui si discetta, tra l’altro, fa parte della “scena”, il “retroscena” è ben altra cosa, e tante “anime belle” oppure certi opportunisti di ritorno dovrebbero cercare di capirlo).
6) Discorso sul PD già fatto e concluso proprio il 4 dicembre 2016, quindi nessuna ambiguità su questo punto, una divisione della sinistra alle elezioni europee risulterebbe esiziale. Al Parlamento di Strasburgo abbiamo bisogno di una rappresentanza italiana politicamente “vera”.
venerdì 24 agosto 2018
Franco Astengo: Le magnifiche sorti e progressive
LE “MAGNIFICHE SORTI E PROGRESSIVE” di Franco Astengo
Dall’esaltazione delle “magnifiche sorti e progressive” alla demonizzazione del periodo di “sprechi e corruzione” il crollo del ponte di Genova ha messo in moto un dibattito molto ampio sui temi dell’intervento pubblico in economia, delle nazionalizzazioni, del rapporto tra i privati e lo Stato: un dibattito nel corso del quale si stanno sprecando i riferimenti alle fasi pregresse della ricostruzione del Paese dopo la guerra, dell’avvento del consumismo, della dismissione dell’intervento pubblico, del ruolo dei partiti, degli industriali, dei banchieri fino ai processi economici, sociali e politici verificatisi nel corso degli ultimi anni.
Un dibattito che merita una brevissima chiosa.
A posteriori, paradossalmente ma non troppo, si può affermare con sicurezza che è più semplice, nell’enormità delle difficoltà materiali, ricostruire un Paese distrutto dalla guerra così come si presentava l’Italia nel 1945.
Più semplice per un motivo di fondo: esisteva un “idem sentire” quello – appunto – della ricostruzione materiale delle fabbriche, delle case, dei ponti, delle strade, delle ferrovie.
Un “idem sentire” che permise il varo di una Costituzione Repubblicana molto avanzata nei suoi enunciati ma anche molto complessa da attuare.
Ogni tassello che si aggiungeva era una vittoria di tutti, rappresentava un ritorno alle condizioni di una qualche – sia pure precaria – normalità: si usciva dalla disoccupazione, dall’abitare in scantinati o coabitando con estranei, era possibile tornare a viaggiare con i treni e con gli autobus. Insomma: cambiava il modo di vivere quotidiano.
E’ questo un punto da sottolineare con grande evidenza, assieme a quello di un’analisi sociale che registrava un assetto con poche sfumature.
Una società suddivisa in blocchi abbastanza omogenei con chiare distinzioni sul piano dello status, delle condizioni di vita, delle stesse abitudini e propensioni individuali e collettive. Non semplice, all’epoca, salire sull’”ascensore sociale”, bloccato soprattutto da una scuola di “classe”.
Lo scontro politico era molto aspro, teso, contrapposto tra sintesi “a priori”: certo influivano le vicende internazionali, la logica dei blocchi, la Corea, Berlino, la Cecoslovacchia e quant’altro; soprattutto però era lineare il confronto di classe che aveva base nelle grandi fabbriche che rappresentavano,comunque, il luogo dell’agognata ricostruzione.
Così si formò, nel fuoco della necessità, l’intervento dello Stato in Economia posto in parallelo (e in intreccio) con quello dei grandi gruppi privati.
Fu la stagione delle grandi PPSS del dopoguerra, l’IRI, l’Intersind, la Grande ENI di Mattei, il piano siderurgico di Sinigaglia, la nazionalizzazione dell’energia elettrica, la STET (che Agnelli poi si portò a casa pagando lo 0,6% del capitale), delle banche di stato: l’Italia più minuta conobbe l’energia elettrica e il telefono.
Si crearono le condizioni per il welfare, un’operazione realizzata sicuramente scontando lo scotto di grandi distorsioni ma anche con efficacia soprattutto per il ruolo tenuto dagli Enti Locali che rappresentarono all’epoca un tessuto prezioso di integrazione e di sviluppo.
In tempi di riformismo annunciato è bene anche ricordare cosa accadde in quella fase: già citata la nazionalizzazione dell’energia elettrica occorre aggiungere l’istituzione della scuola media unica, lo statuto dei lavoratori, il superamento delle gabbie salariali, l’istituzione delle Regioni (che in quella fase si pensava rappresentassero un tassello fondamentale per una crescita della capacità inclusiva della democrazia), la scala mobile, la riforma pensionistica, la riforma fiscale (dalla “Vanoni” in avanti), l’equo canone, il servizio sanitario nazionale, l’istituzione dei servizi sociali nei comuni con il superamento dei cosiddetti “enti inutili” (decreto 616 del 78), la legge 285 sulla disoccupazione giovanile, i grandi interventi al Sud, la costruzione della rete autostradale.
Difficile anche in poche righe elencare le contraddizioni: la sovranità limitata e la conseguente “conventio ad excludendum”, il dualismo nord sud, la speculazione edilizia, forme di clientelismo politico spiccato, lo spreco di danaro pubblico che iniziò in allora e poi crebbe in modo esponenziale a partire dagli anni’70, fino a minare alla base il sistema.
Ribadisco, però: al fondo c’era il comune afflato per ricostruire.
Era la “Repubblica dei Partiti”, come l’ha definita a suo tempo Pietro Scoppola: partiti che svolgevano anche un’essenziale funzione pedagogica, di vere e proprie sedi di acculturamento collettivo.
Più complicata e difficile fu la fase successiva, quella del passaggio verso il consumismo al riguardo del cui avvento fu scelta la strada della possessione individualistica e del rapido consumo dei beni, di tutti i beni anche quelli pubblici come il suolo, l’ambiente, i servizi.
L’agire politico stava perdendo la propria capacità di “visione” che era stata prerogativa dei grandi partiti di massa negli anni precedenti . Si verificò un’accentuazione nella “cessione di sovranità” alla spinta di lobbie, corporazioni, gruppi di potere, “capitani coraggiosi” di vario ordine e grado.
Soprattutto si era persa la capacità di “pensare” collettivamente, di disporre di un obiettivo comune: non riuscirono a rappresentare questo obiettivo, via via, le privatizzazioni, la prospettiva europea, l’idea del superamento della mediazione politica tramite i partiti. Anzi questi passaggi hanno funzionato da fattore di allontanamento, di divisione, di separatezza culturale e politica, di dispersione sociale.
Progressivamente si addivenne a una dismissione, a un arretramento, a uno sfrangiamento della società in parallelo con lo sfaldarsi dell’azione politica (Bauman aveva scritto di “società liquida”: si può aggiungere a “società liquida” non poteva che corrispondere una “politica liquida”).
Si mostrava un’evidente incapacità da parte dei partiti di riuscire a interpretare e far sintesi nell’emergere di nuove contraddizioni portate anche e soprattutto dal mutare dei costumi (nell’accentazione della spinta ai diritti individuali) e dal presentarsi di novità fondamentali nella vita quotidiane. Novità dettate dall’avvento di una tecnologia il cui uso è stato mirato anch’esso, pressoché esclusivamente, in funzione della chiusura individualistica (televisione compresa, che pure nella prima fase aveva funzionato da medium unificante).
Si era smarrito anche il senso dell’identità della propria appartenenza materiale, di quella che si dovrebbe ancora definire come “identità di classe”.
Così riassunta per sommi capi la vicenda: all’interno di questa dissoluzione sociale e politica si sono inseriti gli elementi del risentimento di massa espresso dai tanti trascurati e maltrattati nella rincorsa darwiniana al benessere nella riscoperta del “familismo amorale” descritto da Banfield.
Il quadro generale, è bene ricordarlo, era composto da “meriti” in gran parte fasulli e da “bisogni” artatamente indotti).
Gli elementi del formarsi e del crescere del fenomeno del risentimento di massa sono stati del resto ben analizzati con vera capacità di visione, da parte di chi ha saputo interpretare la “pars destruens” di questa complessa vicenda.
Oggi, quindi, ci troviamo di fronte ad una metà dell’azione politica possibile: quella della distruzione, della negazione, nell’incapacità di delineare un orizzonte, nell’assenza di una visione di sistema, di un progetto, del delinearsi di una prospettiva.
In sostanza siamo:
1) Nell’episodicità della propaganda misurata sulle pulsioni immediate di una indistinta “opinione pubblica” regolata dai social, e nell’esaltazione acritica di una “escludente” visione della politica contrabbandata come “democrazia diretta”.
2) Nell’assenza di una visione adatta per guardare avanti e di una mancanza di capacità d’interpretazione delle diverse fasi storiche.
Tutto pronto,insomma, per passare finalmente alla fase di “dialogo diretto tra un Capo e le Masse” tanto agognata in passato da epigoni rivelatisi incapaci di realizzare il sogno dell’autoritarismo.
Non a caso, in queste ore, si è tornato a parlare di elezione diretta di un non meglio identificato “Presidente”.
E a sinistra?
A sinistra forse potrebbe aiutare il recupero di determinate coordinate di fondo nel frattempo colpevolmente smarrite.
Si tratta di far capire che è tempo di ricostruzione senza arrendersi al nichilismo della sovranità della tecnica e al peso soffocante di inaccettabili disuguaglianze, non solo economiche.
Una ricostruzione che non potrà essere avviata in nome della chiusura egoistica e dell’individualismo competitivo ma attraverso l’espressione di un’idea di progettualità collegata direttamente con l’azione politica.
Una connessione di progettualità magari inizialmente attuata anche in una forma molto parziale, per far sì, almeno, sia nelle istituzioni sia nello svilupparsi della vita quotidiana, si possa ricominciare a sentire la voce di chi non si abbandona all’apparente ineluttabilità dell’esistente.
giovedì 23 agosto 2018
Felice Besostri: Nazionalizzare i beni demaniali?
Nazionalizzare i beni del Demanio?
Le tragiche vicende di Genova invece di essere, dopo il compianto delle vittime e la solidarietà ai sopravvissuti e al loro familiari e a tutte le persone danneggiate, di riflessione sullo stato della pubblica amministrazione e della sua funzione di indirizzo e controllo a tutela dell’interesse pubblico, sulla gestione dei beni pubblici affidati ai privati e sulle politiche di sviluppo e di mobilità, sta diventando il solito teatrino mediatico. Le affermazioni di carattere generale del tipo “aspettiamo la magistratura”, “non alimentiamo la ricerca di capri espiatori e il desiderio di vendetta”, “ non sfruttiamo a fini politici le tragedie”servono solo a nascondere banali interessi di parte, evitare che si accertino le responsabilità e soprattutto non far nulla che si ripetano. Per combinazione cadono in questi giorni anniversari come il terremoto di Amatrice di due anni fa con le macerie ancora al loro posto o il cinquantenario dei carri armati sovietici, che spezzarono il sogno della Primavera di Praga o il 136° della fondazione a Genova del Partito dei Lavoratori italiani, che sarebbe diventato con il nome socialista il primo partito di una sinistra, che non c’è più. C’è un filo che lega fatti così disparati, perché saggezza vorrebbe che di fronte ad un problema si prospettino soluzioni, questo è il senso della politica ed è quello che chiede la nostra Costituzione all’art. 49, come compito di tutti i cittadini, liberamente associati in partiti. Il dibattito pubblico, che dovrebbe precedere le decisioni è più importante, secondo Nadia Urbinati, delle stesse leggi elettorali con cui si scelgono i parlamentari.
La libertà delle opinioni è garantita dall’art. 21.1 Cost. : “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.”, ma poi la Costituzione si occupa solo della stampa e non di ogni altro mezzo di diffusione delle idee, come la radio che pur esisteva, la televisione fece la sua comparsa nel gennaio 1954 e la rete non era ancora operativa e per il World Wide Web bisognerà attendere i primi anni ’90. Tuttavia la nostra costituzione detta alcuni principi che sono applicabili ad agni mezzo di comunicazione di massa, come l’art. 21.2 Cost. “La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure” o, ancora più importante, l’art. 21.5 Cost. “La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica.” Si è visto subito all’opera i condizionamenti delle proprietà editoriali o semplicemente dei grandi inserzionisti nella vicenda di Genova appena si è parlato di revoca della concessione, che è diventata rapidamente nazionalizzazione delle autostrade Le autostrade come le strade statali appartengono al demanio statale, come quelle regionali, provinciali o comunali ai rispettivi demani. Non c’è nulla da nazionalizzare. Lo Stato può cegliere tra la gestione diretta, che in Italia non c’è mai stata, l’ANAS era un azienda autonoma ovvero riaffidare in seguito a gare ad altro soggetto ovvero ancora avvalersi dell’art. 43 Cost. e, pertanto , a fini di utilità generale con legge può riservare o trasferire ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale, quindi la gestione della rete autostradale. Però deve contestualmente riformare il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti e soprattutto a selezionare i dirigenti con procedure trasparenti e concorsuali come del resto richiede l’art. 97 Cost.. Dovrebbe preoccupare he 4 membri su 6 della Commissione d’indagine ministeriale possano essere in conflitto di interessi o sarebbe comunque inopportuno che ne facciano parte. Ogni concessione è revocabile, se la ragione è l’inadempimento degli obblighi si dovrebbe parlare di decadenza.
Sul provvedimento ci sarà un controllo giudiziale del TAR e in appello del Consiglio di Stato. Il tutto si giocherà sulla sospensiva e quanto più elevate saranno le inadempienze ed omissioni tanto più difficilmente sarà concessa. La posizione della concessionaria srebbe comunque indebolità da decisioni particolari come la revocpsrzxiale degli aumenti tariffari concessi e se tutti i privati danneggiati compresi gli utenti potessero agire in giudizio, ma questo richiede scelte coraggiose del legislatore, con l’estensione delle azioni sostitutive degli elettori finora limitate a comuni e province dall’art. 9 TUEL alle regioni ed allo stato. Una norma semplice: “1. Ciascun elettore può far valere in giudizio le azioni e i ricorsi che spettano al Comune, alla Provincia, alla Città Metropolitana, alla Regione e allo Stato e alle pubbliche amministrazioni da essi partecipate, compresi gli enti pubblici economici.
2. Il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio nei confronti dell' ente pubblico. In caso di soccombenza, le spese sono a carico di chi ha promosso l'azione o il ricorso, salvo che l'ente costituendosi abbia aderito alle azioni e ai ricorsi promossi dall'elettore.”
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mercoledì 22 agosto 2018
martedì 21 agosto 2018
lunedì 20 agosto 2018
domenica 19 agosto 2018
Franco Astengo: ANCORA IGNORATA LA RICORRENZA DALLA FONDAZIONE DEL PARTITO SOCIALISTA
ANCORA IGNORATA LA RICORRENZA DALLA FONDAZIONE DEL PARTITO SOCIALISTA di Franco Astengo
Anche quest’anno non mi pare di aver raccolto segnali di ricordo al riguardo della fondazione del Partito Socialista avvenuta a Genova il 15 agosto 1892, cioè 126 anni fa.
Provvedo, indegnamente, con queste poche righe partendo da un assunto di attualità.
L’ultimo decennio ha sconvolto l’ordine economico: i figli sono più poveri dei genitori, e forse destinati a rimanerlo. Non era mai accaduto dal Dopoguerra fino al passaggio del Millennio. L’Italia si distingue, fra tutti i paesi avanzati, come quello in cui questo ribaltamento generazionale è più dirompente.
L'impoverimento generalizzato e l'inversione delle aspettative sono stati i fenomeni documentati qualche anno fa dal rapporto McKinsey dal titolo "Poorer than their parents? A new perspective on income inequality" (Più poveri dei genitori? Una nuova prospettiva sull'ineguaglianza dei redditi.) Il fenomeno è di massa e praticamente senza eccezioni nel mondo sviluppato. Contribuisce a spiegare - secondo lo stesso Rapporto McKinsey - il disagio sociale che alimenta populismi di ogni colore, da Brexit a Donald Trump, al gruppo di Visegrad ai nostri Lega e M5S.
Lo studio di McKinsey prendeva in esame le 25 economie più ricche del pianeta. C'è dentro tutto l'Occidente più il Giappone. In quest'area il disastro si compie nella decade compresa fra il 2005 e il 2014: c'è dentro la grande crisi del 2008, ma in realtà il trend era cominciato prima. Fra il 65% e il 70% della popolazione si ritrova al termine del decennio con redditi fermi o addirittura in calo rispetto al punto di partenza. Il problema affligge tra 540 e 580 milioni di persone, una platea immensa. Non era mai accaduto nulla di simile nei 60 anni precedenti, cioè dalla fine della Seconda guerra mondiale. Tra il 1993 e il 2005, per esempio, solo una minuscola frazione della popolazione (2%) aveva subito un arretramento nelle condizioni di vita. Ora l'impoverimento è un tema che riguarda la maggioranza. L'Italia si distingue per il primato negativo. È in assoluto il paese più colpito: il 97% delle famiglie italiane al termine di questi dieci anni è ferma al punto di partenza o si ritrova con un reddito diminuito. Al secondo posto arrivano gli Stati Uniti dove stagnazione o arretramento colpiscono l'81% ei segnali di crescita si stanno verificando in un quadro di protezionismo e di innalzamento di barriere. Seguono Inghilterra e Francia. Sta decisamente meglio la Svezia, dove solo una minoranza del 20% soffre di questa sindrome. Ciò che fa la differenza alla fine è l'intervento pubblico. Il modello scandinavo ha ancora qualcosa da insegnarci. In Italia, guardando ai risultati di questa indagine, non vi è traccia di politiche sociali che riducano le disuguaglianze e si misurino davvero con il tema del lavoro sul quale si riflette soltanto in termini di assistenzialismo (80 euro, reddito di cittadinanza) o di inasprimento delle condizioni di sfruttamento (Job Act).
L'altra conclusione del Rapporto McKinsey riguardava i giovani: la prima generazione, da molto tempo, che sta peggio dei genitori. "I lavoratori giovani e quelli meno istruiti - si legge nel Rapporto - sono colpiti più duramente. Rischiano di finire la loro vita più poveri dei loro padri e delle loro madri". Questa generazione ne è consapevole, l'indagine lo conferma: ha introiettato lo sconvolgimento delle aspettative.
Lo studio non si limitava a tracciare un quadro desolante, vi aggiungeva delle distinzioni cruciali per capire come uscirne : se lasciata a se stessa, l'economia non curerà l'impoverimento neppure se dovesse ricominciare a crescere: "Perfino se dovessimo ritrovare l'alta crescita del passato, dal 30% al 40% della popolazione non godrà di un aumento dei redditi". E se invece dovesse prolungarsi la crescita debole dell'ultimo decennio, dal 70% all'80% delle famiglie nei paesi avanzati continuerà ad avere redditi fermi o in diminuzione.
Si confermano quindi le analisi di economisti come Piketty, Atkinson, Stiglitz e le ricerche di un marxista capace di una visione “mondiale” come l’appena scomparso Samir Amin.
Eppure nonostante l’emergere di questo quadro desolante poco o niente si sta muovendo soprattutto sul piano della rappresentanza politica di coloro che soffrono delle contraddizioni generate da questo stato di cose: uno stato di minorità e di sfruttamento allargato sull’insieme della società sempre più sfrangiata, sfibrata, preda dei “falchi” dell’innovazione tecnologica che punta alla riduzione nella condizione della schiavitù individualistica mentre appare in piena evoluzione il processo di divorzio tra la politica e la cultura.
Oltre cento anni fa la reazione alle condizioni di sfruttamento imposte dalla prima rivoluzione industriale fu ben diversa e vale la pena di raccontarla per sommi capi.
In Italia la crescita del movimento operaio si delinea sulla fine del XIX secolo. Le prime organizzazioni di lavoratori sono le società di mutuo soccorso e le cooperative di tradizione mazziniana e a fine solidaristico. La presenza in Italia di Michail Bakunin dal 1864 al 1867 dà impulso alla prima organizzazione socialista-anarchica, ma aperta anche ad istanze più generalmente democratiche e anche autonomiste: la Lega Internazionale dei Lavoratori (opposta all'Associazione internazionale dei lavoratori di Karl Marx). L'episodio anarco -socialista di propaganda più noto è quello del 1877 (un gruppo di anarchici tentò di far sollevare i contadini del Matese)
In merito alla formazione dei socialisti in Italia (che a tutti gli effetti si configuravano come prima realtà partitica moderna) è interessante notare l'eredità mazziniana e della struttura di "partito" che, decenni addietro, si era data la Giovane Italia di Mazzini. Essa infatti, pur scevra da costrutti dottrinali ideologici per come li intendiamo noi, basava la propria attività su tre punti fondamentali: proselitismo, coordinamento centrale e autofinanziamento del movimento. I socialisti, volontariamente o meno, si strutturarono quindi in maniera simile, poggiando le basi su una concettualità ideologica, e formando così il primo partito moderno italiano.
Intanto la Lega Internazionale dei Lavoratori nel 1874 si era sciolta e l'anima più moderata, guidata da Andrea Costa, sosteneva la necessità di incanalare le energie rivoluzionarie in un'organizzazione partitica disposta a competere alle elezioni. Tra i più convinti sostenitori di questa linea troviamo Enrico Bignami e Osvaldo Gnocchi Viani, fondatori nel 1876 della "Federazione Alta Italia dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori" e, nel 1882, del Partito Operaio Italiano, con la rivista "La Plebe" (di Lodi), alla quale poi si affiancano altre pubblicazioni.
Nel 1879 Costa, uscito dal carcere, si trasferì a Lugano in Svizzera
Qui scrisse la lettera intitolata "Ai miei amici di Romagna", in cui indicava la necessità di una svolta tattica del socialismo, che doveva passare dalla «propaganda per mezzo dei fatti» a un lavoro di diffusione di principii, che non avrebbe presentato risultati immediati, ma avrebbe ripagato sul medio periodo.
La lettera fu pubblicata nel n. 30 del 3 agosto 1879 de “La Plebe”.
La presa di posizione di Costa determinò nel movimento socialista italiano una prima separazione dei socialisti dagli anarchici. Nel 1881 questi organizzò il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna, che sosteneva, fra l'altro, le lotte dei lavoratori, l'agitazione per riforme economiche e politiche, la partecipazione alle elezioni amministrative e politiche. Il partito di Costa incontrò grandi difficoltà, anche se egli riuscì ad essere eletto alla Camera nel 1882: fu il primo deputato socialista della storia d'Italia.
Anche il Partito Operaio Italiano di Costantino Lazzari e Giuseppe Croce si presentò alle elezioni del 1882, ma senza successo.
Frattanto il movimento operaio si organizzava in forme più complesse: Federazioni di mestiere, Camere di lavoro, ecc. Le Camere di Lavoro si trasformano in organizzazioni autonome e divengono il punto di aggregazione a livello cittadino di tutti i lavoratori.
Su queste basi nel 1892 nasce a Genova il Partito dei Lavoratori Italiani che fonde in sé l'esperienza del Partito Operaio Italiano (nato nel 1882 a Milano), della Lega Socialista Milanese (d'ispirazione riformista, fondata nel 1889 per iniziativa di Filippo Turati) e di molte leghe e movimenti italiani che si rifanno al socialismo di ispirazione marxista.
La scelta di Genova come città in cui svolgere il congresso il 14 e 15 agosto del 1892, tra le altre cose, fu dovuta alla contemporanea presenza delle manifestazioni Colombiane per il quattrocentenario della scoperta delle Americhe: le ferrovie infatti in tale occasione avevano concesso degli sconti sui biglietti per il capoluogo ligure, che vennero sfruttati dai convenuti al congresso (la maggior parte dei quali provenivano dalle regioni del nord).
.La decisione generò attriti con i rappresentanti della locale Confederazione operaia genovese, inizialmente tenuti fuori dall'organizzazione dell'evento, e mediaticamente si rivelerà controproducente, essendo in quei giorni l'interesse dei quotidiani e delle riviste concentrato proprio sugli eventi (gare ginniche e regate) correlati alla grande esposizione colombiana, che finiranno per mettere in ombra il congresso
Al congresso si presenteranno circa 400 delegati, rappresentanti di interessi e posizioni non sempre allineate tra di loro.
I fondatori ufficiali della nuova formazione politica furono Filippo Turati e Guido Albertelli. Altri promotori furono Claudio Treves, Leonida Bissolati, Ghisleri, Enrico Ferri, che erano provenienti dall'esperienza del Positivismo.
Turati ed altri (Camillo Prampolini, Anna Kuliscioff, Bosco, ecc..) furono a Genova fin dal 13 e proprio la sera di quel giorno si riunirono per discutere delle proposte da presentare nel congresso dei giorni seguenti. Gli esponenti anarchici, commentando al tempo questa riunione preparatoria, la descrissero come una riunione che aveva come tematiche le decisioni da prendere contro la corrente anarchica stessa. Gli attriti tra le due anime proseguirono il giorno successivo, nella sala Sivori, con la richiesta della parte anarchica (Pellaco, Galleani e Gori) di sospendere i lavori e la posizione di Turati e Prampolini che invece chiesero ed auspicarono una netta separazione tra le due correnti del movimento.[14] Turati decise quindi di riunire i congressisti che erano fedeli alla sua linea non più alla sala Sivori, ma nella sede dell'associazione garibaldina "Carabinieri Genovesi".
Il 15 agosto si ebbero quindi due incontri, quello degli appartenenti alla linea di Turati (circa i 2/3 dei rappresentanti convenuti a Genova ), che, dopo alcuni infruttuosi tentativi di mediazione tra le due correnti portati avanti da Andrea Costa, fonderà il Partito dei Lavoratori Italiani, e quella nella sala Sivori dove l'ala anarchica ed operaista (circa 80 delegati) darà vita ad un omonimo partito, la cui esistenza, di fatto, terminerà con la fine del congresso.
Viene eletto Segretario del neocostituito Partito Carlo Dell'Avalle, fondatore nel 1882 della "Società Genio e Lavoro", che riuniva le principali organizzazioni operaie milanesi, tra cui i ferrovieri e i lavoratori della Pirelli.
Nel 1893, nel II Congresso di Reggio Emilia, il partito si dà un'autonomia e un nome ufficiale come Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, inglobando anche il Partito Socialista Rivoluzionario Italiano di Andrea Costa. È confermato Segretario Carlo Dell'Avalle.
Nell'ottobre del 1894 il partito viene sciolto per decreto a causa della repressione crispina. Il 13 gennaio 1895 si tiene in clandestinità il III Congresso a Parma che decide di assumere la denominazione di Partito Socialista Italiano. È eletto Segretario Filippo Turati.
Turati è erede del radicalismo democratico; nel 1885 si era unito con la rivoluzionaria Anna Kuliscioff; conosce le opere di Marx ed Engels, è legato alla socialdemocrazia tedesca ed alle associazioni operaie lombarde. Considera il socialismo non dal punto di vista insurrezionale, ma come un ideale da calare nelle specifiche situazioni storiche.
Alle elezioni del 1895, in contrapposizione alla repressione, viene creata un'alleanza democratico - socialista. Vengono eletti in Parlamento 15 deputati socialisti, tra i quali Bissolati, Costa, Prampolini, Turati.
Si apre la lunga stagione del socialismo italiano e delle tappe della sua crescita che passerà attraverso momenti di feroce repressione come quello del maggio 1898 con le cannonate di Bava Beccaris , del suo sviluppo, delle sue rotture, ricomposizioni, scissioni, la più importante delle quali rimane quella del 24 gennaio 1921 quando a Livorno si separarono socialisti e comunisti.
La grande epopea della Rivoluzione d’Ottobre aveva fornito, come nel resto dell’Europa Occidentale, l’effetto della divisione tra i due grandi filoni rappresentativi della storia del movimento operaio del ‘900.
Del resto la II internazionale era già fallita nella torrida estate del 1914, quando la grande SPD e il PSF avevano votato i crediti di guerra smentendo l’opzione pacifista ad arrendendosi alle vocazioni imperiali e nazionaliste sulla base delle quali era scoppiata la “Grande Guerra”.
Sono passati 126 anni dalla fondazione di Genova e 97 anni dalla scissione di Livorno.
Dopo lo scioglimento del PSI e del PCI avvenuto nel quadro del rivolgimento di fine anni’90 la sinistra italiana si trova priva di una qualche propria presenza significativa, in una situazione di arretramento storico quale quella che è stata descritta nella prima parte di questo intervento.
Una situazione di difficoltà nell’espressione di soggettività estesa anche alla dimensione internazionale dove, a fronte di segnali di rinnovamento e di crescita che si stanno verificando in particolare negli USA e in Gran Bretagna senza dimenticare Portogallo e Spagna, con l’affermazione di un socialismo di sinistra da considerare come reazione allo slittamento a destra avvenuto nei primi decenni del secolo (Blair, Schroeder, il PD italiano) e al fallimento delle socialdemocrazie francese e tedesca, non pare corrispondere una nuova capacità di collegamento internazionalista.
venerdì 17 agosto 2018
giovedì 16 agosto 2018
mercoledì 15 agosto 2018
Infrastrutture, la spesa per manutenzione è calata da 7,3 a 2,2 euro a km - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
martedì 14 agosto 2018
lunedì 13 agosto 2018
sabato 11 agosto 2018
Numeri elettorali della sinistra tra governi e opposizione
NUMERI ELETTORALI DELLA SINISTRA TRA GOVERNO E OPPOSIZIONE di Franco Astengo
Mi permetto di offrire alla riflessione collettiva una carrellata tra i numeri delle elezioni politiche svoltesi tra il 2 giugno 1946 e il 4 marzo 2018 utilizzando quattro sistemi elettorali diversi.
I numeri elettorali non rappresentano sicuramente la sola fonte utile per delineare i tratti delle modificazioni avvenute in una società molto complessa, ma li si possono comunque prendere a testimoni probanti di mutamenti insieme politici, di costume, nelle relazioni sociali che hanno assunto grande significato nel determinare le condizioni materiali di vita e le stesse espressioni culturali di massa.
Il riferimento che si è cercato di sviluppare riguarda la presenza della sinistra divisa tra governo e opposizione, seguendo anche il filo della partecipazione elettorale, i cui dati sono sempre stati fortemente sottovalutati nello sviluppo delle analisi compiute di volta in volta.
Le percentuali sono sempre riferite al totale degli aventi diritto e viene riportato il dato dei voti validi complessivi, comprensivi delle schede bianche e nulle.
Questo lavoro, molto approssimativo, è dedicato soprattutto a chi ha risposto in modo sostanzialmente negativo oppure con un assordante silenzio ad una semplice proposta di ripresa d’incontro tra le varie componenti, oggi assolutamente minoritarie, nelle quali si trovano suddivisa ciò che rimane della sinistra italiana: giusto i richiami all’identità, sbagliate le affermazioni di disporre in esclusiva della ricetta giusta ,superficiale l’analisi che ignora i rischi incombenti sul fragilissimo sistema politico italiano.
Assemblea Costituente 2 giugno 1946
Iscritti: 28.005. 449; Voti validi 23.010.479 pari all’82,16%, non espressione di voto 4.994.970.
La sinistra in quel momento si trova al governo con il programma Repubblica e Costituzione: il Partito Socialista ancora unitario sotto la sigla PSIUP ottiene 4.758.129 16,99%,Partito Comunista 4.356.686 15,55%, Partito d’azione 334.748 1,19%. In totale la sinistra vale il 33,73% sul totale degli aventi diritti al voto.
Camera dei Deputati 18 aprile 1948
Iscritti 29.117.554; Voti Validi 26.264.458 pari al 90.20% (notevole incremento) non espressione di voto 2.853.096.
Si presenta la divisione tra sinistra di governo e sinistra d’opposizione, in seguito alla scissione dello PSI.
Nella sinistra di governo Unità Socialista 1.858.116 voti 6,38%; nella sinistra d’opposizione il Fronte Popolare raccoglie PCI e PSI , 8.136.637 pari al 27,94%.
Camera dei Deputati 7 giugno 1953
Sono le elezioni della cosiddetta “legge truffa”. Iscritti 30.272.236. Voti validi 27.087.701, 89,48% (lieve flessione rispetto al 1948). Non espressione di voto: 3.184.535.
Sinistra d’opposizione: PCI 6.120. 809 20,21%, PSI 3.441.014, 11,36%, Unione Socialista Indipendente 225.409 0,74, Unità Popolare 171.099 0,56%. Totale: 32,87 in incremento rispetto al 1948
Sinistra di governo: PSDI 1.222.957 4.03% (- 2,35%)
Camera dei Deputati 25/5/1958
Pesano le vicende legate al XX congresso del PCUS e i fatti d’Ungheria. PCI e PSI comunque sono ancora assieme all’opposizione. Iscritti: 32.434.852 Voti validi 29.560.269 91,13% (massimo storico). Non espressione di voto: 2.874.583
Sinistra d’opposizione: PCI 6.704.454, 20,67%; PSI 4.206.726 12,96%. Totale 33,63% (ancora in crescita)
Sinistra di governo: PSDI 1.345.447 4,14%
Camera dei Deputati 28/4/1963
Ulteriore divisione tra sinistra di governo e sinistra d’opposizione. Si prepara il centro – sinistra con il PSI (sarà la legislatura del “tintinnar di sciabole” e del tentativo di unificazione socialista).
Iscritti: 34.199.184 voti validi 30.752.871 89.92% (lieve flessione). Non espressione di voto: 3.446.313
Sinistra d’opposizione: PCI 7.767.201 22,71% Sinistra di governo: PSI 4.255.836 12,44%, PSDI 1.876.271 4,58%. La sinistra di governo raggiunge il 17,02%.
Camera dei Deputati 19 maggio 1968
I socialisti si presentano unificati nell’esperienza di governo, ma si è verificata la scissione dello PSIUP che si colloca all’opposizione. Iscritti: 35.566.495 voti validi 31.790.428 89.38% (ancora in calo) Non espressione di voto: 3.776.065.
Sinistra d’opposizione: PCI 8.551.347 24,04%, PSIUP 1.414.697 3,97% totale 28,01 (crescita del 5,30%). Sinistra di governo PSI – PSDI unificati 4.603.182 12,94% (flessione del 4,08)
Camera dei Deputati 7 maggio 1972
Nuova divisione(definitiva) tra PSI e PSDI . All’inizio della legislatura il PSI resterà fuori dall’area di governo (Andreotti – Malagodi) comprendente i socialdemocratici. Si affacciano per la prima volta alle elezioni movimenti usciti dal ’68, sia di area comunista, sia di dissenso cattolico.
Iscritti 37.049.351 voti validi 33.403.548 90.15 (in crescita) Non espressione di voto: 3.645. 803
Sinistra d’opposizione: PCI 9.068.961 24,47%, PSIUP 648.951 1,75. Totale: 26, 22 (in calo) PSI 3.208.497 8,66%, PSDI 1.718.142 4,63. Area della sinistra extraparlamentare (Manifesto, MPL, PC –Ml) 439.710 1,17%
Camera dei deputati 20 giugno 1976
Le elezioni si svolgono dopo il referendum sul divorzio del 1974 e il turno amministrativo del 15 giugno 1975 che ha fatto registrare un forte spostamento a sinistra. Si presenta una situazione inedita: PCI, PSI, PSDI faranno parte dell’area di governo, prima come “maggioranza delle astensioni” poi come maggioranza d’appoggio a due governi monocolore DC. Nel frattempo si consuma il dramma del rapimento Moro e la divisione dei partiti tra “fermezza”e trattativa.
Iscritti: 40.426.658. Voti validi 36.707.578 90. 80% (si torna a superare il 90%). Non espressioni di voto: 3.719.080.
Sinistra nell’area di governo: PCI 12.614.650 31,20%, PSI 3.540.309 8,75%, PSDI 1.239.492 3,06%. Totale 43,01% (ribadisco sul totale degli iscritti nelle liste: affido questo dato alla riflessione). Sinistra d’opposizione : DP (cartello elettorale comprendente PdUP, AO, Lotta Continua, MLS) 557.025. 1,37%
Camera dei deputati 3 giugno 1979
In precedenza a questa tornata elettorale, segnata dall’uscita del PCI dalla “solidarietà nazionale” occorre ricordare il referendum sul finanziamento pubblico dei partiti svoltosi nel giugno del 1978. Erano iscritti nelle liste 41.248.657 elettrici ed elettori, i voti validi furono 31.410.378 pari al 76,14% e il SI’ all’abrogazione ( osteggiato dalla maggioranza di solidarietà nazionale) raggiunse i 9.838.279 voti, 33,19%
Un risultato che rappresentò il primo vero segnale di rottura “sociale” del sistema politico, del tutto ignorato dai dirigenti dei grandi partiti di massa che non avevano compreso la profonda divaricazione che la formazione della maggioranza delle astensioni aveva provocato.
Il primo esito di quella rottura si ebbe il 3 giugno 1979, elezioni nelle quali ricomparve la divaricazione tra sinistra di governo e sinistra d’opposizione. Iscritti: 42.203.354. Voti validi 36.671.308 86, 89% (netta flessione). Non espressioni di voto: 5.532.046 (forte incremento).
Sinistra d’opposizione: PCI 11.139.231 26,39%, PdUP 502.247 1,19%, NSU 294.462 0,69. Totale: 28,27% Sinistra di governo: PSI 3.596.802 8,52%, PSDI 1.407.535 3,33%. Totale 11,85%
Camera dei deputati 26 giugno1983
Nel frattempo, scoperte le liste della P2, si è spezzato il monopolio DC della Presidenza del Consiglio e ci si avvia alla presidenza Craxi con la maggioranza di pentapartito. Iscritti 44.526.357 Voti validi 36.906.005, 82,88% (ancora evidente flessione).
Sinistra di governo: PSI 4.223.362 9,48%, PSDI 1.508,234 , 3,38%. Totale 12,86% (crescita dell’1%)
Sinistra di opposizione : PCI (comprendente il PdUP) 11.032.218 24,77%, DP 542.039 1,21 . Totale 25,98% (calo del 2,29%)
Camera dei deputati 14 giugno 1987
Precedono questa tornata elettorale le elezioni europee del 1984 coincidenti con la tragica morte di Enrico Berlinguer e il referendum sulla scala mobile, al riguardo del quale vale la pena soffermarsi un attimo.
Referendum 1985: Iscritti 44.904.290. Voti Validi 33.845.643
non espressioni di voto: 11.058.647
Sì 15.460.855 34,43 % NO 18.384.788
40,94%.
Il “SI” era appoggiato dal PCI e dalla componente comunista della CGIL, il NO dal pentapartito, dalla componente socialista della CGIL e da CISL e UIL. Doppia spaccatura. A sinistra e nel sindacato.
Riflessi evidenti si mostrarono nel turno elettorale del 14 giugno 1987, nel corso del quale entrarono in lizza anche rappresentanti delle nuove fratture post – materialiste (liste verdi) e di una ideologia di recupero di antiche fratture ( centro – periferia), allargando così lo spettro nel complesso del sistema politico italiano.
Iscritti 45.692.417 voti validi 38.571.508 , 84, 41% (in crescita rispetto al 1983). Non espressione di voto: 7.120.909.
Sinistra di governo: PSI 5.501.596 12,04%, PSDI 1.140.209 2,49%. Totale 12,53% (in calo dello 0,33%)
Sinistra d’opposizione: PCI 10.250.644 22,43%, DP 641.901 1,40. Totale 23,83% (calo del 2,65%)
Camera dei Deputati 5 aprile 1992
Si vota ancora con il sistema proporzionale ma il quadro si è già modificato nel profondo. Si è sciolto il PCI dividendosi in due formazioni, PDS e Rifondazione Comunista, il PSI è già stato colpito dai prodromi di Tangentopoli, si è formata la Rete da un intreccio cattocomunista.
Iscritti 47.686.964 Voti validi 39.247.275 82,30% (in calo). Non espressione di voto 8.439.689
Sinistra di governo (nell’immediato si formerà il governo Amato): PSI 5.343.930 11,20%, PSDI 1.064.647 2,23%. Totale 13,43% (in crescita dello 0,90%)
Area ex PCI: PDS 6.321.084 13,25%, PRC 2.204.641 4,62%, Rete 730.171 1,53%. Totale 19,40% (in calo del 4,43%)
Camera dei deputati 27 marzo 1994.
Quadro completamente mutato. Sistema elettorale misto maggioritario (75%) proporzionale (25%), Sciolti i grandi partiti di massa DC e PSI, si è formata Forza Italia e si sta trasformando il MSI in AN. Il centro destra vince le elezioni con una duplice alleanza: FI / Lega al Nord (polo delle libertà) e FI/ AN (polo del buon governo al Sud).
In precedenza all’esposizione dei dati è il caso di soffermarci sull’esito del referendum abrogativo svoltosi il 18 aprile 1993. Il riferimento è al quesito riguardante il sistema elettorale del Senato e il cui esito servì da spunto per la modifica del sistema elettorale nel suo insieme. Si trattò di un referendum che pose una sorta di fondamentale pietra miliare sulla strada dell’antipartitismo, evocando infatti la semplificazione del sistema politico e la governabilità quale fattore esaustivo dell’agire politico. Gli esiti di quell’avventura sono oggi sotto gli occhi di tutti. Erano iscritti nelle liste 47.946.896, si ebbero 34.971.387 voti validi pari al 72,93%. Il rifiuto alla modifica del sistema elettorale raccolse soltanto 6.034.640 pari al 17,25%, voti espressi in gran parte all’interno dell’area che si era opposta allo scioglimento del PCI (successivamente solo parzialmente confluita nel PRC) e parzialmente anche da chi si era opposto allo scioglimento del PSI e della DC.
Esito delle elezioni del 27 marzo 1994. Iscritti 48.135.041. Voti validi 38.720.893, 80.44% (in netto calo). Non espressione di voto 9.414.148.
Risultato delle forze di sinistra presenti nella coalizione dei “Progressisti” (si era votato su di uno schema “tripolare” con la presenza di un’area centrista formata dal PPI e dal “Patto Segni”): PDS 7.881.646, 16,37%, PRC 2.343.946 4,86%, PSI 849.429 1,76%, Rete 719.841 1,49%, Socialdemocrazia 179.495 0,37%
Camera dei deputati 21 aprile 1996
Si forma l’alleanza di centrosinistra, mentre la Lega Nord abbandona il centrodestra dopo aver contribuito a far cadere il primo governo Berlusconi e Rifonda Comunista adotta la strategia della “desistenza” verso il centro sinistra.
Iscritti 48.744.846 voti validi 37.484.398 76,98% (calo sensibile). Non espressioni di voto 11.260.448 (la maggioranza relativa se si esaminano i risultati dei partiti nella quota proporzionale).
A Sinistra il PDS raccoglie 7.894.118 voti pari al 16,19% e i socialisti 149.441 voti pari allo 0,30. Totale all’interno della coalizione dell’Ulivo 16,49%. Il PRC che attua la “desistenza” raccoglie 3.213.748 voti (896.802 voti in più) pari al 6,59%,massimo storico.
Camera dei deputati 13 maggio 2001
Si ricostituisce l’alleanza FI /Lega che vince le elezioni con l’apporto di AN e UDC, mentre l’alleanza di governo del centro – sinistra esce indebolita dopo aver alternato nei cinque anni tre volte il presidente del Consiglio. Nel frattempo si è spaccata Rifondazione Comunista con la formazione del Partito dei Comunisti Italiani che continua ad appoggiare il governo fino alla fine della legislatura.
Iscritti 49.256.295 voti validi 37.122.776, 75.36% (ancora in calo). Non espressione di voto 12.133.519.
Sinistra costretta all’opposizione: DS ( trasformazione del PDS che ha inglobato Comunisti Unitari, altra scissione del PRC e i Laburisti espressione dell’area socialista): 6.151.154 12,48% (netto calo rispetto al 1996 di oltre 1.700.000 voti), Rifondazione Comunista 1.868.659 4,92%, Comunisti Italiani 620.859 1,26%.
PRC e Comunisti Italiani sommano quindi il 6,18% perdendo lo 0,40% e circa 800.000 voti.
Camera dei Deputati 9 aprile 2006
Si costituisce l’Unione, massima espressione dell’alleanza a sinistra che colloca però al proprio centro l’Ulivo, lista elettorale che raccoglie DS e Margherita e che rappresenta la fase preparatoria della costituzione del PD. La vittoria elettorale risulta assolutamente stentata. Nel frattempo però e cambiata la legge elettorale che si presenta come proporzionale con premio di maggioranza e liste bloccate. Si registra un sensibile incremento nella partecipazione al voto. Iscritti 46.997.601 (esclusi gli iscritti all’estero) voti validi 38.153.343 81,18% (si ritorna sopra all’80%). Non espressioni di voto 8.844.258.
L’Ulivo raccoglie 11.930.983 voti pari al 25,38% ma si tratta di un soggetto autodenominatosi di centro – sinistra.
A sinistra restano, tutte comprese nell’area di governo, il PRC (che avrà il presidente della Camera e un ministro) 2.229.464 4,74% (in crescita rispetto al 2001 di quasi 400.000 voti), Comunisti Italiani 884.127 1,88% (anch’essi in crescita di circa 260.000 voti). In posizione del tutto marginale una lista socialista che raccoglie 115.606 voti (0,24%).
Camera dei Deputati 19 aprile 2008
Elezioni che possono essere definite davvero come “critiche” di vero e proprio riallineamento del sistema.
L’Ulivo si è trasformato in Partito democratico, proclama la propria “vocazione maggioritaria” e rifiuta alleanze a sinistra ritenendosi esaustivo del profilo del centro sinistra (a fianco del PD si colloca soltanto il movimento giustizialista dell’IDV). In questo modo il PD incassa una sonora sconfitta dal PDL nelle cui fila si sono raccolti Forza Italia, Lega Nord e AN.
A Sinistra, in posizione di opposizione, si presenta la lista Arcobaleno che raccoglie assieme il PRC, i Comunisti Italiani, residui delle Liste Verdi e gli esponenti della Sinistra Democratica che hanno rifiutato la confluenza dei DS nel PD).
Il risultato largamente negativo, al punto da escludere totalmente la possibilità di presenza in Parlamento.
Iscritti 47.041.814, voti validi 36.457.254, 77,49% (nuovamente al di sotto dell’80%). Nessuna espressione di voto 10.584.560.
Arcobaleno 1.124.298 voti, 2,38% (due anni prima la somma di PRC e Comunisti Italiani superava i 3.000.000 , 6,62%). E’ questo il passaggio inel quale si esprime il dato di assoluta minorità della sinistra italiana.
Si presenta anche una lista socialista con 355.495 voti 0,75% e riemergono, sempre per effetto di successiva scissioni del PRC, formazioni ancora legate alle ideologie del dissenso comunista (in particolare di origine troskista): Partito Comunista dei Lavoratori e Sinistra Critica che assommano 377.112 voti pari allo 0.79%.
Camera dei deputati 24 febbraio 2013
Si arriva alle elezioni anticipate attraverso la caduta del governo Berlusconi e la gestione rigidamente legata all’austerità europeista attuata dal governo Monti.
Il PD torna all’alleanza a sinistra collegandosi con SEL (espressione di un’ennesima scissione del PRC, in questo caso in senso governista). Alleanza che non produrrà l’auspicato (dai suoi promotori, ovviamente) esito di governo.
Iscritti 46.905. 154 voti validi 34.005.755 72,49% (con un netto calo).Nessuna espressione di voto 12.899.399 (largamente maggioranza relativa).
Sel, collegata come già ricordato con il PD, raccoglie 1.089.231 voti 2,32%.
Per la sinistra d’opposizione si registra una presentazione unitaria tra PRC, Comunisti Italiani, altri movimenti e l’apporto dell’IDV con la sigla “Rivoluzione Civile”: anche in questo caso il risultato è quello dell’esclusione dal parlamento con 765.189 voti 1,63%. Se si sommano Sel e Rivoluzione Civile si ha un risultato di 1.854.420 voti pari al 3,95% con un incremento rispetto all’Arcobaleno di circa 730.000 voti e dell’1,57% Incremento ottenuto però attraverso una divisione di schieramento. Alla sinistra è presente anche il PCL con 89.643 voti, 019%.
Camera dei deputati 4 marzo 2018
Le elezioni più recenti, quelle che hanno portato alla formazione del governo Lega – M5S. Sono le elezioni nelle quali si dimostra più forte un fenomeno come quello della volatilità elettorale già in atto da diverso tempo.
Come esempio si può prendere il passaggio di voti riguardante ilPD tra le elezioni europee 2014 e le elezioni politiche del 2018.
Nelle Europee del 2014 il PD raccolse 11.203.231 voti pari al 22,11% su 27.448.906 voti validi (mancarono all’espressione di voto ben 23.213.554 unità: record storico).
Alle elezioni del 2018 lo stesso PD (dopo aver perso nettamente il referendum sulle riforma costituzionali del 4 dicembre 2016) si è fermato a 6.161.896 voti 13,24%. In quattro anni un calo di oltre 5.000.000 di voti.
Nell’occasione del 4 marzo 2018 la sinistra, tutta all’opposizione, si riduce al proprio minimo storico.
Iscritti 46.505. 350. Voti validi 32.841.075 70,61 (in calo) . Nessuna espressione di voto per 13.664.275.
Da notare che tra le europee 2014 e le politiche 2018 si recuperano quasi 10.000.000 di espressioni di voto, nessuna delle quali raggiunge i partiti di sinistra.
Supera la barriera dell’ingresso in parlamento soltanto Liberi e Uguali (che contiene parte di Sel ed esponenti di una scissione da sinistra del PD) con 1.114.799 pari al 2,39%.
Restano fuori Potere al Popolo (nelle cui fila sono incluse Rifondazione Comunista e i Comunisti Italiani oltre a diverse espressioni di movimento particolarmente legati a istanze di centri sociali) con 372.179 voti pari allo 0.80%, un partito comunista di osservanza ortodossa con 106.816 voti pari allo 0,22%, e la lista di Sinistra Rivoluzionaria (PCL più altre espressioni fuoriuscite dal PRC) con 29.643 voti –il PCL tra il 2008 e il 2018 ha perso così circa 180.000 voti)pari allo 0,06%.
Un totale di 1.823.437 voti, pari al 3,47% con un calo di circa 30.000 voti rispetto al 2013.
Questo l’itinerario riassunto per sommi capi di una sinistra partita unitariamente tra PSI, PCI, Partito d’Azione con l’insegna Repubblica e Costituzione raccogliendo 9.450.263 suffragi su 23.010.479 voti validi per una percentuale del 33,73%.
Poi le alterne vicende legate soprattutto alla divisione governo/opposizione.
venerdì 10 agosto 2018
giovedì 9 agosto 2018
Franco Astengo: Europa tra ortodossia e sovranismo
EUROPA TRA ORTODOSSIA E SOVRANISMO di Franco Astengo
Mancano molti mesi alle elezioni europee del 2019 ma lo schema sembra pronto: “ortodossi” versus “sovranisti”.
“Ortodossi” che l’ineffabile direzione di “Repubblica” (sempre più giornale/partito) sta raccogliendo attorno al cosiddetto “appello Cacciari” tentando, da un lato, di raccordare tenendo assieme ciò che rimane del PD dirigendolo verso una dimensione sovranazionale della quale dovrebbe risultare capofila “En Marche”.
Obiettivo su questo versante non solo quello del collegamento con l’ultrà liberista presidente francese ma anche quello di riproporre una base per un centro – sinistra italiano.
L’altro obiettivo che si sta perseguendo, non solo sulla base dell’appello di Cacciari tanto è vero che in questo senso sono già apparsi diversi articoli sul “Manifesto”, è quello di incunearsi nell’alleanza di governo cercando la divisione tra i due attuali partner.
Infatti, si stanno moltiplicando anche gli interventi per far sì che gli epigoni del “centro sinistra” italiano si peritino di “far politica” operando allo scopo di impedire una saldatura definitiva tra il M5S e la Lega.
Lega che naturalmente rappresenterà il perno dell’alleanza sovranista i cui interlocutori europei sono ben noti: dal gruppo di Visegrad al Rassemblement National francese (nuova denominazione del Front National, cambiamento dovuto a questioni finanziarie, come del resto era già avvenuto anche in Italia da Lega Nord a Lega “tout court”). Uno schieramento fondato sull’intolleranza, l’odio, la prepotenza del potere.
Appare evidente come tra questi due schieramenti si ravveda un vuoto politico enorme posto sia sul piano della concezione dell’Unione Europea così come questa deve essere posta in discussione alla luce delle drammatiche esperienze accumulate nel corso degli anni, sia sul piano dell’esplosione di nuove e antiche contraddizioni sociali sulle quali non è il caso di soffermarsi nel senso del compilare una sorta di “lista della spesa” che tutti conosciamo a memoria.
Un vuoto che si potrebbe definire, con antica terminologia, di “sinistra d’opposizione e d’alternativa”.
Opposizione per quel che riguarda l’Europa e l’Italia.
Alternativa da offrire sia in dimensione politica sia a livello di visione di società.
Il tutto a dimensione sia europea, sia nazionale: tenuto conto del determinarsi delle condizioni di arresto della cosiddetta “globalizzazione”, sia del contrasto che emerge nel processo di cessione di sovranità dello “Stato – Nazione” che sicuramente si è decelerato rispetto alle previsioni che si erano sviluppate tempo addietro.
Scritto questo, soltanto come schema, e ricordando la difficoltà che stanno incontrando in Italia le prospettive stesse di costruzione di adeguate soggettività politiche, sia nell’ambito di quella che è stata la tradizione della sinistra italiana, sia nello spazio di nuove soggettività di stampo diciamo così “movimentista” arrivo al punto.
Emerge, tra questi potenziali soggetti presenti nella sinistra italiana (alcuni “in fieri”, altri che si direbbero “al tramonto” ma che intendono resistere) una faglia, anche questa antica e fondata sulla questione del “governo”.
Frattura che si colloca tra ciò che rimane dell’Internazionale socialista dopo lo snaturamento subito con l’accostamento del PD (area che potrebbe essere rilanciata dalle esperienze di governo in Spagna e Portogallo), la Sinistra Europea che fa capo al governo greco di Tsipras e l’area del cosiddetto “documento di Lisbona” firmato da Jean-Luc Mélenchon (France Insoumise), Pablo Iglesias (Podemos) e Catarina Martins (Bloco de Esquerda) e che si propone una “rivoluzione democratica in Europa”.
Senza voler dimostrare alcuna vocazione forzatamente unitaria, anzi rendendosi ben conto delle diversità e delle differenze, dovrebbe però essere possibile realizzare – almeno – un confronto di merito fra i rappresentanti dei soggetti interessati, in Italia, a questi progetti per poi tentare di proiettare un’eventuale proposta comune a livello europeo.
Svolgo come esempio un richiamo a ciò che era accaduto in previsione delle ultime elezioni politiche in Italia con la vicenda del cosiddetto “Brancaccio”, dal quale sortirono però divisioni esiziali dalle quali sortirono comunque tentativi coraggiosi (sia pure non premiati dall’elettorato) come quello di “Potere al Popolo”.
Divisioni che hanno pesato tantissimo sull’esito elettorale del 4 marzo scorso ma che possono essere superate innovando finalmente il bagaglio culturale e politico di ciascuno e soprattutto eliminando retaggi del passato che si sono dimostrati vere e proprie zavorre (l’idea di ricostituzione del centro sinistra “in primis”).
Intendendoci bene sotto quest’aspetto: si tratta di aver ben presente la parzialità di ciascun possibile interlocutore.
Serve un mix ben elaborato di iniziativa dal basso e di proposta da parte dei soggetti organizzati già in campo con l’obiettivo di realizzare una sintesi (non un cartello elettorale) posta sul piano progettuale sia al riguardo dell’alternativa europea, dell’opposizione al feroce governo delle contraddizioni sociali in atto, della costruzione di una soggettività politica adeguata in grado di disporre della sufficiente massa critica utile per affrontare il dato umiliante di un eccesso di frammentazione di cui stiamo soffrendo ormai da tempo.
Prima di tutto quindi servirebbe realizzare un incontro puntando all’elaborazione di un progetto e non semplicemente di un rassemblement (quello c’è già a destra).
mercoledì 8 agosto 2018
martedì 7 agosto 2018
lunedì 6 agosto 2018
domenica 5 agosto 2018
Franco Astengo: Lavoro
LAVORO: UN ALTRO CAPOLAVORO DEL JOB ACT di Franco Astengo
L'Espresso di oggi fornisce i dati sulle ispezioni nelle aziende per il 2017 segnalando il gran numero di irregolarità e le pochissime ispezioni eseguite.
Vigilanza contratti ( controlli dei Ministero)
Aziende ispezionate 122.240
Irregolari 73. 152
Lavoratori irregolari 88.484
Lavoratori in nero 38.775
Vigilanza previdenziale ( controlli dell'INPS)
Aziende ispezionate 24.291
Irregolari 15.458
Lavoratori irregolari 114.043
Lavoratori in nero 5.328
L'articolo precisa che il problema è quello del crollo delle ispezioni perchè non ha funzionato la riunificazione degli Ispettori di INPS, INAIL e Ministero del Lavoro che è rimasto sulla carta. Gli ispettori di INPS e INAIL infatti hanno ritenuto più conveniente non passare al Ministero e sono rientrati ai loro Enti con altri incarichi.
Così tra il 2012 e il 2017 il numero delle ispezioni è crollato da 244.000 a 122.000 non superando il 2% delle aziende italiane.
Si sono così persi per strada Seicento milioni di euro solo nella lotta all’evasione dei contributi. A conti fatti, finora, è questo il risultato che salta più all’occhio dopo la costituzione della nuova Agenzia per le ispezioni sul lavoro, un altro capolavoro del Job Act.
Conseguenza del Job Act: non solo aumento della precarietà ma anche intensificazione dello sfruttamento, aumento del lavoro nero, smantellamento delle strutture di controllo.
Naturalmente il cosiddetto “Decreto Dignità” non prende in considerazione questi elementi: le cose serie, purtroppo, non fanno pubblicità, tweet, vacanze a Milano Marittima.
sabato 4 agosto 2018
Franco D'Alfonso: 60 giorni di governo del nulla
60 giorni di governo del nulla cominciano ad essere qualificabili anche come di governo del danno.
AZIONE DI GOVERNO Il bilancio “intermedio” fatto da Di Maio in prima persona al Corriere della Sera è questo : “In 45 giorni abbiamo tagliato i vitalizi, rottamato l’Air Force Renzi, approntato il dl Dignità, messo mano ai centri per l’impiego” .
Oggettivamente pochino, e nemmeno tutto vero : l’intervento sui vitalizi è stato fatto solo alla Camera attraverso una norma regolamentare, motivo per il quale i “risparmi” di 40 milioni di euro non sono tali perché congelati in un fondo di garanzia per i ricorsi che, nella quasi certezza di vittoria, porteranno alla restituzione delle somme tagliate in maniera pasticciata ed incostituzionale agli aventi diritto ; l’aereo di Stato venduto da Eithad resta all’aviazione civile, quello che si è “tagliato” è la revisione degli arredi ( la “doccia” di Renzi…) ed il contratto di manutenzione decennale per un totale teorico di 108 milioni di euro, ragione per la quale o l’aereo viene rivenduto perdendo qualche decina di milioni di euro ( perché lo si debba fare resta un mistero) oppure occorrerà fare un contratto di manutenzione con qualcun altro, dal costo analogo perchè le cifre per questi aerei sono di 10-15 milioni di euro ad intervento ; il ddl Dignità “approntato” è stato stravolto prima ancora di entrare in aula e, come si disse al bilancio dei 30 giorni, era poco e male assortito.
A fronte di un bilancio pubblico superiore ai 2 mila miliardi , tutti questi “storici” interventi cubano al massimo 100 milioni, non miliardi, di euro : il governo Conte ( ah, già : il premier si chiama così..) sta effettivamente “facendo la storia”, per inconcludenza ed incompetenza mai vista prima di oggi, nemmeno con i primi governi Berlusconi..
ATTIVITA’ PARLAMENTARE La verità è che le parole di Di Maio certificano che l’unica riforma introdotta con il 4 marzo è quella che Grillo e Casaleggio cominciano a teorizzare esplicitamente, vale a dire la fine della democrazia parlamentare come l’abbiamo conosciuta, nel bene e nel male, finora : l’unico Parlamento meno attivo di questo nella storia d’Italia è stato quello eletto il 6 aprile 1924, votato con la famosa legge Acerbo, antecedente del “Porcellum” e del “Rosatellum” . Non solo nessuna legge, ma nemmeno alcuna discussione parlamentare, commissione di lavoro, nulla. In compenso tutte le caselle dei cosiddetti “portaborse” sono state coperte nel giro di una settimana, con un sistema di incroci fra parentele e conoscenze di collegio di chiaro stampo clientelare messo in opera soprattutto dai due partiti di governo con precisione ed efficienza straordinaria.
Il decreto Milleproroghe, da anni il mezzo utilizzato da tutti i governi per sistemare mance e disfunzioni di fine anno, è stato varato a luglio e come più significativa norma inserita c’è stata la inutile, gratuita e pericolosa concessione ai “no vax” di un anno di proroga per l’interdizione d’accesso alle scuole per i bambini non vaccinati.
MIGRANTI Due mesi di “emergenza” e criminalizzazione delle Ong sono troppi anche per Salvini, da qualche giorno non riesce più a spacciare per invasione l’arrivo ridotto dei migranti in Sicilia, attestati ormai a meno di un quinto di quelli dello scorso anno dall’inizio del 2018 ( il sovranismo al governo quindi non c’entra nulla ). I media , massimi responsabili della nascita e sviluppo del fenomeno “sovranista” con anni di ospitate e rilanci di notizie marginali in prima pagina, sembrano non essere più così corrivi e l’ Ue si è palesemente stufata di rispondere con dati alle fanfaronate , dovendosi occupare di problemi seri Gli effetti collaterali della campagna d’odio però si vedono : mai si erano verificate più di venticinque gravissime aggressioni razziste in un mese, con un morto, una bambina di otto anni paralizzata ed una quindicina di feriti.
PROPAGANDA AL GOVERNO Si sta tentando, con una certa difficoltà per la verità, di innestare una nuova campagna totalmente immotivata, quella sulla “emergenza legittima difesa” . Il “diritto a sparare a casa propria” stenta però ad essere un tema rilevante per la mancanza del contendere : a parte una piccola parte della “lobby delle armi”, gli esaltati stile Casa Pound o turboleghisti peraltro già impegnati nella “caccia agli immigrati”, nessuno pensa seriamente ad un riarmo di massa effettivo e non parolaio. Ma il numero di “brava gente” che non sa nemmeno cosa sia un’arma da fuoco ma inneggia all’uso della stessa contro “ ladri, rom, stranieri” ( curiosamente omesso sempre il riferimento, che so, ai violentatori bresciani o al “branco” all’opera sui litorali laziali..) è in pericoloso aumento.
L’avvelenamento del clima di convivenza civile continua inesorabilmente.
L’OMBRA DI GOVERNO SULLE QUESTIONI VERE L’ombra di premier Conte ci fa sapere che il dossier Tav non è sul tavolo di Governo, immagino per rassicurarci : peccato che l’offensiva tardogrillina , furbescamente affidata alle parole e non agli atti, sta ottenendo comunque l’effetto di ritardare, mettere in discussione, in una parola farci per l’ennesima volta fare la figura degli inaffidabili a tutti i livelli. Una opera da 26 miliardi, di cui 3 miliardi già spesi ed 8 in attesa di gara, un effetto sul Pil di almeno un punto all’anno per dieci anni, viene trattata con cialtronesco dilettantismo ostentato
Il caravanserraglio riaperto su Ilva Taranto è al di là del commentabile. La salute ed il lavoro di una intera città, l’unico presidio di industria pesante rimasto in Italia, investimenti e bandi per 10 miliardi di euro ( veri, non virtuali) sono in mano al ministro incompetente, che non ha mai lavorato in vita sua, che usa furbescamente la vanità dell’Anac di Cantone per provare a far annullare ad altri il bando di gara ( lo stesso Cantone gli ha fatto sapere a stretto giro di posta di non pensarci nemmeno e di prendersi le sue responsabilità) e, non essendoci riuscito, la ributta in procedure, tavoli, consultazioni con gli amichetti del quartierino .
Se aggiungiamo la mancata richiesta di incontro immediato alla Fca orfana di Marchionne, il lasciare sola Fincantieri ( anzi, delegittimandone i vertici parlando delle nomine del prossimo autunno) a trattare sui cantieri Stx con il ministro di Macron nel momento decisivo e la totale assenza dai tavoli internazionali sul commercio e industria, il disinteresse , chiamiamolo così, per la politica industriale di questo Governo non può essere più messo in dubbio. Con quali conseguenze per tutti noi, non è difficile immaginare.
Come nel peggiore sistema andreottiano, la parola chiave sono “rinvio” e “sanatorie” : così per i maestri non laureati immessi a ruolo attraverso un “concorso non selettivo” ( cioè una sanatoria generalizzata come non si vedevano più dai tempi dei governi Berlusconi) si rinviano le leggi sullle intercettazioni, sui diritti in carcere, perfino sul tribunale penale di Bari perché non si sa cosa fare di diverso rispetto a leggi e diritti che in campagna elettorale sono state demonizzate e utilizzate come drappo rosso per aizzare la parte più “militante” del populismo esistente.
La regola del non decidere porterà l’Italia a ripetere la figuraccia fatta con Roma e la Raggi con le Olimpiadi invernali di “uno, nessuno e centomila “ , dalle quali gli unici che avevano chance di avviarne il realizzo, il sindaco Sala ed il Comune di Milano, si sono dovuti sfilare di corsa per non essere urteriormente coinvolti.
POLITICA EUROPEA In questo breve periodo è iniziata la guerra dei dazi dichiarata da Trump, la Brexit è al punto decisivo e l’invadenza manifesta di Putin si sta spostando sul piano economico e commerciale . Sono tutti dossier sui quali il nostro Governo non ha detto beh, con l’esclusione del ministro dell’Interno e di tutto quel che capita, palesemente schierato con tutti i nemici della Ue su tutto e tutti .
Altri tre mesi così e tutta l’opera della generazione politica e civile del Dopoguerra italiano, artefice del più spettacolare “balzo in avanti” di uno Stato europeo dai tempi della Germania di Bismarck, sarà gettata alle ortiche e dovremo tentare di mantenere un ruolo in una sorta di “serie B” dell’Europa del Sud per non farci tornare ai tempi dell’Italietta …
ECONOMIA Sul governo dell’economia finora, dovrei dire per fortuna, solo parole in libertà. Appare chiaro che fra la “corrente” dei continuisti Tria e Moavero, i tardoassistenzialisti alla Di Maio e gli apprendisti liberisti nel tempo libero della campagna elettorale permanente della Lega Nord è fissato un appuntamento difficilmente eludibile per settembre con la legge di stabilità. Gli effetti di questo possibile scontro saranno certamente oggetto della nota di valutazione sui 90 giorni di governo gialloverde.
LA GRANDE BOUFFE fatto che sulle grandi opere potrebbe aprirsi un contenzioso politico fra i due partiti al Governo è un’ipotesi a mio avviso labile : la spregiudicatezza e l’assenza di qualsiasi convinzione politica di base farà sì che gli interessi di potere faranno premio su questioni politiche ridotte a quisquilie con un tweet.
Quello che conta, come si diceva sin dalla nascita del governo, sono le nomine, i posti, la creazione di una nuova rete di potere che sostituisca quella di Pd e Forza Italia sconfitti e fuori dal Governo : Rai, Fs, Cassa depositi, Anas, molto presto Eni, Enel . Fino a quando non sarà completata, questo Governo starà in piedi, probabilmente senza fare nulla o quasi di concreto, ma moltiplicando le roboanti dichiarazioni e le esternazioni ad uso di un facile consenso elettorale.
Il conte di Conte però lo pagheremo presto e sarà salato, molto salato. Quando avremo visto “cosa sanno fare questi al Governo” sarà tardi. Questo governo è pericoloso.
venerdì 3 agosto 2018
Franco Astengo: Intelligenza ed etica
INTELLIGENZA ED ETICA di Franco Astengo
“..Prima d’ora, il progresso tecnologico che più di ogni altro aveva cambiato il corso della storia umana era stata l’invenzione della tecnica tipografica nel XV secolo, grazie alla quale la ricerca della conoscenza con mezzi empirici aveva soppiantato la dottrina liturgica, e l’età della ragione aveva gradualmente preso il posto dell’età della religione. L’età della ragione ha prodotto i pensieri e le azioni che hanno plasmato l’ordine del mondo contemporaneo.
Ma adesso stiamo assistendo a uno sconvolgimento di quell’ordine, per mezzo dell’avvento di una nuova e ancor più travolgente rivoluzione tecnologica, una rivoluzione di cui non abbiamo valutato le conseguenze, e il cui apice potrebbe consistere in un mondo dipendente da macchine azionate da dati e algoritmi, senza alcuna norma etica o filosofica a guidarle..”
Così scrive in questi giorni Henry Kissinger (95 anni) in un articolo molto ampio del quale si è qui riportato soltanto un significativo stralcio e apparso sull’inserto culturale di Repubblica “Robinson” domenica 22 luglio.
L’ex capo della politica estera americana ai tempi della presidenza Nixon si pone così un interrogativo di fondo : Chi fermerà lo strapotere delle macchine? No, non lasciatevi incantare dai successi della Silicon Valley, qui sono in gioco i destini del mondo”.
Intanto in Africa, per assicurarsi i minerali utili per alimentare questa tecnologia nascono nuove guerre ( non a caso si scrive di “minerali da conflitto”) e si alimentano nuovi terribili schiavismi.
Torniamo al punto riguardante l’inoltrarsi dello sviluppo tecnologico: per la prima volta vengono messe in discussione idee, criteri, norme ritenute e lungo incrollabili.
Cadono barriere millenarie : gli algoritmi potrebbero dominare la vita dei singoli affermando definitivamente la riduzione della politica a bio politica.
L'insieme delle norme e delle pratiche per regolare la vita biologica degli individui nelle sue diverse fasi e nei suoi molteplici ambiti verrebbe stabilito dalle macchine esulando dalla volontà collettiva esprimibile nelle forme che abbiamo imparato a conoscere dalla storia.
Storia che risulterebbe completamente cancellata dall’orizzonte delle conoscenze umane (fenomeni di questo genere se ne vedono già presenti nell’attualità, anche in situazioni ravvicinate alla nostra realtà).
Risulterebbe tagliato fuori definitivamente ciò che era considerato risultato di necessità naturale, o di volontà divina, o di oggetto di scelta.
Ben oltre a “1984” un regime assoluto tenuto dai pochi in grado di manovrare il flusso delle informazioni che determinano i risultati degli algoritmi potranno orientare la vita delle persone per mantenere un potere ormai da considerare di carattere assoluto ed eterno?
E’ questa la prima risposta da fornire da parte di coloro che detengono, in questo momento, le leve del potere politico, economico, tecnologico.
Una risposta che non pare provenire forse per una carenza di fondo sul piano dell’elaborazione teorica, della ricostruzione di una filosofia “umana” o non semplicemente espressa per servire la tecnologia.
E’ questa la nuova “contraddizione principale” verso la quale siamo chiamati a confrontarci?
Intanto il livello delle disuguaglianze e dello sfruttamento cresce, si registrano fratture sempre più violente nel corpo sociale in tutte le dimensioni e la risposta sempre essere quella di un neo – trinceramento identitario nell’idea di costruire fortezze in grado di tenere lontano il contagio.
C’è chi propone la formazione di “commissioni nazionali” di scienziati per cominciare ad affrontare la questione (naturalmente con l’obiettivo di mantenere comunque il potere delle distanze sociali acquisite e da accrescere).
Che cosa succede, invece, dalle nostre parti: di chi lotta per contenere (almeno) la sopraffazione di classe che sempre più si allarga sull’insieme degli ambiti della vita sociale?
Quale neosocialismo, quale governo dell’etica nel tempo in cui il dominio sembra esercitato soltanto dai nuovi signori delle macchine?
Purtroppo soltanto interrogativi, per ora nulla di più sembra possibile esprimere.
Epifani: «Di Maio contro il Jobs Act solo a parole, sull’articolo 18 ha taciuto» - Diritti GlobaliDiritti Globali | il sito di SocietàINformazione Onlus e del Rapporto sui diritti globali
giovedì 2 agosto 2018
mercoledì 1 agosto 2018
Franco Astengo: Odio come categoria poltica
ODIO COME CATEGORIA POLITICA di Franco Astengo.
Odio:Molti ne discutono e denunciano ma non pare che si stia cercando di realizzare una qualche analisi che sul piano politico risulterebbe necessaria.
Si tratta di questo:
L’Odio è stato trasformato da sentimento che sospende la categoria dell’etica a strumento politico usato per mistificare il passaggio verso l’autoritarismo personale inteso come elemento decisivo per superare la crisi della democrazia liberale.
E’ questa la vera novità che emerge dal confuso panorama che si presenta guardando al sistema politico italiano: un vero e proprio punto di svolta rivolto verso il compiuto imbarbarimento nei rapporti sociali e politici.
Le democrazie occidentali, e in particolare quella italiana, si trovano ad affrontare alcuni punti di crisi molto acuti:
1) Crisi di legittimità, dalla quale deriva una difficoltà di accettazione delle regole del gioco costituzionale;
2) Crisi di partecipazione per la difficoltà di “entrata nella politica” e d’integrazione nell’ordine costituzionale da parte di strati sociali che sembrano preferire l’abbandonarsi senza discernimento alle promesse elettorali e potrebbero presto scivolare nell’idea dell’affidarsi al cosiddetto “uomo forte” e a un regime sostanzialmente autoritario (già si teorizza di “democrazia autoritaria” sul modello delle grandi potenze che sembrano proprio indicare questa strada comune a USA; Russia, Cina, Turchia e forse già domani Brasile). Nel sistema politico italiano tentativi in questa direzione se ne erano già verificati, da Berlusconi a Renzi, ma adesso la questione sta facendosi sempre più acuta;
3) Crisi di distribuzione, con la difficoltà a individuare strumenti coerenti di democrazia economica.
All’interno di questo quadro si sta verificando una crisi del sistema che appare insieme della struttura e della sovrastruttura: una situazione del tutto inedita, almeno nella storia repubblicana.
Così si è trovato chi ha pensato di riesumare l’antico dilemma di Rousseau (precedente di due secoli la cosiddetta “democrazia del web”): far decidere tutti o far decidere in pochi? Il tema cioè della cosiddetta “democrazia diretta”.
“Democrazia diretta” che – appunto – seminando odio si sta cercando di trasformare in dominio del virtuale.
Sul dominio del virtuale s’intende poggiare una nuova autocrazia, con un salto all’indietro nella storia negando così il tratto positivista dello storicismo.
Il grande bersaglio di questo “dominio virtuale” appare essere rappresentato dalle forme date della mediazione politica: le forme assunte nel passaggio dal notabilato alle espressioni della democrazia di massa.
Non è un caso che da qualche tempo si sono intensificate le discussioni intorno al tema del ruolo del Parlamento e dei Partiti.
Da alcune parti il Parlamento è stato indicato come un’istituzione in via di estinzione e se ne propugna, nella fase di transizione, una composizione per sorteggio (azzardando impropri paragoni con la democrazia ateniese).
Un’argomentazione, questa del Parlamento in via di estinzione, che sembra fare presa al punto che per confutarla Nadia Urbinati, dalle colonne di Repubblica, ha provveduto a elaborare alcune distinzioni di merito ricordando, come tra l’altro, sia necessario distinguere tra consessi destinati a redigere le leggi e consessi destinati a giudicare e facendo notare che, nel secondo caso, il sistema del sorteggio è stato mantenuto risultando ancora presente nel nostro ordinamento, come nel caso dei giudici popolari in corte d’assise e in corte d’appello.
Il dibattito sul ruolo del Parlamento trascina con sé naturalmente quello sui partiti e – più in generale – quello sulla democrazia: c’è, infatti, chi pensa a una democrazia (e di conseguenza a una rappresentanza parlamentare) limitata al solo ruolo di controllo della tecnica, con le Camere poste sostanzialmente in una funzione da giustizia amministrativa (il ritorno all’antico Parlamento di Parigi in tempo di monarchia assoluta?).
Esprimendo la convinzione dell’insostituibilità del Parlamento quale sede ed espressione della rappresentanza politica e di conseguenza del relativo ruolo dei partiti pare il caso di entrare nel merito di una visione della crisi del sistema politico.
Un sistema politico “alimentato” da domande e richieste di servizi che esso cerca di soddisfare in uscita, fornendo alla collettività i servizi che riesce a fornire.
Ma di tanto in tanto il sistema politico è scosso da crisi, vale a dire è chiamato a “processare” carichi nuovi che non appartengono alla routine dei suoi normali processi digestivi.
E’ il caso del cosiddetto “eccesso di domanda” esploso con la società dei consumi e la modifica dell’assetto sociale sulla base dell’individualismo consumistico e corporativo.
Una situazione che si è cercato di risolvere attraverso il “taglio dell’eccesso di domanda” e la separatezza tra sistema politico e richiesta sociale, come si era tentato di fare in Italia attraverso il sistema elettorale maggioritario, le riforme costituzionali, l’adesione al trattato di Maastricht.
L’esito di queste operazioni è stato però quello dell’accavallarsi della crisi e del congestionamento del sistema.
Il sistema politico si è quindi trovato, da qualche anno, in una paralisi di sovraccarico.
Una situazione definibile di mancanza di “sequenza”.
Siamo, infatti, di fronte ad una crisi dovuta all’incapacità della classe politica di recepire le richieste della società civile e di porle in ordine di priorità, esattamente “in sequenza”.
E’ capitato nella gestione del governo da parte del PD tra il 2013 e il 2018, con il tentativo, già segnalato, di risolvere il tutto spostando il baricentro del sistema dal Parlamento al Governo attraverso le riforme costituzionali, poi bocciate dall’elettorato.
Capita adesso al governo Lega – M5S che, fatta la voce grossa su alcune apparenti emergenze che ci si propone di affrontare si pensa di risolverle seminando odio e divisione sociale.
L’operazione “divisione sociale” si è inverata attraverso l’espressione di una vera e propria “fame di potere”, cercando di occultare la necessità di scalare la montagna dell’ordinare “in sequenza” l’agenda politica.
Un’operazione quella del riordino della sequenza di grandissima difficoltà allorquando si tratta di conciliare –ad esempio - “flat tax” e “reddito di cittadinanza”: grandissima difficoltà derivante non tanto dai vincoli di bilancio (che pure pesano) ma dall’antitesi che le due proposte presentano tra di loro come riferimenti sociali, esigenze di accumulo di risorse e financo per opposte destinazioni territoriali.
Il governo Lega – M5S usando la categoria dell’odio copre l’incapacità di elaborare una successione storica “distanziata” in modo tale che un certo carico, o una certa crisi, venga superata prima che se ne apra un’altra.
Naturalmente è necessario che questa “distanziazione” avvenga per opera di soggetti in grado di definire la “differenza di sequenza” individuando un ordine “ottimale” di successione, secondo cui certe crisi conviene siano affrontate prima di altre.
A suo tempo una risposta arrivò elaborando la teoria del passaggio dalle élite ai partiti della mobilitazione sociale (passaggio verificatosi almeno in Occidente): le decisioni siano adottate attraverso il meccanismo politico, partiti e sistemi di partiti.
In questo modo si realizzarono due risultati stabili, almeno per un certo periodo: l’allargamento lineare della cerchia degli influenti e l’oscillazione ciclica nell’orientamento delle decisioni, disponendo del fatto che i partiti della mobilitazione sociale usavano della rappresentanza politica nel senso di ricercare riferimenti diversi e antagonisti.
L’aver abbandonato questa strada ci ha condotto alla situazione attuale, di grave rischio e di potenziale ritorno all’indietro, verso situazioni che l’Italia e l’Europa hanno già vissuto nei primi quarant’anni del secolo scorso.
Ci si è imposto di seguire la “modernità della tecnologia” il “decisionismo” e la “governabilità”.
Si è rinunciato, di fatto, all’abbinamento valori – interessi nel senso della concezione del mondo o più limitatamente della concezione di società.
Si è consentito come si è già ripetuto più volte, l’utilizzo del sentimento dell’odio come categoria politica.
Un utilizzo oggi dispiegato a piene mani rivolgendosi sempre “contro” che ci ha condotto alla situazione attuale, di grave rischio e di potenziale ritorno all’indietro, verso situazioni che l’Italia e l’Europa hanno già vissuto nei primi quarant’anni del secolo scorso.
La responsabilità maggiore di questo stato di cose è però da assegnare non tanto ai fomentatori dell’oggi ma a chi, nel recente passato, si è arreso all’idea della necessaria sudditanza della politica all’economia e alla tecnica facendo del governo il solo “totem” possibile e abbandonando la necessità della distinzione ideologica intesa quale fattore di costruzione della rappresentanza sociale per abbracciare una presunta “fine delle ideologie” che altro non voleva significare che “pensiero unico” come custode dell’assurdità di una “semplificazione sociale”.
Adesso tocca a noi riflettere sulla necessità di un’immediata inversione di tendenza nell’opporsi alla mostruosità che è stata costruita e che alcuni stanno sfruttando pericolosamente: non sarà facile anche perché bisognerà uscire da quegli schemi prefissati seguendo i quali si è arrivati nella situazione di oggi
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