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mercoledì 19 aprile 2017
Paolo Bagnoli: 25 aprile
Da Critica liberale
25 aprile
paolo bagnoli
Tra qualche giorno sarà nuovamente 25 aprile a ricordare che sono passati ben 72
anni dalla Liberazione. Inutile dire che si tratta di una ricorrenza importante. In ciò che si
condensa in questo giorno, infatti, sta l’Italia democratica e repubblicana. La ricorrenza,
tuttavia, non in tutte le stagioni politiche è stata vissuta nella stessa maniera e, anno dopo
anno, si è cercato di farle assumere significati politici diversi. Nell’era berlusconiana –
quella coi neofascisti trasformati in aennini al governo del Paese – si è cercato,
addirittura, di liquidarla. Anzi, è successo di più poiché si è tentato, chiedendo il controllo
dei libri di scuola, di avviare un percorso per revisionare la verità storica della Repubblica e
delle sue fondamenta. Erano i tempi nei quali, anche dal versante antifascista, si
avanzavano autorevoli aperture di credito ai saloini; nei quali Sandro Bondi, allora braccio
destro di Berlusconi, parlava della Resistenza come dei “rossi”, adoprando lo stesso
linguaggio usato dal fascista Francisco Franco per definire i difensori della Repubblica
spagnola contro la quale era insorto. Erano gli anni nei quali l’allora cavaliere, presidente
del consiglio, veniva meno ai propri doveri istituzionali rifiutandosi di partecipare alle
cerimonie che ogni anno si tengono a ricordo dell’avvenimento. Erano gli anni della morte
della patria. Erano gli anni nei quali storici ritenuti autorevoli esaltavano la loro vecchia
milizia nelle brigate nere equiparando le truppe alleati a invasori .Era una povera Italia.
Era un’Italia sbandata, travolta dal post - Tangentopoli e dalla perdita di senso della
propria storia. Sul ripristino della verità Carlo Azeglio Ciampi ha giocato un impegno
centrale della sua Presidenza; un qualcosa al quale tutta la democrazia italiana deve
riconoscenza poiché il lavoro di Ciampi ha ridato senso civile alla nostra cittadinanza
repubblicana.
La ricorrenza del 25 aprile è sempre stata una specie di termometro della condizione
del Paese. Cosa testimonierà quest’anno dopo che, il 4 dicembre scorso, è stato battuto con
largo consenso, il disegno di sradicare la Repubblica dalle proprie radici, da quelle in cui
affonda la Costituzione che disegna valori e regole della nostra democrazia così come la
storia ce l’ha consegnata? Prima ancora della lettera la bocciatura del disegno di revisione
costituzionale ha salvato l’animus dell’Italia nata dal 25 aprile. La ricorrenza servirà a
064
17 aprile 2017
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leggere lo stato di salute dell’ antifascismo, non di quello retorico e di maniera - riteniamo,
neppure di quello storico - poiché a entrambi i profili sarà sicuramente riservata buona
attenzione, ma di quello politico. Vale a dire se esso viva, e come, nel modo di essere della
nostra democrazia di cui è il dato storico e valoriale che le dà significato; quando questo si
smarrisce la Repubblica sbanda. L’antifascismo è una legge non scritta; la sua cultura è
affidata alla Costituzione. Non a caso adopriamo la parole senza trattino poiché il termine
ha una pregnanza positiva che riguarda la sostanza del vivere civile. Con il 25 aprile 1945 si
compie l’anti-fascismo inteso quale lotta per contrastare e sconfiggere il fascismo e nasce
l’antifascismo quale base valoriale della nostra comunità repubblicana. Da negativo il
motivo diviene positivo e mentre il primo è consegnato alla storia, il secondo lo è alla
politica democratica. Non si tratta di filologia storica, bensì di questioni vitali della nostra
Repubblica, tanto più quando la decoazione della politica genera pulsioni autoritative di
chiara cifra antidemocratica.
Registriamo come questi temi, se si eccettua la positiva presidenza di Ciampi, siano
praticamente scomparsi dalla pedagogia civile del Paese. Nell’era felix del berlusconismo
un dirigente di primo piano del partito di Fini ebbe a dire che parlare di antifascismo non
aveva più senso dal momento che non c’era più il fascismo. Ne conseguiva che, sparito il
fascismo, lo era pure il suo contrario. La tesi è assurda e colma di ignoranza, ma temiamo
che essa sottotraccia sia in buona salute considerata la tendenza sempre più crescente che
si registra sulla memoria della nostra storia nazionale. Le responsabilità di ciò sono
molteplici e la primaria va sicuramente addebitata al nostro sistema educativo pubblico;
alla scuola che, al di là di tutti i problemi di gestione amministrativa che comporta, è
oramai tutta tesa a conquistare una dimensione esclusivamente aziendalista. La scuola
sembra aver perso il proprio compito principale: dare ai giovani italiani il senso della storia
del loro Paese e della loro cittadinanza quale comunità democratica. Ciò non confligge con
obiettivi di seria preparazione culturale e di cognizione professionale.
Il tempo della retorica resistenziale è, se pur con un po’ troppo ritardo, finito;
quello della Resistenza e del suo significato storico-politico no. Uno dei punti fermi che
dovrebbe fare da riferimento in queste aspre stagioni del nostro vivere civile, purtroppo,
non sembra essere quello che dovrebbe essere; ossia, un dato saldo e certo per reimpostare
il duro lavoro di ricostruzione della democrazia politica in Italia.
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