Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
mercoledì 18 gennaio 2017
Paolo Bagnoli: Sono morti e non lo sanno
sono morti e non lo sanno
paolo bagnoli
da critica liberale
Èproprio vero che i detti popolari sono dei luoghi comuni e, politicamente, ”anno
nuovo” non equivale a vita nuova; è solo un prolungamento di quello precedente. Il lancio
fatto da Renzi sulla legge elettorale è stata solo l’ennesima guasconata dell’ex presidente
nel consiglio poiché prima della sentenza della Consulta è chiaro che ogni proposta valesse
una corsa sul posto. L’attesa, infatti, è ragionevolmente ansiosa perché ogni parte in campo
non nasconde l’interesse a piegarla secondo le proprie particolari convenienze come se lo
Stato democratico non esistesse. La motivazione, che anche molti politologici non
nascondono, è che occorre tener conto che oramai l’Italia è tripolare e, quindi, a secondo di
come si consideri il problema, si propongono soluzioni affinché la nuova legge preveda
l’esclusione di chi non si gradisce. E meno male che la politologia è scienza della politica.
Talora, pur con tutto il rispetto, ci sembra più una disciplina da venditori di almanacchi!
Leopardi naturalmente, perdonerà!
L’anno vecchio, tuttavia, qualcosa su cui riflettere lo ha lasciato. Vale a dire, quanto
fermenta nel partito democratico come se il voto referendario avesse aperto gli occhi sia a
qualcuno degli addetti ai lavori sia a cittadini comuni, anche se Renzi dopo
l’inammissibilità del referendum riguardante l’articolo 18 tende a far capire di aver
pareggiato i conti con il Paese come se il voto popolare valesse il parere della Consulta. Il
tutto sta nell’ansia di voler votare il prima possibile; prima che, al di là dei fallimenti
accertati, la stella del renzismo sfumi nel fondo dell’orizzonte politico italiano. La stessa
recente intervista dell’ex-premier a Enzo Mauro, annunciata come un manifesto del
rientro, non è stata altro che un frullio di vecchi motivi e le espressioni di pentimento per
gli atteggiamenti tenuti non solo non appaiono convincenti, ma mere formalità che non
celano un falso pentimento; a noi è parso lo scalpiccio rabbioso di chi ha, come unica
preoccupazione, il prendersi una rivincita. La verità è che la sconfitta cui Renzi ha portato
il suo partito e il suo governo continuerà a pesare come un macigno praticamente
inalleggeribile. Il Pd, avendo puntato tutto sulla vittoria al referendum e avendo perso, non
ha uno straccio di linea politica; bensì solo frasi fatte e anche deboli di senso politico come
quelle rilasciate dal viceministro Enrico Morando che continua a definire la riforma
058
16 gennaio 2017
9
costituzionale come «la madre di tutte le riforme» dicendosi convinto che dopo «il NO
abbiamo un Paese certamente più debole».
Da tempo sosteniamo – in assoluta solitudine – che il primo problema del Pd
risiede nella sua impossibilità ad essere “partito”; ora, le prime ammissioni in tal senso,
cominciano a fare capolino sia per l’esito del voto sia perché, anche se non si capisce bene
quando, ci sarà un congresso la cui fisionomia ha del leopardiano: vale a dire, “vaga e
indefinita”.
In sul finire del 2016 Gianni Cuperlo ha dichiarato alla stampa in relazione al rinvio
dell’assise: «Un congresso non si fa quando dieci persone decidono che sono pronte loro.
Questo è un Pd senz’anima, se non va a congresso è un partito morto». A leggerle viene un
brivido; si ha l’impressione che l’ex presidente del partito, quindi un dirigente di primo
piano, sia fino ad oggi vissuto in un altro “luogo”. Comunque l’analisi che fa delle
condizioni del partito di Renzi sono precise e da esse, se non sbagliamo, pare emergere
anche una esistenziale amarezza per come è finita la storia dei comunisti italiani. L’ultimo
triste fallimento de “l’Unità” ne sembra l’ennesima conferma. Il problema è che, una volta,
essi assolvevano i propri errori, o quanto il Pci riteneva fosse sbagliato, con la pratica
dell’autocritica: strumento oggi non più utilizzabile.
Pur tuttavia Giorgio Napolitano, inaugurando la sua nuova attività di commentatore
su “La Stampa”, a dimostrazione che il lupo perde il pelo, ma non il vizio, vi è parzialmente
ricorso prendendo, con tono sapienziale, le distanze da Renzi e dalla sua politica che,
peraltro, egli aveva richiesto e incoraggiato fino all’ultimo. Napolitano, come se atterrasse
ora da un altro pianeta, ha denunciato, «una perdita di consapevolezza storica»
puntualizzando: «Il caso italiano ci dice che si perde in chiarezza e consensi se ci si pone,
nel guidare la sinistra, in discontinuità con il lungo processo di maturazione da cui è
scaturita una coerente sinistra di governo, parte integrante di una più ampia alleanza di
centro-sinistra e riformista». Una mezza autocritica che, per voler essere realista, si
inventa una realtà fittizia. Infatti è vero quanto in merito alla consapevolezza storica, ma
questa è dovuta solo ai comunisti italiani e la maturazione di cui parla per giustificare il Pd
palesa come l’ennesima trasformazione del comunismo in un’alleanza con i democristiani
facesse pensare ai primi di far pesare la loro egemonia, mentre invece ha segnato un totale
fallimento, la cancellazione della categoria della sinistra e l’avallo a un falso centro-sinistra
che ha fatto solo politiche di destra.
058
16 gennaio 2017
10
In generale la pratica dell’autocritica è stata sostituita da una tamburante lamentela
sul fatto che un partito di sinistra, quale ritengono sia il Pd, dovrebbe avere un
comportamento consono all’essere, appunto, di sinistra; ossia, a ciò che invece non è per
chimica genetica e intenzione politica. Se lo fosse in qualche modo stato il fenomeno Renzi
non ci sarebbe stato, ma esso è stato possibile proprio perché il Pd non solo non è di
sinistra, ma neppure un partito nel senso classico del termine. Oltretutto, per voler
apparire il soggetto del leader, ha messo pure in scena altri leader e leaderini assai modesti
quanto arroganti; altro che rottamazione. Ovvero la rottamazione c’è stata di tutto quanto
era rimasto, non molto invero, della politica democratica, un’operazione che doveva avere
nella nuova Costituzione il proprio riconoscimento istituzionale aprendo l’era felix del
pontificato renziano. Giorgio Napolitano, che sta all’inizio di tutto questo percorso, già
prima del citato intervento, aveva detto che Renzi aveva perso il referendum perché era
andato a cercare consensi nell’antipolitica. Non si era accorto, il due volte presidente della
Repubblica, di fare una petizione di principio perché proprio il renzismo era antipolitica.
Ed è antipolitica tutto il resto: Grillo, Salvini, Berlusconi, oramai preoccupato della propria
sopravvivenza politica per far salvaguardare le proprie aziende dalle insidie di quel
“mercato” che ora gli piace meno di una volta!
Crediamo che la stagione aurea del Pd il referendum se la sia portata via e non
scommetteremmo nemmeno su una sua futura esistenza anche se, con il congresso, il
renzismo venisse battuto e prendesse in mano il partito l’opposizione interna che,
sicuramente, presenta un profilo più apprezzabile. Ma se Speranza ce la dovesse fare non è
che può presentare, come cifra del nuovo corso, il ritorno alla stagione dell’Ulivo che
Bersani ricorda spesso come un qualcosa di mitico alla stregua di un Eldorado perduto.
L’Ulivo è stata la stagione perdente di Romano Prodi e già questo non ci sembra un bel
riferimento, ma poiché Ulivo e Prodi sono fratelli gemelli come è possibile indicarli quali
futuro dal momento che il professore bolognese – sarebbe da capire fino in fondo il motivo
– ha votato “si” al referendum cercando di bilanciare la scelta con un po’ di critica;
insomma, da persona proprio non convinta, il che rende il richiamo identitario di Bersani
ancor più privo di sostanza.
Il problema è che un partito politico ha bisogno, per essere, prima di tutto di
identità e quando questa non ce l’ha è il suo leader che fa della sua persona l’identità del
proprio soggetto: lo ha fatto Berlusconi, lo ha fatto Renzi e lo sta facendo pure Grillo a capo
di un partito che, pur riscuotendo molte simpatie popolari, ci sembra un laboratorio di
modesti artigiani portati a fare grandi danni. Di tale partito Grillo è il funambolo e il dio
della verità, spregiudicato fino all’inverosimile come dimostra la polemica aperta contro i
058
16 gennaio 2017
11
giornali per allontanare le critiche massicce che si stavano addensando sul suo movimento
con l’approvazione delle regole sui possibili avvisi di garanzia. Ancor di più lo dimostra la
vicenda grillina all’Europarlamento; tragica, pietosa e inquietante. Peccato che vi resti
impigliato il riferimento a “Rousseau”, un nome che meriterebbe maggior rispetto e non
finire a emblematizzare una piattaforma digitale di gestione e di manipolazione del potere
di un Movimento che, al pari del Pd, non potrà, per motivi genetici, mai essere un partito. I
5Stelle sono, nonostante tutto, nei sondaggi avanti al Pd e ciò ci dice in quali condizioni
versi la democrazia italiana visto che si fronteggiano due non partiti; sostanzialmente di
destra entrambi.
L’uscita di Renzi dalla scena governativa ha inoltre, paradossalmente, impoverito la
qualità del porsi politico dei massimi dirigenti del suo partito. Un esempio per tutti.
Intrattenendosi sulla situazione del presente il capogruppo al Senato, Luigi Zanda, ha
consegnato all’opinione pubblica il seguente pensiero sugli effetti politici del referendum.
Ha detto: «Quelli sostanziali sono tre: si allontana la prospettiva del bipartitismo, già
messa in crisi dalla comparsa dei 5Stelle. Nei partiti aumenterà il peso delle correnti che
già emergono persino tra i grillini. Infine aumenterà la spinta verso sistemi elettorali
proporzionali». Non se la prenda il senatore Zanda, ma, tra banalità e confusione, non
sappiamo quale delle due abbia il peso maggiore. Ed è chiaro che, non avendo dato il Pd
nessuna interpretazione del voto referendario, non sappiano cosa fare; ma l’ultima
Direzione perché non ha discusso né messo ai voti documento alcuno, né di maggioranza
né di opposizione, rimanendo attaccata al vecchio premier segretario del partito? E perché
la corrente bersaniana invece di andare via, non ha messo ai voti un proprio documento
preferendo risolvere tutto nell’annuncio della candidatura di Speranza così come la
maggioranza è rimasta al siparietto televisivo di Renzi che annunciava il congedo da
Palazzo Chigi? Perché questo insieme di comportamenti, di vuoti, di nullismo politico? La
risposta è semplice: perché il Pd non è e non riuscirà mai a essere un partito degno di
questo nome.
I dirigenti del Pd dovevano essere, tuttavia, ben sicuri che la ricetta renziana
avrebbe funzionato: non c’era bisogno di niente, il leader bastava, era sufficiente per fare
partito. Un giovane militante friulano andato l’anno scorso alla scuola di formazione
democratica a Roma ha raccontato che, in quella sede, il presidente Matteo Orfini spiegò
che bisognava superare la logica delle sezioni sul territorio «per adottare la realtà del
partito alla nuova legge elettorale». Da Zanda e da Orfini la logica che ricaviamo è che il
renzismo si fonda sull’ossessione del governo ossia della gestione del potere; la logica di un
partito politico non è così unidirezionale, ma culturale, morale e sociale e il governo,
058
16 gennaio 2017
12
aspirazione legittima del fare politica, è uno strumento per cambiare le cose non solo per
gestire il potere per il potere.
La tragicità della situazione italiana è che, di fronte a una crisi così acuta che vive un
Paese in grande sofferenza, ovunque ci si rigiri, tra gli addetti alla politica, non si trova
coscienza del momento oramai lungo che stiamo vivendo. In fondo mancanza di partiti e
vuoto di politica democratica sono i binari lungo i quali corre la crisi. A mo’ di corollario,
infine, ci sia permesso di ricordare che, da documenti ufficiali, risulta in 122 miliardi di
euro l’anno la perdita di risorse che l’infedeltà tributaria procura allo Stato e che, a
novembre, il tasso di disoccupazione è salito all’11,9%; nella fascia dei giovani tra i 15 e i 24
anni la percentuale, poi, raggiunge il 39,4%. Di tutto ciò non ci è riuscito a trovare traccia
in nessun cicaleccio della politica ufficiale
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento