sabato 13 febbraio 2016

Franco Astengo: Il ritorno del "noi"?

POLITICA: IL RITORNO DEL “NOI”’? di Franco Astengo A sorpresa il “Corriere della Sera” si interroga, attraverso una riflessione firmata da Mauro Magatti, sul ritorno del “noi” in politica: un “noi”, dopo la lunga fase dell’individualismo competitivo, che piacerebbe tanto ai giovani, i cosiddetti “millenials”, la generazione nata tra il 1980 e il 2000. L’occasione per avviare questo discorso è data dall’imprevista ascesa di Jeremy Corbyn alla guida del Labour britannico e dalle affermazioni di Bernie Sanders nelle prime prove delle primarie USA. Due uomini politici anziani appartenenti ancora all’antica stagione delle ideologie che paiono sopravvissuti alla tempesta degli ultimi vent’anni per riproporre concetti e programmi che apparivano ormai definitivamente superati e la cui espressione era diventata, fin qui, un po’ irrisa come simbolo di un’arretratezza culturale. Naturalmente non c’è nessun pericolo “rosso” alle porte e nessun ritorno bolscevico: entrambe le opzioni appartengono alla tradizione del moderatismo e non c’è in ballo nessuna ripresa della sinistra europea, così come l’abbiamo vissuta almeno fino agli anni ’70 del XX, anche perché non esistono più due fattori di riferimento che per socialisti e comunisti occidentali apparivano come assolutamente essenziali: da un lato le socialdemocrazie nordiche (Piano Maidner, welfare state) e dall’altro il blocco del “socialismo reale”. Pur tuttavia il fatto che dal mondo politico anglo- sassone, quello dal quale partì l’ondata reazionaria e conservatrice poi definita come reaganian – tachteriana arrivata fino a proclamare l’avvenuta “fine della storia”, derivi un movimento contrario se non opposto appare molto significativo. Magatti parla di generazioni a metà tra l’io e il noi e precisa: “Un po’ in tutti i paesi occidentali (e anche in Italia) questa nuova generazione è alla ricerca di un nuovo equilibrio tra le proprie aspirazioni personali e lo sviluppo della comunità, tra la crescita economica e il rispetto dell’ambiente, tra l’identità storica e culturale di un popolo e la necessità di aprirsi al mondo”. Una nuova generazione capace di alzare lo sguardo verso l’orizzonte non ripiegandosi come la precedente sull’individualismo? Da questa analisi emerge, prima di tutto, per intero la difficoltà a produrre egemonia da parte della globalizzazione fondata sulla velocità nella diffusione dei messaggi comunicativa e nell’omologazione dei comportamenti al modello imposto dal “pensiero unico” del capitalismo distruttivo. Possiamo allora pensare a una nuova proposta di passaggio dalla “polis” tirannide alla “polis” democratica, con l’“Io” che si dissolve e il ritorno al “Noi” della comunità)? Il “Noi” della comunità che diventa causa sociale, una configurazione, un’istituzione che si sottrae all’arbitrio individuale? Certo, siamo ad accenni appena abbozzati e l’interrogativo che si pone è quello della capacità di rappresentare un’inversione di tendenza. Si tratta di riprendere il filo di un ragionamento di fondo, quello del recupero del concetto di rappresentanza politica. La rappresentanza deve essere agganciata, prima di tutto, a una prospettiva di sistema, a un’idea del divenire, a un’ipotesi di futuro; in secondo luogo la rappresentanza deve valere rispetto alle contraddizioni operanti nel concreto della società per predisporre un progetto di affrontamento e superamento dell’esistente. Come non comprendere questo nel quadro delle colossali ingiustizie che ogni giorno verifichiamo a tutti i livelli? Come far finta di non accorgerci delle disparità globali che avvinghiano il nostro modo di vivere, rendono precario il futuro, ci espongono a tutti i pericoli derivanti dal dominio della sopraffazione perpetrato nella globalità dalla casta dei potenti? Le ragioni ideologiche servono a questo, a non fermarsi al dominio dell’esistente: quello sì un dominio feroce. Forse il consenso raccolto attorno alle candidature di Corbyn e Sanders, così lontani politicamente da quello che sono state le esperienze più avanzate della sinistra europea del dopoguerra, può insegnarci che arrendersi al conformismo è sempre sbagliato. La lezione che ne deriva, al di fuori da ogni concessione al personalismo può essere questa: l’idea di sottostare al pericolo di guerra che sta attraversando il mondo e di suffragare passivamente le colossali discriminazioni che percorrono la nostra società non può essere passivamente accettata. Il rifiuto della compatibilità all’esistente deve valere in ogni situazione, dal livello della globalità alienante, alla miseria del vuoto culturale che percorre la mistificazione individualistica presente, ad esempio, nell’elezione di un presidente, di un sindaco, di un qualsiasi rappresentante istituzionale. L’espressione di una voce “contro” appare oggi l’azione politica più moderna e matura: non certo in nome della nostalgia ma proprio per provocare il cambiamento. Una voce “contro” non collocata indiscriminatamente sul versante della neghittosità oppure stretta nella morsa tra il movimentismo moltitudinario e il populismo della governabilità come accade in questo momento in alcune esperienze europee. Esperienze europee dimostratesi subalterne alla logica del dominio e coinvolte, alla fine, nelle negative esperienze politiciste di presunto governo che hanno acceso fallaci speranze nel corso di questi anni. Una voce “contro” ben saldata con le fratture sociali dell’oggi e provvista, nella sua capacità d’espressione, delle robuste radici che la storia ha costruito in decenni di lotte per l’affrancamento e l’eguaglianza. Questi elementi vanno seriamente discussi, fatti oggetto di lotta politica e sociale, di progetti per il futuro. Rifiutiamo quella resa per disperazione che vi viene proposta dai cultori di un falso, ingannevole, realismo dell’eterno presente. Un imperativo categorico questo del rifiuto del presunto realismo dell’eterno esistente da rivolgere a qualsivoglia idea di ricostruzione di una soggettività politica rappresentativa della sinistra in funzione dell’opposizione e dell’alternativa. Non saranno le elezioni inglesi o, addirittura, quelle americane a segnare una “nuova frontiera” ma dalle scelte delle giovani generazioni di quei paesi possono venire anche per noi indicazioni preziose e, almeno, lo spunto per riavviare una riflessione controcorrente. Senza alcun ottimismo preventivo, anzi ragionando su come dal pessimismo della realtà possano derivare prospettive concrete di inversione di tendenza rispetto al disastro di questi anni.

4 commenti:

claudio ha detto...

notazione solo apparentemente marginale: i giovani che cominciano oggi a esprimersi politicamente sono la prima generazione allevata da internet a esprimersi e parlare col mondo tutto e non solo con i compagni di classe e i familiari. Cambia l’universo e lo scenario, e stanno precipitando nel ridicolo quelli che parlano di principi non rinunciabili ( ci sono quelli religiosi ma anche quelli dei liberisti che proclamano che il mondo è fatto per far diventare sempre più ricchi alcuni ultra miliardari...) e i populisti che vogliono erigere barriere nel mondo in movimento. Sembra poco, ma la mobilitazione dei giornali americani e inglesi intorno al ragazzo italiano massacrato al Cairo un tempo non ci sarebbe stata, con Internet i giornali sanno di muoversi al seguito di un’emozione profonda non gestita da loro. E la legnata che sta prendendosi la Clinton dipende dal fatto che è sentita come una paladina degli ultramiliardari, più di Trump che almeno lo è in proprio...

claudio ha detto...

il guaio, per quelli della nostra età che pensano di avere qualcosa da dire è trovare il linguaggio e gestirlo nell’estensione tollerata dai giovani di oggi. Siamo una generazione verbosa...direi tanto più verbosa quando sappiamo benissimo che stringi stringi non abbiamo soluzioni da comunicare, ma solo recriminazioni su un passato per noi prossimo e per i potenziali lettori arcaico: chi dei ventenni di oggi dà importanza alle discussioni del PD e alle tangentopoli dei primi anni 90? Noi ci dedichiamo troppo tempo.

giovanni ha detto...

ieri sera, alla partecipata assemblea di milano in comune, tutti, giovani e meno giovani, noti e meno noti, hanno parlato con un limite massimo di tre minuti. Metodo da applicare sempre: la sintesi favorisce la chiarezza

maurizio ha detto...

Ma è poi così vero vero che i giovani hanno sempre ragione? Se ricordo bene Croce diceva che il problema dei giovani è uno solo: crescere e diventare adulti. Certo erano altri tempi e tutto avveniva con una lentezza oggi inconcepibile, ma l'attuale rapidità è positiva o negativa? Certo c'è e non ci si può opporre, ma allora si deve hegelianamente convenire che tutto ciò che è reale è razionale e viceversa? Poiché non lo penso assolutamente - soprattutto alla luce delle vicende del secolo scorso - credo che qualche riflessione si debba pur fare.
Indubbiamente una forza politica deve essere in grado di rivolgersi ai giovani, ma ciò non può e non deve avvenire in modo acritico. In tempi non così remoti i giovani erano perfettamente in grado di capire dirigenti politici ben più anziani di loro e se si accorgevano di avere dei deficit di conoscenza cercavano subito di rimediare. Ma c'erano i partiti che, con tutti i loro difetti, funzionavano come ponte fra le generazioni e la memoria storica era coltivata, non dileggiata.
Internet è indubbiamente molto utile, ma gli studiosi della comunicazione ci dicono che il suo uso migliore è quello fatto da chi ha già appreso in precedenza e con altri metodi per poi servirsene in modo orientato e motivato.
Stiamo poi attenti a non confondere l'Italia con il resto del mondo. Se Sanders ottiene una così grande attenzione da parte dei giovani è forse perché, in quel paese dalle mille contraddizioni che sono gli USA, la storia non è così negletta come da noi. Il Risorgimento noi lo ignoriamo o lo delegittimiamo, mentre negli USA la Guerra Civile continua ad essere oggetto di studi, ricerche e borse di studio.
Per concludere: di qualsiasi argomento o problema si discuta (internazionale o nazionale, politico, economico, sociologico e via dicendo) come si può proporre una qualsiasi soluzione se si ignorano le ragioni e gli antecedenti storici?
E ai giovani che non trovano lavoro che si va a dire, se non si è in grado di spiegare perché ci troviamo in questa situazione?
Maurizio Giancola