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martedì 21 luglio 2015
Franco Astengo: Regime e tasse
REGIME E BANALITA’ DELLE RISPOSTE di Franco Astengo
Le “sparate” più recenti avanzate dal segretario del PD e Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, hanno ricevuto – da più parti, nell’ambito mediatico – una ricezione che può essere considerata del tutto banale e scontata.
Nessuno, tra l’altro, fa notare come il “piano tasse” di Renzi sia stato presentato senza alcun accenno a una idea di affrontamento complessivo della situazione economica sia al riguardo dei rapporti con l’Europa, sia rispetto al presentarsi di una progressiva divaricazione tra le condizioni materiali tra il Nord e il Sud del Paese che rappresenta un appesantimento decisivo rispetto ai tanti punti deboli che già si riscontrano da molti anni nel nostro andamento econimco.
La questione dell’abolizione della tassa sulla casa nelle sue varie denominazioni (ICI, IMU, TASI che dir si voglia) è tema ricorrente, di natura carsica, della vicenda politica italiana dal 1992 anno della sua invenzione (ad opera del governo Amato, quello della manovra da 90.000 miliardi di lire e del prelievo forzoso sui conti correnti eseguito alla chetichella in una notte d’estate tra il sabato e la domenica) a oggi.
Tutti. Allora, a prendere sul serio l’ennesima bufala e a fare i conti: serve una manovra da 45 miliardi di euro (guarda caso, più o meno i 90.000 miliardi di Amato). Dove si prenderanno i soldi, come si farà quadrare il cerchio con l’Europa? Con le riforme, si sostiene: fatte quelle il premio sarà rappresentato dalla “flessibilità” (si presume rispetto al deficit).
Tutto questo si verificherebbe, però, rispetto al 1992 in un Paese ulteriormente e tragicamente impoverito: con generazioni anziane stanche e immobilizzate al posto di lavoro; persone di mezza età “esodate” e disoccupate senza speranza; nuove generazioni che non hanno mai conosciuto il lavoro, se non sotto forma di precarietà estrema e con la disoccupazione giovanile ben oltre il 40%, il debito pubblico alle stelle, il territorio martoriato da frane, alluvioni, infrastrutture decrepite. Questo è il bilancio concreto che può esibire il governo Renzi (beninteso non per sua intera responsabilità; si ricorda che negli ultimi 20 anni ha governato il centrodestra per 10 anni circa; il centrosinistra per più di 7 anni; e i restanti 3 sono toccati a governi “tecnici” o di “solidarietà nazionale”, Dini, Monti, Letta.) Insomma, come ci è capitato di scrivere già in passato hanno governato tutti da Ordine Nuovo a Democrazia Proletaria.
Il paradosso di questa situazione è sicuramente rappresentato dal fatto che questo governo nato in nome della governabilità, pronto a stravolgere la Costituzione in nome della formazione di un Regime fondato sulla voglia di “partito unico” e del personalismo, proprio dal punto di vista della qualità di governo si è mostrato come uno dei peggiori nell’intera storia repubblicana.
Inoltre è cresciuta di peso la sudditanza all’Europa dei banchieri, dell’alta finanza, della commissione di Bruxelles, dell’assunzione di egemonia da parte del prepotere germanico. Un fenomeno del tutto sottovalutato, mentre si rincorrevano le farfalle delle Costituzioni Europee e D’Alema e Fini litigavano sul posto di vice-presidente dell’apposita commissione di studio.
E’ stata la vicenda greca ha portare questo stato di cose all’attenzione di tutti e a farne oggetto, in particolare all'interno dei “talk-show” televisivi di discussioni scomposte che un tempo si sarebbero definite “da bar”.
Tutto ciò, come fanno notare anche illustri “columnist” dei più importanti quotidiani, ha minato alla base la fiducia nel sistema politico, corroso a livello centrale e periferico da scandali, da improprie competizioni di tipo individualistico che hanno distrutto le realtà politiche riducendole ad arene di lotta per il potere.
Un disastro di portata epocale che, unitamente a realtà di vero e proprio malgoverno dei temi più scottanti come quelli riguardanti l’immigrazione, hanno portato davvero a una sorta di “squalifica complessiva” nel rapporto tra cittadini e istituzioni e aperto la porta a quelli che sono stati definiti i “populismi dell’antipolitica” ma che non sono altro che reazioni logiche e prevedibili, ampliate mediaticamente dalla capacità dei protagonisti di impadronirsi dei mezzi di comunicazione al livello della loro, in realtà esasperante, velocità e ripetitività nella trasmissione del messaggio.
Come reagisce allora Renzi, dopo essersi inventato riforme costituzionali ed elettorali sulle quali potrebbe essere fondato, in altre condizioni, un vero e proprio regime personalistico e aver presentato il proprio partito, quella dei Crocetta e delle Paita, come “il partito della nazione”?
Con la “rivoluzione copernicana” del fisco, imperniata appunto sul balletto riguardante l’ICI-IMU-TASI, inclusa (guardate un po’ la novità) in un “patto con gli italiani”. Repetita del celebre “contratto con gli italiani” di matrice berlusconian-vespista.
Fin qui tutto regolare e risposte, in tono, del tutto banali.
Attenzione però, l’elemento di novità c’è ed è molto insidioso.
Il nuovo “patto con gli italiani” si verificherebbe nel momento del massimo storico della disintegrazione dei soggetti intermedi, politici, sindacali, associativi, a tutti i livelli.
Un “patto con gli italiani” che non assumerebbe, in sostanza, la solita veste propagandistica delle premesse pre-elettorali ma significherebbe il suggello del nuovo regime: dal Capo alle masse che, come già è stato in parte con gli 80 euro, plaudono e approvano una politica della spesa senza contropartita che non sia quella dell’andare avanti nel disastro che poco fa si è cercato di riassumere, limitando ancora di più la possibilità di un confronto politico.
Un vero e proprio punto di “compimento” del Regime.
Autorevoli commentatori, intanto, stanno facendo il punto su di un ritorno di sovranità dello “Stato-Nazione”, su di un mutamento di qualità nella dinamica dello scontro economico a livello internazionale e sulla necessità di ripresa di scontro politico all’interno dei diversi sistemi.
E’ proprio questo il punto: rispetto al compimento di un regime personalistico legato alle istanze europee più retrive è necessaria l’impostazione di un duro scontro politico, a tutti livelli, partendo dall’organizzazione delle istanze sociali maggiormente colpite in questi anni e dalla riorganizzazione dei corpi intermedi.
La costruzione, insomma, di un vero e proprio “ostacolo di massa” ai disegni di questa neo-destra che Renzi intende incarnare e verso la quale non è possibile la ricerca di contatti o la ripresa di formule ormai non più praticabili.
Del resto la ricerca del consenso nelle aree che, per decenni, hanno rappresentato la riserva di caccia della destra più reazionaria e populista d’Europa (Forza Italia) è da lungo tempo aperta, in Parlamento e nel Paese.
Così stanno le cose, se le esaminiamo freddamente e con attenzione, senza fornire risposte banali.
A chi tocca lavorare per questo forte scontro politico di assoluto contrasto non mi pare il caso di indicarlo.
La questione è del “chi se la sente” in una sinistra ancora abbarbicata a vecchi schemi di sostanziale adesione al liberismo e all’illusione dell’Europa dei banchieri.
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