domenica 19 luglio 2015

Franco Astengo: Valori

VALORI, DISVALORI E LA SINTONIA QUASI PERDUTA di Franco Astengo Il tema dell’immigrazione e dell’accoglienza, di stretta e bruciante attualità in Italia come in altre parti del mondo, è stato affrontato da Massimo Franco in un commento-analisi apparso sulle colonne del “Corriere della Sera” sabato 18 Luglio. Nell’intervento si sostiene una tesi secondo la quale si sta delineando, nella società italiana, una frattura che parte proprio dal “sociale” e si propaga a livello politico. Il leghismo e più in generale la destra radicale si percepiscono come portavoce della popolazione e delle sue paure sicché viene meno il dialogo sui valori del mondo cattolico. Nel prosieguo dell’articolo Massimo Franco scrive d’incubazione per “potenziali mostri razzisti” (da altre parti si è letto di “ragionevolezza della protesta” perfino da parte di Massimo Cacciari) e si pone questo pericolo a diretto confronto con l’idea della marginalità e delle periferie che rappresentano il cuore della strategia del Papa. Nella sostanza la perdita di sintonia tra la destra e il mondo cattolico causerebbe il presentarsi di una nuova “frattura” al punto da rappresentare l’elemento fondativo di un vero e proprio sfrangiamento sociale attraverso il quale passerebbe un vero e proprio spossamento d’identità e quindi i cosiddetti “antivalori” dell’egoismo e della paura, ponendo in rampa di lancio gli elementi di una nuova egemonia imperniata sugli slogan leghisti (il discorso vale naturalmente anche a livello europeo se pensiamo a ciò che sta accadendo in Francia, in Austria, in Ungheria, ecc, ecc.). Una sintesi, quella fin qui esposta, che rende fedelmente il clima culturale e politico che circonda un tema di fortissima attualità e di grande delicatezza: una sintesi dalla quale discende direttamente una domanda. E la sinistra? La sinistra, culturale e politica, non viene neppure citata: pare non esistere, non risulta in grado di esprimere valori e opzioni culturali e politiche, non riesce – evidentemente a giudizio dell’autore ma anche nell’opinione più generale – a entrare nel merito. Un altro segnale di vero e proprio “smarrimento” e di evidente perdita non solo d’identità ma anche di capacità di rapporto e radicamento sociale: del resto, negli ultimi episodi di cronaca relativi al tema, dalla periferia di Roma a quella di Treviso non si avvertono segnali di presenza politica dei soggetti di sinistra. Anzi a Roma i cartelli dei protestatari che indicavano il “business” degli immigrati aveva come chiaro riferimento le vicende legate alle cooperative del “compagno” Buzzi e delle varie cordate, di diverso colore, legate al grande “affarone” che ha fatto (giustamente) tanto scandalo in questi mesi e che il PD ha saputo affrontare soltanto in termini di mantenimento della logica del potere. Tornando però al filo del ragionamento che offre la lettura dell’articolo di Massimo Franco la constatazione che ne deriva è, appunto, proprio quella della sparizione dei valori della sinistra come possibile punto di riferimento del dibattitto, di costruzione di una proposta alternativa, di presenza e di iniziativa politica. Tutto sparito: scomparse le idee dell’eguaglianza e dell’universalismo. Scomparsa la capacità di partire dai principi per sviluppare anche soltanto un’ipotesi di nuova pedagogia politica alternativa a quella dominante del considerare le masse come merce. «È morale», diceva Emile Durkheim, «tutto ciò che è fonte di solidarietà, tutto ciò che costringe l’uomo a tenere conto dell’altro, a regolare i propri movimenti su qualcosa di diverso dagli impulsi del proprio egoismo». «Ciò spiega», aggiunge Micheà, «che la rivolta dei primi socialisti contro un mondo fondato sul solo calcolo egoistico sia stata così spesso sostenuta da un’esperienza morale». Si pensi alla «virtù» celebrata da Jaurès, alla «morale sociale» di cui parlava Benoît Malon. La «decenza comune», che è mille miglia lontana da ogni forma di ordine morale o di puritanesimo moralizzatore, è, infatti, uno dei tratti principali della «gente normale» ed è nel popolo che la si trova più comunemente diffusa. Essa implica la generosità, il senso dell’onore, la solidarietà ed è all’opera nella triplice obbligazione di «dare, ricevere e restituire». A partire da essa, si è espressa in passato la protesta contro l’ingiustizia sociale, perché permetteva di percepire l’immoralità di un mondo fondato esclusivamente sul calcolo interessato e la trasgressione permanente di tutti i limiti. Dovrebbe bastare questo punto del legare la morale alla politica per cercare di ricostruire un’identità possibile, prima ancora del richiamare le logiche ineludibili delle fratture di classe. Senza questo legame, essenziale, tra morale e politica saranno sempre i valori e/o i disvalori degli “altri” a prevalere, facendoci smarrire completamente, come sta accadendo, una qualsiasi visione del futuro e riducendoci ad affannati amministratori di un drammatico presente.

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