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venerdì 24 luglio 2015
Franco Astengo: Governo e potere
GOVERNO E POTERE, CONFLITTO E CONSENSO di Franco Astengo
“L’antisistema si fa governo” così il Manifesto del 24 Luglio titola un intervento di Benedetto Vecchi nel quale si affronta un sentiero di lettura di Podemos, a partire da due libri di Pablo Iglesias e Juan Carlos Monedero.
Podemos viene giudicato come “un partito qualificato come sinonimo di un populismo 2.0 che, invece, - a giudizio dell’autore – consegna un nuovo appeal a una visione egualitaria del mondo.”
Il tema è di grande interesse perché da molte parti, nella ricerca insistita di modelli di riferimento per la costruzione di una nuova sinistra, Podemos viene affiancata a Syriza (i sostenitori di un certo tipo di unità della sinistra in Italia addirittura invitano assieme i due movimenti) e – addirittura – alla Linke: ed è quindi bene fare chiarezza da questo punto di vista, cercando anche di inoltrarci ancora una volta nella critica di ciò che è accaduta alla scomparsa sinistra del XX secolo.
Vecchi nell’indicazione del suo percorso ricostruisce la genesi di Podemos costruendo una sorta di Pantheon di cui fanno parte il movimento zapatista, i no-global, le “tute bianche” del G8 genovese per scendere, via, via, sino agli “Indignados” spagnoli, e alcuni punti di riferimento teorici rappresentati soprattutto all’interno del concetto di “sovranità imperiale” di Toni Negri.
Un’eterogeneità politica e teorica che – sempre secondo l’autore – non rappresenta un problema per Podemos, visto che sono privilegiate le esperienze di autorganizzazione e di comunicazione attraverso stili enunciativi che talvolta ricordano quelli del marketing politico o della pratica “autoriflessiva” che hanno nei social media il loro contesto privilegiato (su questo elemento, per restare all’attualità politica, si verifica naturalmente il punto di contatto con il M5S italiano oltre che con la centralizzazione “forte” della leadership interna al movimento).
La questione degli “ascendenti” non è questione peregrina perché è proprio leggendola in filigrana che si scoprono, sia le affinità con Syriza, sia le profondità di differenza con la Linke e soprattutto l’estraneità di un movimento come Podemos rispetto alla costruzione/ricostruzione di soggetti politici di sinistra, dalle finalità riformiste e/o dalle finalità rivoluzionarie, fondati sull’innovazione di quella che è stata la storia, complessa, del movimento operaio e dei suoi soggetti d’inveramento politica ed anche statuale.
Le questioni di fondo sono soprattutto due:
a) Il dato di contrasto e di estraneità che il complesso movimento “antisistema” di cui sicuramente Podemos fa parte (ma anche Syriza) si colloca contro il neoliberismo come fenomeno mondiale. Un collocarsi “contro” che ha promosso forme di resistenza inedite sia per il lessico politico usato che per la composizione sociale dei movimenti che sono stati via via promossi in quella direzione. Nella sostanza questo movimento “antisistema” ha sempre rifiutato l’alternativa al capitalismo e l’assunzione di una forma politica adeguata a quel livello dello scontro, restando sufficiente la mobilitazione delle “moltitudini”. Si nega ciò la fondazione organizzata di una soggettività politica fondata sulla contraddizione principale basata sullo sfruttamento e sull’intreccio tra questa e le nuova contraddizioni definite “post-materialiste”. Una soggettività politica che non può definirsi semplicemente “antisistema” (come sono, invece, Podemos e Syriza) ma portatrice di “altro” sistema, indipendentemente dalla forma politica che s’intende praticare per attuarlo;
b) Sulla base di questa logica “antisistema” si distingue tra governo e potere assestandosi, Podemos, sul governo cercando di riunire l’accoppiata “conflitto/consenso” attraverso il superamento della logica classica di confronto tra destra e sinistra reinventando politicamente il “popolo” nell’idea che sia il partito a produrre – appunto – il popolo costruendo l’aggregazione attraverso il governo. Il consenso si costruisce così esclusivamente attraverso la comunicazione e il livello di mediazione proposto dal governo rappresenta la logica del “possibile” sul terreno dell’antisistema.
La difficoltà complessiva di questo impianto (e se ne accorgeranno presto gli imitatori italiani ed anche , nel caso, il M5S) sta nel fare i conti con il capitalismo reale, i suoi rapporti di potere: verso i quali (lo fa notare anche Vecchi nel suo intervento) potrebbero davvero non bastare i cosiddetti “poteri destituenti” dei movimenti.
Una discussione di grande interesse che ci pone di fronte ad alcuni interrogativi di fondo:
1) dove può cominciare la critica a questo impianto non tanto e non solo naturalmente, rispetto alla recensione in oggetto, ma nel complesso della riflessione sui temi della rivoluzione e del comunismo nel XXI secolo);
2)Si pone un interrogativo: in queste condizioni perché lottare? Un interrogativo che, a nostro giudizio, dovrebbe essere trasformato in : come lottare?;
3) Questo perché le ragioni della lotta ci sono tutte, intatte, nel corso della storia e sono ancora, prioritariamente, le ragioni di quella che era stata definita (e può ancora essere definita) “contraddizione principale” nell’intreccio con la complessità delle contraddizioni emerse dalla “modernità” da elaborare unitariamente in un progetto di trasformazione sociale opposto e contrapposto a quello del dominio capitalistico.;
Fin qui, però, anche dal nostro punto di vista, tutto abbastanza scontato.
I veri punti della discussione da sviluppare sono però, salvo errori e omissioni, sostanzialmente due:
a) La concezione della politica come lotta per il potere, nella rappresentazione dello scontro fra le diverse classi superando le remore e i fraintendimenti, che sono stati introdotti nel corso degli ultimi anni, in particolare dalla concezione dominante della “fine della storia” e dell’univocità dei modelli di detenzione del potere e dell’organizzazione sociale. Un’univocità che avrebbe assunto carattere “imperiale” a livello planetario, cui sarebbe possibile rispondere soltanto attraverso la protesta di una “moltitudine” che, più o meno spontaneamente, si muove per riappropriarsi dal “basso” della capacità di alternativa rispetto alla gestione capitalistica;
b) L’organizzazione della lotta politica. Anche nel XXI secolo, nelle complessità dell’organizzazione sociale esistente a livello planetario e nella trasversalità delle contraddizioni, l’organizzazione della lotta politica non potrà che realizzarsi attraverso la costruzione di un’identità basata non soltanto sui necessari riferimenti alla storia del movimento operaio ma anche al riguardo della realtà sociale esistente e alle forme possibili di partecipazione che soprattutto l’innovazione tecnologica ha modificato nel loro esistere concreto dell’oggi.
Si tratta di due pilastri fondamentali se si vuole aprire sul serio la discussione sulla sinistra nel XXI secolo: ‘idea della politica come lotta per il potere da condursi attraverso un’identità precisa (insieme etica, storica e politica) attrezzata attraverso l’organizzazione di un soggetto politico compiuto.
Un partito per l’appunto.
Il nesso identità/partito è assente nell’analisi di Podemos (e anche di Syriza che sta dimostrando da parte sua una notevole abilità nel gioco parlamentare) e, di conseguenza, considerata la sua forte influenza di questi soggetti sulla sinistra, in particolare a livello europeo, appare assente anche nel dibattito politico.
E’ il caso di riaprire il dibattito, con urgenza e determinazione, almeno da parte di chi ritiene il partito come la sola possibilità di organizzazione della soggettività e la storia del movimento operaio, nelle sue sconfitte e nelle sue contraddizioni, una traccia ancora utile per il futuro.
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