venerdì 31 luglio 2015

Rule Germania

Rule Germania

Accumulare povertà? Note sul Report dell’ISTAT “La povertà in Italia 2014” - Menabò di Etica ed Economia

Accumulare povertà? Note sul Report dell’ISTAT “La povertà in Italia 2014” - Menabò di Etica ed Economia

La politica economica oltre l’homo oeconomicus. Un recente rapporto della Banca Mondiale - Menabò di Etica ed Economia

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Impiego atipico e assetti macro-istituzionali. Le conseguenze sociali della deregolamentazione dei mercati del lavoro in Europa - Menabò di Etica ed Economia

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La compressione selettiva e cumulativa dell’università italiana - Menabò di Etica ed Economia

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Destini che si uniscono? La convergenza economica tra i paesi dell'euro zona - Menabò di Etica ed Economia

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Unioni civili: a che punto siamo | Angelo Schillaci

Unioni civili: a che punto siamo | Angelo Schillaci

Franco Astengo: La questione meridionale

LA QUESTIONE MERIDIONALE di Antonio Gramsci (con uno stralcio dai “Quaderni del carcere” a cura di Franco Astengo.) In queste ore lo SVIMEZ ha diffuso dati sull’economia e la condizione sociale del Mezzogiorno d’Italia che possono ben essere giudicati come fortemente allarmanti. La sostanza della situazione in atto è stata giudicata come di “sottosviluppo permanente” con l’indicatore della crescita demografica tornato indietro di 150 anni. Dati che dimostrano, se mai ce ne fosse ancora bisogno, la vera e propria tragedia che la classe politica italiana sta facendo vivere, nel corso degli anni, alle persone vive, in carne e ossa, che sudano e lavorano in questo disgraziato Paese: l’andamento del Sud d’Italia appare come l’esplicitazione del pressapochismo, dell’assenza di analisi, dell’incapacità di scelta di classi dirigenti che, ormai da decenni, vivono alimentandosi voracemente in simbiosi con i classici e nuovi “padroni del vapore” corifei dello sfruttamento, dell’arretratezza, dell’ignoranza. Soltanto per fornire un esempio di una diversa capacità d’analisi politica e di reazione culturale e sociale si riportano di seguito poche righe sulla “questione meridionale” analizzata in relazione alle vicende del Risorgimento e dell’Unità d’Italia che rimangono assai esemplificative al proposito. Il testo che segue è tratto dai “Quaderni del Carcere” di Antonio Gramsci e si trovano alle pagine 2021 e 2022 (volume terzo) dell’edizione curata da Valentino Gerratana e edita da Einaudi nel 1973. Gramsci scrisse questa parte della sua opera monumentale tra il 1934 e il 1935. Ecco lo stralcio del testo: “…un altro elemento per saggiare la portata reale della politica unitaria ossessionata di Crispi è il complesso di sentimenti creatosi nel Settentrione per riguardo del Mezzogiorno. La “miseria” del Mezzogiorno era “inspiegabile” storicamente per le masse popolari del Nord; esse non capivano che l’unità era avvenuta su una base di eguaglianza, ma come egemonia del Nord sul Mezzogiorno nel rapporto territoriale di città – campagna, cioè che il Nord concretamente era una “piovra” che si arricchiva a spese del Sud e che il suo incremento economico – industriale era in rapporto diretto con l’impoverimento dell’economia e dell’agricoltura meridionale. Il popolano dell’Alta Italia pensava invece che se il Mezzogiorno non progrediva dopo essere stato liberato dalle pastoie che allo sviluppo moderno opponeva il regime borbonico, ciò significava che le cause della miseria non erano esterne, da ricercarsi nelle condizioni economico – politiche obiettive ma interne, innate nella popolazione meridionale, tanto più che era radicata la persuasione della grande ricchezza naturale del terreno: non rimaneva che una spiegazione, l’incapacità organica degli uomini, la loro barbarie, la loro inferiorità biologica. Queste opinioni già diffuse (il lazzaronismo napoletano era una leggenda di vecchia data) furono consolidate e addirittura teorizzate dai sociologi del positivismo (Niceforo, Sergi, Ferri, Orano, ecc.) assumendo la forza di “verità scientifica” in un tempo di superstizione della scienza. Si ebbe così una polemica Nord – Sud sulle razze e sulla superiorità e inferiorità del Nord e del Sud (cfr. i libri di N. Colajanni in difesa del Mezzogiorno da questo punto di vista, e la collezione della “Rivista popolare”. Intanto rimase al Nord la credenza che il Mezzogiorno fosse una “palla di piombo” per l’Italia, la persuasione che più grandi progressi la civiltà industriale moderna dell’Alta Italia avrebbe fatto senza questa “palla di piombo”, ecc. Nei principii del secolo si inizia una forte reazione meridionale anche su questo terreno..” Alcuni interrogativi finali legati all’attualità: quanto è rimasto dell’idea della “verità scientifica” della superiorità settentrionale nella cultura italiana trasferendo questo concetto anche a livello europeo quanto si trovava e si trova, ad esempio, di questa impostazione negativa di filosofia politica all’interno della recente vicenda riguardante la Grecia?) e nel confronto con i nuovi fenomeni dell’immigrazione così fortemente presenti nell’attualità? Quando si potrà pensare al ritorno di una forte reazione meridionale culturalmente e politicamente inserita e organizzata in contesto di proposta di trasformazione radicale dello stato di cose presenti? Forse, cominciando a organizzare un minimo di risposta a questi quesiti si potrà trovare la strada per avviare un superamento della condizione disastrosa dell’oggi non semplicemente nella dimensione italiana.

martedì 28 luglio 2015

Why Social Investments Bring Multiple Benefits

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Six Key Lessons The IMF Ignored In the Euro Crisis

Six Key Lessons The IMF Ignored In the Euro Crisis

The Eurozone’s German Problem

The Eurozone’s German Problem

Felice Besostri: AUDIZIONE 27 LUGLIO 2015 PRIMA COMMISSIONE SENATO

AUDIZIONE 27 LUGLIO 2015 PRIMA COMMISSIONE SENATO SUL DDL COSTITUZIONALE 1429-B Onorevole Signora Presidente, onorevoli senatori commissari, ringrazio per l’opportunità che mi è stata offerta di essere ascoltato su quest’importante disegno di legge costituzionale. Devo premettere che non potrò essere distaccato, quanto forse sarebbe necessario da parte di un esperto esterno, ma non posso rimuovere completamente il fatto che di questa Camera ho fatto parte nella XIIIma legislatura e proprio come membro di questa commissione in rappresentanza di un partito espressione di un’altra epoca storica, sarei tentato di dire di un altro mondo. In questa considerazione è assente ogni giudizio di valore, perché quale che sia stato il sistema di elezione tutti i parlamentari, ora come allora sono personalmente vincolati dagli stessi due articoli della Costituzione il 54 e il 67, quindi assolvere la propria funzione rappresentativa con disciplina e onore e nell’esclusivo interesse della Nazione: il che esclude che la disciplina di cui parla l’art.54 Cost. sia la disciplina di gruppo o di partito. Nella XIII legislatura si approvò la revisione del Titolo V della Parte Seconda, da allora uso con maggiore cautela la parola RIFORMA, per non banalizzarla facendola coincidere con una qualsivoglia modifica, la revisione operata con questa revisione la corregge in punti essenziali, accentuando le competenze centrali dello Stato. Tuttavia IL DDL COSTITUZIONALE N. 1429-B va piuttosto confrontato con quello che non superò il referendum confermativo nel 2006, invece che con quello approvato nella XIIIma legislatura. Il superamento del bicameralismo perfetto è un’esigenza presente da molto tempo, ma questo ddl costituzionale nella vulgata semplificatrice, che ne è stata ispiratrice, pareva orientato verso un monocameralismo, quando tra gli argomenti vi è quello del costo della seconda Camera. Non è stato così. Nel suo complesso si tratta di una soluzione originale, forse la parola ITALICUM sarebbe stato opportuno riservarla al ddl costituzionale, invece che alla legge elettorale per la Camera dei Deputati. Nelle precedenti audizioni, cui ho partecipato, a fronte di un procedimento in itinere aveva senso entrare nel merito di alcune scelte, per questa audizione ho, invece, ritenuto opportuno rassegnare nella memoria scritta inviata alla Commissione una riflessione sul rapporto tra regolamento parlamentare e norme costituzionali, avendo maturato la convinzione che le norme regolamentari, specialmente quelle introdotte nel 1971 non siano consone allo spirito e alla lettera dell’art. 138 Cost.. Proprio l’esperienza della revisione della Costituzione nella XIIIma Legislatura, con forte contrapposizione nell’approvazione finale mi ha convinto della giustezza di una tesi della prof. Nadia Urbinati che in un sistema parlamentare rappresentativo più ancora che i sistemi di scelta dei rappresentati sia l’ampiezza del dibattito pubblico, che precede le deliberazioni, la qualità essenziale che garantisce la rappresentatività. Nel caso di revisione costituzionale a maggior ragione il dibattito pubblico merita di essere ampio ed investire non solo i rappresentanti eletti, ma anche, direi soprattutto, i rappresentati nelle loro articolazioni politiche, nelle quali determinano l’indirizzo politico, o nelle formazioni sociali, in cui si formano come individui e come cittadini. Ampiezza del dibattito e riflessione sono garantite dal primo comma dell’art. 138, quando dispone che ” Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione.” Purtroppo, nelle legislature successive a quella costituente, le previsioni del 138 si sono inverate nelle prassi parlamentari e nei regolamenti, venendo tradite perché svuotate del senso che avevano originariamente, con ciò configurando una prima rottura costituzionale con riguardo al procedura aggravata prefigurata dal Costituente. Due sono la questioni interpretative, risolte in via di prassi e regolamenti, che hanno svuotato il 138: 1. La prima è quella relativa dell’intervallo di tempo (minimo tre mesi) che dovrebbe intercorrere tra una “deliberazione” e l’altra delle Camere su testo conforme. Si è infatti accorciato il tempo del raffreddamento previsto, interpretando restrittivamente che i tre mesi dovessero intercorrere tra una deliberazione e l’altra di “ciascuna” Camera su testo conforme, e non - come dovrebbe - tra la deliberazione della Camera che adotta per ultima il testo conforme e l’inizio delle successive seconde deliberazioni di entrambe. 2. La seconda, assai più delicata e rilevante, è quella relativa alle ragioni dell’aggravamento previsto dal 138 nel primo comma. Se, infatti, si doveva trattare semplicemente della inserzione, in coda ad una procedura ordinaria (priva di alcuna maggioranza qualificata necessaria), della mera ripetizione di un voto di approvazione in blocco (con la maggioranza assoluta), con violazione dell’art. 72 Cost.( voto articolo per articolo e voto finale sul comoplesso) di un testo già lavorato definitivamente con l’ordinaria navette, si sarebbe trattato di ben misera cosa. Eppure, così è stato interpretato e praticato in questi decenni di Repubblica. Questi problemi di fondo vanno sollevati, anche se sono scomodi proprio perché con questa revisione si opera una cesura costituzionale non secondaria nel nostro ordinamento, anche per gli effetti cumulativi della parallela nuova legge elettorale per la Camera dei deputati: si cambia la forma di governo, con il rafforzamento del ruolo del Presidente del Consiglio dei Ministri in un contesto di superamento della tradizionale divisione dei poteri, grazie al premio alla minoranza più consistente trasformandola in una maggioranza, che non si accontenta di essere assoluta, cioè di avere il 50%+ 1 dei seggi, ma almeno il 54%. Una cesura costituzionale opera di un Parlamento della cui elezione la sentenza della Corte Costituzionale ha accertato l’incostituzionalità con la sentenza n. 1/2014 ed in presenza di sentenza, la n.8878/2014 passata in giudicato con la quale la Corte di Cassazione ha accertato che i diritti costituzionali dei ricorrenti, cioè dei cittadini italiani, erano stati gravemente violati dalla data di entrata in vigore della legge n. 270/2005 e fino alla data di pubblicazione della sentenza della Corte Costituzionale di annullamento dei premi di maggioranza e delle liste bloccate dei candidati deputati e senatori. Queste circostanze eccezionali impongono di riconsiderare le prassi finora seguite per tornare ad una interpretazione stretta e rigorosa della procedura aggravata prevista dall’art. 138 Cost.. Si è infatti davanti, secondo una interpretazione testuale, logica e sistemica, alla necessità di quattro consecutive approvazioni dell’identico testo. La navette ordinaria (la cui finalità è la rapida approvazione di una legge evitando una navetta interminabile) è intrinsecamente incongruente e lesiva della procedura aggravata da tale quadrupla approvazione conforme, giacché la vanifica e paradossalmente assegna importanza decisiva a deliberazioni per le quali non è richiesta la maggioranza assoluta. Le situazioni eccezionali e contingenti di un’altra epoca di transizione politica hanno indotto le Camere ad innovare le prassi regolamentari creando nel 1993 un precedente, che non può essere ignorata anche per l’autorevolezza dei due presidenti, che ne sono stati i protagonisti, alla Camera l’on. Giorgio Napolitano e al Senato il sen. Giovanni Spadolini e relativo ad una norma capitale come l’art. 68 Cost.. I particolari della vicenda sono alle pagine 19 e 20 della memoria. In breve nel passaggio da Camera a Senato un emendamento soppressivo si trasformò nell’aggiunta di 2 nuovi commi. Nel successivo passaggio alla Camera fu deliberato un solo comma aggiuntivo, che fu infine approvato dal Senato. Le questioni meritano di essere approfondite e non liquidate con un formalismo regolamentare in violazione di una norma costituzionale. Se non altro si potrebbe ovviare ad una incongruenza ingiustificabile riguardo alla nuova composizione del Senato, se si vuol insistere a mantenere un’elezione di secondo grado, che ha l’unico vantaggio di conoscere l’esito di una elezione la sera prima delle votazioni. Per il nuovo art. 57 secondo comma Cost. , oltre che i consiglieri regionali possono essere eletti anche sindaci dei Comuni. Questa espressione esclude che posano far parte del Senato i sindaci metropolitani, che fossero eletti direttamente dai cittadini, come la L. n. 56/2014 all’art. 1 c. 22 pur consente, in alternativa al Sindaco metropolitano ex lege in quanto Sindaco del Comune capoluogo della Città metropolitana. Come si dice il diavolo si annida nei dettagli e sarebbe il caso di esorcizzarlo. Sistemando anche la questione della durata del mandato dei sindaci stante le diverse formulazioni degli art. 57 e 66Cost. novellata. Ringrazio i miei collaboratori senza i quali non sarebbe stato possibile raccogliere il materiane trasfuso nella memoria: la loro modestia mi impedisce di farne i nomi e cognomi. Grazie per l’attenzione che vorrete dedicare alle mie riflessioni. on. avv. Felice C. Besostri

Doppia morale sulla crisi greca | Milani

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lunedì 27 luglio 2015

Freedom and Democracy: Greece, What is Left of Popular Sovereignty - Giancarlo Bosetti | Reset Dialogues on Civilizations

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What the Greek and Iranian Deals Are Not by Dominique Moisi - Project Syndicate

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The choice before Labour | Progress | News and debate from the progressive community

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Le tasse sono di sinistra?

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La crisi della Grecia e i guai dell’Europa

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Ridurre le tasse? Sì, uscendo dalle “narrazioni” e guardando ai fatti

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EU: what are Latin countries waiting for ? | Spotlight on Geopolitics

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l vecchio liberismo contro i beni comuni - Eddyburg.it

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Le tasse e la sinistra - Eddyburg.it

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Podemos, la base boccia la lista unitaria con Izquierda Unida - Eddyburg.it

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Il cuore tedesco del problema europeo | Aspenia online

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Potere e demos in Europa: il nodo irrisolto | Aspenia online

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What Next After Tsipras Dashed Schäuble's Hopes For Grexit?

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The Return Of The Ugly German » Social Europe

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domenica 26 luglio 2015

Scenari Globali - La questione europea dietro il caso greco

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Riflessioni sulla "questione tedesca" - micromega-online - micromega

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IPR Spotlight: Alternatives to Austerity | University of Bath

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Purezza ideologica o efficacia. I laburisti scelgono il leader | l'Unità TV

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Interview: Luke March on the state of the British left | LeftEast

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Reddito di cittadinanza, quali effetti in Italia e in Europa? | Economia e Politica

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La Grecia si salverà? E l’Europa è riformabile? | Economia e Politica

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Il silenzio sulla Strage di Oslo - Caratteri Liberi

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venerdì 24 luglio 2015

Il nodo dell'avanzo primario tra Atene e creditori | Silvia Merler

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Franco Astengo: Governo e potere

GOVERNO E POTERE, CONFLITTO E CONSENSO di Franco Astengo “L’antisistema si fa governo” così il Manifesto del 24 Luglio titola un intervento di Benedetto Vecchi nel quale si affronta un sentiero di lettura di Podemos, a partire da due libri di Pablo Iglesias e Juan Carlos Monedero. Podemos viene giudicato come “un partito qualificato come sinonimo di un populismo 2.0 che, invece, - a giudizio dell’autore – consegna un nuovo appeal a una visione egualitaria del mondo.” Il tema è di grande interesse perché da molte parti, nella ricerca insistita di modelli di riferimento per la costruzione di una nuova sinistra, Podemos viene affiancata a Syriza (i sostenitori di un certo tipo di unità della sinistra in Italia addirittura invitano assieme i due movimenti) e – addirittura – alla Linke: ed è quindi bene fare chiarezza da questo punto di vista, cercando anche di inoltrarci ancora una volta nella critica di ciò che è accaduta alla scomparsa sinistra del XX secolo. Vecchi nell’indicazione del suo percorso ricostruisce la genesi di Podemos costruendo una sorta di Pantheon di cui fanno parte il movimento zapatista, i no-global, le “tute bianche” del G8 genovese per scendere, via, via, sino agli “Indignados” spagnoli, e alcuni punti di riferimento teorici rappresentati soprattutto all’interno del concetto di “sovranità imperiale” di Toni Negri. Un’eterogeneità politica e teorica che – sempre secondo l’autore – non rappresenta un problema per Podemos, visto che sono privilegiate le esperienze di autorganizzazione e di comunicazione attraverso stili enunciativi che talvolta ricordano quelli del marketing politico o della pratica “autoriflessiva” che hanno nei social media il loro contesto privilegiato (su questo elemento, per restare all’attualità politica, si verifica naturalmente il punto di contatto con il M5S italiano oltre che con la centralizzazione “forte” della leadership interna al movimento). La questione degli “ascendenti” non è questione peregrina perché è proprio leggendola in filigrana che si scoprono, sia le affinità con Syriza, sia le profondità di differenza con la Linke e soprattutto l’estraneità di un movimento come Podemos rispetto alla costruzione/ricostruzione di soggetti politici di sinistra, dalle finalità riformiste e/o dalle finalità rivoluzionarie, fondati sull’innovazione di quella che è stata la storia, complessa, del movimento operaio e dei suoi soggetti d’inveramento politica ed anche statuale. Le questioni di fondo sono soprattutto due: a) Il dato di contrasto e di estraneità che il complesso movimento “antisistema” di cui sicuramente Podemos fa parte (ma anche Syriza) si colloca contro il neoliberismo come fenomeno mondiale. Un collocarsi “contro” che ha promosso forme di resistenza inedite sia per il lessico politico usato che per la composizione sociale dei movimenti che sono stati via via promossi in quella direzione. Nella sostanza questo movimento “antisistema” ha sempre rifiutato l’alternativa al capitalismo e l’assunzione di una forma politica adeguata a quel livello dello scontro, restando sufficiente la mobilitazione delle “moltitudini”. Si nega ciò la fondazione organizzata di una soggettività politica fondata sulla contraddizione principale basata sullo sfruttamento e sull’intreccio tra questa e le nuova contraddizioni definite “post-materialiste”. Una soggettività politica che non può definirsi semplicemente “antisistema” (come sono, invece, Podemos e Syriza) ma portatrice di “altro” sistema, indipendentemente dalla forma politica che s’intende praticare per attuarlo; b) Sulla base di questa logica “antisistema” si distingue tra governo e potere assestandosi, Podemos, sul governo cercando di riunire l’accoppiata “conflitto/consenso” attraverso il superamento della logica classica di confronto tra destra e sinistra reinventando politicamente il “popolo” nell’idea che sia il partito a produrre – appunto – il popolo costruendo l’aggregazione attraverso il governo. Il consenso si costruisce così esclusivamente attraverso la comunicazione e il livello di mediazione proposto dal governo rappresenta la logica del “possibile” sul terreno dell’antisistema. La difficoltà complessiva di questo impianto (e se ne accorgeranno presto gli imitatori italiani ed anche , nel caso, il M5S) sta nel fare i conti con il capitalismo reale, i suoi rapporti di potere: verso i quali (lo fa notare anche Vecchi nel suo intervento) potrebbero davvero non bastare i cosiddetti “poteri destituenti” dei movimenti. Una discussione di grande interesse che ci pone di fronte ad alcuni interrogativi di fondo: 1) dove può cominciare la critica a questo impianto non tanto e non solo naturalmente, rispetto alla recensione in oggetto, ma nel complesso della riflessione sui temi della rivoluzione e del comunismo nel XXI secolo); 2)Si pone un interrogativo: in queste condizioni perché lottare? Un interrogativo che, a nostro giudizio, dovrebbe essere trasformato in : come lottare?; 3) Questo perché le ragioni della lotta ci sono tutte, intatte, nel corso della storia e sono ancora, prioritariamente, le ragioni di quella che era stata definita (e può ancora essere definita) “contraddizione principale” nell’intreccio con la complessità delle contraddizioni emerse dalla “modernità” da elaborare unitariamente in un progetto di trasformazione sociale opposto e contrapposto a quello del dominio capitalistico.; Fin qui, però, anche dal nostro punto di vista, tutto abbastanza scontato. I veri punti della discussione da sviluppare sono però, salvo errori e omissioni, sostanzialmente due: a) La concezione della politica come lotta per il potere, nella rappresentazione dello scontro fra le diverse classi superando le remore e i fraintendimenti, che sono stati introdotti nel corso degli ultimi anni, in particolare dalla concezione dominante della “fine della storia” e dell’univocità dei modelli di detenzione del potere e dell’organizzazione sociale. Un’univocità che avrebbe assunto carattere “imperiale” a livello planetario, cui sarebbe possibile rispondere soltanto attraverso la protesta di una “moltitudine” che, più o meno spontaneamente, si muove per riappropriarsi dal “basso” della capacità di alternativa rispetto alla gestione capitalistica; b) L’organizzazione della lotta politica. Anche nel XXI secolo, nelle complessità dell’organizzazione sociale esistente a livello planetario e nella trasversalità delle contraddizioni, l’organizzazione della lotta politica non potrà che realizzarsi attraverso la costruzione di un’identità basata non soltanto sui necessari riferimenti alla storia del movimento operaio ma anche al riguardo della realtà sociale esistente e alle forme possibili di partecipazione che soprattutto l’innovazione tecnologica ha modificato nel loro esistere concreto dell’oggi. Si tratta di due pilastri fondamentali se si vuole aprire sul serio la discussione sulla sinistra nel XXI secolo: ‘idea della politica come lotta per il potere da condursi attraverso un’identità precisa (insieme etica, storica e politica) attrezzata attraverso l’organizzazione di un soggetto politico compiuto. Un partito per l’appunto. Il nesso identità/partito è assente nell’analisi di Podemos (e anche di Syriza che sta dimostrando da parte sua una notevole abilità nel gioco parlamentare) e, di conseguenza, considerata la sua forte influenza di questi soggetti sulla sinistra, in particolare a livello europeo, appare assente anche nel dibattito politico. E’ il caso di riaprire il dibattito, con urgenza e determinazione, almeno da parte di chi ritiene il partito come la sola possibilità di organizzazione della soggettività e la storia del movimento operaio, nelle sue sconfitte e nelle sue contraddizioni, una traccia ancora utile per il futuro.

giovedì 23 luglio 2015

Renzi fa la “rivoluzione fiscale”, ma continua a ignorare i poveri | Linkiesta.it

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Le tasse sono di sinistra?

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What Do The Greek People Really Want? » Social Europe

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La scommessa perduta di Angela e il destino dell'Europa | Brando Benifei

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Moving On From The Euro

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La crisi greca e l'Europa delle diseguaglianze - micromega-online - micromega

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mercoledì 22 luglio 2015

The Myth Of The EU's €35bn Investment Package For Greece

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Germany, Greece, And The Future Of Europe

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Dibattito sulla Grecia. 2: La strategia della Merkel e il silenzio del PSE | Pandora Pandora

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Nel Labour tutti matti per Jeremy Corbyn-(TRed) | Pandora Pandora

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Associazione UtoyaUtoya è Suruc - Associazione Utoya

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Inps, pensioni e povertà in Italia / italie / Sezioni / Home - Sbilanciamoci

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The UK's EU referendum and the EU's legitimacy crisis | openDemocracy

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Jeremy Corbyn given huge lead in new poll of Labour leadership voters

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La gauche et l’euro : liquider, reconstruire - Les blogs du Diplo

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La strage non fermerà i ragazzi di Suruç

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Livio Ghersi: Studi sulla classe politica: Renzi e Crocetta

da criticaliberale.it Studi sulla classe politica: Renzi e Crocetta. Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Matteo Renzi, annuncia un programma pluriennale di riduzione della pressione fiscale. Tra l'altro, sarà eliminata per tutti l'imposta sulla prima casa. Tenuto conto che non risultano proteste da parte del Ministro per l'Economia e le Finanze, Pier Carlo Padoan, si deve presumere che egli sia, se non entusiasta, quanto meno d'accordo con chi guida il governo di cui è parte. Ciò non era scontato, considerata la situazione dei conti pubblici. In materia, c'è l'esigenza di essere continuamente aggiornati. E' bene, quindi, dare una rapida lettura al Bollettino statistico della Banca d'Italia, con gli indicatori monetari e finanziari (numero 38 del 14 luglio 2015). Il primo grafico, riportato alla figura uno, "Debito delle amministrazioni pubbliche", dimostra che il debito pubblico italiano complessivo è sempre lì, anzi è un po' cresciuto, attestandosi serenamente intorno ai 2.230 miliardi di euro. Avete presente tutte le lamentazioni sulla Grecia che non rispetta i trattati sottoscritti con l'Unione Europea? Il fatto è che anche l'Italia ha sottoscritto i medesimi trattati; anzi, con la modifica della Costituzione approvata con legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, ha voluto distinguersi quanto ad enunciazione di propositi virtuosi. Lo Stato italiano si è impegnato con le Istituzioni dell'Unione Europea a rimettere in ordine i propri conti pubblici, facendo essenzialmente due cose: 1) raggiungere il pareggio di bilancio, in modo che l'esercizio finanziario annuale non si concluda in disavanzo, che verrebbe a sommarsi al debito pubblico pregresso; 2) ridurre l'ammontare del debito pubblico, fino a portarlo ad una misura corrispondente al 60 % del Prodotto interno lordo. La riduzione del debito fino alla misura stabilita dovrebbe realizzarsi nell'arco di vent'anni, ma l'onere sarebbe comunque molto rilevante, considerato che, al momento, il debito pubblico è stimato pari al 130 % del PIL. Si tratterebbe, cioè, di tagliare in vent'anni una cifra mostruosa, pari al 70 % dell'attuale debito pubblico. Ovviamente, poiché stiamo considerando un rapporto percentuale, se nel frattempo crescesse significativamente il PIL italiano e questa crescita si stabilizzasse attraverso un duraturo miglioramento degli indicatori economici, la cifra del debito da abbattere si ridurrebbe automaticamente; così l'operazione contabile di iscrivere nel bilancio di ogni anno un tot di debito da estinguere, sarebbe più facilmente sostenibile. Noi siamo dei poveri osservatori, privi di abilità politica. Ragioniamo all'antica. Dal nostro punto di vista, quando si assume solennemente un impegno, le cose da fare sono poche: o si rispetta quanto si è convenuto; oppure ci si rifugia dietro il classico argomento che «ad impossibilia nemo tenetur»: poiché le dinamiche reali dell'economia dimostrano che è economicamente, e soprattutto socialmente, insostenibile per gli Stati membri un piano di rientro dal debito pubblico nei termini previsti dalla vigente normativa dell'Unione Europea, si impone un soprassalto di realismo e questa normativa va conseguentemente modificata. Ipotizzare una procedura di modifica dei trattati, siano pure gli infelici trattati intergovernativi di ultima generazione che riguardano l'Eurozona, significa, però, prospettare uno scenario assai complesso, con prevedibili forti resistenze. Con uno slancio di ottimismo, concediamo che la modifica vada a buon fine, almeno nei limiti realistici in cui ciò è possibile. Deve essere chiaro, tuttavia, che in nessun caso ciò equivarrebbe a rinunciare completamente all'obiettivo di tenere in ordine i conti pubblici. Una modifica potrebbe significare, ad esempio, che un nuovo accordo intergovernativo tra gli Stati membri fissi il parametro del rapporto tra debito pubblico e PIL, non al 60 % com'è oggi previsto, ma al 90 % nelle circostanze date, con la possibilità di portarlo all'85 % dopo un arco di tempo sufficientemente lungo per avere tutti i riscontri di fatto. Potrebbe significare che un nuovo accordo intergovernativo tra gli Stati membri prenda atto che, sempre nelle circostanze date, l'obiettivo del pareggio di bilancio annuale sia oggettivamente troppo pretenzioso, e che quindi si stabilisca di consentire una certa flessibilità di bilancio entro il limite di un disavanzo annuo non superiore al 2,50 % del PIL nazionale (ossia, meno del tre per cento, che era la vecchia regola successiva al Trattato di Maastricht del febbraio 1992). Bisogna sommessamente ricordare che la regola del tre per cento, come limite al disavanzo annuale, è stata superata nella più recente normativa dell'Unione Europea. Anche se Renzi accampa il merito di averla finora rispettata, egli sa benissimo — e comunque il Ministro Padoan sarebbe tenuto a ricordargli — che le regole da rispettare sono oggi ben altre! Una volta fatto un negoziato per ottenere nuovi parametri e una volta approvate nuove normative che li stabiliscono, uno Stato serio avrebbe il dovere di profondere il massimo dell'impegno per dimostrare che li rispetta. La questione, infatti, mette in gioco la credibilità nazionale, tanto più per lo Stato che ha posto formalmente l'esigenza di cambiare le regole. Che dire del nostro fantasioso Presidente del Consiglio? Per lui è come se il debito pubblico non ci fosse. L'Italia, a suo dire, avrebbe già fatto i compiti a casa, anche se si deve al tanto vituperato governo Monti di aver realizzato l'unica riforma economicamente rilevante, quella delle pensioni, giusta o sbagliata che fosse. Per il resto, i "compiti a casa" si sono per lo più tradotti in impegni teorici (come appunto la legge costituzionale che ha riscritto l'articolo 81 della Costituzione), senza però che dalla teoria si passasse ai fatti. Il trattato cosiddetto del "Fiscal compact", ad esempio, è stato ratificato con legge 23 luglio 2012, n. 114; esattamente tre anni orsono. Nel frattempo, si sono ottenuti dall'Unione Europea, rinvii, deroghe, eccezioni temporanee; forse qualcuno si illude che si possa continuare così all'infinito. Il Ministro Padoan che, indegnamente, occupa la poltrona che fu di Quintino Sella, non ha alcunché da obiettare, nulla da precisare. Nella legge di stabilità per il prossimo anno finanziario si dovranno trovare risorse finanziarie aggiuntive affinché non scattino in automatico le clausole di salvaguardia introdotte nell'esercizio precedente; queste erano state previste a garanzia di misure economiche che, come tutti già sapevano perfettamente, erano prive di reale copertura finanziaria. In aggiunta, si dichiara ora di rinunciare all'imposta sulla prima casa. Alle minori entrate, inclusa la rinuncia all'aumento dell'IVA previsto dalle clausole di salvaguardia, non corrispondono tagli alla spesa pubblica di importo equivalente. Meno entrate, restando sostanzialmente equivalente la spesa pubblica, si traducono in aumento di debito pubblico. Non c'è bisogno di essere economisti per comprenderlo. E' troppo comodo prendersela sempre con la Cancelliera Merkel e con la cattiva Germania. Ogni tanto bisognerebbe ammettere pure che, purtroppo, siamo governati da persone poco serie. Leste a dire sì per opportunismo, ma pronte a fare, nella pratica, l'esatto contrario di quanto pattuito. C'è poi un corollario, dal mio punto di vista particolarmente fastidioso. Il tributo sulla prima casa è un tributo locale. Come già aveva fatto il governo Berlusconi, il governo Renzi intende farsi bello con soldi non suoi. A Berlusconi (e alla destra) non piaceva l'ICI; ma l'imposta comunale sugli immobili era portante negli equilibri della finanza locale. Non è possibile che un governo centrale elimini un'entrata di spettanza degli enti locali, senza preoccuparsi del terremoto che così facendo determina nella finanza locale. Grazie a Berlusconi siamo entrati in un girone infernale: niente ICI, ma IMU, più TASI, più aumento delle addizionali regionali e comunali sull'IRPEF, più altri balzelli. Ai cittadini non importa se pagano allo Stato, o alla Regione, o all'Ente locale. Ciò che importa è la pressione fiscale complessiva. Questa può essere effettivamente ridotta soltanto se Stato, Regioni ed Enti locali operano di concerto, con reciproca leale collaborazione. Altrimenti, ridurre al centro per pagare di più in periferia non si traduce necessariamente in un vantaggio per i cittadini. Anzi! Dopo tutto ciò che è successo nell'ultimo triennio, proprio ora che si parlava di una riforma complessiva della finanza locale, Renzi si appresta a ripetere il medesimo errore di Berlusconi. L'esperienza non ha insegnato alcunchè! Il fatto è che Renzi ragiona con orizzonti limitati, per non dire alla giornata: gli interessa unicamente raccattare i voti parlamentari controllati da Berlusconi, quelli che porta Verdini, oltre ai voti del Nuovo Centrodestra di Alfano: tutte le destre si ricompattano di fronte alla prospettiva di non tassare la prima casa. Noi, sommessamente, osiamo obiettare che c'è casa e casa. Eventuali esenzioni totali dovrebbero riguardare esclusivamente le famiglie che hanno più bassi redditi. E' poi un dato di fatto che il valore di un immobile può essere valutato soltanto a livello locale: in relazione alla zona urbana in cui è ubicato, fermo restando che la stima del valore risente altresì delle caratteristiche del mercato delle abitazioni nelle diverse aree geografiche: il costo di una abitazione a Milano, o a Roma, è diverso da quello di un'abitazione a Cagliari, o a Campobasso, quand'anche le abitazioni avessero dimensioni e caratteristiche tipologiche simili. Alle disposizioni di legge dello Stato spetta soltanto fissare criteri generalissimi e stabilire limiti quantitativi di prelievo, minimi e massimi. Spetta, invece, all'Amministrazione locale quantificare l'importo dei tributi sugli immobili e riscontrare la sussistenza di motivi di riduzione, o esenzione. Molti sostengono che l'Italia è bella, ricca di storia, di arte e di cultura, ma mal governata e peggio amministrata. Si risponderà che i cittadini si meritano i governanti e gli amministratori che hanno, perché li hanno legittimati con il loro voto nelle elezioni, ai vari livelli. Probabilmente, la questione è molto più complessa. Bisognerebbe considerare tanti altri fattori: dalle caratteristiche delle leggi elettorali, con tutte le forzature implicite nei meccanismi maggioritari, alle regole vigenti in materia di appalti pubblici di opere, servizi e forniture, fino ad arrivare alla coscienza, di ordine generale, che la nostra è la caricatura di uno Stato di Diritto: con il proliferare delle liti (incoraggiato da tre gradi di giudizio garantiti a tutti), l'eccesso di sedi giurisdizionali (giustizia penale, civile, amministrativa, contabile, specializzata nelle controversie di lavoro, eccetera), il fiorire di Autorità indipendenti tanto costose quanto inutili, questo sedicente Stato di Diritto forse fa felici gli avvocati e le persone nominate nelle Autorità indipendenti, ma non realizza giustizia e, soprattutto, rende vago ed aleatorio il concetto di responsabilità dei decisori politici. Una sola precisazione sugli appalti: aggiudicarli al massimo ribasso è stupido e criminale. Stupido, perché il costo dell'opera aumenta poi a dismisura con variazioni di prezzo accordate in momenti successivi al medesimo appaltatore. Criminale, perché ormai è chiaro a tutti che chi si aggiudica un'opera ad un prezzo molto più basso rispetto a quello che sarebbe il fisiologico prezzo di mercato, considera normale ridurre i costi, utilizzando materiali di qualità scadente e depotenziando le stesse caratteristiche strutturali che, secondo progetto, sono state concepite a presidio della stabilità e funzionalità dell'opera. Le opere pubbliche hanno senso soltanto se risultano utili alla collettività; quindi, devono essere realizzate a regola d'arte. L'attenzione dei pubblici poteri dovrebbe concentrarsi su questo: come funzionano e quanto durano. Si ha l'impressione che oggi molti considerino le opere pubbliche esclusivamente come occasioni di movimentazione del denaro pubblico: non importa che questo, in ultima analisi, venga sprecato; l'importante è che decisori politici e funzionari amministrativi, in combutta con appaltatori disonesti, possano ricavarne, pro quota, il loro concreto utile. La classe politica non si esaurisce in Renzi e Padoan. In Sicilia abbiamo la nostra croce: Rosario Crocetta. Dire male di lui è facile, come sparare sulla Croce Rossa. C'è solo l'imbarazzo della scelta degli argomenti. E' francamente imbarazzante, ad esempio, sentirlo parlare dei conti pubblici della Regione; lo fa sempre in modo approssimativo, sempre senza dati e riferimenti precisi, sempre facendo un gran confusione fra milioni e miliardi, come se si trattasse di noccioline. Non abbiamo intenzione di infierire contro quello che, con tutta evidenza, è un caso umano. Soltanto ricordare qualche passaggio. Il personaggio Crocetta fu inventato come strumento di un non meglio precisato "governo dell'antimafia". Formula che di per sé la dice lunga sulle miserabili condizioni politiche in cui versa la Sicilia: la ricerca di buoni rapporti con le persone fisiche che rappresentano gli Uffici giudiziari nel territorio viene ritenuta più importante dell'elaborazione di un credibile programma di riforme istituzionali e di politica economica. Proprio al fine di arrivare al "governo dell'antimafia" fu eliminato un concorrente alla carica di Presidente della Regione che poteva fare ombra a Crocetta, in quanto dotato di una credibile storia personale di vittima della mafia. Facciamo riferimento a Claudio Fava. Ricordate? Nel mese di settembre del 2012 la candidatura di Fava alla carica di Presidente della Regione fu annullata, perché egli non aveva trasferito in tempo la propria residenza in un comune siciliano. Poiché condividiamo, nel bene e nel male, il destino dei siciliani, per noi è magra consolazione non avere la responsabilità di aver votato per Crocetta. Non lo votammo perché, anche nel 2012, lo consideravamo soltanto "un trombone", un demagogo da quattro soldi. L'emblema del megafono, scelto dalla lista Crocetta, si è rivelato perfetto, considerate le caratteristiche del leader. C'era una sensibilità, come dire, estetica, oltre che un giudizio di merito politico, che allora come oggi ci faceva vedere l'inopportunità che uno come Crocetta ricoprisse una responsabilità così importante qual è quella di Presidente della Regione siciliana. Non ci interessano le presunte rivelazioni di un settimanale. Le frasi scaturite dalla presunta intercettazione telefonica sono gravi, ma cambierebbe poco se fossero state falsificate. Diamo per scontato che Crocetta non abbia proprio la colpa che oggi gli si imputa ed assumiamo, anzi, che egli sia sinceramente affezionato alla memoria di Paolo Borsellino. Del resto, proprio perché era consapevole del valore di quella memoria ed intendeva strumentalizzarla ai propri fini, ha voluto che la figlia di Borsellino, dipendente regionale come ce ne sono tanti, entrasse a far parte della Giunta regionale, alla guida di un Assessorato importante e delicato. Dal nostro punto di vista, Crocetta deve lasciare la sua carica per quello che egli è, per la sua azione di governo, per il poco che ha fatto (male) e per il tanto che avrebbe potuto fare e non ha fatto. Prima se ne va e meglio è. Resta la strana vicenda di una carica, quella di Presidente della Regione siciliana, che non ha avuto pace da quando è stata introdotta l'elezione a suffragio universale diretto. I precedenti sono quelli di Salvatore Cuffaro e di Raffaele Lombardo. Viene quasi la nostalgia di presidenti eletti dall'Assemblea regionale, quando ancora c'era una forma di governo parlamentare. Senza andare troppo indietro, basti pensare a Rosario Nicolosi che, a dispetto delle sue disavventure giudiziarie, era un autentico gigante rispetto ai presidenti legittimati dal popolo: sapeva esprimersi in un buon italiano; si presentava bene; era misurato nel parlare; capiva, perfino, qualcosa di economia. Ci farebbe piacere che quando verrà il momento di individuare un nuovo Presidente della Regione che, effettivamente e non a chiacchiere, possa rappresentare un cambiamento di costumi, tra i "kingmakers", ossia tra i grandi elettori politici, non abbia un'influenza rilevante quel senatore Giuseppe Lumia che è stato il principale consigliere ed il più strenuo sostenitore di Crocetta. Grazie, abbiamo già avuto modo di apprezzare i suoi talenti. Palermo, 20 luglio 2015 Livio Ghersi

PER UNA STORIA DEI SINDACI MILANESI | Walter Marossi | ArcipelagoMilano

PER UNA STORIA DEI SINDACI MILANESI | Walter Marossi | ArcipelagoMilano

COSA SUCCEDE SULL’AREA DEL PORTELLO? | Paolo Pomodoro | ArcipelagoMilano

COSA SUCCEDE SULL’AREA DEL PORTELLO? | Paolo Pomodoro | ArcipelagoMilano

MILANO. DOPO L’UNO-DUE LA SINISTRA VA AL TAPPETO | Luca Beltrami Gadola | ArcipelagoMilano

MILANO. DOPO L’UNO-DUE LA SINISTRA VA AL TAPPETO | Luca Beltrami Gadola | ArcipelagoMilano

martedì 21 luglio 2015

La sinistra non avrà futuro se non scommette sull'Europa | Eutopia

La sinistra non avrà futuro se non scommette sull'Europa | Eutopia

Felice Besostri: Lettera aperta al Politcamp

LETTERA APERTA AL POLITCAMP 2015 FIRENZE Car* Compagn*, quest’anno, a differenza del Politcamp di Livorno dell’anno passato, non sarò fisicamente presente all’appuntamento di Possibile. Mi dispiace perché non è la stessa cosa intervenire postando le proprie riflessioni su qualche sito, anche più d’uno, e parlare guardandosi negli occhi o condividere a contatto di gomito le emozioni o le suggestioni trasmesse dall’oratore di turno. Se poi si interviene, nulla può sostituire la sensazione che si trasmette tra chi parla e chi ascolta, quando si verifica la sintonia. D’altra parte non si può dividersi il pane stando lontani: non abbiamo ancora inventato la trasmissione telematica delle briciole. E’ un dato, non c’è a sinistra uno spazio fisico e pubblico di discussione nel quale si possano mettere a confronto tutti i filoni ideali storici della sinistra comunista, socialista e libertaria con gli arricchimenti prodotti da movimenti come il femminismo, l’ecologismo politico e per il rispetto dei diritti umani e civili, individuali o collettivi che siano. In uno spazio pubblico comune la discussione deve essere necessariamente plurale senza esclusioni a priori. Un luogo dove sia più importante cosa si dice di chi lo dice per capire dove si voglia andare insieme, se fosse possibile superare divisioni ed incomprensione e anche, nei casi estremi, odi reciproci, frutto del passato, che non passa mai e che ipoteca il nostro futuro e ci priva persino della speranza. Se consentiamo che “le mort saisit le vif” abbiamo fallito prima ancora di cominciare. Sia chiaro che non è un invito a dimenticare in una catartica rimozione collettiva, ma a ripensare con altro spirito le tragedie e le divisioni che hanno travagliato la sinistra, in particolare le tragedie della mancanza di unione in momenti decisivi quali l’aggressione fascista alla democrazia negli anni ’20 e ’30 del XX° secolo. Tutti noi sappiamo che se le tragedie si ripetono lo fanno in forma di farsa. Sono convinto che siamo in una situazione di offensiva generalizzata contro la democrazia costituzionale e sociale, come si è configurata dopo la seconda guerra mondiale, un’offensiva che riguarda la garanzia dei diritti, la divisione dei poteri e le conquiste dello stato sociale, che in alcuni paesi sono aggravate dal sottosviluppo, da guerre civili, da epidemie e da ineguaglianze crescenti, che sono alla base di migrazioni di dimensioni planetarie, che aggravano le tensioni nei paesi di destinazione e che privano i paesi di partenza delle risorse umane necessarie per invertire la rotta e spezzare la spirale della violenza e del fanatismo religioso. Il rafforzamento dell’esecutivo rispetto alle assemblee rappresentative e una tendenza generalizzata, la logica di decisioni rapide mette in discussione le procedure proprie dei Parlamenti, che hanno il compito-lo dice il loro stesso nome-di discutere prima di deliberare. Il dibattito pubblico che precede le deliberazioni è più importante dei sistemi elettorali. Quanto più è ampio e profondo, tanto più la rappresentanza ne viene esaltata. In Italia abbiamo adottato una legge elettorale, che non rimuove i vizi di incostituzionalità alla luce dei principi della Corte Costituzionale enunciati nella sentenza n. 1/2014 di annullamento parziale della legge n. 270/2005. Sempre in Italia si sta consumando al Senato uno stravolgimento della Corte Costituzionale grazie a norme regolamentari redatte ed intrepretate come non vi fosse l’art.138 Cost.: si impediscono emendamenti ai testi, come se le norme costituzionali fossero leggi ordinarie, di cui si chiede una rapida approvazione. Nei due casi menzionati il dibattito è stato strozzato persino nelle aule parlamentari con trucchi e trucchetti e con voti di fiducia, di cui bastano i precedenti della legge Acerbo e della cosiddetta Legge Truffa per squalificarli: la società e la sua opinione pubblica ne sono state appena sfiorate. La squalificazione della politica e il disprezzo , dei partiti e dei loro esponenti, ha creato un’insensibilità democratica tale per cui quando una legge, la Del Rio, toglie ai cittadini il diritto di scegliersi i propri rappresentanti nelle Province e Città Metropolitane, non ci sono stati reazioni apprezzabili nell’opinione pubblica, nei mezzi di comunicazione di massa e negli stessi partiti di opposizione, che hanno partecipato alla farsa di elezioni di secondo grado con un elevato numero di Presidenti di Provincia concordati a tavolino e addirittura con liste unitarie di candidati pari ai posti da eleggere.. La legislazione approvata sotto l’impulso del Governo Renzi rappresenta nel merito e simbolicamente una sconfitta della sinistra e dei suoi idoli, dal Job Act, che ha archiviato lo Statuto dei Lavoratori, alla legge sulla scuola, che trasforma la scuola pubblica in un’azienda diretta da presidi manager ovvero il “Salva Italia”, che potenzialmente fa perdere l’ambiente e il nostro mare. Una serie di leggi, cui hanno dato il loro voto favorevole parlamentari, per i quali la disciplina di partito ha un valore superiore alla Costituzione e all’interesse della Nazione, l’unico vincolo ammesso dall’art. 67 Cost., che significa non aver adempito al loro mandato con disciplina ed onore, come è richiesto dall’art. 54 Cost.. In assenza di uno spazio pubblico di discussione a sinistra si corre il rischio di imputare gli uni agli altri il recente passato, le contraddizioni e le incoerenze ma senza affrontare i problemi di fondo di una sinistra italiana, che è una delle grandi malate dell’Europa e che crede di poter superare i suoi problemi nell’ammirazione/imitazione di qualche modello straniero di successo, consumandoli in rapida successione dalla Linke, al Fronte de la Gauche e, in fine Syriza, quella di maggior esito in attesa di una vittoria di Podemos nelle prossime elezioni spagnole: comunque un progresso rispetto a quando i modelli erano i guerrilleros, l’IRA, l’ETA, il sub-comandante Marcos o il Presidente Chavez Un’esterofilia che non corrisponde ad una prassi di porre nel giusto rilievo la dimensione internazionale dei problemi. Quando mi sono iscritto al PSI nel 1961 era comune che ogni discussione nel PCI e nel PSI, non solo nelle direzioni nazionali o nei comitati centrali, ma anche nell’ultima sezione iniziasse con la situazione internazionale per arrivare al proprio quartiere. Non è più così, eppure sarebbe quanto mai necessario anche se era più semplice parlare del confronto delle superpotenze, della corsa agli armamenti, del pericolo nucleare, delle lotte di liberazione in Africa, piuttosto che della lotta armata in America latina, che di regolazione dei mercati finanziari o dei derivati, delle società di rating, dello spread e di tante cose di cui esiste il solo nome in inglese. Dove e quando ne parlano tutti insieme uomini e donne di buona volontà, insoddisfatti della situazione in cui si trovano collocati? Ora bisogna stare dovunque in ogni evento, di cui non si può dettare l’agenda nemmeno in parte e neppure sapere in anticipo se si potrà parlare e per quanto tempo.. Due sono le questioni che mi stanno a cuore la prima è l’emergenza democratica perché l’Italia è il paese cavia dal punto di vista della destrutturazione democratica, come la Grecia lo è delle ricette liberiste per uscire dalla crisi, e come a suo tempo si colpì il Cile di Allende e dell’Unidad Popular. Le controriforme di Renzi si inseriscono in un processo generale di riduzione dello spazio pubblico e di interventi pubblici di regolazione dell’economia degli stati nazionali, non compensati dai poteri crescenti di organizzazioni internazionali o istituzioni sovranazionali, con standard democratici ridotti perché privi di una dimensione parlamentare o con poteri ridotti di quest’ultima rispetto alla tecnostruttura burocratica e alla rappresentanza governativa: l’Unione europea che non ci piace, quella più lontana dagli ideali federalisti del Manifesto di Ventotene di Spinelli, Rossi e Colorni, ne è il massimo esempio negli ultimi tempi. Dobbiamo cogliere l’importanza dell’emergenza democratica e dell’insufficienza dei contrappesi istituzionali interni dalla Presidenza della Repubblica alla stessa Corte Costituzionale, come la vicenda dell’annullamento del Porcellum ha dimostrato: un Parlamento eletto con norme incostituzionali può legalmente manomettere la Costituzione e nel contempo impedire di fatto la integrità della Corte Costituzionale non eleggendo i membri scaduti oltre che delegittimarla, se compromette i conti pubblici, solo per far rispettare la Costituzione. La modifica nel 2012 degli articoli 81, 97, 117 e 119 Cost. in particolare sull’equilibrio di bilancio è un esempio degli effetti negativi di modifiche costituzionali affrettate e ideologiche, tra l’altro con rigidità di formulazione sconosciuta persino nella sua vestale Repubblica Federale Tedesca Per evitare ogni dibattito pubblico, anche successivo, è stata adottata coi la maggioranza dei 2/3 dei componenti il Parlamento per evitare il referendum confermativo. Il fallimento della raccolta delle firme per un referendum abrogativo delle leggi ordinarie di attuazione di quella sciagurata revisione costituzionale non è casuale: è uno dei segni, insieme con l’astensione crescente dal voto e l’ aumento di schede bianche e nulle, della demoralizzazione dell’opinione pubblica, che trova semmai sfogo in proteste localizzate, che si tratti della TAV nella Val Susa ovvero delle azioni di contrasto all’arrivo di migranti o profughi, liquidati come clandestini, nel Nord-Est o nelle periferie romane. In tali manifestazioni quello che colpisce non è tanto la presenza sul terreno di anarco-insurrezionalisti, per usare un’espressione tipica del ministero dell’Interno, in un caso o di casa Pound e/o di Forza Nuova negli altri, ma l’assenza di forze organizzate democratico-progressiste. Per tornare all’emergenza democratica. Pendono innanzi ai tribunali Italiani: a) 9 ricorsi contro la legge elettorale europea, di cui 3 già approdati in Corte Costituzionale, di cui solo uno deciso in procedura; b) 6 ricorsi contro leggi elettorali regionali( Lombardia, Campania, Toscana, Umbria. Sardegna e Puglia) di cui uno approdato in Corte Costituzionale e deciso nella pubblica udienza del 7 luglio 2015, con decisione non ancora depositata: c) 2 ricorsi contro la città metropolitana di Milano e 1 ricorso contro la provincia di Monza Brianza aventi ad oggetto la legge Del Rio nel suo complesso e non solo la sua concreta applicazione; 1) 1 ricorso contro l’Italikum. Il Coordinamento per la democrazia costituzionale (www.coordinamentodemocraziacostituzionale.net ) ha deciso di promuovere ricorsi contro l’Italikum appena l’iter sarà completato con l’approvazione dei 100 collegi, almeno in ciascun distretto di Corte d’Appello, cioè 26 ricorsi. Mancano solo collegi di avvocati in tre distretti, Potenza, Trento e Bolzano. Questi ricorsi non possono essere iniziative puramente giudiziali di giuristi democratici: occorre evitare quello che è successo con il Porcellum, che il positivo esito in Corte Costituzionale e in Cassazione, non si sia tradotto politicamente in una nuova legge elettorale costituzionale, ma in quel mostro, che è l’Italikum. Come estendere l’opposizione, accompagnando le impugnazioni con la costituzione di comitati di sostegno? Accompagnare l’azione giudiziaria con un referendum abrogativo? Sono decisioni collettive e politiche, che non possono essere prese in solitario. Ancora una volta si ripropone il problema dell’esistenza di luogo di confronto plurale e decisione condivisa. Sono grato al compagno Andrea Ermano, direttore dell’Avvenire dei Lavoratori di Zurigo, di aver contribuito ad inquadrare la questione democratica italiana in un ragionamento più ampio con queste sue considerazioni: “ La lettura di molti fatti dipende dal sistema di coordinate adottato per metterli a sistema. Concordo, come ben sai, sulla preoccupazione da te spesso ribadita circa la deriva della democrazia italiana ed europea. Però questa deriva è connessa non solo agli interessi materiali in campo dentro ai singoli sistemi, quello nazionale e quello comunitario, ma anche alla situazione di guerra civile globale nella quale siamo coinvolti in modo crescente ormai da molti anni. Il carattere emergenziale di questa deriva, innescatasi in concomitanza con i grandi attentati terroristici del 2001, si è via via rafforzato a causa di varie tensioni geopolitiche che a loro volta vanno intrecciandosi con le incredibili dinamiche finanziarie e altre crisi ancora: idriche, alimentari, energetiche, demografiche e umanitarie. Secondo la diagnosi formulata una ventina di anni fa da Agamben (pensatore approdato alla filosofia e alla teologia, ma nato giurista) assistiamo a un mega-transito verso il decreto esecutivo come forma prevalente del potere politico. Questa mega-transizione – sostiene Agamben – tende a un potere sovrano absolutus la cui istituzione corre parallela all’emergere di uno stato d’eccezione globale. Se è in questa prospettiva da incubo che ci stiamo muovendo, i fatti assumono una loro diversa leggibilità o illeggibilità. Perciò occorre ‘ripensare’ certe insurrezioni, certe inflessibilità, o la risonanza globale della crisi europea, o i problemi di coesione transatlantica dell’Occidente, e poi ancora il continuo “stress-test” cui vengono sottoposti lo stato di diritto e gli assetti costituzionali in forza di sollecitazioni abbastanza eterogenee. In questo quadro (di certo non solo teorico) il caso greco compendia le problematiche di cui sopra: per le cause e per il contesto, ma soprattutto per l’allucinante pressione commissariale, propagandistica ancor più che ‘soltanto’ ideologica, verso un intero popolo. Ma la situazione italiana segue a ruota, seppure con diversi accenti e intensità. E la lista potrebbe continuare, ferma restando l’estrema difficoltà – al limite dell’impensabilità – che incontriamo nell’elaborare un’idea (di governance) cosmopolitica. ..”. Si deve notare che, invece, la reazione più, comune e semplice non sia quella di migliorare le istituzioni sovrannazionali, democratizzandole e aprendole, nel caso della UE, alla partecipazione popolare con l’estensione dei diritti di cittadinanza europea, , ma di ritornare allo Stato nazionale per recuperare una sovranità apparente nel contesto della globalizzazione e rafforzando il ruolo dei governi, proprio quando i maggiori danni sono stati provocati dalla cooperazione intergovernativa e da singoli stati nazionali, che senza alcun mandato di fatto determinano le politiche europee a danno e in violazione di procedure comunitarie in conformità ai trattati. Basta un esempio per dimostrare quanto sopra. Tra le clausole del Memorandum , concordato, anzi imposto alla Grecia, vi sarebbe quello di escludere la contrattazione collettiva sindacale ebbene l’art. 28 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’UE, che ha lo stesso valore giuridico vincolante dei Trattati, ai sensi dell’art. 6 del Trattato di Lisbona sull’Unione Europea, è chiaro ed inequivoco: “Diritto di negoziazione e di azioni collettive I lavoratori e i datori di lavoro, o le rispettive organizzazioni, hanno, conformemente al diritto comunitario e alle legislazioni e prassi nazionali, il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi, ai livelli appropriati, e di ricorrere, in caso di conflitti di interessi, ad azioni collettive per la difesa dei loro interessi, compreso lo sciopero”. Uno spazio di azione si apre anche a livello europeo e questo mi consente di passare al secondo punto di questa lettera pubblica quello della questione socialista nell’ambito dei temi da affrontare se vogliamo dar vita ad una nuova sinistra. Un punto da chiarire: la questione socialista, come la intendo, non è la questione dei socialisti all’interno di un futuro schieramento, tanto per semplificare a sinistra del PD, sarebbe come ridurre la questione meridionale da questione nazionale a problema degli abitanti di quelle plaghe. La questione socialista è un problema della sinistra del suo complesso, se vuol tenere conto delle sue specificità. L’Italia è stato il solo paese in cui - quando l’Europa senza tener conto della sua storia e della sua cultura è stata divisa tra est ed ovest- il partito comunista non sia stato isolato politicamente, ma grazie anche al PSI, oltre che sul suo consenso elettorale, ha potuto amministrare enti locali e regionali, dar vita ad associazioni unitarie( ARCI, UISP) in vari settori e soprattutto ad un grande sindacato come la CGIL e al più grande movimento cooperativo italiano. Questa scelta è costata al PSI la scissione di Palazzo Barberini e la sua esclusione dall’Internazionale Socialista fino all’unificazione con lo PSDI. Nei paesi dell’Europa orientale le unificazioni costruirono partiti dove l’identità socialista fu negata anche quando conservata nel nome come la SED in DDR , il POUP in Polonia o il POSU in Ungheria. In Occidente di converso con le eccezioni di Italia, Francia, Cipro e Grecia, l’egemonia a sinistra fu di partiti socialdemocratici, socialisti o laburisti. In Spagna e Portogallo la fine dei regimi fascisti e corporativi assegnò alla fine della transizione un ruolo maggiore ai socialisti e lo stesso in Grecia dopo la caduta dei colonnelli. Una nuova dinamica si sviluppò in Francia con Mitterrand e l’Union de la Gauche. A mio avviso la dimostrazione che contrariamente alla vulgata non è l’esistenza di un forte partito comunista l’ostacolo all’esistenza di un forte partito socialista ma piuttosto di un partito democratico cristiano interclassista e con una componente di sinistra. In Francia fu lo scioglimento del MRP, già primo partito francese del secondo dopoguerra, nel 1967 e in Spagna l’insuccesso nelle elezioni del 1977 della democrazia cristiana di Joaquìn Ruiz Giménez a dar via libera all’espansione socialista. Una diversa lettura del riformismo socialista si impone quando le “riforme” del PD mettono in discussione le riforme socialiste del primo centro-sinistra a cominciare dallo Statuto dei Lavoratori, ma presto sarà la volta del Servizio Sanitario Nazionale. Non diversamente avviene nel resto d’Europa o in quei paesi come la Nuova Zelanda o l’Australia, che ne sono la proiezione. Le grandi conquiste del compromesso socialdemocratico, in primis il welfare state sono l’obiettivo delle destrutturazioni con il pretesto della crisi economico finanziaria che si è acuita a partire dal 2007, ma il cui punto di partenza è iniziato nel ventennio precedente con l’erosione del potere di acquisto d stipendi e salari e della loro percentuale del PIL rispetto alle rendite e ai guadagni finanziari, la concentrazione della ricchezza nel decile superiore delle classi sociali, quando non è l’1% denunciato dal movimento Occupy Wall Street. Si sta verificando la profezia, che per alcuni era anche l’auspicio, che con il crollo del muro di Berlino non si seppellisse soltanto il sistema sovietico, ma anche la socialdemocrazia, in quanto la sconfitta del comunismo, non giustificava più le concessioni fatte, nei paesi più sviluppati, ai sindacati ed ai loro partiti politici di riferimento. I partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti progressivamente perdevano il monopolio della rappresentanza delle classi popolari e dei lavoratori e dovevano fare i conti con formazioni alla loro sinistra non più identificabili con i partiti comunisti o acconciarsi a Grandi Coalizioni con gli avversari di sempre. Il risultato prevalente è stato l’aumento dell’astensione elettorale, come le elezioni federali tedesche del 2009 hanno mostrato: i 2/3 delle perdite della SPD non sono state recuperate dai Verdi e dalla Linke . Altro fenomeno è stato lo scivolamento di voti popolari verso movimenti populisti/nazionalisti dal Front National in Francia, all’UKIP in Gran Bretagna o ai Veri Finlandesi, per non parlare di Paesi come l’Ungheria. Le alleanze a sinistra come in Islanda, in Norvegia e da ultimo in Danimarca son state battute alle urne, come le elezioni non hanno, tranne in un caso, premiato le alleanze SPD-Linke nei Länder tedeschi. Il bilancio complessivo è uno spostamento a destra del panorama politico europeo, che, non me ne vogliano i compagni e le compagne, non è compensato dalle vittorie di Malta e Grecia, per la scarsa incidenza che hanno sulla percentuale della popolazione dell’UE. Tuttavia proprio la vicenda greca impone di riprendere la questione della sinistra. Il comportamento del PSE è stato censurabile e soprattutto irrilevante, malgrado la presenza qualificata della SPD nel governo tedesco, anzi proprio per questo è un artifizio parlare di PSE. La sua struttura confederale è la negazione del ruolo che i Trattati assegnano ai partiti europei . In una struttura confederale prevalgono gli interessi nazionali dei paesi più forti e dei partiti che li governano. La critica senza appello del PSE, che con la sua adesione al PD ha rinunciato ad esercitare un ruolo progressista, tuttavia non deve esimere dalla necessità che non esiste una possibilità di invertire la politica europea se i partiti membri del PSE sono considerati un blocco come un avversario da battere e non un interlocutore necessario, proprio perché è in gioco il futuro della democrazia in Europa. Pur con le differenze evidenti la situazione attuale presenta una caratteristica comune con la crisi democratica degli anni Venti e Trenta del XX° secolo: l’attacco alla democrazia è ampio e articolato e ha come obiettivo proprio le Costituzioni democratiche approvate nel secondo dopoguerra nel nostro continente, perché troppo democratiche e con un forte ruolo dei Parlamenti rispetto ai governi. Gli avversari non sono il fascismo ed il nazismo ma più subdolamente i centri di potere finanziario e dei governi che li rappresentano. La manovra a tenaglia è sia interna che esterna: interna con i progetti di revisione costituzionale per concentrare i poteri negli esecutivi, esterna con i i trattati internazionali, tipo il TTIP o i poteri di controllo assegnati ad organismi informali come la Troika, Commissione Europea , BCE e FMI. I Trent’anni Gloriosi 1945-1973 videro una grande espansione e un miglioramento delle condizioni dei lavoratori senza paragoni e di questo furono protagonisti il laburismo britannico e le socialdemocrazie scandinave, in generale fu un’epoca in cui l’economia sociale di mercato costruì un modello europeo, che è proprio quello che è minacciato dalle ricette di austerità e di riduzione della spesa pubblica. In verità parte del benessere distribuito ai lavoratori dell’Europa occidentale fu reso possibile dalle vantaggiose ragioni di scambio che estraevano risorse dal cosiddetto Terzo Mondo e dal neo-colonialismo. In quell’epoca i partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti avevano ancora una visione mondiale dei loro compiti come si desume dalla Carta di Francoforte fondativa dell’Internazionale Socialista e di essere portatore di altri valori per la società, per esempio Programma di Bad Godesberg della socialdemocrazia tedesca: una grande differenza con le Terze Vie di Blair o il Nuovo Centro di Schröder. Il socialismo democratico produsse piani come quello Maidner e personaggi come Willy Brandt e Olof Palme, per ricordare i più celebri, che hanno dato un contributo decisivo per i nuovi rapporti Est-Ovest e Nord-Sud. Il punto politico principale è il che fare se uno dei punti principali è la difesa della democrazia e con essa dei diritti sociali? Sicuramente non ripetere la tragedia della divisione della sinistra come si era prodotta di fronte al fascismo. Recuperare i valori e le tradizioni del socialismo democratico non solo è necessario, ma anche essenziale per il successo della lotta. Non si chiede di assolvere nessuno, ma nemmeno di ripetere riflessi pavloviani per cui il PSE è la dimostrazione del famoso detto liquidatorio “Wer hat uns verraten? Die Sozialdemokraten.” ( trad, Chi ci ha tradito? Il socialdemocratico partito). Non possiamo consentire che ancora una volta le parole “socialdemocratico” o “comunista” siano usati, come deprecava Alain Touraine, come reciproci insulti. La delusione del PSE non toglie importanza all’interrogativo che “ Per noi – che, in quanto socialisti, facciamo parte di uno dei pochi grandi soggetti potenziali di una governance cosmopolitica – si pone allora una domanda piuttosto precisa: come andrebbero (e come sarebbero andate) le cose in Europa se non fosse in qualche modo ancora presente uno schieramento di forze socialdemocratiche?” C’è un percorso lungo e difficile di fronte a noi tutti, noi come socialisti critici e di sinistra l’abbiamo iniziato, sentendo la necessità di confrontarci con tutti, quelli che sono insoddisfatti dello stato della sinistra italiana, sapendo che non ci sono scorciatoie o modelli esteri che possano risolvere i nostri problemi .Una questione per noi è irrinunciabile comprendere il nesso indissolubile tra democrazia, libertà e socialismo per la conquista e la gestione del potere. Tra l’altro nel caso italiano proprio la difesa e l’attuazione della Costituzione sono la base di ogni unità a sinistra. Quali altri obiettivi potrebbe porsi una sinistra unita, diversi dal dare finalmente corpo al secondo comma dell’art. 3 della Costituzione, di cui fu redattore il compagno Lelio Basso? Il Titolo Terzo del Parte Prima della nostra Costituzione sui rapporti economici e sociali, basta citare ad esempio l’art. 36 Cost., disegna una società con rapporti più giusti ed eguali. Una volta di più è stabilito un nesso tra il contrasto della legge elettorale e della revisione costituzionale e una nuova società. I socialisti, che danno ancora un significato alla parola Socialismo, sono pronti: individuiamo con urgenza lo spazio pubblico per un confronto plurale e aperto a sinistra. Milano 19 luglio 2015 Felice C. Besostri

Perché abbiamo bisogno di un salario minimo | Tortuga

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Lezioni greche: il ruolo delle banche nell'economia | Esposito e Hamaui

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Il cane di Pavlov e gli altri tagli di tasse | Massimo Bordignon

Il cane di Pavlov e gli altri tagli di tasse | Massimo Bordignon

Franco Astengo: Regime e tasse

REGIME E BANALITA’ DELLE RISPOSTE di Franco Astengo Le “sparate” più recenti avanzate dal segretario del PD e Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, hanno ricevuto – da più parti, nell’ambito mediatico – una ricezione che può essere considerata del tutto banale e scontata. Nessuno, tra l’altro, fa notare come il “piano tasse” di Renzi sia stato presentato senza alcun accenno a una idea di affrontamento complessivo della situazione economica sia al riguardo dei rapporti con l’Europa, sia rispetto al presentarsi di una progressiva divaricazione tra le condizioni materiali tra il Nord e il Sud del Paese che rappresenta un appesantimento decisivo rispetto ai tanti punti deboli che già si riscontrano da molti anni nel nostro andamento econimco. La questione dell’abolizione della tassa sulla casa nelle sue varie denominazioni (ICI, IMU, TASI che dir si voglia) è tema ricorrente, di natura carsica, della vicenda politica italiana dal 1992 anno della sua invenzione (ad opera del governo Amato, quello della manovra da 90.000 miliardi di lire e del prelievo forzoso sui conti correnti eseguito alla chetichella in una notte d’estate tra il sabato e la domenica) a oggi. Tutti. Allora, a prendere sul serio l’ennesima bufala e a fare i conti: serve una manovra da 45 miliardi di euro (guarda caso, più o meno i 90.000 miliardi di Amato). Dove si prenderanno i soldi, come si farà quadrare il cerchio con l’Europa? Con le riforme, si sostiene: fatte quelle il premio sarà rappresentato dalla “flessibilità” (si presume rispetto al deficit). Tutto questo si verificherebbe, però, rispetto al 1992 in un Paese ulteriormente e tragicamente impoverito: con generazioni anziane stanche e immobilizzate al posto di lavoro; persone di mezza età “esodate” e disoccupate senza speranza; nuove generazioni che non hanno mai conosciuto il lavoro, se non sotto forma di precarietà estrema e con la disoccupazione giovanile ben oltre il 40%, il debito pubblico alle stelle, il territorio martoriato da frane, alluvioni, infrastrutture decrepite. Questo è il bilancio concreto che può esibire il governo Renzi (beninteso non per sua intera responsabilità; si ricorda che negli ultimi 20 anni ha governato il centrodestra per 10 anni circa; il centrosinistra per più di 7 anni; e i restanti 3 sono toccati a governi “tecnici” o di “solidarietà nazionale”, Dini, Monti, Letta.) Insomma, come ci è capitato di scrivere già in passato hanno governato tutti da Ordine Nuovo a Democrazia Proletaria. Il paradosso di questa situazione è sicuramente rappresentato dal fatto che questo governo nato in nome della governabilità, pronto a stravolgere la Costituzione in nome della formazione di un Regime fondato sulla voglia di “partito unico” e del personalismo, proprio dal punto di vista della qualità di governo si è mostrato come uno dei peggiori nell’intera storia repubblicana. Inoltre è cresciuta di peso la sudditanza all’Europa dei banchieri, dell’alta finanza, della commissione di Bruxelles, dell’assunzione di egemonia da parte del prepotere germanico. Un fenomeno del tutto sottovalutato, mentre si rincorrevano le farfalle delle Costituzioni Europee e D’Alema e Fini litigavano sul posto di vice-presidente dell’apposita commissione di studio. E’ stata la vicenda greca ha portare questo stato di cose all’attenzione di tutti e a farne oggetto, in particolare all'interno dei “talk-show” televisivi di discussioni scomposte che un tempo si sarebbero definite “da bar”. Tutto ciò, come fanno notare anche illustri “columnist” dei più importanti quotidiani, ha minato alla base la fiducia nel sistema politico, corroso a livello centrale e periferico da scandali, da improprie competizioni di tipo individualistico che hanno distrutto le realtà politiche riducendole ad arene di lotta per il potere. Un disastro di portata epocale che, unitamente a realtà di vero e proprio malgoverno dei temi più scottanti come quelli riguardanti l’immigrazione, hanno portato davvero a una sorta di “squalifica complessiva” nel rapporto tra cittadini e istituzioni e aperto la porta a quelli che sono stati definiti i “populismi dell’antipolitica” ma che non sono altro che reazioni logiche e prevedibili, ampliate mediaticamente dalla capacità dei protagonisti di impadronirsi dei mezzi di comunicazione al livello della loro, in realtà esasperante, velocità e ripetitività nella trasmissione del messaggio. Come reagisce allora Renzi, dopo essersi inventato riforme costituzionali ed elettorali sulle quali potrebbe essere fondato, in altre condizioni, un vero e proprio regime personalistico e aver presentato il proprio partito, quella dei Crocetta e delle Paita, come “il partito della nazione”? Con la “rivoluzione copernicana” del fisco, imperniata appunto sul balletto riguardante l’ICI-IMU-TASI, inclusa (guardate un po’ la novità) in un “patto con gli italiani”. Repetita del celebre “contratto con gli italiani” di matrice berlusconian-vespista. Fin qui tutto regolare e risposte, in tono, del tutto banali. Attenzione però, l’elemento di novità c’è ed è molto insidioso. Il nuovo “patto con gli italiani” si verificherebbe nel momento del massimo storico della disintegrazione dei soggetti intermedi, politici, sindacali, associativi, a tutti i livelli. Un “patto con gli italiani” che non assumerebbe, in sostanza, la solita veste propagandistica delle premesse pre-elettorali ma significherebbe il suggello del nuovo regime: dal Capo alle masse che, come già è stato in parte con gli 80 euro, plaudono e approvano una politica della spesa senza contropartita che non sia quella dell’andare avanti nel disastro che poco fa si è cercato di riassumere, limitando ancora di più la possibilità di un confronto politico. Un vero e proprio punto di “compimento” del Regime. Autorevoli commentatori, intanto, stanno facendo il punto su di un ritorno di sovranità dello “Stato-Nazione”, su di un mutamento di qualità nella dinamica dello scontro economico a livello internazionale e sulla necessità di ripresa di scontro politico all’interno dei diversi sistemi. E’ proprio questo il punto: rispetto al compimento di un regime personalistico legato alle istanze europee più retrive è necessaria l’impostazione di un duro scontro politico, a tutti livelli, partendo dall’organizzazione delle istanze sociali maggiormente colpite in questi anni e dalla riorganizzazione dei corpi intermedi. La costruzione, insomma, di un vero e proprio “ostacolo di massa” ai disegni di questa neo-destra che Renzi intende incarnare e verso la quale non è possibile la ricerca di contatti o la ripresa di formule ormai non più praticabili. Del resto la ricerca del consenso nelle aree che, per decenni, hanno rappresentato la riserva di caccia della destra più reazionaria e populista d’Europa (Forza Italia) è da lungo tempo aperta, in Parlamento e nel Paese. Così stanno le cose, se le esaminiamo freddamente e con attenzione, senza fornire risposte banali. A chi tocca lavorare per questo forte scontro politico di assoluto contrasto non mi pare il caso di indicarlo. La questione è del “chi se la sente” in una sinistra ancora abbarbicata a vecchi schemi di sostanziale adesione al liberismo e all’illusione dell’Europa dei banchieri.

Desolante silenzio sulla strage dei ragazzi socialisti di Suruc. Con loro muore l’internazionalismo? | Gad Lerner

Desolante silenzio sulla strage dei ragazzi socialisti di Suruc. Con loro muore l’internazionalismo? | Gad Lerner

domenica 19 luglio 2015

Rottamare l'austerità in Europa | Enrico Rossi

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Stati Uniti d’Europa: la sottovalutazione del PSE | Risorgimento Socialista

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Cosa ci insegna il caso Grecia | Risorgimento Socialista

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Policy Network - "Neither Podemos nor Pasokification"

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Policy Network - The challenge of a pragmatic turn for Greece's left

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Lezioni greche: ideologici e no - Piovono Rane - Blog - L’Espresso

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I numeri della tragedia greca - Associazione "Nuova Economia Nuova Società"

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Stati Uniti – Iran: finalmente l'accordo

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L’Europa, la Grecia, l’Italia e la crisi della politica

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Parigi, Berlino e la crisi greca

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Nucleare iraniano: negoziato logorante per un accordo storico

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Perché Tsipras non ha perso e l'intesa è buona per i greci - Eunews

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La grandezza di Tsipras e i vaniloqui di certa sinistra. - Eddyburg.it

La grandezza di Tsipras e i vaniloqui di certa sinistra. - Eddyburg.it

Franco Astengo: Valori

VALORI, DISVALORI E LA SINTONIA QUASI PERDUTA di Franco Astengo Il tema dell’immigrazione e dell’accoglienza, di stretta e bruciante attualità in Italia come in altre parti del mondo, è stato affrontato da Massimo Franco in un commento-analisi apparso sulle colonne del “Corriere della Sera” sabato 18 Luglio. Nell’intervento si sostiene una tesi secondo la quale si sta delineando, nella società italiana, una frattura che parte proprio dal “sociale” e si propaga a livello politico. Il leghismo e più in generale la destra radicale si percepiscono come portavoce della popolazione e delle sue paure sicché viene meno il dialogo sui valori del mondo cattolico. Nel prosieguo dell’articolo Massimo Franco scrive d’incubazione per “potenziali mostri razzisti” (da altre parti si è letto di “ragionevolezza della protesta” perfino da parte di Massimo Cacciari) e si pone questo pericolo a diretto confronto con l’idea della marginalità e delle periferie che rappresentano il cuore della strategia del Papa. Nella sostanza la perdita di sintonia tra la destra e il mondo cattolico causerebbe il presentarsi di una nuova “frattura” al punto da rappresentare l’elemento fondativo di un vero e proprio sfrangiamento sociale attraverso il quale passerebbe un vero e proprio spossamento d’identità e quindi i cosiddetti “antivalori” dell’egoismo e della paura, ponendo in rampa di lancio gli elementi di una nuova egemonia imperniata sugli slogan leghisti (il discorso vale naturalmente anche a livello europeo se pensiamo a ciò che sta accadendo in Francia, in Austria, in Ungheria, ecc, ecc.). Una sintesi, quella fin qui esposta, che rende fedelmente il clima culturale e politico che circonda un tema di fortissima attualità e di grande delicatezza: una sintesi dalla quale discende direttamente una domanda. E la sinistra? La sinistra, culturale e politica, non viene neppure citata: pare non esistere, non risulta in grado di esprimere valori e opzioni culturali e politiche, non riesce – evidentemente a giudizio dell’autore ma anche nell’opinione più generale – a entrare nel merito. Un altro segnale di vero e proprio “smarrimento” e di evidente perdita non solo d’identità ma anche di capacità di rapporto e radicamento sociale: del resto, negli ultimi episodi di cronaca relativi al tema, dalla periferia di Roma a quella di Treviso non si avvertono segnali di presenza politica dei soggetti di sinistra. Anzi a Roma i cartelli dei protestatari che indicavano il “business” degli immigrati aveva come chiaro riferimento le vicende legate alle cooperative del “compagno” Buzzi e delle varie cordate, di diverso colore, legate al grande “affarone” che ha fatto (giustamente) tanto scandalo in questi mesi e che il PD ha saputo affrontare soltanto in termini di mantenimento della logica del potere. Tornando però al filo del ragionamento che offre la lettura dell’articolo di Massimo Franco la constatazione che ne deriva è, appunto, proprio quella della sparizione dei valori della sinistra come possibile punto di riferimento del dibattitto, di costruzione di una proposta alternativa, di presenza e di iniziativa politica. Tutto sparito: scomparse le idee dell’eguaglianza e dell’universalismo. Scomparsa la capacità di partire dai principi per sviluppare anche soltanto un’ipotesi di nuova pedagogia politica alternativa a quella dominante del considerare le masse come merce. «È morale», diceva Emile Durkheim, «tutto ciò che è fonte di solidarietà, tutto ciò che costringe l’uomo a tenere conto dell’altro, a regolare i propri movimenti su qualcosa di diverso dagli impulsi del proprio egoismo». «Ciò spiega», aggiunge Micheà, «che la rivolta dei primi socialisti contro un mondo fondato sul solo calcolo egoistico sia stata così spesso sostenuta da un’esperienza morale». Si pensi alla «virtù» celebrata da Jaurès, alla «morale sociale» di cui parlava Benoît Malon. La «decenza comune», che è mille miglia lontana da ogni forma di ordine morale o di puritanesimo moralizzatore, è, infatti, uno dei tratti principali della «gente normale» ed è nel popolo che la si trova più comunemente diffusa. Essa implica la generosità, il senso dell’onore, la solidarietà ed è all’opera nella triplice obbligazione di «dare, ricevere e restituire». A partire da essa, si è espressa in passato la protesta contro l’ingiustizia sociale, perché permetteva di percepire l’immoralità di un mondo fondato esclusivamente sul calcolo interessato e la trasgressione permanente di tutti i limiti. Dovrebbe bastare questo punto del legare la morale alla politica per cercare di ricostruire un’identità possibile, prima ancora del richiamare le logiche ineludibili delle fratture di classe. Senza questo legame, essenziale, tra morale e politica saranno sempre i valori e/o i disvalori degli “altri” a prevalere, facendoci smarrire completamente, come sta accadendo, una qualsiasi visione del futuro e riducendoci ad affannati amministratori di un drammatico presente.

Leonardo Scimmi: La socialdemocrazia può fare ancora tanto | Avanti!

Scrive Leonardo Scimmi: La socialdemocrazia può fare ancora tanto | Avanti!

sabato 18 luglio 2015

Liberals and Wages - The New York Times

Liberals and Wages - The New York Times

Brancaccio: “Serve un piano B, la sinistra impari dall’errore di Tsipras” - micromega-online - micromega

Brancaccio: “Serve un piano B, la sinistra impari dall’errore di Tsipras” - micromega-online - micromega

Rodotà: Il filo spezzato dell’Europa - micromega-online - micromega

Rodotà: Il filo spezzato dell’Europa - micromega-online - micromega

Greece and the EU: a macro and micro mess up | MARIANA MAZZUCATO

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Solo lo spirito del Dopoguerra potrà salvarci dalla crisi eterna - Repubblica.it

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Accordo sul nucleare iraniano, l’effetto sul Medio Oriente | l'Unità TV

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D’Alema: “Due spinte populiste erodono l’Europa, Pse troppo debole” | l'Unità TV

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L'ex capo salvataggi Europa del FMI: "La Germania, non la Grecia deve lasciare l'euro".. - World Affairs - L'Antidiplomatico

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The End of Europe | Jacobin

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Con l’Iran Obama tenta la svolta epocale per il Medio Oriente | iMille

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La destra europea contro la Grecia - Il Ponte

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Grecia, la partita non è chiusa - Il Ponte

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What Mr Tsipras learned about bargaining power in the EU | Europe on the Strand

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The Greek tragedy proves that Europe does not believe in economic and social rights as a matter of justice | Normative Power Europe?

The Greek tragedy proves that Europe does not believe in economic and social rights as a matter of justice | Normative Power Europe?

Il risveglio del militarismo giapponese - Formiche

Il risveglio del militarismo giapponese - Formiche

La Crisi e la socialdemocrazia. » AldoGiannuli

La Crisi e la socialdemocrazia. » AldoGiannuli

venerdì 17 luglio 2015

Fondazione Critica Liberale - Dove sono i socialdemocratici tedeschi e nord europei? (n.227)

Fondazione Critica Liberale - Dove sono i socialdemocratici tedeschi e nord europei? (n.227)

Rischi politici nella bolla di Shanghai

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Le possibili salamandre dell'italicum

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Previdenza: i costi della flessibilità

Previdenza: i costi della flessibilità

Il salvataggio dell'euro passa dalle banche

Il salvataggio dell'euro passa dalle banche

Franco Astengo: Opposizione

Care compagne e cari compagni, mi rendo conto della difficoltà del tema che intendo proporvi attraverso questa riflessione. Una domanda, però, mi assilla da tempo e sempre più gli avvenimenti che si succedono me la rendono urgente da esternare chiedendo a tutti di riflettervi con attenzione: è possibile per la sinistra governare il capitalismo, in una fase nella quale la spinta complessiva dell’economia e della società si muove in direzione davvero conservatrice, reazionaria, freddamente tecnocratica in economia, sulla linea di una crescita delle disuguaglianze a tutti i livelli? Rispetto ad una società “sfrangiata”, spossessata, sfibrata il “governo” si pone sempre di più come soggetto dell’autoreferenzialità di una “autonomia del politico” che assume la sembianza di un regime: non è questa una verità che appare sempre più concreta nella realtà dei fatti politici? Le vicende più recenti legate alla questione greca mi hanno confermato in una convinzione profonda, maturata nel corso degli anni, che mi permetto di esporvi in forma assolutamente assertiva: la sinistra non può governare, almeno in questa fase, ed è necessario mantenere una collocazione di opposizione all’interno dei sistemi vigenti almeno in quelli a democrazia parlamentare. Non è possibile, dobbiamo farcene una ragione, gestire in una qualsivoglia forma il capitalismo anche nelle stesse dimensioni di crisi che il sistema può produrre: è impossibile, ormai, “afferrare Proteo” e non esistono formule in questo senso. Il prezzo da pagare, anche nel caso di un approccio intellettualmente onesto, è quello di un rapido snaturamento di fondo rispetto all’identità, non solo storica, ma rispetto alla stessa forma dell’eventuale vittoriosa presenza elettorale: com’è accaduto a Syriza, e come inevitabilmente potrebbe accadere ad un populismo qualunque, da Podemos al Movimento 5 Stelle. La sinistra, infatti, deve fare i conti, rispetto all’identità della sua base sociale, non solo con quei vincoli ideologici che oggi si vorrebbero superati ma con un invalicabile vincolo morale, dalla cui contrattazione deriva lo snaturamento di cui si accennava poc’anzi. La situazione attuale è ancora peggiore di quella che in passata veniva definita sloganisticamente “la sinistra che governa usando le armi della destra”. Il governo come dimostra anche il “caso italiano” è ormai costruito sulla base di un intreccio indissolubile tra autoritarismo e tecnocrazia. La socialdemocrazia ha perso completamente di senso e non hanno alcuna possibilità di ripresa ipotesi del tipo “Fronte Popolare” et similia. La sola strada possibile per una ripresa di effettiva presenza politica per una sinistra capace di muoversi tenendo assieme la propria tradizione storica e l’indispensabile grado di innovazione dell’agire politico, è quella della rappresentanza dei ceti maggiormente colpiti dalla complessità delle contraddizioni (materialiste e post-materialiste) agenti in questa fase e gestite con ferocia dal capitalismo internazionale secondo lo schema classico della sopraffazione. Il nostro compito è quello, allora, di opporsi, fuori e dentro le istituzioni, proprio al meccanismo della sopraffazione. E’ evidente la parzialità presente in questo tipo di impostazione che tende ad evitare l’illusorietà di posizioni di governo impraticabili in questa fase: purtuttavia è necessario riflettere, contemporaneamente, su di una ipotesi di alternativa che avrà bisogno, in tempi relativamente non brevi, di un quadro internazionale complessivamente diverso dall’attuale costruendo proprio a quel livello la possibilità d’avvio di una fase di transizione da costruirsi sulla base di una forte iniziativa di massa, di collegamento tra soggetti politici diversi in ambito internazionale, di un’elaborazione posta sia sul piano economico che della costruzione politica del tutto innovativa rispetto al passato. L’opposizione sistemica oggi appare comunque la sola possibilità di riaffermazione di una presenza, di una riaggregazione sociale e politica, di una dimostrazione di alterità di fondo rispetto ad un sistema che ha costruito un quadro di insopportabili diseguaglianze e di iniqua divisione del potere. La storia ci insegna come sia possibile svolgere questo compito senza esprimere alcuna preventiva “vocazione minoritaria”, anzi lavorando per costruire un blocco storico verso il quale esercitare egemonia culturale e di visione della società nel suo insieme, fuori dai corporativismi e dalla semplice cura del “proprio orto”, come invece avviene seguendo la logica della spartizione del potere, al centro come in periferia. Al solo scopo di mostrare una possibile esemplificazione del livello di analisi e d’indicazione nella prospettiva politica che sarebbe necessario raggiungere per mostrarsi almeno minimamente all’altezza delle contraddizioni dell’oggi si prende così un esempio dal passato cercando di ricostruire quella capacità di distinzione che – a suo tempo – trovò Antonio Gramsci nella stesura dei “Quaderni” attorno ai concetti fondamentali di “guerra manovrata” e “guerra di posizione”. Il solo riferimento possibile all’oggi risiede, naturalmente, nel fatto che ci si trova di fronte, dal nostro punto di vista, a un’obbligatorietà dello star dentro il quadro della “guerra di posizione”. Ed è soltanto sulla base di questo punto d’analisi che può essere costruita quella nuova soggettività politica della sinistra che appare indispensabile e urgente mettere in cantiere in Italia: non limitandoci, però, alla sola dimensione interna ma traguardando quella visione e pratica politica internazionalista ormai smarrita da troppo tempo. Ma si tratta soltanto di un esempio riferito- appunto – alla qualità di espressione di un pensiero: nulla di più, purtroppo, considerato che all’orizzonte non si intravede neppure un minimo sentore di una possibilità d’impostazione di dibattito politico a questo livello. E’ certo che coloro i quali, equivocando pensavano di appoggiarsi a Syriza o a Podemos credendo di trovarsi in una guerra manovrata, dovrebbero urgentemente ricredersi. Il solito errore (voluto?) di analisi tra i tanti compiuti in questi anni, almeno a partire dagli anni’80 del XX secolo. Mi scuso con tutti voi se mi sono permesso di porre, probabilmente in una forma del tutto impropria e con una buona dose di presunzione, questa questione che ritengo fondamentale in una fase dove il dibattito a sinistra appare così impastoiato in un mix di timidezza e di illusione: mi auguro, per contro, di essere riuscito a sollevare un minimo di interesse e di possibilità di una seria discussione. Grazie per la vostra attenzione Franco Astengo