Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
martedì 30 settembre 2014
lunedì 29 settembre 2014
venerdì 26 settembre 2014
giovedì 25 settembre 2014
Piketty: "Basta con la dittatura del debito ma non si salva l'Europa con gli slogan"
LA REPUBBLICA 22-9-14
Piketty: "Basta con la dittatura del debito ma non si salva l'Europa con gli slogan"
L'economista: "Penso a un parlamento dell'eurozona con un solo
ministro delle Finanze e un bilancio unico. Draghi ha fatto molto, ma
ha dei limiti oggettivi. Servirebbe un fondo per emettere eurobond"
dal nostro corrispondente ANAIS GINORI
Piketty: "Basta con la dittatura del debito ma non si salva l'Europa
con gli slogan"
PARIGI. "Errare è umano, perseverare è diabolico. Cambiamo strada,
ora". Thomas Piketty è in testa alla classifica degli economisti che
proprio non amano l'austerità. "Non per partito preso o per bieca
ideologia" premette. "Semplicemente perché ho studiato la storia del
debito pubblico dall'Ottocento ad oggi". A 43 anni appena compiuti è
ormai entrato nella ristretta cerchia degli oracoli, o guru che dir si
voglia. Tutta colpa, o merito, de "Il capitale del XXI secolo", appena
pubblicato in Italia da Bompiani, il libro con cui analizza
l'esplosione delle disuguaglianze e un capitalismo basato sulla rendita
finanziaria più che sul lavoro. Un bestseller mondiale a sorpresa,
incensato da Paul Krugman, che addirittura mette Piketty sulla rampa di
lancio per la candidatura al Nobel. "Non ero preparato a questo
successo" racconta l'economista francese nel modesto ufficio alla Paris
School of Economics. "Come vede - ironizza - l'università manca di
fondi. Se pensiamo che solo lo 0,5% del Pil francese va all'istruzione
e alla ricerca. Molto meno di quanto spendiamo per rimborsare il debito
". A sorpresa, però, Piketty non crede che il vulnus dell'eurozona sia
economico, ma politico. La sua proposta: "I paesi dell'euro devono
avere un parlamento che possa decidere in autonomia rispetto alle
istituzioni dei 28 paesi dell'Ue. Abbiamo creato un mostro: non
possiamo più avere una moneta unica senza una politica di bilancio
comune".
Cominciamo dal debito pubblico. Smettiamo tutti di pagare?
"I debiti pubblici non sono più elevati che in America, nel Regno Unito
o in Giappone. Solo qui, in Europa, abbiamo trasformato questa
situazione in una crisi di sfiducia e stagnazione dell'economia. Sono
molto preoccupato. Vedo soprattutto un immenso spreco. Nel mio libro
dimostro che i fondamentali dell'Europa sono migliori di quel che
pensiamo. I patrimoni e redditi non sono mai stati così alti. Anzi,
sono aumentati in percentuale del Pil più che i debiti pubblici. Sono i
nostri governi ad essere poveri".
Quale soluzione allora?
"Per ridurre il debito con avanzi primari sul bilancio statale, come
cerca di fare l'Italia, ci vogliono decenni. Nell'Ottocento il Regno
Unito aveva il 200% di debito pubblico sul Pil. Nel 1910, attraverso
continui avanzi primari, è arrivato al 20% del Pil. Ma in un secolo il
Regno Unito ha speso più per rimborsare debito che per investire nel
sistema educativo. E' un esempio triste, che ci dovrebbe far
riflettere".
Più flessibilità sui deficit, come chiedono François Hollande e Matteo
Renzi?
"Mi fa paura l'assenza di proposte che colgo in Hollande e Renzi. Non
si può dire solo meno austerità, più investimenti. Per la Germania è
facile rifiutare. È come se qualcuno chiedesse di avere una carta di
credito in comune, facendo la spesa per conto suo. Italia e Francia
dovrebbero avere più coraggio. Mettere subito sul tavolo un progetto di
unione politica. A quel punto, anche i tedeschi sarebbero in
difficoltà".
Cosa significa per lei unione politica?
"Un parlamento dell'eurozona, anche con meno paesi degli attuali 18, ma
con un bilancio comune, un solo ministro delle Finanze, un livello di
deficit votato di anno in anno in base alla congiuntura. Non potrà mai
funzionare una moneta unica con 18 sistemi economici e sociali, 18
debiti pubblici e 18 tassi di interessi su cui i mercati possono
speculare".
Quali paesi dovrebbero far parte di un eurogruppo ristretto?
"Francia, Italia, Germania, Belgio, Olanda, Spagna. Serve un gruppo
pilota per dimostrare che l'integrazione delle politiche di bilancio è
possibile. Oggi i tassi di interesse sui titoli di Stato nell'eurozona
vanno dallo 0 al 4%. Non è normale per paesi che fanno parte della
stessa unione monetaria. I mercati continuano a mettere in conto che
qualche paese possa fare default o uscire dall'euro".
La governance europea non è già abbastanza farraginosa?
"L'attuale sistema istituzionale è bloccato dalla regola
dell'unanimità. In un sistema parlamentare le decisioni sarebbero prese
attraverso compromessi e coalizioni. Bisogna dare fiducia alla
democrazia. I cittadini sono pronti se spieghiamo che con un parlamento
dell'eurozona si potranno adattare i deficit alla congiuntura, lottare
meglio contro l'evasione fiscale, oppure votare un imposta sui redditi
delle società. Oggi in Europa le multinazionali pagano meno tasse delle
piccole e medie imprese. E' un'assurdità".
Il piano di investimenti della nuova Commissione può aiutare la
ripresa?
"Per arrivare a 300 o 400 miliardi di euro sono stati addizionati
investimenti pubblici e privati che ci sarebbero stati comunque. Non ci
sarà alcun impatto sui bilanci nazionali e sull'economia europea. E'
solo un trucco contabile".
Mario Draghi ha salvato l'Europa?
"In questi anni ha fatto molto. Non a caso, la Bce è l'unica
istituzione federale europea che non rispetta la regola dell'unanimità.
Ma non si può chiedere tutto a Draghi. Ha limiti oggettivi. Se ogni
mattina la Fed dovesse scegliere tra il debito di New York, Texas o
California, cercando accordi sui singoli bilanci, sarebbe il caos. Solo
con un fondo comune di redenzione dei debiti pubblici, che possa
emettere eurobond a un solo tasso di interesse, la Bce potrà davvero
stabilizzare il sistema".
L'uscita dall'euro è un pericolo?
"Ritornare alla moneta nazionale sarebbe catastrofe. Ma l'unione
monetaria senza unione fiscale e politica è la situazione peggiore. La
speculazione sulle monete è stata sostituita da quella sui tassi
d'interesse. E oggi i governi non hanno più l'arma della svalutazione.
Siamo in trappola. Dobbiamo aprire gli occhi e trarre insegnamento dai
nostri errori".
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Andrea Ermano: Mille giorni?
Dall'Avvenire dei lavoratori
Mille giorni?
Il carattere ideologico dell'attuale campagna contro lo Statuto dei Lavoratori è fuori discussione, ma il centrosinistra dovrebbe guardarsi dal cadere nel tranello di una guerra di religione.
di Andrea Ermano
Cosa sono mille giorni? Sono una metafora dell'attesa. Qualcuno aspetta che si compia la riforma costituzionale del Senato e il conseguente sdoganamento parlamentare dell'agognato "Italicum".
Non è detto che la "crisi" consenta un'attesa di mille giorni. La "crisi" potrebbe decidere di asfaltare questo governo o questo parlamento. Perché la "crisi" non tende a un governo o a un parlamento, quali che siano. Essa tende piuttosto alla non-politica e, dunque, al caos. Al caos, del resto, tende anche, secondo i principi della fisica termodinamica, tutta la materia inanimata dell’universo. La "crisi" è solo un caso particolare di questa legge universale della natura. Ma basti di ciò.
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Renzi entra in scena in un quadro di già avanzata "verticalizzazione" della partitocrazia italiana. Verticalizzazione che trae la propria spinta dal fatto che i margini per la Politica appaiono ristrettissimi. La "crisi" ha tolto ai governi il timone del deficit spending e cioè del consenso popolare. Da allora la Politica possiede ancor solo questa risorsa residua ed eventuale: il trasformismo.
Il trasformismo – come scrive Fabio Vander in un bel libro sull'argomento – consiste nel prendere i rappresentanti parlamentari, eletti sulla base di certe loro promesse, e indurli a fare cose del tutto differenti. Nell'età berlusconiana tardiva, il trasformismo ha funzionato piuttosto bene grazie a due efficaci poteri informali: il potere di candidatura nei riguardi dei singoli eletti (se non obbedisci verrai escluso dalle liste del nostro partito) e il potere di coalizione nei confronti dei partiti minori (se non obbedite verrete esclusi dagli apparentamenti con il nostro partito). Il “Porcellum” questo era. Ma grazie a Felice Besostri, Aldo Bozzi e Claudio Tani è stato messo fuori legge nel gennaio scorso dalla Corte Costituzionale.
Lì nasce il "Patto del Nazareno" tra Renzi e l'ex Cavaliere. Che ora ama accreditarsi come gran tutore dell'autonomia politica non meno che della sovranità nazionale. Ripristinare il "potere di candidatura" insieme al "potere di coalizione" corrisponderebbe all'interesse del Paese, dice. Purtroppo per lui, la sua uscita dal Parlamento e il passaggio di Forza Italia all'opposizione hanno fatto sì che la maggioranza attuale non possa prescindere dal Nuovo Centro Destra. Con conseguenze ritardanti sul parto dell'agognato "Italicum", perché il Nuovo Centro Destra, essendo forza minore, temporeggia disperatamente e non intende consentire l'approvazione dell'agognato "Italicum" se non dopo l'abolizione del Senato. Ma l’abolizione del Senato – in doppia lettura presso entrambe le camere – richiederà a sua volta, e nel miglior dei casi, un bel po' di tempo.
Be', come dicevamo, tutto questo tempo forse non c'è. E allora? Allora, prima che sopravvenga la "crisi" che tutto rottama, la via più breve per portarsi a casa l'agognato "Italicum" passerebbe per una "rottura violenta" del centrosinistra. Una scissione del PD, per esempio, consentirebbe a Berlusconi di rientrare in maggioranza e approvare a tambur battente l'agognato "Italicum" onde ritornare ben irreggimentati alle urne se non addirittura eleggere, prima o poi, un nuovo Capo dello Stato.
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Il tempo gioca contro l'agognato "Italicum". Di qui l'escalation dei mezzi di distrazione di massa intorno all’Articolo 18. Che viene dipinto come fosse lui la causa della "crisi"… Ovviamente, non è così. Anzi, un liberale come Giorgio La Malfa ha scritto tre giorni fa sul Corriere che l'introduzione di “nuovi fattori di flessibilità sul mercato del lavoro” è un errore che potrebbe "compromettere ulteriormente una situazione economica già molto seria".
Dunque, il carattere ideologico dell'attuale campagna di stampa contro lo Statuto dei Lavoratori è fuori discussione, tanto più che proprio l'Articolo 18 era stato già rimaneggiato dalla Fornero nel 2012, sicché l'attuale infuocata polemica verte su tematiche alquanto approssimative.
E però, ferma restando la salvaguardia della dignità dei lavoratori, il centrosinistra dovrebbe guardarsi dal cadere nel tranello di una guerra di religione priva di senso.
Susanna Camusso (CGIL): "Capisco che ci sia una
stagione in cui l'articolo 18 non vale, ma è necessario
che sia transitoria".
mercoledì 24 settembre 2014
martedì 23 settembre 2014
Franco D'Alfonso sull'Area metropolitana
da Critica sociale
Tra qualche giorni si vota per i consigli metropolitani, l’organismo che nelle maggiori realtà del Paese dovrà riorganizzare su un nuovo piano istituzionale - aggregandole - le municipalità appartenenti ad aree omogenee ma tuttora frammentate.
Le città metropolitane non godono di grande attenzione nell’opinione pubblica, mentre potrebbero costitute una reale e concreta trasformazione sociale dello Stato.
Ad esempio la città metropolitana potrà avere nel suo statuto la possibilità di una iniziale, seppur parziale, autonomia fiscale, necessaria in particolare per l area milanese il cui capoluogo ha subito un drastico taglio dei trasferimenti. Il bilancio e le aziende municipalizzante o partecipate dal Comune di milano hanno retto bene finora la prova della crisi, ma la generale prospettiva negativa non solo italiana ma ormai europea, richiede radicali cambiamenti dell’organizzazione dei piani istituzionali di governo, in particolare del governo locale.
Tra i più impegnati sul tema è l’assessore socialista al Comune di Milano, Franco D’Alfonso, che apertamente rievoca per l’occasione l’esperienza di Emilio Caldara, teorico ed organizzatore del Comune moderno.
“La questione si può suddividere in due aspetti.
Il primo riguarda l opportunità con la città metropolitana ( che non deve essere una fotocopia della vecchia provincia) di riorganizzarsi. Il cambiamento istituzionale che comporta permette di in profondità. Non ho mai visto nella mia vita qualsiasi Ente capace di autoriformarsi. Quindi l unica occasione e quella di cambiare il pia o dell assetto istituzionale.
In questo modo segue una redistribuzione dei poteri che implica la necessita di una riorganizzazione amministrativa, prima di tutto. Poi ci sara da vedere la questione delle implicazioni e delle opportunità anche nel campo sociale. Ma prima di tutto c e una opportunità di riorganizzazione amministrativa. Spero, e questa e la scommessa, che non si ripeta l errore fatto con le regioni, quando all introduzione di un quadro istituzionale innovativo come era quello di allora, ha corrisposto la sedimentazione di una nuova burocrazia aggiuntiva alla precedente con gli effetti negativi che 40 anni dopo fanno oggi parlare di fallimento di quell'esperienza.
Facciamo allora alcuni esempi, anche banali.
Senza toccare il problema dei trasposti, che e un problema già complicato, ci limitiamo a quello degli uffici, come ad esempio il servizio civico e anagrafico deve essere centralizzato e se sommiamo l organico a quello dei 101 comuni con quello della città di milano, facciamo certamente un risparmio. Milano tra l altro e ad un livello più avanzato nel settore dell e-office rispetto ai comuni del, hinterland. Estendendo questa funzione avanzata all area metropolitana si guadagnerebbe la disponibilità per altri settori in cui c e carenza di personale, di impiegati che in questa prospettiva sarebbero un doppione di loro colleghi. Naturalmente nessuno pensa a licenziamenti o scombussolamenti esistenziali, poiché stiamo parlando di un mobilita garantita ed in un area limitata, quella milanese. Tutte le volte che si incorporano organizzazioni complementari, senza fare praticamente niente, si risparmia dal 10 al 15 per cento di costi.
Ci sono poi settori più avanzati, come il complesso del sistema informatico. Il Comune di Milano spende 90 milioni di euro all' anno tra personale ed investimenti. Io sono convinto che si tratti di una somma che sarebbe più che sufficiente per coprire tutta la rete dei comuni e avanzerebbe pure qualcosa. Si deve razionalizzare. Il fatto che alcune funzioni si spostino di posto non deve portare ad un consorzio, ma da la possibilità di ridisegnare tutto il sistema. Se vogliamo e l approccio di Bill Clinton. Quando ho detto più volte che la spending review e " una boiata pazzesca" ho inteso insistere su fatto che invita le stesse persone e gli stessi sistemi a far le cose diversamente. Invece come insegna Einstein, se tu "ripeti lo stesso esperimento con gli stessi ingredienti hai lo stesso risultato" di prima.
La soluzione non e la spending review, ma come accennavo l approccio di Bill Clinton, che ha cambiato tutto con un sistema che si chiama " reinventing government", un metodo per cui piuttosto che finire nelle sabbie mobili degli aggiustamenti parziali, costosi e il piu delle volte inefficaci, meglio ricominciare da capo, come se avessimo un foglio bianco su cui ridisegnare. E' meglio ridisegnare un processo piuttosto che rattoppare qua e la. Ridisegnando il processo, si ridisegnano le responsabilità, e si ridisegnano pesi con un inevitabile vantaggio.
2- l altro aspetto, e' il tratto della tradizione milanese che ci viene da Filippo Caldara, cioè le società municipalizzate. Albertini ha tentato di distruggere con pervicacia degna di miglior causa, ha venduto l AEM, un' operazione di speculazione per la quale dovrebbe essere processato per danno erariale. Tuttavia ne sono rimaste alcune altre che hanno una struttura efficiente. Queste strutture vanno innanzitutto utilizzate sui servizi. Sui servizi non si può fare business. Per fare business devi aumentare i prezzi. Punto. Non ci sono altri modi a parità di qualità del servizio. E se fai business non fai politiche per la collettività. Prendiamo ad esempio la raccolta rifiuti. Finche non siamo arrivati noi la raccolta dell umido non si faceva a Milano perché nei tempi brevi ai privati non era conviene. Ora la facciamo. Il bilancio positivo e che puoi a milano usare anche altre società municipalizzate facendo economia di scala.
Questo comporta una modifica delle procedure: non si può continuare a fare gare i tutti i comuni, e' un' idiozia. Tutti questi anni di gare hanno portato all' incremento dei costi e alla diminuzione dei servizi. Se riesco a fare un servizio " in house" di qualità migliore e oltretutto a costi inferiori, non capisco perché devo essere costretto ad appaltare all' esterno. In questo senso l area metropolitana può dare risultati sociali e amministrativi importanti.
Autonomia fiscale, un occasione da non perdere. Ed una riforma profonda nel rapporto tra Stato e cittadini.
Questo e un fatto assolutamente essenziale. Ormai il sistema tradizionale, al di la di quello che e stato detto, ha avuto la botta finale dal finto " federalismo fiscale" che ha aggiunto balzelli comunali alle tasse statali, raddoppiando i costi. Era assolutamente un risultato prevedibile.
In ogni caso il sistema non regge più. Un sistema che prevede un accentramento delle risorse e poi una redistribuzione attraverso i vari centri di spesa si capisce subito che non funziona più.
Prendiamo ad esempio il fondo dei trasporti. E' evidente che il trasporto pubblico non si può coprire attraverso le sole tariffe. milano che e la città con la maggiore resa tariffaria, arriva al 50 per cento della copertura tariffaria dei costi del servizio. Roma arriva al 28 per cento. Genova credo nemmeno sia pervenuta.
Se dunque e necessario coprire - parlo sempre di Milano - il 50 per cento di costi scoperti, con il vecchio fondo unico per i trasporti, dagli anni 90 ad oggi quel fondo si e ridotto al 10 per cento, ovvero adesso prendiamo il 10 per cento di quello che si prendeva vent anni fa. E dunque che facciamo? Ogni anno ci mettiamo a discutere con lo Stato su quanto riusciamo a strappare per Milano? Andiamo avanti col tira e molla su quanto ci ridanno indietro? Non si puo nemmeno, in questo modo, fare una programmazione dello sviluppo dei trasporti necessari o della loro manutenzione. Peraltro, come diceva Guido Martinotti (e come e' impostata Londra), la città metropolitana è innanzitutto l' area coperta dalla metropolitana, dalla rete dei trasporti. A Londra il sindaco si occupa quasi esclusivamente della rete della metropolitana.
Il Comune di Milano, soltanto fino a tre anni fa, aveva fondi trasferiti dallo Stato per 700 milioni di euro. Adesso ne ha 298 milioni. Una perdita di quasi 400 milioni, pari a un taglio di circa il 15 per cento del Bilancio comunale. Facciamo allora prima a dire: "Non dateci niente, e lasciateci le tasse comunali, senza toccarle". Sono cinque imposte. Queste imposte, a partire dalla tassa sulla casa che adesso viene trasferita con un complicato sistema, deve rimanere a Milano.
Questa realtà fiscale municipale e' pari al 3.8 per cento della spesa pubblica nazionale. Un bel risparmio per lo Stato. Lasciateceli e non dateci niente, facciamo da soli e cercheremo di cavarcela".
La società che si difende dallo Stato, attraverso la riorganizzazione delle comunità municipali?
E' vero che se questo meccanismo e' possibile per Milano, non e' possibile per altre città o aree metropolitane. Ad esempio per Roma sarebbe impossibile. E un meccanismo che ha bisogno di un tessuto sociale sottostante in grado di reggerlo, e questo nella maggior parte delle altre aree metropolitane non si può pensare di realizzare.
E' diverso dalla proposta di Maroni e della Lega, le tasse a noi, poi noi devolviamo. A noi basta che restino le tasse di pertinenza municipale.
L Imu sui magazzini ad esempio viene incassato dai comuni e una parte viene devoluta allo Stato, mentre la parte sugli immobili commerciali viene incassata dallo Stato e poi in parte ritorna ai comuni. Un via vai dispendioso e disordinato.
La costruzione dell area metropolitana sara un processo dall'alto o dal basso?
Certamente non si costruisce solo con il Consiglio metropolitano ( l'assemblea dei sindaci). Quello e' una costruzione prevista dalla legge per fare uno statuto metropolitano. Tra l'altro ho l' impressione che si incistera' sulla questione dell' elezione diretta o meno del sindaco metropolitano. E' certamente un fattore importante, ma non costitutivo. L'area metropolitana va costruita assieme, non so se dall'alto o dal basso.
Prendiamo quattro casi radicalmente diversi tra loro: New York, Denver, Parigi, Barcellona.
A NY Bloomberg si e' trovato ad avere gli stessi nostri problemi senza avere il peso dell apparato amministrativo. L'involucro c' era già, l'area metropolitana c'era già. Ma ha dovuto fare il cosiddetto nuovo Piano strategico con una operazione complessa che ha messo assieme le Universita, le Aziende ed altro: è uscito dal modello precedente di una città dei consumi, e ne è venuta fuori una città della "manifattura buona", grazie anche alla ricerca e agli investimenti in elettronica, e oggi il PIL della città è dato da una bilancia dei pagamenti di manifattura in attiva. Oggi NY è una città esportatrice di prodotti.
A Denver è stato il contrario. Anche li c' erano problemi simili ai nostri. I comuni intorno a Denver erano praticamente isolati uno dall' altro. Lo sblocco è avvenuto quando hanno deciso di costruire il nuovo aeroporto, collocandolo altrove rispetto alla città. Questa scelta economica e infrastrutturale, ha permesso che si realizzasse un reticolo di comunicazioni che ha collegato quello che prima era diviso.
Barcellona ha avuto un processo analogo, ma è partita da una associazione di elementi di cultura e tradizioni comuni. Si è trattato di un processo più lungo che è durato 14 anni, il driver è stato quello turistico. Prima hanno lavorato su questo e dopo hanno fatto la scelta amministrativa.
A Parigi hanno fatto invece come fanno sempre i francesi. C' è stato un duro scontro di potere tra Parigi e l' Ile de France, che è la sua area d influenza, scontro che è stato vinto da Parigi, ancora con Chirac. Lì non c' era ancora il sindaco. Chirac è diventato sindaco contemporaneamente alla costruzione della grande area metropolitana "città di Parigi- Ile de France".
Quindi ci sono varie strade. Quella di Parigi è verticistica, come tutto in Francia; quelle di Denver e Barcellona più associative-partecipative, orizzontali; quella di NY di riorganizzazione pragmatica, non avendo da risolvere il problema amministrativo che per loro pesa poco, ma che a Milano pesa molto. Noi dovremmo andare avanti su un modello associativo-partecipativo, tipo Denver e Barcellona, piuttosto che su quella verticistica di Parigi da cui usciremmo suonati e bastonati. E neppure su quella del modello di NY, dove l' amministrazione pesa poco, mentre da noi la cornice amministrativa conta eccome.
Gim Cassano: PER UNA DIVERSA POLITICA ECONOMICA. Resoconto e conclusioni dell’incontro “IL LAVORO CHE NON C’È, LA RIPRESA CHE NON ARRIVA; CHE FARE?”.
PER UNA DIVERSA POLITICA ECONOMICA. Resoconto e conclusioni dell’incontro “IL LAVORO CHE NON C’È, LA RIPRESA CHE NON ARRIVA; CHE FARE?”.
Il 20 settembre si è tenuto a Roma l’incontro promosso da “Iniziativa 21 Giugno”, intitolato “Il lavoro che non c’è, la ripresa che non arriva; che fare?”. Eccone resoconto e conclusioni.
La discussione che, dopo le relazioni preliminari di Riccardo Achilli e Giovanni La Torre, ha visto, in successione, gli interventi Alberto Benzoni, Stefano Fassina, Gim Cassano, Renato Gatti, Claudio Melchiorre, Sergio Bellucci, Mauro Beschi, Franco Lotito, Luca Cefisi, Roberto Biscardini, Lanfranco Turci, Stefano Sylos Labini, Nino Gulisano, Andrea Pisauro, Marco Lang, Mauro Sentimenti, Andrea Costa, Sergio Cesaratto, ha evidenziato un unanime giudizio di netta contrarietà nei confronti delle scelte del Governo Renzi in materia di economia e lavoro.
E’ questo un giudizio che nasce tanto dalla constatazione della sostanziale passività nella subordinazione alle politiche deflattive sin qui seguite nell’Eurozona (che la poco convinta e per nulla preparata richiesta di flessibilità non arriva a correggere), quanto dalla valutazione di merito dei singoli provvedimenti adottati o annunciati dal governo -manifestazioni di quella subordinazione e della logica politica del Patto del Nazzareno- che vengono considerati inefficaci o dannosi ai fini delle prospettive di ripresa del Paese ed indirizzati piuttosto a mortificare gli ambiti di democrazia ed i diritti e la dignità del lavoro.
Al di là delle ovvie differenze di accentuazione di punti di vista ed approcci sulle specifiche questioni poste sul tavolo, è poi emersa una più che significativa comunanza di indicazioni sui caratteri essenziali di una linea di politica economica adeguata ad avviare l’uscita da una situazione caratterizzata da decrescita, deflazione, domanda di lavoro inadeguata in quantità e qualità. E, in particolare:
· La questione della carenza quantitativa e qualitativa di lavoro, che segue alla sua lunga e perdurante marginalizzazione economica, giuridica e sociale, aggravata poi dalla decrescita del Paese, è stata giudicata come la questione centrale della crisi italiana: sia che se ne guardino gli effetti sociali e le conseguenze sul degrado della nostra democrazia, sia che la si osservi come fattore di ulteriore avvitamento ed aggravamento della crisi, negli effetti deflattivi, nell’invecchiamento della forza-lavoro, nella scarsa produttività complessiva.
Occorre quindi che i necessari mutamenti negli indirizzi di politica economica siano finalizzati a questo aspetto: nessuna ripresa stabile è possibile se larga parte del Paese, non per sua volontà o colpa, è solo consumatrice e non produttrice.
La difesa del lavoro non è solo un dato quantitativo, ma anche qualitativo, in termini di retribuzioni, dignità, diritti. Non è accettabile l’estendersi di una sorta di precariato a tempo indeterminato, nel quale si perpetuano rapporti di lavoro che associano alle minori tutele anche minori retribuzioni e contribuzioni. Dovrebbe poi essere evidente a tutti che l'eccesso di precarietà è causa di declino per un'economia avanzata, in quanto disincentiva gli investimenti in innovazione e reca ristoro solo ai settori maturi e a basso contenuto di innovazione che, essendovi la competitività prevalente funzione dei costi, devono misurarsi, senza grandi prospettive, con la concorrenza dei paesi emergenti.
L’unica via praticabile e moralmente accettabile per contrastare l’estendersi di rapporti di lavoro precario motivati più dalle basse retribuzioni che dalle esigenze di flessibilità è, insieme alla rimessa in movimento del sistema produttivo che deve essere il fine di una diversa politica economica, il fatto che alle minori tutele delle forme di lavoro precario debbano corrispondere maggiori retribuzione e contribuzione.
Tantomeno è accettabile l’ulteriore smantellamento dell’Art.18, che si cerca di infilare in un provvedimento (lo Jobs Act) che inizialmente non lo prevedeva: atto in realtà non finalizzato ad alcuna necessità economica o giuridica, quanto al creare volutamente materia di scontro, nel tentativo di regolare i conti con quella parte di sindacato non propensa ad integrarsi nell’oligarchia tecnocratica che si va prefigurando.
· Con riferimento agli indirizzi generali di politica economica, si ritiene necessario superarne il tabù del cieco rispetto del limite del deficit al 3% (limite che peraltro alcuni Paesi hanno già superato). Come i fatti dimostrano, l’obbiettivo di contenimento del debito pubblico (che difatti aumenta in valore assoluto ed in percentuale sul PIL) non può esser perseguito nell’ambito delle politiche attuali; ne va invece perseguita, nel breve periodo, la stabilizzazione e la successiva riduzione in valore in percentuale sul PIL, quale risultato di una crescita che richiede il rapido avvio di una decisa azione antideflattiva ed antirecessiva, non “neutra”, ma indirizzata a correggere le maggiori iniquità e superare le principali arretratezze e fattori di rischio del Paese, che ne minano strutturalmente produttività, efficienza, e possibilità di recupero.
A tal fine, gli interventi che si sono succeduti hanno posto in luce la necessità di:
- Generalizzare verso il basso e dare carattere strutturale al “bonus” degli 80 euro.
- Ridurre il carico fiscale su produzione e lavoro, ed introdurre un’imposizione patrimoniale progressiva su tutti i patrimoni, ivi compresi quelli mobiliari, e non solo sugli immobili, destinata alla riduzione del debito.
- Incrementare la spesa pubblica in conto capitale, riportandola quanto meno ai livelli del 2008-2009, attraverso politiche di investimenti pubblici che non devono esaurirsi nelle “grandi opere”, ma devono comprendere anche opere minori e diffuse.
Indirizzi ne devono essere: l’adeguamento delle infrastrutture di trasporto, di comunicazione, logistiche; il risanamento e la valorizzazione agricolo-forestale delle aree a maggior rischio geologico ed ambientale; la messa in sicurezza e l’adeguamento funzionale del patrimonio immobiliare pubblico, con particolar riferimento alle scuole; la dotazione diffusa di servizi quali asili e residenze per anziani; la vivibilità delle aree urbane più degradate.
Va posto un particolare rilievo al superamento delle carenze infrastrutturali e delle condizioni di isolamento e marginalità del Mezzogiorno e delle aree più svantaggiate del Paese.
- Riqualificare la spesa corrente, destinando le economie risultanti da razionalizzazioni e riduzioni di sprechi a maggiori investimenti sul fronte dell’istruzione, della formazione, della cultura, della tutela e fruibilità del patrimonio artistico ed ambientale, della ricerca di base ed applicata, ed estendendo i sistemi di sicurezza sociale a chi attualmente non ne fruisce.
- Promuovere l’ammodernamento tecnologico attraverso sinergie tra settore pubblico, università, impresa, in settori innovativi o nell’innovazione di settori maturi: energie rinnovabili e risparmio energetico, informatizzazione e sistemi di gestione, tecnologie medicali, ciclo dei rifiuti, ne sono alcuni e possibili campi di applicazione.
· La piaga della corruzione, e dei mali che essa contribuisce a diffondere, quali l’evasione fiscale, il lavoro irregolare, il malaffare, i rapporti tra politica e criminalità, costituisce una pesante “imposta” aggiuntiva che pesa sulle imprese sane e sulle famiglie; e, in definitiva, sull’intero Paese. Essa va estirpata per via di leggi e controlli più stringenti, anche in materia di riciclaggio, e per via dell’obbligatorietà di codici di autodisciplina, con sanzioni, per le imprese, le forze politiche, la Pubblica Amministrazione.
· Da più parti si è poi sottolineata l’esigenza di porre in atto metodi e strumenti di programmazione e politiche industriali serie, quale risultato di capacità e volontà politiche e di una Pubblica Amministrazione sinora caratterizzata dalla povertà di risultati, che deve riqualificarsi in termini di capacità di controllo, indirizzo, studio, ricerca, programmazione, promozione.
· A Riccardo Achilli e Giovanni La Torre, con la collaborazione di quanti riterranno di avanzare indicazioni e suggerimenti, è stato affidato il compito di predisporre una sintetica proposta operativa che, riferendosi alle indicazioni emerse nel corso dell’incontro e qui sintetizzate, le definisca in termini quantitativi e di priorità, e possa essere l’argomento di una più ampia iniziativa e materia di confronto con le forze politiche di sinistra.
Roma, 20 Settembre 2014
Iniziativa 21 Giugno (iniziativaventunogiugno@gmail.com)
PERCHE’ LA SINISTRA: CITTA' METROPOLITANE E PROVINCE : LE ELEZIONI DI SECONDO GRADO PER COSTRUIRE UN NUOVO NOTABILITATO E SVUOTARE DEFINITIVAMENTE I PARTITI DALLA FUNZIONE POLITICA (notizia dal Fatto Qotidiiano.it) commento di FRANCO ASTENGO
domenica 21 settembre 2014
sabato 20 settembre 2014
Felice Besostri: Non posso essere complice di un furto di democrazia
Con infinito rammarico devo confermare le mie dimissioni già definite irrevocabili dopo l'invito del presidente a presentarsi dimissionari alla prossima assemblea. La compagnia è ottima sia politicamente che umanamente, ma mi sono convinto che le elezioni per la Città Metropolitana sono uno dei più colossali furti di democrazia mai compiuti. Le elezioni di secondo grado, già di per sé sono da prendere con le pinze, ma si è fatto di tutto per renderle sempre più illegittime. Oggi ho appreso con orrore che la data delle votazioni, l'orario di apertura dei seggi e la loro collocazione non sia stata mai comunicata ufficialmente e personalmente ai consiglieri comunali dei 134 Comuni della Città Metropolitana. La legge 56/2014 ha, a mio avviso illegittimamente, lasciato agli enti locali di organizzare il procedimento elettorale, ma questi non hanno utilizzato l'autonomia per completare il deficit democratico. La lista ufficiale degli aventi diritto è stata diffusa alla fine del mese di agosto lasciando meno di 10 giorni per presentare le liste. Contrariamente a quanto previsto per ogni tipo di elezione non è stato stabilito un numero in cifra minimo e massimo per presentare le liste, ma fissato in percentuale e unico caso di voto uguale ex art. 48 Cost. in questa procedura senza tener conto della ponderazione dei consiglieri. Per assurdo una lista che rappresentasse la maggioranza della popolazione residente, tra candidati e presentatori , avrebbe potuto non essere ammessa se non avesse raggiunto i 103/105 presentatori. Nell'attribuire la ponderazione di voto ai singoli consiglieri non si è tenuto conto che sono in carica consigli comunali eletti in tempi diversi e con un diverso rapporto tra abitanti e consiglieri. Tanto per fare un esempio il Comune di Calvignasco con 1.182 abitanti e sei consiglieri ha un peso complessivo con il sindaco di 37,970. Di contro Nosate con 689 abitanti ha un peso di 59,668, quindi più ANCHE di Cassinetta di Lugagnano che di abitanti ne ha 3 volte di più con 1.884.. La stessa situazione si produce in tutte le fasce. nella Seconda Bernate Ticino con 3.071 abitanti ha un peso doppio di 140,858 di Vernate che con 3.181 abitanti ha un peso di appena 75,847 e superiore anche a Bellinzago L. che con 3.810 abitanti pesa per 86,682. Nella terza fascia BARANZATE con 10.779 abitanti ha un peso di 688,232 quando INZAGO con 10.540 abitanti pesa APPENA 426,048. Ogni Comune potrà prevedere di dare un rimborso o no ai propri consiglieri che si recano a votare secondo le disponibilità economiche. Aver previsto tre seggi solo a Milano discrimina i consiglieri dei comuni più piccoli e lontani. Un mio atto formale di riforma (vedesi allegato) non ha avuto risposta. Si tratta di decisioni politiche che non si sa chi abbia preso e che comunque non sono state precedute da un dibattito pubblico, che come ci insegna la prof. Urbinati è l'essenza della democrazia rappresentativa. Mi sono fatto la convinzione che sia interesse delle maggiori forze politiche che alle elezioni ci sia scarsa partecipazione. I premi di maggioranza incostituzionali di maggioranza per sapere chi ha vinto la sera delle elezioni non bastano più :con le elezioni di secondo grado così organizzate si vuol sapere chi vince LA SERA PRIMA DELLE ELEZION!!!. Per la mia storia anche presente ho promosso le azioni di incostituzionalità delle leggi elettorali per il Parlamento nazionale, la Regione Lombardia e il Parlamento europeo non posso essere, non dico complice, ma neppure inerte spettatore di un furto di democrazia che è già in Corte Costituzionale per iniziativa di 4 regioni tra cui la PUGLIA, cui politicamente come socialista e civico sono vicino. Non posso però coinvolgere il MMC nelle mie iniziative, solo perché per lealtà verso la maggioranza ha propri candidati in una delle liste e deve essere solidale con l'amministrazione della Città Capoluogo, Realisticamente proprio per il sistema elettorale e viste le scelte del partito egemone, il PD, un movimento cittadino in embrione non poteva fare altre scelte, in attesa di trasformarsi in metropolitano. Sono poi sicuro che i suoi eletti manterranno ferma la scelta prioritaria della elezione diretta del Sindaco e del Consiglio Metropolitano. Se la via democratica sarà ritrovata i nostri percorsi politici sono destinati ad incontrarsi di nuovo. Buon Lavoro
Felice C. Besostri
venerdì 19 settembre 2014
giovedì 18 settembre 2014
Lanfranco Turci: FRA RETORICA E SPERANZA NELLO STELLONE ITALICO
FRA RETORICA E SPERANZA NELLO STELLONE ITALICO
Mi sono ascoltato il fervido comizio di Renzi alla Camera. Sul lavoro ho dato la stessa lettura di Fassina. Sta preparando il terreno per consegnare lo scalpo dell'art. 18 alla Commissione Europea. Lo squilibrio fra "garantiti" e non "garantiti"si risolve togliendo le " garanzie " a chi le ha. Sulla scuola belle parole piene di sentimento; aria fritta sulla PA; sulla giustizia nè nè, ma con una virata contro gli avvisi di garanzia eccellenti; Avanti con calma sulle riforme istituzionali ( tutte le riforme elettorali vanno bene, basta che la sera delle elezioni si sappia chi ha vinto e questi possa godere di numeri sicuri in Parlamento, a prescindere dai voti ottenuti!). Sulla crisi economica e sulla politica europea silenzio tombale! Il commento ai dati Ocse (il meno 0,4 PIL del 2014 è sempre meglio del meno 1,8 del 2013) testimonia la insostenibile leggerezza del Nostro! Silenzio sulle politiche europee nel semestre della Presidenza italiana ?Ma no che diamine! Abbiamo ottenuto il ruolo strategico di guidare la politica estera europea! Naturalmente quando gli altri ce lo permettono! La mia impressione è che cresca la retorica in parallelo alla sensazione di crescenti difficoltà che non si sa come affrontare, perchè la Germania e la Commissione non si schiodano e il governo non ha neppure il coraggio di parlare loro il linguaggio della verità. Renzi assomiglia sempre più ai tanti governi che confidavano sullo stellone italico.
Lanfranco Turci
mercoledì 17 settembre 2014
martedì 16 settembre 2014
lunedì 15 settembre 2014
domenica 14 settembre 2014
CORTE COSTITUZIONALE, BISCARDINI, IL PARLAMENTO SOSTENGA BESOSTRI PER INDIPENDENZA E IMPARZIALITA’
CORTE COSTITUZIONALE, BISCARDINI, IL PARLAMENTO SOSTENGA BESOSTRI PER INDIPENDENZA E IMPARZIALITA’
“Perché il parlamento con un sussulto di orgoglio non sostiene compatto un bravo avvocato, Felice Besostri? Esperto, che senza il sostegno dei grandi partiti continua comunque ad ottenere voto dopo voto sempre più consensi del parlamento per la nomina dei membri della Corte Costituzionale,. Venerdì nell’ultima votazione 165 voti. Besostri, noto per aver contribuito con competenza a smantellare il Porcellum, può rappresentare la buona politica con senso di giustizia e imparzialità.
Si può fare uscendo da quella logica degli accordi di vertice che ad oggi non ha dato comunque alcun risultato.”
Dichiarazione di Roberto Biscardini, ex senatore, consigliere comunale di Milano, che fin dall’inizio di questa vicenda si è speso insieme a molti altri deputati e senatori nel sostegno a Felice Besostri.
spazio lib-lab » Referendum contro l’austerità. Alfiero Grandi: “può aprire spazi in Europa, anche per Renzi”. Volata finale per la raccolta delle 500 mila firme. Il sostegno della Cgil.
sabato 13 settembre 2014
venerdì 12 settembre 2014
Paolo Bagnoli: Una democrazia de-istituzionalizzata?
Dall'Avvenire dei lavoratori
La situazione politica
Una democrazia
de-istituzionalizzata?
Si sta andando verso una democrazia nella quale il punto “a quo” e “ad quem” è il presidente-segretario. Quanto sta incidendo Renzi sia nello scardinare che nel costruire?
di Paolo Bagnoli
La stagione che sta vivendo la politica italiana interroga sempre più, sia in Italia che all’estero, gli osservatori: politologi, giornalisti, addetti alle questioni istituzionali. L’effetto sorpresa rappresentato dall’ascesa di Matteo Renzi alla Presidenza del Consiglio ci sembra, sostanzialmente, oramai superato e, per quanto lo stesso Renzi appaia sempre impegnato nel mantenerlo vivo, se non altro per tenere alta l’attenzione dei media e dell’elettorato italiano, la riflessione sta cambiando bussola.
L’uomo nuovo, sorprendente, in controtendenza rispetto a ogni tradizione comportamentale della politica italiana da quando è nata la democrazia, appare ogni giorno un po’ meno nuovo anche se, come dicono i sondaggi, egli gode sempre di un ampio consenso di opinione. Il copione renziano è stato oramai acquisito e la domanda, in parte sotto traccia, ma non molto, concerne il modo di essere del sistema politico nel suo complesso; essa riguarda, in altri termini, cosa sta effettivamente avvenendo sul piano istituzionale e quali sono gli esiti dei cambiamenti in atto.
La questione è tutt’altro che secondaria, concernendo la democrazia italiana in tutti i suoi aspetti. Quale può essere l’assetto istituzionale che ne scaturisce? A seconda dell’ottica di approccio al tema le valutazioni sono diverse in quanto si diversifica il modo di intendere la democrazia stessa e la qualità conseguente.
La recente, forte e compatta, alzata di scudi da parte dell’Italia in divisa – oltre a rappresentare un qualcosa che non si era mai verificato in Italia, ma, a nostra memoria, in nessun altro Paese al mondo – ci aiuta a capire di più rispetto al contesto generale e, quindi, ai processi in atto.
Capire cosa? Quanto sta incidendo l’innovatore Renzi sia nello scardinare che nel costruire. Ci sembra, infatti, che si stia andando, abbastanza velocemente, verso una democrazia de-istituzionalizzata nella quale il punto a quo e ad quem è il presidente-segretario. Attenti; non si tratta né di decisionismo né di populismo, ma della conformazione di una vera e propria “democrazia verticale” che, avanzando, cancella la rappresentanza degli eletti – Province e Senato, vedremo poi cosa proporrà la nuova legge elettorale – la collegialità costituzionale del Governo e tutto il comparto sociale del Paese, verso il quale vige una totale assenza di attenzione. Sindacati, Confindustria e organizzazioni similari, corpi sociali, il campo vasto dell’istruzione, e potremmo continuare, sono praticamente sterilizzati e, con ciò, la nozione sociale insita nel concetto stesso di democrazia finisce per scomparire. Una parte fondamentale della società italiana, al di là delle parole, sta perdendo la voce. E poiché in democrazia anche le componenti sociali hanno rilevanza “istituzionale”, ecco che qui si completa la de-istituzionalizzazione.
Tutto questo non c’entra niente con la crisi economica che ci attanaglia né tantomeno si può sostenere che le cose funzionano perché ad alcune fasce sociali sono stati dati 80 euro – tiritera che, sinceramente, si è oramai logorata e su cui sarebbe bene abbozzare – ma investe la democrazia nel suo insieme dal momento che, oramai, l’unica vera “istituzione” è il presidente del consiglio.
Il discorso che Renzi ha tenuto recentemente al suo partito, lo conferma. La democrazia verticale è il classico risultato del vuoto di politica. Il governo è ridotto a "governismo" – ossia a gestione del potere – e quasi a una questione personale. Siamo sempre più convinti che questo modo d'intendere la democrazia sia il punto vero su cui si regge l’intesa Renzi-Berlusconi; il primo chiude un’operazione non riuscita al secondo.
Facciamo ricorso a Vincenzo Cuoco: si è spaccata la sintesi tra “popolazione-nazione” e “organizzazione politica-Stato.” Non era questo approdo quello che postulava il dopo Tangentopoli.
Lettera-Appello dell’Associazione LABOUR: Riccardo LOMBARDI (1901-1984): la condizione della sinistra e del socialismo in Italia nel 30° anniversario della sua scomparsa
Lettera-Appello dell’Associazione LABOUR
Riccardo LOMBARDI (1901-1984): la condizione della sinistra e del socialismo in Italia nel 30° anniversario della sua scomparsa
Il trentennale della morte di Riccardo Lombardi - 18 settembre 1984 - cade in una fase della vita politica del nostro Paese che impone una riflessione critica intorno alla questione della sinistra e del socialismo in Italia.
Nessuna commemorazione, quindi, che sarebbe, peraltro, detestata da Lombardi, ma una lettura del suo pensiero e della sua proposta politica alla luce degli eventi intervenuti da allora.
Il crollo del muro e la pressoché concomitante distruzione del PSI ad opera della mutazione genetica ha, infatti, portato ad una, tuttora incomprensibile, scelta verso un partito liberal-democratico senza storia e senza memoria. Una scelta che ha connotato una anomalia provinciale tutta italiana. Una scelta che nella versione veltroniana-renziana pensa di trovare un decoro coprendosi a sinistra dietro al compromesso storico berlingueriano a scapito dell’alternativa di sinistra disegnata a suo tempo, appunto, da Lombardi. Che poi Berlinguer potesse condividere una interpretazione del suo pensiero come quella che si è voluto diffondere è una questione tutta da verificare; ciò che è certo è che quel compromesso storico si proiettava in tempi politici precedenti alla caduta del muro e non prevedeva nessuna confluenza tra i partiti.
Questa riflessione critica si deve necessariamente confrontare anche con la crisi profonda di un liberismo economico che ha dominato lo scenario della politica economica in questi ultimi decenni. Un liberismo accolto in varia misura nelle posizioni politiche del PD almeno come identità di valori tra micro e macro economia, come fondamento di un passaggio verso la confluenza con l’area politica centrista.
Quale siano le basi teoriche, culturali, sociali di una tale posizione non è facile comprendere anche perché le adesioni a tali posizioni, pur essendo state molto ampie, non hanno corrisposto ad analisi e riflessioni autocritiche almeno adeguate al mutamento. Il riconoscimento inevitabile della fine dell’esperienza sovietica non aveva come necessario sbocco una posizione paraliberista, anche se esistevano evidenti alcune debolezze di quelle posizioni socialiste e socialdemocratiche di allora e che avrebbero dovuto costituire il naturale riferimento di una storia che aveva avuto nel secolo precedente origini comuni.
Fatto sta che vicende esogene e limiti gravi interni hanno portato, di fatto, alla sconfitta dell’alternativa di sinistra e al successo del compromesso storico, almeno nella versione attuale. La conseguente eliminazione di fatto di una cultura politica socialista è stata, in qualche misura, una logica conseguenza. Sennonché proprio la realtà e i contenuti di quel successo stanno generando domande e interrogativi crescenti.
Il primo e principale problema consiste proprio nella necessità di porsi un interrogativo circa il superamento o meno delle motivazioni sociali, culturali ed economiche dei valori di riferimento di un Progetto socialista: sono scomparse le cause e le realtà di una situazione di sfruttamento dell’uomo? Non esistono più le separazione di ruoli sociali tra chi comanda e chi esegue? La distribuzione della ricchezza segue criteri qualitativi e quantitativi diversi? Insomma i valori dell’eguaglianza e della libertà, che sono i riferimenti per la costruzione di una società socialista, sono ormai esauriti o superati in quanto ormai attuati?
Se le risposte, guardando le realtà internazionali, non possono che essere negative, tuttavia anche le realtà nei paesi cosiddetti avanzati hanno mutato i termini dei conflitti, il terreno e le condizioni dei diversi contrasti sociali, ma non ci sembra per niente che si possano considerare superati quei valori di riferimento ai quali si è accennato. Si tratta, piuttosto, di una fase di evoluzione dove alcune conquiste generano nuove esigenze e impongono nuovi contrasti e dove le difficoltà di un sistema, certamente flessibile e spregiudicato, come il sistema capitalistico, sposta e crea nuove frontiere e nuovi terreni di scontro: la questione ambientale come la questione delle nuove tecnologie, le vicende demografiche come le relazioni internazionali non sono certo quelle di 50 anni fa e lo stesso mondo del lavoro ha attualmente una dimensione e una qualità allora sconosciuta.
Queste “novità” proiettano a loro volta ipotesi e condizioni che, in assenza di una visione politica socialista, non possono che tradursi in un degrado sociale e culturale. E in questo degrado occorre porre anche quel segnale proveniente dal crescente assenteismo elettorale. Non sembra sbagliato rintracciare nella attuale crisi internazionale gli elementi di un conflitto sociale in qualche misura “classico” ma occorre riconoscere che esiste poi uno specifico nazionale che nel caso del nostro paese sembra potersi identificare in un ritardo nella costruzione di una società democratica e in un sistema industriale moderno. Da qui nasce un secondo interrogativo e cioè: è ragionevole collegare questo nostro specifico declino economico, sociale e culturale all’emarginazione della storia e della presenza di una cultura socialista? La domanda ci pare del tutto appropriata e pertinente.
Dunque quello che è venuto a mancare in questi anni, è stata una capacità di aggiornare le analisi dei mutamenti sociali, delle relazioni economiche, delle relazioni tra questi cambiamenti e la permanente domanda d’eguaglianza e libertà. Questa situazione trova, come sappiamo, un riscontro anche a livello europeo e la grave e prolungata crisi economica internazionale pone in evidenza i limiti di un’Europa la cui costruzione si avvita intorno a dimensioni puramente contabili. La domanda crescente di un nuovo modello di sviluppo chiama in causa tutte le attuali forze politiche socialiste dei paesi europei: l’uscita dai limiti e dagli errori della terza via rappresenta l’unica risposta positiva per il superamenti di quella crisi che sta creando ricadute negative in termini di condizioni sociali, ambientali e della stessa vita democratica. Peraltro la dimensione internazionale assunta dal capitalismo trova nell’assenza di un equivalente progetto politico socialista, gli spazi per le sue specifiche esigenze.
Opporsi a questi processi dovrebbe essere il primo impegno di una forza politica progressista che intenda superare una posizione puramente critica; ma questo impegno per essere reale deve elaborare una proposta alternativa, deve manifestarsi nella capacità di elaborare riforme e cambiamenti coerenti con i principi socialisti, altrimenti siamo alla manutenzione se non alle controriforme.
Tornare a leggere le dinamiche imposte dalle logiche capitalistiche è, dunque, una condizione essenziale e preliminare per costruire una alternativa progressista, per elaborare le nuove vere riforme di struttura. Anche in questa operazione la rilettura del pensiero lombardiano agevola il superamento dei ritardi accumulati, evita di rincorrere la cronaca politica come unico segno di una propria presenza. Certamente per andare oltre ma, in questi casi, anche trovando le nuove forme di incontro e di socializzazione, allargando l’impegno nella necessaria dimensione europea. Ancora una volta il mondo del lavoro deve essere il terreno privilegiato di questa ricerca anche perché quelle domande fondamentali di eguaglianza e libertà trovano in quel mondo una sorgente storica e insieme nuova.
Certamente la nostra Associazione non ha la pretesa di coprire da sola questa operazione, ognuno in partenza deve scegliere il terreno politico più congeniale rispetto alla propria storia, alla propria collocazione e alle proprie responsabilità politiche. La base minima da condividere è rappresentata dalla convinzione di recuperare nella storia della civiltà i comportamenti dettati da una visione comune dei valori della eguaglianza e della libertà.
Con la presentazione del volume sulla prima fase della vita politica di Lombardi abbiamo, come Labour, pensato di contribuire nella direzione indicata. Intendiamo procedere promuovendo uno studio sulla seconda parte della sua vita politica, ma vogliamo immaginare che su questa riflessione e in questo impegno si possano unire altre forze, altre competenze, altre iniziative, altri compagni. A tale fine il sito online dell’Associazione è aperto ai contributi che si riconoscono e fanno riferimento a questa storia e a questa ricostruzione del movimento socialista.
Per l’insieme di questi motivi la nostra lettera si propone di essere anche un Appello.
Associazione LABOUR “Riccardo Lombardi”
www.labour.it
Roma, 12 settembre 2014
giovedì 11 settembre 2014
mercoledì 10 settembre 2014
martedì 9 settembre 2014
MILANO, BISCARDINI (PSI) RINNOVA ALLA GIUNTA LA RICHIESTA DI INTITOLARE UNA VIA A SALVADOR ALLENDE
MILANO, BISCARDINI (PSI) RINNOVA ALLA GIUNTA LA RICHIESTA DI INTITOLARE UNA VIA A SALVADOR ALLENDE
Roberto Biscardini (PSI) Consigliere a Palazzo Marino in occasione dell’anniversario della morte di Salvador Allende, avvenuta l’11 settembre 1973 e del colpo di stato guidato da Augusto Pinochet, ha rinnovato la richiesta di intitolare una via al leader socialista cileno.
Dopo 41 anni dalla morte, Milano città della Resistenza e dell’antifascismo potrebbe fare questo gesto significativo, anche per rispetto di tutti coloro che quarant’anni fa scesero in piazza anche a Milano contro il golpe e per la morte di Salvador Allende.
Pierpaolo Pecchiari: Città metropolitana
Purtroppo le vicende che ci stanno portando verso l'istituzione del nuovo ente di governo territoriale sono tutto fuorché appassionanti. E, giustamente, l'opinione pubblica se ne disinteressa.
Peccato, perché l'ente che sostituirà la Provincia continuerà ad avere competenze importanti. Nel caso di Milano, poi, la questione è dirompente.
Risulta ancora difficile capire se si va verso l'adozione del modello "Gotham City", funzionale solo agli interessi di chi vuole contrastare Regione Lombardia con un ente più o meno simile (gestione più che pianificazione e definizione di indirizzo, forte commistione di politica e affari, processo decisionale accentrato e tecnocratico); oppure se si va a realizzare la Città dei Comuni, una realtà che tiene conto del policentrismo connaturato con storia e caratteristiche dell'area milanese.
Se poi si analizza la vicenda dal punto di vista della politique-politicienne, il quadro appare ancora più disperante. Il Partito della Nazione e i suoi alleati minori si sono già spartiti le caselline dell'organigramma del nuovo ente. All'opposizione di Sua Maestà, forse, le briciole; questa comunque controlla ancora saldamente la Regione, si difenderà benissimo su un altro campo di battaglia.
Questo simpatico quadretto ha sconcertato molti. E la reazione non si è fatta attendere. Uomini e donne con storie politiche e ruoli attuali diversissimi hanno dato vita ad una lista civica che si è denominata "Costituente per la Partecipazione - La Città dei Comuni".
Inizialmente questo tentativo è stato liquidato da molti accreditati o interessati osservatoti come velleitario e destinato al fallimento.
Purtroppo la politica, come il calcio, è a volte imprevedibile. Contrariamente alle previsioni - e agli auspici - di molti, la Lista Civica è riuscita a presentare una lista di 23 candidati e a raccogliere a supporto le firme di 141 tra consiglieri comunali e sindaci, a Milano e nei Comuni della Provincia.
Storie diversissime, unite dalla constatazione di tre emergenze.
La prima emergenza, quella democratica.
La seconda emergenza, quella dello scempio del territorio, fatto in nome di un'idea di modernizzazione discutibile, che maschera ben altri interessi.
La terza emergenza, quella data dalla necessità di affermare la pari dignità dei cittadini e degli amministratori, anche delle realtà locali più piccole, rispetto alle segreterie dei partiti e alle tecnostrutture del capoluogo.
Noi socialisti abbiamo deciso di appoggiare quello che fino a ieri era un tentativo, e oggi è un dato nuovo della politica milanese.
Ci siamo presi le reprimende di chi vede più consono, per un partito come il nostro, accettare una "confluenza lenta" nel partito della Nazione.
E oggi siamo accusati delle peggiori nefandezze, con un ritorno di fiamma di vecchi evergreen, stereotipi che vedono i Socialisti, quando non ladri, dediti alle trame più oscure e più meschine.
Reprimende e accuse che accogliamo con un'alzata di spalle.
Pierpaolo Pecchiari
Segretario Provinciale PSI Milano
lunedì 8 settembre 2014
sabato 6 settembre 2014
venerdì 5 settembre 2014
giovedì 4 settembre 2014
mercoledì 3 settembre 2014
Conférence avec M. Arnaud Montebourg,
Conférence avec M. Arnaud Montebourg,
le 30/08/14, à La Rochelle
NOTE Par Terra Nova.
Le 30/08/2014
Le 30 août 2014, Terra Nova accueillait Arnaud Montebourg pour un entretien autour des grands débats de politique économique.
Retrouvez en cliquant ici trois extraits de cette conférence.
Privatizzazioni, Renzi peggio di Berlusconi: beni quotati in borsa
Privatizzazioni, Renzi peggio di Berlusconi: beni quotati in borsa
Nel pieno della crisi sistemica, ecco il cambio di verso del premier: non più l'obsoleta liberalizzazione dei servizi pubblici locali, bensì la loro diretta consegna agli interessi dei grandi capitali finanziari, che da tempo attendono di poter avviare un nuovo ciclo di accumulazione, attraverso "mercati" redditizi e sicuri.
di Marco Bersani, da Attac Italia
Renzi peggio di Berlusconi. Se quest'ultimo, non più tardi di due mesi dalla straordinaria vittoria referendaria sull'acqua del giugno 2011, aveva provato a rimettere in campo l'obbligatorietà della privatizzazione dei servizi pubblici locali (bocciata l'anno successivo dalla Corte Costituzionale), Renzi con il "pacchetto 12" contenuto nello "Sblocca Italia" fa molto di più.
Questa volta non si parla "solo" di privatizzazione, bensì di obbligo alla quotazione in Borsa: entro un anno dall'entrata in vigore della legge, gli enti locali che gestiscono il trasporto pubblico locale o il servizio rifiuti dovranno collocare in Borsa o direttamente il 60%, oppure una quota ridotta, a patto che privatizzino la parte eccedente fino alla cessione del 49,9%.
Se non accetteranno il diktat, entro un anno dovranno mettere a gara la gestione dei servizi; se soccomberanno otterranno un prolungamento della concessione di ben 22 anni e 6 mesi!
Come già Berlusconi, anche Renzi si mette la foglia di fico di non nominare l'acqua fra i servizi da consegnare ai capitali finanziari; ma, a parte il fatto che il referendum non riguardava solo l'acqua, bensì tutti i servizi pubblici locali, è evidente l'effetto domino del provvedimento, sia sulle società multiutility che già oggi gestiscono più servizi (acqua compresa), sia su tutti gli enti locali che verrebbero inevitabilmente spinti a privatizzare tutto, anche per poter usufruire delle somme derivanti dalla cessione di quote, che il Governo pensa bene di sottrarre alle tenaglie del patto di stabilità.
Nel pieno della crisi sistemica, ecco dunque il cambio di verso dello scattante premier: non più l'obsoleta privatizzazione dei servizi pubblici locali, bensì la loro diretta consegna agli interessi dei grandi capitali finanziari, che da tempo attendono di poter avviare un nuovo ciclo di accumulazione, attraverso "mercati" redditizi e sicuri (si può vivere senza beni essenziali?) e gestiti in condizione di monopolio assoluto (per un solo territorio vi è un solo acquedotto, un solo servizio rifiuti).
Da queste norme, traspare in tutta evidenza l'idea non tanto dell'eliminazione del "pubblico" - quello è bene che rimanga, altrimenti chi potrebbe organizzare il controllo sociale autoritario delle comunità? - bensì della sua trasformazione da erogatore di servizi e garante di diritti, con un'eminente funzione pubblica e sociale, in veicolo per l'espansione della sfera d'influenza degli interessi finanziari sulla società.
Naturalmente, è ancora una volta la Cassa Depositi e Prestiti ad essere utilizzata per questo enorme disegno di espropriazione dei beni comuni: come già per la dismissione del patrimonio pubblico degli enti locali, è già allo studio un apposito fondo per finanziare anche la privatizzazione dei servizi pubblici locali.
Emerge, oggi più che mai, la necessità di una nuova, ampia e inclusiva mobilitazione sociale, che deve assumere la riappropriazione della funzione pubblica e sociale dell'ente locale come obiettivo di tutti i movimenti in lotta per l'acqua e i beni comuni, e di una nuova finanza pubblica e sociale, a partire dalla socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti.
E, poiché il disegno di espropriazione dei servizi pubblici locali viene portato avanti con il pieno consenso dell'Anci, espresso a più riprese dal suo Presidente Piero Fassino, una domanda sorge spontanea: non è il momento per i molti Sindaci che ancora non hanno abdicato al proprio ruolo di primi garanti della democrazia di prossimità per le comunità locali, di iniziare a ragionare su un'aggregazione alternativa degli enti locali, fuori e contro un Anci al servizio dei poteri forti?
(
Luca Beltrami Gadola: La bandiera del sindaco
Luca Beltrami Gadola
POLITICA MILANESE: LA BANDIERA DEL SINDACO
martedì 2 settembre 2014
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