Molto interessante. Meriterebbe ulteriori approfondimenti da parte dello stesso Cassano oltre che dei compagni, per allargare la parte politico-propositiva, fino a farne un vero documento di proposta politica . alberto ferrari
Documento ricco di analisi. Ma l'impasse delle soluzioni proposte conferma che senza un cambio radicale delle politiche europee, pur potendo fare tante cose utili in Italia, non andiamo da nessuna parte e siamo costretti ad avvitarci nella stagnazione e nelle trappola debito/il. Mettere al centro il debito pubblico credo non ci porti da nessuna parte. Sul tema al massimo potremmo proporci la stabilizzazione del rapporto dopo una fase precedente di forte rilancio della domanda in italia e in europa
Ma è chiaro, dopo una fase di accumulazione finanziaria nelle mani di pochi. è necessario un progetto politico europeo che parta dall' idea di redistribuzione, a tutti i livelli e in tutte le forme possibili (compreso il ricorso agli eurobond), per la ripresa dei consumi, nell' ambito di una strtegia di investimenti nell' economia reale.
Caro Lanfranco, credo che non sarebbe affatto sbagliato se, prima di rivendicare una nuova politica di sviluppo europea, provassimo almeno seriamente non dico a mettere a posto i nostri conti (impossibile, al punto in cui siamo) ma almeno, come dici tu, a stabilizzarli. Mi sembra di capire che tu invece sostenga l'opportunità di rilanciare, prima di ogni altra cosa, la domanda ed è evidente che (sempre, al punto in cui siamo) di questo dovrebbe farsi carico l'Unione europea. Continuare a garantire cioè un patto di fiducia che viceversa noi, tutto sommato più dei tanti altri (!!!), comunque abbiamo tradito. angelo giubileo
Caro compagno Giubileo, forse non ci si capisce sulle parole ...nuova politica di sviluppo europea... non è possibile a mio avviso nessuna politica di qualsivoglia governo europeo e in particolare italiano senza che si cambino radicalmente in senso solidaristico europeo i trattati UE neoliberisti. E' la morsa neoliberista europea che ha tolto la possibilità di manovrare la moneta, i tassi sui BT, l'incremento del debito pubblico per gli interessi crescenti senza possibilità alcuna di fermarli se non seguendo i dettami neoliberisti: bassi salari, annullamento stato sociale, svendita definitiva beni pubblici. Come si può pensare di pagare 50 mila euro l'anno per abbassare il debito publico, prevalentemente dovuti agli interesse da pagre alle banche private ? Insomma non c'è il prima mettere a posto i nostri conti (impossibile, al punto in cui siamo) e poi chiediamo all'Ue di cambiare politica economica, èpregiudiziale che si cambino le regole e il modello economico da neoliberista (tutta l'economia in mano al Privato (imprese e finanza multinazionale) e il potere politico statale al seguito. L'aternativa è ritorno al passato (combinato disposto Marx Keynes) in buona sostanza stracciare gli attuali trattati neoliberisti che regolano gli Stati dell'Ue e in particolare l'Eurozona, agibilità Costituzione italiana parte prima titolo terzo rapporti economici :stato imprenditoriale (possibilità di nazionalizzare (es Ilva, Piaggio Aerei, recuperare fabbriche - legge Marcora riattivata, impedendo la delocalizzazione (es.. odierno su Il Manifesto ultima pagina "Autogestione vince e paga - Unilever Provenza), economia privata con finalità sociale). Questo lo spartiacque se si continua a discutere per trovare soluzioni all'interno della nassa neoliberista, ebbene il polpo primo o poi finite le gambe (stato) viene mangiato dal gronco (finanzcapitalismo plutocratico). Ma riusciremo qui mai a avere chiari gli estremi del problema su cui dibattere ? Dubito ... ma ci provo. Luigi Fasce
Nonostante tutto il terrorismo sul debito io sono convinto come tanti economisti italiani e esteri che l'Europa e anche il nostro paese hanno prioritariamente bisogno di un rilancio della domanda soprattutto tramite investimenti pubblici. Non capisco quali patti avremmo tradito ! Magari li avessimo traditi invece di fare la politica di Monti e Letta con la quale abbiamo aumentato la disoccupazione, diminuito il Pil e peggiorato il rapporto debito/Pil.
Ho letto con molta attenzione l'ampio e approfondito documento di Gim Cassano e vorrei esprimere qualche riflessione al riguardo. Innanzi tutto non mi sembra affatto che Gim metta al centro della sua analisi il solo debito pubblico né che lo usi come strumento terroristico, facendo discendere da questo tutti i mali della nostra economia. Al di là di quello che ha scritto, lo conosco bene e so che non è questo il suo pensiero. Infatti il giudizio negativo sulle politiche europee e nazionali improntate esclusivamente al binomio rigore e austerità è netto e non si presta ad equivoci. Gim pone piuttosto un interrogativo secco al quale non ci si può sottrarre: come conciliare una politica di sviluppo e di crescita con un rapporto debito/PIL del 130% e oltre? Un rapporto - questo è il punto vero del problema - che sottrae allo Stato circa 80-85 miliardi/anno solo per pagare gli interessi sul debito stesso.
Accertato che la cosiddetta austerity non è soltanto come la cura che cercando di guarire il malato lo ammazza, nel documento si afferma che questo indirizzo perverso ha anche avuto il demerito di aumentare il debito in termini sia assoluti sia relativi. Che fare allora? Una risposta diffusa a sinistra - Lanfranco Turci lo dimostra - è che finché non cambieranno le regole e le politiche europee nulla sarà possibile. Condivido solo in parte questa affermazione, ma qui vorrei dire qualcosa di più per evitare possibili fraintendimenti. Innanzi tutto - è sempre bene ribadirlo - sappiamo che la crisi non nasce dai debiti sovrani, ma dall'abnorme indebitamento privato creatosi negli USA prima del 2007-2008, con tutto quello che ne è conseguito in termini di speculazione finanziaria, derivati, mutui subprime e relativa bolla immobiliare e via dicendo (ovviamente sintetizzo).
Scavando ancora più a fondo sappiamo che tutto ciò deriva da un'iniqua distribuzione della ricchezza che ha causato un'eccessiva contrazione della domanda (Gallino, Ruffolo ed altri per rimanere in Italia). Con una sapiente operazione politico-mediatica, quando la crisi ha attraversato l'Atlantico, il tutto è stato invece addebitato ai debiti sovrani di alcuni paesi, a cominciare dalla Grecia, al solo fine di salvare le banche francesi e tedesche troppo esposte. A questo punto la costruzione ed i regolamenti dell'eurozona, già ampiamente sbagliati in origine, hanno dimostrato tutta la loro insufficienza, che però come sempre ha penalizzato solo alcuni. E' giusto pertanto affermare che per combattere la crisi regole, parametri e politiche europee dovrebbero cambiare radicalmente. Ma - ed è questo il punto che Cassano evidenzia con estrema chiarezza - di questi cambiamenti non si intravede neppure l'ombra e anche se qualche ammorbidimento dovesse realizzarsi nei prossimi mesi questo sarebbe del tutto inadeguato. Che fare allora? Continuare ad invocare quello che chi comanda non ha nessuna intenzione di attuare? O confidare in una rivolta popolare che, al contrario, assume sempre più connotazioni di carattere nazionalista? L'impasse è evidente. Ciò non significa affatto abbandonare la prospettiva e gli obiettivi di un'Europa Federale, che metta in comune i debiti dei singoli stati e, attraverso politiche economiche e fiscali comuni e una BCE prestatore di ultima istanza, finanzi un vero e proprio New Deal continentale. Tutto giusto e condivisibile, è vero, purché si sia consapevoli che questo oggi è un ideale e tale resterà ancora a lungo. Deve però essere aggiunto che accanto a tutti questi fattori di crisi altri ne esistono, che potremmo definire endogeni nei casi di diversi paesi. Sono fattori spesso antichi e sarebbe gravemente sbagliato minimizzarli. Il discorso è lunghissimo, ma né la Grecia né la Spagna né l'Italia possono essere considerate vittime del tutto innocenti. Credo che tutti sappiamo a che cosa ci si debba riferire, non fosse altro per il fatto che questi sono i paesi europei dove l'evasione fiscale è sempre stata più elevata. Ci sono inoltre sprechi, corruzione, cattiva amministrazione, clientelismo. Esiste poi, almeno in Italia (non so altrove), un rapporto squilibrato fra spesa pubblica corrente e spesa per investimenti. Non si tratta affatto, come afferma il mantra della destra, di ridurre una spesa pubblica troppo elevata perché questa è soltanto una falsità ideologica (la nostra spesa pubblica è sempre stata inferiore alla media europea). Si tratta piuttosto di riequilibrarla e riqualificarla, sicuramente spendendo di più dove è necessario. Ma il problema vero è come finanziare tutto ciò senza incrementi del debito, anzi cercando di investire e nel contempo di ridurre quest'ultimo per liberare ulteriori risorse. Mi sembra che la risposta di Cassano sia molto chiara: una revisione complessiva del sistema fiscale finalizzata ad un'imposizione patrimoniale fortemente progressiva. E' la stessa risposta che mesi fa diede Fabrizio Barca, nell'intervista telefonica al finto Vendola organizzata per scherzo (?) da la Zanzara: senza una patrimoniale di 400 miliardi non si va da nessuna parte. In un Paese caratterizzato da molta povertà pubblica e da molta ricchezza privata (un vecchio tema caro a Gallino) mi sembra l'unica proposta autenticamente di sinistra. Senza attendere Godot e senza pensare che il debito pubblico sia un bene in sé, perché il tanto citato Keynes non la pensava affatto così. Maurizio Giancola
Caro Maurizio condivido tutta la ricostruzione che hai fatto della crisi internazionale e della politica europea. Proprio per questo ritengo che il problema principale sia quello di superare i vincoli della politica europea. A breve si deve poter fare più investimenti pubblici in italia e in europa, anche se questo comporta un aumento a breve del debito ( il Giappone convive da anni con un rapèporto debito/pil del 200% ) .D'altro lato il rapporto debito/pil si è aggravato in questi ultimi anni proprio in forza dell'austerity che ha fatto diminuire il Pil e aggravato tutte le condizioni economico-sociali. Il debito può diminuire se cresce il pil e l'inflazione ( oggi siamo a rischio di deflazione!). Molte delle misure indicate da Cassano sono giuste , ma se non cambia il contesto possono addirittura essere controproducenti. Poichè la priorità è l'europa segnalo l'importanza del referendum sulla legge 232 lanciato da Piga e altri che credo ci dovrebbe vedere tutti impegnati. E' chiaro che una politica di rilancio della domanda interna ed europea ha bisogno di un ruolo attivo della Bce per contenere gli spread oltre che per finanziare eurobond. Quanto ai debiti pubblici si può pensare a medio termine a misure del tipo di quelle indicate nell'ipotesi PADRE o dei Redemption Fund. Segnalo infine che Cassano parla do una patrimoniale ordinaria. Una patrimoniale straordinaria da 400 MD mi ricorda il comunismo di guerra, toccherebbe inevitabilmente anche i piccoli patrimoni e avrebbe, secondo me, effetti sconvolgenti sul terreno politico-sociale. Vorrei vedere quale forza politica sarebbe disposta a farsene carico !
Caro Lanfranco, nell’intervista da te citata, l’intervistata alla fine, su precisa domanda esprime un lusinghiero giudizio su Renzi. Ecco credo che dobbiamo anche noi riflettere. Renzi sembra aver capito ciò che ho imparato nelle scuole di formazione manageriale sulla gestione dei conflitti e sulle loro soluzioni:lo scontro da solo non serve; serve cercare le mediazioni tenendo conto dei punti irrinunciabili dei contendenti. Un classico esempio, sempre citato, è l’accordo di pace di Sadat con lo stato di Israele dopo la guerra del Kippur: Israele vuole mantenere il controllo di alcune aree montuose del deserto Sinai perchè importanti come osservatorio militare; Sadat non può rinunciare alla sovranità su quell’area pena la sconfitta politica interna. Dopo settimane di discussioni la soluzione: le bandiere egiziane sventoleranno dove voleva Sadat ma gli Israeliani manterranno degli osservatori militari su quelle colline. Nessuno è stato umiliato e nessuno ha fatto marcia indietro( e l’accordo dura tutt’ora tra Egitto e Israele). Renzi comprende bene che l’attacco diretto al fiscal compact non produce nulla: la Germania della Merkel non può accettare di essere umiliata in Europa d’altro canto nessuno potrà mai dire che avere debiti è meglio che essere virtuosi. Ma se da tale vincolo, per la grave situazione economica mondiale, ed europea in particolare, si sterilizzano le spese investite dagli stati per infrastrutture e grandi riforme ecc., ciò può essere utile a molti paesi europei e accettabile da parte tedesca. In tale senso sembra muoversi Renzi; ed in tale modo, con le dichiarazioni di oggi, sembra muoversi Gabriel , segretario SPD e potente vice-cancelliere. L’insegnamento da tutto ciò ragioniamolo assieme se non vogliamo restare marginali. Un fraterno saluto
Prima considerazione In fase recessiva, una politica di contenimento o riduzione della spesa pubblica non agisce certamente in funzione “anti-ciclica”. E tuttavia, può agire in funzione di “aggiustamento strutturale”. Nell’arco di sessant’anni (1951-2010), il Rapporto Giarda individua due fasi in cui la politica messa in atto dai governi è ritenuta ex post “sbagliata”: nel triennio 1979-1981 con una crescita del PIL reale pari al 3,21% e una crescita della spesa reale del 6,49% e per quasi un decennio dal 1984 al 1992 con una crescita del PIL reale pari al 2,66% e una crescita della spesa reale del 3,56%. Nel sessantennio, due sono anche le fasi di “aggiustamenti strutturali” dal 1993 al 1994 con un dato di -2,57% di crescita della spesa rispetto al PIL e un dato analogo nel 2010 del -3,27%. Logicamente, il confronto dei dati finisce qua dato che il Rapporto è pubblicato nell’agosto 2011. Ma, quel che qui rileva è innanzitutto il fatto che le manovre di spesa ancora attualmente in essere dai governi nazionali sono senz’altro manovre in funzione di “aggiustamento strutturale” dei conti pubblici.
Seconda considerazione Negli ultimi sessant’anni (1951-2010), a parte il dato complessivo in valori assoluti, la composizione della spesa pubblica ha registrato, in % rispetto a 100, una diminuzione della spesa per consumi pubblici dal 54,4 al 41,4 e viceversa un incremento ancora più sostanziale della spesa complessiva per pensioni, previdenza e assistenza dal 21,5 al 39 con un incremento sempre in % della spesa corrente dall’80,8 all’84,4 e un incremento anche della spesa per interessi passivi dal 3,8 all’8,8. Il primo dato inconfutabile che emerge è quindi un incremento tendenziale della spesa previdenziale rispetto al quale sono state prodotte le riforme di questi ultimi vent’anni, con il grave problema insorto degli “esodati”, conseguente al fenomeno generale dell’incremento della disoccupazione ma anche all’innalzamento dei requisiti di età pensionabile stabiliti dalla legge Fornero. Il secondo dato, nascosto nelle pieghe della contabilità della spesa pubblica, è rappresentato dal fatto che “la spesa si è progressivamente spostata verso le amministrazioni locali” a partire dal biennio 1989-90 e nell’arco, praticamente, di circa un ventennio.
Terza considerazione Il Rapporto, concernente la spesa, non indaga a fondo le dinamiche del periodo intervenute viceversa nel sistema di tassazione. Vale però più di tutte le altre una considerazione, e cioè che “le imposte elevate e la struttura del prelievo possono scoraggiare l’attività economica, l’offerta di lavoro e l’assunzione di rischi”. Come di fatto è avvenuto nel corso degli anni soprattutto più recenti.
Conclusioni Si tratta quindi ancora di attuare, in estrema sintesi, politiche di “aggiustamento strutturale”, dipendenti dall’azione del governo nazionale, unitamente a nuove politiche d’investimento, dipendenti dal governo Ue. In ordine alla prima esigenza, il Rapporto indica dieci elementi sui quali propone di intervenire: 1) costosità relativa dei consumi collettivi 2) composizione dei consumi collettivi offerti 3) gamma dei servizi (consumi collettivi) offerti 4) una revisione dei programmi di spesa in essere 5) la struttura industriale dell’offerta pubblica sul territorio ) la composizione della spesa in conto capitale 7) i rapporti finanziari tra centro e periferia 8) il peso della spesa per interessi 9) le disparità dei trattamenti medi previsti dall’ordinamento pensionistico 10) il livello della pensione media.
E' evidente - l'ho detto e lo confermo - che per uscire dalla crisi le politiche europee dovrebbero cambiar radicalmente. Su questo punto concordo in pieno con Lanfranco Turci. Devo però confermare anche tutto il mio pessimismo sulla possibilità che ciò avvenga, almeno a breve termine. Lasciamo perdere le frasi di circostanza e la tradizionale cortesia diplomatica. Al momento buono chi conta veramente non pare affatto disposto a recedere dalla propria linea di rigore, almeno questa è l'impressione che traggo dalle notizie quotidiane. Certo c'è stata l'apertura di Gabriel, ma non è mancata l'immediata e ringhiosa risposta negativa di Schauble. E la Merkel si è affrettata a dire che il patto di stabilità non si tocca. Non dimentichiamo inoltre che la Germania non è affatto isolata in Europa, come a volte si tende a pensare. I paesi settentrionali, Olanda e Finlandia in primo luogo, non sono certo meno rigoristi, mentre i paesi dell'area mediterranea sono deboli e di fatto subalterni. La golden rule sarebbe giusta e saggia, ma ammesso e non concesso che venisse finalmente approvata (penso alla lungimiranza di Delors) resta il problema di chi dovrebbe finanziare gli investimenti e con quali strumenti. La BCE che per statuto deve prestare i soldi alle banche e non agli stati? Il fondo europeo tramite gli eurobond che molti invocano, ma che hanno anche molti avversari e detrattori? E quali sarebbero le condizioni richieste ed imposte? Sulla patrimoniale Pierpaolo Pecchiari, in un'altra discussione di questi giorni, ha detto che anche un tecnocrate di idee moderate come Corrado Passera ha parlato di un intervento di 400 miliardi, la stessa cifra indicata da Fabrizio Barca. Non so se sia una misura da comunismo di guerra, come ha scritto Lanfranco, ma devo ammettere che anche se condivido la proposta nemmeno io vedo chi voglia e possa applicarla. Che fare allora? Alberto Ferrari ha scritto che per gestire e risolvere i conflitti lo scontro da solo non basta, ma sono necessarie le mediazioni. Giusto, a patto che si sia in due a voler mediare perché la mediazione è nell'interesse di entrambi. Non voglio fare dell'antirenzismo di maniera, ma questa corrispondenza di interessi (non certo di amorosi sensi) al momento non riesco proprio a vederla. Anzi, come ho detto, continuo a vedere una corazzata da una parte e una corvetta dall'altra. A meno che (vecchia idea mia e naturalmente non solo mia) la crisi non cominci a mordere in modo significativo anche le economie del Nord Europa e a quel punto le cose potrebbero forse cambiare. Purché non prevalgano anche là le spinte nazionalistiche e noi si sappia diventare europei sotto molti profili, a cominciare dalla fedeltà fiscale. Maurizio Giancola
13 commenti:
Molto interessante. Meriterebbe ulteriori approfondimenti da parte dello stesso Cassano oltre che dei compagni, per allargare la parte politico-propositiva, fino a farne un vero documento di proposta politica .
alberto ferrari
Documento ricco di analisi. Ma l'impasse delle soluzioni proposte conferma che senza un cambio radicale delle politiche europee, pur potendo fare tante cose utili in Italia, non andiamo da nessuna parte e siamo costretti ad avvitarci nella stagnazione e nelle trappola debito/il. Mettere al centro il debito pubblico credo non ci porti da nessuna parte. Sul tema al massimo potremmo proporci la stabilizzazione del rapporto dopo una fase precedente di forte rilancio della domanda in italia e in europa
Ma è chiaro, dopo una fase di accumulazione finanziaria nelle mani di pochi. è necessario un progetto politico europeo che parta dall' idea di redistribuzione, a tutti i livelli e in tutte le forme possibili (compreso il ricorso agli eurobond), per la ripresa dei consumi, nell' ambito di una strtegia di investimenti nell' economia reale.
Caro Lanfranco,
credo che non sarebbe affatto sbagliato se, prima di rivendicare una nuova politica di sviluppo europea, provassimo almeno seriamente non dico a mettere a posto i nostri conti (impossibile, al punto in cui siamo) ma almeno, come dici tu, a stabilizzarli. Mi sembra di capire che tu invece sostenga l'opportunità di rilanciare, prima di ogni altra cosa, la domanda ed è evidente che (sempre, al punto in cui siamo) di questo dovrebbe farsi carico l'Unione europea. Continuare a garantire cioè un patto di fiducia che viceversa noi, tutto sommato più dei tanti altri (!!!), comunque abbiamo tradito.
angelo giubileo
Caro compagno Giubileo,
forse non ci si capisce sulle parole ...nuova politica di sviluppo
europea... non è possibile a mio avviso nessuna politica di
qualsivoglia governo europeo e in particolare italiano senza che si
cambino radicalmente in senso solidaristico europeo i trattati UE
neoliberisti.
E' la morsa neoliberista europea che ha tolto la possibilità di
manovrare la moneta, i tassi sui BT, l'incremento del debito pubblico
per gli interessi crescenti senza possibilità alcuna di fermarli se
non seguendo i dettami neoliberisti: bassi salari, annullamento stato
sociale, svendita definitiva beni pubblici.
Come si può pensare di pagare 50 mila euro l'anno per abbassare il
debito publico, prevalentemente dovuti agli interesse da pagre alle
banche private ?
Insomma non c'è il prima mettere a posto i nostri conti
(impossibile, al punto in cui siamo) e poi chiediamo all'Ue di
cambiare politica economica, èpregiudiziale che si cambino le regole
e il modello economico da neoliberista (tutta l'economia in mano al
Privato (imprese e finanza multinazionale) e il potere politico
statale al seguito. L'aternativa è ritorno al passato (combinato
disposto Marx Keynes) in buona sostanza stracciare gli attuali
trattati neoliberisti che regolano gli Stati dell'Ue e in particolare
l'Eurozona, agibilità Costituzione italiana parte prima titolo terzo
rapporti economici :stato imprenditoriale (possibilità di
nazionalizzare (es Ilva, Piaggio Aerei, recuperare fabbriche - legge
Marcora riattivata, impedendo la delocalizzazione (es.. odierno su
Il Manifesto ultima pagina "Autogestione vince e paga - Unilever
Provenza), economia privata con finalità sociale).
Questo lo spartiacque se si continua a discutere per trovare
soluzioni all'interno della nassa neoliberista, ebbene il polpo primo
o poi finite le gambe (stato) viene mangiato dal gronco
(finanzcapitalismo plutocratico).
Ma riusciremo qui mai a avere chiari gli estremi del problema su cui
dibattere ?
Dubito ... ma ci provo.
Luigi Fasce
Nonostante tutto il terrorismo sul debito io sono convinto come tanti economisti italiani e esteri che l'Europa e anche il nostro paese hanno prioritariamente bisogno di un rilancio della domanda soprattutto tramite investimenti pubblici. Non capisco quali patti avremmo tradito ! Magari li avessimo traditi invece di fare la politica di Monti e Letta con la quale abbiamo aumentato la disoccupazione, diminuito il Pil e peggiorato il rapporto debito/Pil.
Ho letto con molta attenzione l'ampio e approfondito documento di Gim Cassano e vorrei esprimere qualche riflessione al riguardo. Innanzi tutto non mi sembra affatto che Gim metta al centro della sua analisi il solo debito pubblico né che lo usi come strumento terroristico, facendo discendere da questo tutti i mali della nostra economia. Al di là di quello che ha scritto, lo conosco bene e so che non è questo il suo pensiero. Infatti il giudizio negativo sulle politiche europee e nazionali improntate esclusivamente al binomio rigore e austerità è netto e non si presta ad equivoci.
Gim pone piuttosto un interrogativo secco al quale non ci si può sottrarre: come conciliare una politica di sviluppo e di crescita con un rapporto debito/PIL del 130% e oltre? Un rapporto - questo è il punto vero del problema - che sottrae allo Stato circa 80-85 miliardi/anno solo per pagare gli interessi sul debito stesso.
Accertato che la cosiddetta austerity non è soltanto come la cura che cercando di guarire il malato lo ammazza, nel documento si afferma che questo indirizzo perverso ha anche avuto il demerito di aumentare il debito in termini sia assoluti sia relativi.
Che fare allora? Una risposta diffusa a sinistra - Lanfranco Turci lo dimostra - è che finché non cambieranno le regole e le politiche europee nulla sarà possibile. Condivido solo in parte questa affermazione, ma qui vorrei dire qualcosa di più per evitare possibili fraintendimenti.
Innanzi tutto - è sempre bene ribadirlo - sappiamo che la crisi non nasce dai debiti sovrani, ma dall'abnorme indebitamento privato creatosi negli USA prima del 2007-2008, con tutto quello che ne è conseguito in termini di speculazione finanziaria, derivati, mutui subprime e relativa bolla immobiliare e via dicendo (ovviamente sintetizzo).
Scavando ancora più a fondo sappiamo che tutto ciò deriva da un'iniqua distribuzione della ricchezza che ha causato un'eccessiva contrazione della domanda (Gallino, Ruffolo ed altri per rimanere in Italia). Con una sapiente operazione politico-mediatica, quando la crisi ha attraversato l'Atlantico, il tutto è stato invece addebitato ai debiti sovrani di alcuni paesi, a cominciare dalla Grecia, al solo fine di salvare le banche francesi e tedesche troppo esposte.
A questo punto la costruzione ed i regolamenti dell'eurozona, già ampiamente sbagliati in origine, hanno dimostrato tutta la loro insufficienza, che però come sempre ha penalizzato solo alcuni. E' giusto pertanto affermare che per combattere la crisi regole, parametri e politiche europee dovrebbero cambiare radicalmente.
Ma - ed è questo il punto che Cassano evidenzia con estrema chiarezza - di questi cambiamenti non si intravede neppure l'ombra e anche se qualche ammorbidimento dovesse realizzarsi nei prossimi mesi questo sarebbe del tutto inadeguato. Che fare allora? Continuare ad invocare quello che chi comanda non ha nessuna intenzione di attuare? O confidare in una rivolta popolare che, al contrario, assume sempre più connotazioni di carattere nazionalista? L'impasse è evidente. Ciò non significa affatto abbandonare la prospettiva e gli obiettivi di un'Europa Federale, che metta in comune i debiti dei singoli stati e, attraverso politiche economiche e fiscali comuni e una BCE prestatore di ultima istanza, finanzi un vero e proprio New Deal continentale. Tutto giusto e condivisibile, è vero, purché si sia consapevoli che questo oggi è un ideale e tale resterà ancora a lungo.
Deve però essere aggiunto che accanto a tutti questi fattori di crisi altri ne esistono, che potremmo definire endogeni nei casi di diversi paesi. Sono fattori spesso antichi e sarebbe gravemente sbagliato minimizzarli. Il discorso è lunghissimo, ma né la Grecia né la Spagna né l'Italia possono essere considerate vittime del tutto innocenti. Credo che tutti sappiamo a che cosa ci si debba riferire, non fosse altro per il fatto che questi sono i paesi europei dove l'evasione fiscale è sempre stata più elevata. Ci sono inoltre sprechi, corruzione, cattiva amministrazione, clientelismo. Esiste poi, almeno in Italia (non so altrove), un rapporto squilibrato fra spesa pubblica corrente e spesa per investimenti. Non si tratta affatto, come afferma il mantra della destra, di ridurre una spesa pubblica troppo elevata perché questa è soltanto una falsità ideologica (la nostra spesa pubblica è sempre stata inferiore alla media europea). Si tratta piuttosto di riequilibrarla e riqualificarla, sicuramente spendendo di più dove è necessario.
Ma il problema vero è come finanziare tutto ciò senza incrementi del debito, anzi cercando di investire e nel contempo di ridurre quest'ultimo per liberare ulteriori risorse.
Mi sembra che la risposta di Cassano sia molto chiara: una revisione complessiva del sistema fiscale finalizzata ad un'imposizione patrimoniale fortemente progressiva. E' la stessa risposta che mesi fa diede Fabrizio Barca, nell'intervista telefonica al finto Vendola organizzata per scherzo (?) da la Zanzara: senza una patrimoniale di 400 miliardi non si va da nessuna parte. In un Paese caratterizzato da molta povertà pubblica e da molta ricchezza privata (un vecchio tema caro a Gallino) mi sembra l'unica proposta autenticamente di sinistra. Senza attendere Godot e senza pensare che il debito pubblico sia un bene in sé, perché il tanto citato Keynes non la pensava affatto così.
Maurizio Giancola
Caro Maurizio condivido tutta la ricostruzione che hai fatto della crisi internazionale e della politica europea. Proprio per questo ritengo che il problema principale sia quello di superare i vincoli della politica europea. A breve si deve poter fare più investimenti pubblici in italia e in europa, anche se questo comporta un aumento a breve del debito ( il Giappone convive da anni con un rapèporto debito/pil del 200% ) .D'altro lato il rapporto debito/pil si è aggravato in questi ultimi anni proprio in forza dell'austerity che ha fatto diminuire il Pil e aggravato tutte le condizioni economico-sociali. Il debito può diminuire se cresce il pil e l'inflazione ( oggi siamo a rischio di deflazione!). Molte delle misure indicate da Cassano sono giuste , ma se non cambia il contesto possono addirittura essere controproducenti. Poichè la priorità è l'europa segnalo l'importanza del referendum sulla legge 232 lanciato da Piga e altri che credo ci dovrebbe vedere tutti impegnati. E' chiaro che una politica di rilancio della domanda interna ed europea ha bisogno di un ruolo attivo della Bce per contenere gli spread oltre che per finanziare eurobond. Quanto ai debiti pubblici si può pensare a medio termine a misure del tipo di quelle indicate nell'ipotesi PADRE o dei Redemption Fund. Segnalo infine che Cassano parla do una patrimoniale ordinaria. Una patrimoniale straordinaria da 400 MD mi ricorda il comunismo di guerra, toccherebbe inevitabilmente anche i piccoli patrimoni e avrebbe, secondo me, effetti sconvolgenti sul terreno politico-sociale. Vorrei vedere quale forza politica sarebbe disposta a farsene carico !
Caro Lanfranco, nell’intervista da te citata, l’intervistata alla fine, su precisa domanda esprime un lusinghiero giudizio su Renzi. Ecco credo che dobbiamo anche noi riflettere. Renzi sembra aver capito ciò che ho imparato nelle scuole di formazione manageriale sulla gestione dei conflitti e sulle loro soluzioni:lo scontro da solo non serve; serve cercare le mediazioni tenendo conto dei punti irrinunciabili dei contendenti. Un classico esempio, sempre citato, è l’accordo di pace di Sadat con lo stato di Israele dopo la guerra del Kippur: Israele vuole mantenere il controllo di alcune aree montuose del deserto Sinai perchè importanti come osservatorio militare; Sadat non può rinunciare alla sovranità su quell’area pena la sconfitta politica interna. Dopo settimane di discussioni la soluzione: le bandiere egiziane sventoleranno dove voleva Sadat ma gli Israeliani manterranno degli osservatori militari su quelle colline. Nessuno è stato umiliato e nessuno ha fatto marcia indietro( e l’accordo dura tutt’ora tra Egitto e Israele).
Renzi comprende bene che l’attacco diretto al fiscal compact non produce nulla: la Germania della Merkel non può accettare di essere umiliata in Europa d’altro canto nessuno potrà mai dire che avere debiti è meglio che essere virtuosi. Ma se da tale vincolo, per la grave situazione economica mondiale, ed europea in particolare, si sterilizzano le spese investite dagli stati per infrastrutture e grandi riforme ecc., ciò può essere utile a molti paesi europei e accettabile da parte tedesca. In tale senso sembra muoversi Renzi; ed in tale modo, con le dichiarazioni di oggi, sembra muoversi Gabriel , segretario SPD e potente vice-cancelliere. L’insegnamento da tutto ciò ragioniamolo assieme se non vogliamo restare marginali.
Un fraterno saluto
Prima considerazione In fase recessiva, una politica di contenimento o riduzione della spesa pubblica non agisce certamente in funzione “anti-ciclica”. E tuttavia, può agire in funzione di “aggiustamento strutturale”. Nell’arco di sessant’anni (1951-2010), il Rapporto Giarda individua due fasi in cui la politica messa in atto dai governi è ritenuta ex post “sbagliata”: nel triennio 1979-1981 con una crescita del PIL reale pari al 3,21% e una crescita della spesa reale del 6,49% e per quasi un decennio dal 1984 al 1992 con una crescita del PIL reale pari al 2,66% e una crescita della spesa reale del 3,56%. Nel sessantennio, due sono anche le fasi di “aggiustamenti strutturali” dal 1993 al 1994 con un dato di -2,57% di crescita della spesa rispetto al PIL e un dato analogo nel 2010 del -3,27%. Logicamente, il confronto dei dati finisce qua dato che il Rapporto è pubblicato nell’agosto 2011. Ma, quel che qui rileva è innanzitutto il fatto che le manovre di spesa ancora attualmente in essere dai governi nazionali sono senz’altro manovre in funzione di “aggiustamento strutturale” dei conti pubblici.
Seconda considerazione Negli ultimi sessant’anni (1951-2010), a parte il dato complessivo in valori assoluti, la composizione della spesa pubblica ha registrato, in % rispetto a 100, una diminuzione della spesa per consumi pubblici dal 54,4 al 41,4 e viceversa un incremento ancora più sostanziale della spesa complessiva per pensioni, previdenza e assistenza dal 21,5 al 39 con un incremento sempre in % della spesa corrente dall’80,8 all’84,4 e un incremento anche della spesa per interessi passivi dal 3,8 all’8,8. Il primo dato inconfutabile che emerge è quindi un incremento tendenziale della spesa previdenziale rispetto al quale sono state prodotte le riforme di questi ultimi vent’anni, con il grave problema insorto degli “esodati”, conseguente al fenomeno generale dell’incremento della disoccupazione ma anche all’innalzamento dei requisiti di età pensionabile stabiliti dalla legge Fornero. Il secondo dato, nascosto nelle pieghe della contabilità della spesa pubblica, è rappresentato dal fatto che “la spesa si è progressivamente spostata verso le amministrazioni locali” a partire dal biennio 1989-90 e nell’arco, praticamente, di circa un ventennio.
Terza considerazione Il Rapporto, concernente la spesa, non indaga a fondo le dinamiche del periodo intervenute viceversa nel sistema di tassazione. Vale però più di tutte le altre una considerazione, e cioè che “le imposte elevate e la struttura del prelievo possono scoraggiare l’attività economica, l’offerta di lavoro e l’assunzione di rischi”. Come di fatto è avvenuto nel corso degli anni soprattutto più recenti.
Conclusioni Si tratta quindi ancora di attuare, in estrema sintesi, politiche di “aggiustamento strutturale”, dipendenti dall’azione del governo nazionale, unitamente a nuove politiche d’investimento, dipendenti dal governo Ue. In ordine alla prima esigenza, il Rapporto indica dieci elementi sui quali propone di intervenire: 1) costosità relativa dei consumi collettivi 2) composizione dei consumi collettivi offerti 3) gamma dei servizi (consumi collettivi) offerti 4) una revisione dei programmi di spesa in essere 5) la struttura industriale dell’offerta pubblica sul territorio ) la composizione della spesa in conto capitale 7) i rapporti finanziari tra centro e periferia 8) il peso della spesa per interessi 9) le disparità dei trattamenti medi previsti dall’ordinamento pensionistico 10) il livello della pensione media.
(Angelo Giubileo)
E' evidente - l'ho detto e lo confermo - che per uscire dalla crisi le politiche europee dovrebbero cambiar radicalmente. Su questo punto concordo in pieno con Lanfranco Turci. Devo però confermare anche tutto il mio pessimismo sulla possibilità che ciò avvenga, almeno a breve termine. Lasciamo perdere le frasi di circostanza e la tradizionale cortesia diplomatica. Al momento buono chi conta veramente non pare affatto disposto a recedere dalla propria linea di rigore, almeno questa è l'impressione che traggo dalle notizie quotidiane. Certo c'è stata l'apertura di Gabriel, ma non è mancata l'immediata e ringhiosa risposta negativa di Schauble. E la Merkel si è affrettata a dire che il patto di stabilità non si tocca. Non dimentichiamo inoltre che la Germania non è affatto isolata in Europa, come a volte si tende a pensare. I paesi settentrionali, Olanda e Finlandia in primo luogo, non sono certo meno rigoristi, mentre i paesi dell'area mediterranea sono deboli e di fatto subalterni. La golden rule sarebbe giusta e saggia, ma ammesso e non concesso che venisse finalmente approvata (penso alla lungimiranza di Delors) resta il problema di chi dovrebbe finanziare gli investimenti e con quali strumenti. La BCE che per statuto deve prestare i soldi alle banche e non agli stati? Il fondo europeo tramite gli eurobond che molti invocano, ma che hanno anche molti avversari e detrattori? E quali sarebbero le condizioni richieste ed imposte?
Sulla patrimoniale Pierpaolo Pecchiari, in un'altra discussione di questi giorni, ha detto che anche un tecnocrate di idee moderate come Corrado Passera ha parlato di un intervento di 400 miliardi, la stessa cifra indicata da Fabrizio Barca. Non so se sia una misura da comunismo di guerra, come ha scritto Lanfranco, ma devo ammettere che anche se condivido la proposta nemmeno io vedo chi voglia e possa applicarla.
Che fare allora? Alberto Ferrari ha scritto che per gestire e risolvere i conflitti lo scontro da solo non basta, ma sono necessarie le mediazioni. Giusto, a patto che si sia in due a voler mediare perché la mediazione è nell'interesse di entrambi. Non voglio fare dell'antirenzismo di maniera, ma questa corrispondenza di interessi (non certo di amorosi sensi) al momento non riesco proprio a vederla. Anzi, come ho detto, continuo a vedere una corazzata da una parte e una corvetta dall'altra.
A meno che (vecchia idea mia e naturalmente non solo mia) la crisi non cominci a mordere in modo significativo anche le economie del Nord Europa e a quel punto le cose potrebbero forse cambiare. Purché non prevalgano anche là le spinte nazionalistiche e noi si sappia diventare europei sotto molti profili, a cominciare dalla fedeltà fiscale.
Maurizio Giancola
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