domenica 8 giugno 2014

Felice Besostri: Tertium semper datur (ma non è la terza via)

TERTIUM SEMPER DATUR: MA NON E’ LA TERZAVIA di Felice Besostri, socialista Le elezioni europee pongono alla sinistra italiana seri interrogativi, se non si fa incantare dalla vulgata, che viene quotidianamente propinata dai mezzi di informazione: vittoria netta del Pd (e) di Renzi . che pur in fase di diminuzione della partecipazione elettorale incrementa in percentuale e in voti assoluti rispetto al 2013 e raggiunge una percentuale del 41%, un record per un partito italiano, a parte la DC di Fanfani. Il successo è innegabile e il PD è comunque l’interlocutore essenziale per ogni alleanza vincente di centro sinistra e i suoi militanti, iscritti ed elettori ,in parte più o meno consistente, comunque necessari, soggettivamente e oggettivamente, per ogni ipotesi di sinistra nel nostro Paese e/o in Europa, a prescindere dalla fragilità di questa vittoria nel prossimo futuro. Per una sinistra che si ripensi e conseguentemente si riorganizzi, c’è una questione pregiudiziale, cioè un giudizio sulla collocazione del PD sull’asse destra-centro-sinistra. Se il PD è giudicato/percepito come un partito di sinistra in senso lato, l’ultima incarnazione di un filone storico, politico e ideologico, che risale al PCI, poi PDS e infine DS, non riducibile alla sola eredità comunista, ma comprensiva degli apporti socialisti, cristiano sociali, repubblicani e laici ed infine della sinistra popolare democratica cristiana: piaccia o non piaccia individualmente non c’è altra scelta da fare che entrare nel PD e combattere al suo interno una battaglia per uno spostamento a sinistra delle sue scelte programmatiche. Una scelta, l’entrismo, rafforzata dalla decisione improvvisa, ma irrevocabile, di aderire al PSE. Soltanto una pregiudiziale anti-socialdemocratica potrebbe giustificare un rifiuto di principio di questa scelta. C’è soltanto un ostacolo, ma non di poco conto il PD non si è mai definito un partito di sinistra a partire dalla intervista di Veltroni al Pais all’indomani della sua plebiscitaria investitura come leader della nuova formazione. Già nel discorso del Lingotto la dialettica innovazione/conservazione faceva aggio sul binomio destra/sinistra. Fatta salva una breve parentesi bersaniana, sconfitta nelle urne nel 2013, il PD nel suo complesso e nella sua maggioranza non si definisce un partito di sinistra. Con l’elezione di Renzi alle primarie di fine 2013 la scelta è talmente chiara, che va rispettata. Con coraggio Renzi si è liberato di classici idola fori della sinistra dal finanziamento pubblico della politica al rispetto del ruolo del sindacato, in particolare della CGIL alla elettività degli organi delle amministrazioni territoriali e della stessa seconda Camera, il Senato, perciò di un organo comunque partecipe del processo legislativo. L’apice di una concezione leaderista e quindi di svalutazione dei corpi intermedi è la proposta di legge elettorale conosciuta come Italikum ( che per un mio vezzo scrivo con la kappa). In Renzi l’autonomia della politica dal diritto è non solo praticata, ma anche teorizzata: soltanto con le sue riforme si può salvare l’Italia: il decisionismo del capo è giustificato dallo stato di necessità e quindi dall’emergenza. Sul piano della politica economica non può ignorare i vincoli degli impegni europei, può solo contrattare tempi più lunghi e una maggiore flessibilità giustificata dalle riforme istituzionali messe in cantiere, che ridurranno a regime la capacità interdittiva delle corporazioni e degli interessi organizzati intorno al settore pubblico che va ridotto attraverso le privatizzazioni. Il sostegno alle politiche di Renzi è massiccio nei mezzi di informazione dalla carta stampata all’audiovisivo: Berlusconi anche all’apice del suo consenso politico non ha mai avuto un consenso così vasto e nelle elezioni europee ne ha tratto profitto. Il popolo italiano ha bisogno di rassicurazioni più della verità e se l’alternativa è tra speranza e paura, che vinca la speranza è umanamente giustificabile, tanto più assenza di una sinistra con vocazione maggioritaria, cioè rappresentativa di una cultura di governo con proposte alternative , ma credibili e realistiche. L’unica opposizione aveva innalzato le bandiere di un leader greco, giovane ed anche simpatico, ed anche non estremista. Tuttavia l’immagine data era quella di una testimonianza, che doveva vincere la battaglia della sopravvivenza, altro che alternativa di governo. La investe la stessa democrazia rappresentativa: dunque occorre contrapporre un altro modello di società. Paradossalmente questa radicalità non contraddice il realismo e il gradualismo perché legati alla scelta del consenso democratico, che impone di cercare il consenso della maggioranza sia nella conquista che nella gestione del potere. Bastano due scelte di fondo per caratterizzare la sinistra : difesa della democrazia a cominciare dal sistema elettorale e riduzione delle diseguaglianze, che hanno raggiunto livelli intollerabili e incompatibili con il comune senso di giustizia. Le terze vie non sono più praticabili perché non ci sono ricchezze vere o virtuali da distribuire ed anche il quadro istituzionale presenta mutazioni che non sono state analizzate a fondo nelle sue implicazioni: il capitalismo finanziario non ha bisogno dello Stato e neppure che la democrazia passi dallo stato nazionale, dove si è storicamente realizzata in parallelo, in Europa, con lo sviluppo del welfare state, ad istituzioni sovranazionali democratiche, quali le Federazioni . In particolare progressivamente si riducono i ruoli e i poteri delle assemblee elettive rappresentative a favore dagli esecutivi, anche grazie a leggi elettorali maggioritarie e al trasferimento di poteri al organizzazioni internazionali dominate dai governi ed ad accordi come il NAFTA e il TT&IP, attualmente in discussione a Bruxelles in assenza di ogni trasparenza. Il capitalismo finanziario ha sue regole e istituzioni, che abbattono le barriere nazionali tradizionali, le agenzie di rating giudicano in modo inappellabile le politiche economiche dei governi, prescindendo dalla legittimazione democratica e dal consenso popolare, di cui dispongano. Progressivamente gli Stati nazionali sono svuotati dagli attributi classici della sovranità, quale il battere moneta, grazie a strumenti finanziari creativi, neppure trattati in mercati trasparenti. . Persino la guerra e la sicurezza sono privatizzate o privatizzabili ( contractors e appalti a società private di video-sorveglianza, in generale l’estensione del Sesto Potere, come definito da Bauman) e la politica estera viene sottratta al monopolio della diplomazia: in Italia il caso dell’ENI è paradigmatico. Negli affari importanti l’amministrazione della giustizia è sottratta alla sfera pubblica, ma affidata a decisioni inappellabili di collegi arbitrali spesso istituiti nell’ambito di accordi internazionali neppure ratificati dai parlamenti(WTO-OMC per esempio) Se la democrazia è il governo dei poteri visibili è indubbio che gli spazi democratici si stanno restringendo, perché gli organi rappresentativi elettivi perdono poteri decisionali e persino di controllo, perché finalizzato ad assicurare una maggioranza preventiva all’esecutivo, cui sono subordinati: un paradossale rovesciamento del principio per il quale il governo deve rispondere al Parlamento. Il principio della divisione dei poteri, fondamento costituzionale sello Stato democratico, insieme con la garanzia di diritti( rt. 16 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1793), comune alla forme di governo parlamentare e presidenziale, è stato superato in Italia con l’elezione diretta dei vertici esecutivi accompagnata da un premio di maggioranza nell’organo assembleare funzionale alla stabilità dell’esecutivo: una pericolosa concentrazione di potere sconosciuta ai sistemi presidenziali e semipresidenziali . Non solo, con le liste bloccate si è assegnato un potere enorme ai vertici di partiti, non soggetti ad una legge organica sui partiti politici come nel resto d’Europa e come richiesto dall’art. 49 della Costituzione. L’individuazione dei problemi da risolvere e dei compiti da svolgere non è sufficiente per costruire un soggetto politico , l’esigenza di avere in Italia una sinistra con vocazione maggioritaria non può prescindere da un a sua concreta possibilità, perché se si rivolge a soggetti politici esistenti e già operanti nelle istituzioni deve anche rispondere all’esigenza di garantire, almeno apparentemente, la possibilità di rielezione. Se questa, peraltro, diventa l’unica motivazione il fallimento di un progetto politico diventa altamente probabile. Il punto di partenza è la crescente astensione dal voto, che alle europee del 25 maggio ha raggiunto un nuovo record. I non votanti non sono una categoria omogenea, ma un semplice confronto con elezioni passate, anche limitate alle elezioni 2008-2013 consente di concludere, he vi è una quita consistente di elettori insoddisfatti dell’offerta politica a sinistra. La somma del voto PD-PSI del 2008 di 12.450.791 voti è superiore di 1.247.560 all’eccezionale risultato del PD 2014, dovuto in grandissima parte al recupero di voto centrista precipitato dai 3.591.607 voti del 2013 ai neanche 200.000 voti del 2014.Il recupero della lista Tsypras, ammirevole per aver raccolto le firme e superato la soglia, è comunque stato parziale(1.108.457 voti) se confrontato sia con la Sinistra Arcobaleno 2008, che al complesso delle liste di sinistra alle europee del 2009(Rifondazione Comunista-Sinistra Europea e SeL ottennero 1.986.286 voti): l’unico raffronto vincente è con i 765.188 voti di Rivoluzione Civile del 2013. Il M5S è diversamente apprezzato a sinistra, da un atteggiamento di attenzione positiva al disprezzo totale, ma penso si possa convenire che nel parlamento si opponga alle leggi elettorali e riforma e costituzionali proposte dal PD e che le motivazioni di protesta e cambiamento del voto pentastellato potrebbero coincidere con quelle di un movimento di sinistra: ebbene tra il 2013 e i 2014 sono mancati circa 2.900.000 voti. La base materiale per una sinistra alternativa non protestataria esiste, dunque si pone la questione su quali culture politiche si possa fondare. Si possono in questa fase soltanto formulare ipotesi, che sono nel contempo proposte da verificare sul campo. Poiché si tratta di superare una debolezza specifica della sinistra italiana in confronto a quella europea la prima cultura politica che sarebbe necessaria è quella socialista sia nelle sue componenti di sinistra riformatrice e progettuale, che di capacità di governo, quella del primo centro-sinistra. I socialisti sono dispersi in tutto l’arco politico che va dal PD alla sinistra antagonista, pare che il loro destino, ma a sinistra non sono i soli a condividerli, sia quello di scegliere tra essere testa di topo (in formazioni intellettualmente vivaci, ma senza peso politico) o coda del leone(testimonianza rassegnata nel PD), per usare un modo di dire spagnolo. I primi, ma non esclusivi interlocutori, nel reciproco interesse per non muoversi soltanto sul passato e nel presente, sono le componenti confluite in SEL, che nelle loro formazioni di origine(Rifondazione Comunista, DS e Verdi) hanno posto il problema di una rottura con le eredità del passato ed individuato in un socialismo europeo rinnovato ed idealizzato un possibile comune approdo. Una sinistra rinnovata su queste basi ha interlocutori naturali nei sindacati e nell’associazionismo(ARCI p.es.), come nel Terzo Settore e nel volontariato civile e, senza mitizzazioni, nei popoli viola o arancioni o di altri colori dell’iride che la fantasia der giovani saprà inventare. Nuova linfa per la formazione di una classe politica rinnovata potrebbe venire dalle pratiche di movimenti come quelli per i beni comuni o contro il precariato o dei comitati di base su problemi specifici di un territorio, che sono stati alla base del successo iniziale del M5S. Vanno individuate forme non rigide si dialogo e confronto e di sviluppo di azioni comuni, che dovrebbero avere come base comune iniziale la difesa e estensione della democrazia costituzionale repubblicana e la lotta alle diseguaglianze nello spirito dell’art. 3 c. 2 della Costituzione

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