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giovedì 10 ottobre 2013
Franco D'Alfonso: Un sistema che non regge
UN SISTEMA CHE NON REGGE
Non è più pensabile assecondare il “pensiero unico contabile” che da Bruxelles a Roma fino ai singoli Comuni ha preso il posto della politica. L’idea che il governo delle città e dell’intero Stato sia una questione sulla quale giudicano e governano la Banca Centrale e la Corte dei conti equivale a sancire l’impossibilità della democrazia rappresentativa e partecipativa, riducendo i partiti e i movimenti politici a comparse balbettanti intorno al grado di abolizione di una tassa con la stessa capacità di incidere che avevano le mamme di una Italia che non c’è più quando volendo arginare la rabbia del capofamiglia padrone affermavano che “ si, la ragazza è incinta, ma solo un po’ ”..
Il sistema delle autonomie locali basato su una fiscalità centralizzata e un sistema di redistribuzione dei fondi che ha caratterizzato il nostro Paese nello scorso secolo non funziona più da tempo, ma gli interventi di “manutenzione” del nuovo millennio , caratteristici del centrosinistra, così come quelli di “cambiamento” spesso sconfinanti nel “sovvertimento”, caratteristici invece del ventennio Berlusconi-Bossi, hanno peggiorato la situazione rendendola ormai quasi irrimediabile.
L’inserimento di un neocentralismo regionale inteso come un ulteriore livello di intermediazione e perequazione territoriale cui non è seguita alcuna capacità innovativa da parte di un ente che, come certificato dai recenti dati Siope governativo, si è rivelato addirittura meno efficiente delle vituperate Province, ha finito per essere un danno e non un aiuto al funzionamento del sistema.
In altre parole il ‘federalismo’ reale, che è derivato dall’introduzione della riforma del Titolo V della Costituzione (votato con una risicatissima maggioranza del Centro-sinistra) e dalle successive iniziative del Centro-destra a trazione leghista, si è concretizzato nel trasferimento di funzioni dal Centro alla periferia e dei relativi costi e nel contemporaneo accentramento di risorse fiscali dalla periferia al centro.
La “manutenzione” del sistema e le “riforme”(?) del governo Monti hanno portato per il 2012 ad una riduzione della spesa aggregata dei Comuni di ben 15 miliardi di euro cui però ha fatto riscontro un incremento della spesa totale ( al netto di interressi e previdenza) di 26 miliardi di euro, evidentemente come risultante di un incremento della spesa governativa di 41 miliardi di euro ! C’è ancora qualcuno che pensa di poter continuare a comprare consenso a livello nazionale ed internazionale a spese delle comunità locali , cui oltretutto si affibbiano anche il ruolo di gabelliere per conto dei centri di spesa ministeriali ( la cui spesa si è incrementata di quasi l’otto per cento! ) e quello di capro espiatorio mediatico, essendo indicati come centri di “spreco” ?
LE AREE METROPOLITANE LUOGO DELL’INNOVAZIONE E DELLO SVILUPPO
Le aree metropolitane italiane raccolgono più di un terzo della popolazione nazionale e generano oltre il 50% del PIL . Negli Usa le prime 100 aree metropolitane occupano il 12 % del territorio e generano il 75 % del PIL . Nel 2050 i tre quarti della popolazione mondiale vivrà nelle aree urbane.
Non dovrebbero occorrere altri dati per rendere evidente una realtà e non una previsione che vede nella vitalità e nella concorrenza delle aree metropolitane il motore del cambiamento ed il luogo nel quale si decide del progresso o del declino di una società : se Adam Smith dovesse scrivere oggi il suo saggio fondamentale lo intitolerebbe “ La ricchezza delle città” e non delle nazioni , individuando in esse il potenziale innovativo necessario per affrontare con spirito positivo il futuro.
Come a ben spiegato il prof. Enrico Moretti, professore a Berkeley specializzato in Economia del lavoro in «The New Geography of Jobs» («La nuova geografia dei posti di lavoro»), le città, tuttavia, rappresentano una condizione necessaria dello sviluppo, ma la condizione sufficiente è data dalla presenza di un alto numero di laureati in discipline tecnologiche e biomediche e di Università che ne garantiscono l’alta formazione.
Per ogni posto di lavoro di un laureato high tech, ha calcolato Moretti, si determinano 5 posti di lavoro nei servizi (dall’avvocato, all’architetto al servizi di ristorazione), mentre non vale il viceversa.
E’ del tutto evidente, anche per queste ultime ragioni, che, ancora una volta, il segnale e la guida del cambiamento in Italia non può che venire da Milano e da quella che è ancora una delle prime cinque aree economicamente più forti d’Europa. Rivendicare questo ruolo in maniera non è segno di arroganza o presunzione, ma al contrario è segnalare una precisa presa di responsabilità da parte di una comunità che ha sempre fatto da locomotiva per il treno del progresso italiano.
La formulazione di un nuovo patto istituzionale che veda riconosciuta una specificità ed un ruolo di guida delle città metropolitane potrà avvenire solo se Milano tutta si metterà alla testa un movimento politico , culturale e sociale che funzioni da riferimento per l’intero paese , come già avvenuto all’inizio dello scorso millennio e nel secondo Dopoguerra. Questo ovviamente favorendo la formazione di cluster ad alto specializzazione nei settori sopra ricordati.
IL RUOLO DEL COMUNE DI MILANO
L’equiparazione sostanziale del Comune di Milano a quello di Monterone ( 37 abitanti..) per tutto , dai criteri di determinazione della pianta organica alle regole di bilancio, è il risultato della vacua rivincita compiuta dalla burocrazia statale e mira a riportare ad un vertice statale sull’onda dell’emergenza nazionale tutti i poteri ed il sempiterno controllo dei cordoni della borsa.
Non è la prima volta che questo avviene e non è la prima volta che il Comune di Milano , forte del prestigio e della credibilità che non deriva da norme di legge ma dal coraggio e dalla capacità della sua Amministrazione, rompe gli schemi e pragmaticamente trova soluzioni per sé stesso che in breve tempo diverranno soluzioni per l’intero paese.
Lo fece il sindaco Caldara, stretto tra un governo sabaudo che inviava generali, molti cannoni e poco burro per tenere a bada la città ed una nascente ed aggressiva classe industriale e finanziaria che, non diversamente e nemmeno più rozzamente di quanto avvenga oggi, lamentava ingerenze pubbliche nell’economia, lacci e lacciuoli che impediscono l’iniziativa privata , imposte e tasse che “strangolano” gli imprenditori che creano posti di lavoro.. L’amministrazione Caldara “inventò”il socialismo municipale, le società municipalizzate e , a fronte di un governo che chiudeva i rubinetti finanziari alle municipalità “rosse”, portò in pochi anni l’illuminazione pubblica in tutta la città, asfaltò le strade nelle periferie , rimodernò il sistema fognario e fondò l’Aem che garantì, grazie alla intuizione delle centrali idroelettriche valtellinesi , l’autonomia energetica alla intera municipalità.
Il sindaco Virgilio Ferrari , di fronte al solito taglio dei finanziamenti statali per la costruzione della metropolitana , lanciò un prestito obbligazionario cittadino che permise la realizzazione della MM 1 convincendo migliaia di milanesi ad impiegare i propri risparmi in questa grande opera.
Oggi l’amministrazione guidata da Giuliano Pisapia è chiamata a guidare uno sforzo collettivo e collegiale per permettere una ripresa economica basata sugli investimenti sulla qualità della vita e l’ambiente cittadino , per realizzare in cinque anni una grande area metropolitana luogo della produzione , dell’innovazione e della conoscenza.
LA PRIMA FASE DEL MANDATO AMMINISTRATIVO COMUNALE
La buona gestione e la buona reputazione di una amministrazione pubblica sono come l’aria e la libertà , beni di cui si avverte la presenza e la necessità nel momento dell’assenza. Il sindaco Pisapia ha riportato a Palazzo Marino il senso dell’istituzione , mettendo subitaneamente fine alle risse fra amministrazioni di diverso livello che hanno seriamente compromesso la preparazione di Expo 2015, ripristinando rapporti istituzionali proprio con amministrazioni politicamente avverse ed avversarie che gli si erano opposte anche durante la campagna elettorale; ha riportato dignità e senso di responsabilità nei rapporti con i cittadini, riportando la presunzione di onestà, se non quella di infallibilità, negli atti di tutta l’amministrazione , dopo anni nei quali era necessario rivendicare la presunzione di innocenza dopo la sentenza di primo grado in una amministrazione che vedeva condannati per reati contro il patrimonio pubblico con ruoli di responsabilità politica ed amministrativa ; ha provveduto a rinnovare completamente la dirigenza comunale e delle società municipalizzate che costava come il board di una “blue star” di Silicon Valley a fronte di performance di perdita di valore di due terzi in meno di quattro anni, come nel caso di A2A.
Ristabilire il primato dei principi e dei valori del bene comune , così come adottare provvedimenti di cui si comprende “ratio” e genesi anche quando non li si condivide, come nel caso del nuovo Pgt del territorio o dell’adozione di Area C , erano obiettivi mobilitanti e sfidanti durante la campagna elettorale ed erano le prime richieste rivolte al nuovo sindaco di Milano. Comprensibilmente, anche di fronte agli ulteriori morsi della crisi , questo risultato è stato metabolizzato ed interiorizzato da tutti , senza distinzione di maggioranza o opposizione, costituendo così patrimonio ritrovato della vita pubblica della nostra città.
Questo significa però che quello stesso sindaco Giuliano e la sua amministrazione si trovano a dover dare nuove risposte ed a dover affrontare nuove e gravi situazioni forti solo della credibilità ed affidabilità personali , ma un con un progetto ed un consenso politico interamente da ricostruire.
LA PROGETTUALITA’ OLTRE IL BREVE PERIODO
Ha ragione Guido Viale quando afferma che: “Tutte le ricette che oggi vengono proposte come vie per la “ripresa”, per rimettere in moto la “crescita” fanno riferimento a un mondo che non esiste più. La più banale è l’uscita dall’euro. I fautori di questa scelta ritengono che con il ritorno a un cambio flessibile una consistente svalutazione della nuova lira sarebbe di per sé sufficiente a far recuperare al nostro paese quella competitività sui mercati internazionali che gli scarsi progressi della produttività degli ultimi due decenni gli hanno fatto perdere. Ma è un’illusione. Una parte consistente, ancorché minoritaria del nostro apparato produttivo, ha continuato a esportare molto nonostante la sopravvalutazione della valuta. Il resto del sistema produttivo italiano è invece sprofondato, inghiottito dal calo della domanda interna (cioè dei redditi da lavoro), dai tagli della spesa pubblica, dal credit crunch imposto da banche traballanti, dai mancati pagamenti dello Stato, dalle tasse, dalla corruzione, dalle delocalizzazioni; ma soprattutto dalla mancanza di una politica industriale in grado di indirizzarlo verso una riconversione non solo dei processi, responsabili dei livelli di produttività, ma soprattutto dei prodotti.
E più avanti sostiene: “Riconversione produttiva, sostegno all’occupazione, ai redditi, alla ricerca, all’innovazione, all’istruzione, all’accoglienza e all’integrazione, salvaguardia del welfare non sono possibili senza un massiccio ricorso alla spesa pubblica, soprattutto a livello locale. Ma sono tutte cose che non possono più essere governate – se mai lo sono state – a livello centrale. Senza un radicale coinvolgimento delle popolazioni interessate attraverso nuove forme e nuovi istituti di democrazia partecipativa e nuove forme di finanza locale, direttamente promossi da Comuni e consorzi di Comuni, l’unico modo di impiego della spesa pubblica in funzione anticiclica va a parare sulle cosiddette Grandi Opere: cioè in un ennesimo sfregio all’ambiente e alla vivibilità, con ricadute, in termini di occupazione e produttività, nulle o negative”.
Si può non essere d’accordo su quest’ultima valutazione e su altre di Viale, ma è indubbio che l’impianto del suo ragionamento dal punto di vista istituzionale (Europa+vero federalismo) rappresenta il solo quadro entro il quale può svilupparsi il rilancio del Paese.
Pensare in termini di progetti di largo respiro, quando persino gli interventi di manutenzione ordinaria sono resi ardui dal contesto, è sicuramente complicato. Ma l’Amministrazione comunale di Milano ha il dovere di avviare nella seconda parte del suo mandato la valutazione e la realizzazione di importanza ed innovativi progetti che permettano la costruzione di quel Comune moderno e modello che è stato promesso in campagna elettorale ed i cui frutti verranno inevitabilmente raccolti da chi avrà il prossimo mandato che porterà alla Milano 2021.
Si procederà ad una profonda rivisitazione dell’intero sistema di welfare comunale, che oggi impegna con il modello della contribuzione una quota molto consistente del bilancio comunale. E’ necessario passare da un modello di erogazione di denaro a quello di predisposizione ed erogazione di servizi domiciliari attraverso sostegni ed agevolazioni in favore delle persone disagiate che intervengono direttamente a domicilio e nei luoghi di vita e lavoro.
La concreta costruzione della Grande Milano metropolitana partirà dalla elaborazione di una politica dei trasporti di area da parte di una Agenzia Metropolitana , la determinazione di un bilancio costi/ricavi allo stesso livello ed una politica tariffaria unificata. Il perno operativo sarà una grande azienda di trasporti territoriale che nascerà dall’integrazione Atm-Trenord , ma garantirà ruolo e spazio ad iniziative private per completare la rete dei servizi. Si valuterà l’ipotesi di strutture di finanziamento popolare dell’Azienda Trasporti oltre a forme di azionariato cittadino diffuso.
Più in generale si lavora a definire un nuovo ruolo delle società partecipate a presidio di funzioni strategiche per la gestione e l’innovazione del territorio ( le attuali Atm, MM ed Amsa) anche attraverso la promozione e la fondazione di nuove realtà e l’affiancamento e la rifocalizzazione strategica di società ed enti esistenti di interesse pubblico.
Si valuterà così la costituzione di una immobiliare “Città di Milano” anche attraverso la concentrazione dei patrimoni immobiliari creati dai lasciti dei milanesi direttamente al Comune o ad istituzioni storiche come il Pat ed il Golgi-Redaelli, allo scopo di utilizzare in modo dinamico un importante patrimonio per rispondere alle esigenze di una città che deve offrire anche abitazioni temporanee e di qualità a chi arriva per periodi limitati di studio e di lavoro.
Istituzioni importanti che vedono già in essere un partenariato pubblico-privato come la Fondazione Fiera possono e devono svolgere un ruolo molto rilevante nella politica di attrazione di investimenti e know how per Milano : un ripensamento strategico funzionale del loro ruolo è questione, al di là delle quote azionarie detenute, che riguarda l’intera città.
Si tratta, in definitiva, di ridare centralità a strumenti che sono stati sistematicamente smantellati in nome di un pregiudizio ideologico speculare all’idolatria del pubblico, come è avvenuto con la privatizzazione di Aem e la successiva sciagurata fusione con azienda di Brescia in A2A nella più totale assenza di un piano strategico minimamente logico. La rinnovata leva di amministratori e dirigenti delle società partecipate e delle Fondazioni che l’amministrazione Pisapia ha chiamato in causa attraverso nomine nemmeno lontanamente sospettabili di logiche spartitorie e lottizzatrici effettuate in questi due anni avrà un ruolo importante e significativo nella definizione di questa nuova “missione” strategica.
LA RIVOLUZIONE METROPOLITANA
Tutte queste azioni, indispensabili e doverose, non saranno tuttavia sufficienti a determinare una inversione di tendenza . La grande crisi recessiva non è una parentesi o una fase di un ciclo, è un evento che ha costretto tutti ad orientarsi verso un nuovo modello di sviluppo, una nuova economia dove si esporta di più e si consuma di meno, nella quale l’innovazione di processo più che l’invenzione è la chiave dello sviluppo.
Una economia più attenta alla coesione sociale, che si allontana dalle illusioni del consumo senza limiti e della speculazione e ritorna ai fondamentali del progresso, che sono l’utilizzazione dei talenti nella produzione e nell’innovazione, non può che nascere dalle città e dalle aree metropolitane e dalla rete dei rapporti che lega queste aree.
Il ruolo delle comunità locali e delle loro istituzioni è cambiato radicalmente: dopo aver passato decenni a ricostruire i propri spazi, a rigenerare periferie e restaurare edifici storici , aumentato possibilità e scelta di trasporto, adesso devono concentrarsi sulla creazione di un ambiente sostenibile e con garanzia di livelli di qualità della vita non solo per il lavoro e l’impresa ma anche e soprattutto per gli altri momenti e tempi di vita dei lavoratori , degli studenti e delle loro famiglie. La sfida delle “smart city” è il volano della nuova economia e parte dalla constatazione elementare ma a lungo dimenticata che le città sono “nostre” , l’ambiente è il bene comune e nessuno arriverà con una bacchetta magica a cambiare il destino se non si darà seguito alla spinta collettiva di riappropriazione del proprio destino e della propria vita che ovunque nel mondo è già partita proprio dalle realtà urbane.
Rafforzare lo spirito partecipativo, perché si è dimostrato vincente nelle realtà di successo, è il modo migliore per contenere l’egoismo individualistico, sperimentare assieme senza pregiudizi ideologici ma con pragmatismo, sviluppare relazioni e scambi con l’Europa ed il mondo nello spirito della Milano aperta che si è già palesata accantonando e facendo rapidamente dimenticare la visione cupamente chiusa e provinciale che era stata imposta da un decennio di amministrazioni che fondavano la loro stessa sopravvivenza sulla paura del nuovo e della diversità, è la condizione per essere parte di quella rete di relazioni fra città nelle quali si sta sviluppando la nuova buona economia della crescita sostenibile.
Per rendere evidente e modello quello che sta già avvenendo nella vita reale della nostra grande città e che oggi ha una visibilità relativa è necessario invertire la gerarchia dei progetti politici che si confrontano : è dalla città che nascono i modelli e le innovazioni anche in campo politico, non da un processo top down che vede un centro politico più o meno illuminato che spiega il grande progetto al popolo. Operare in rete, far emergere leadership collettive, essere guidati da capitani-giocatori direttamente impegnati in partita a fianco degli altri compagni e non da Grandi e distanti Timonieri affabulatori, è la caratteristica della comunità urbana ed è nel Dna storico di Milano.
La classe dirigente dell’area metropolitana è composta certamente dai leader eletti ma anche e soprattutto da chi dirige imprese, università, scienza medica, ricerca, sindacati dei lavoratori, associazioni culturali , ambientaliste e filantropiche, tutti potenzialmente attori e concorrenti di un movimento innovativo che fa leva sul territorio, sul lavoro e sulle persone .
L’OCCASIONE EXPO 2015
Expo 2015 è l’occasione perfetta per catalizzare energie ed idee in questa nuova visione politica e sociale , essendo un formidabile “concentratore” di progetti e know how orientati sul nuovo modello di economia sostenibile. Ma per cogliere appieno l’occasione occorre far sì che le innovazioni e la realizzazione che si vedranno nel sito nel periodo dei sei mesi dell’esposizione “escano” dal recinto ed esplodano su tutto il territorio metropolitano.
Gli investimenti e l’implementazione del “dopo Expo”, che non riguarda solamente il destino della grande area espositiva, sono la vera sfida e la vera occasione per rendere stabilmente Milano uno dei “nodi” della rete internazionale di città, i luoghi dove le diverse comunità scientifiche, professionali, culturali già operanti su saperi e circuiti globali, si incontrano, scambiano idee ed esperienze e si “contaminano” rendendo possibile la vera innovazione, carburante per lo sviluppo del terzo millennio. La metafora del bar di Silicon Valley dove i giovani Jobs e Gates si incontravano, discutevano, litigavano e si rubavano idee e progetti è diventata realtà mondiale ed ha come suo palcoscenico le grandi città di tutto il pianeta.
E’ per questo che occorre denunciare immediatamente la gravità dei ritardi e le contraddizioni imposte da una struttura politico-istituzionale che non è in grado per sua natura, al di là delle sincere ed intelligenti adesioni e condivisioni di singole autorità protagoniste, di mettersi sul piano corretto di rapporti di “networking” con le città e con il mondo, essendo prigionieri di un modello gerarchizzato che non è più attuale o riformabile in tempi brevi.
Occorre impedire che il morto afferri il vivo e lo trascini ai margini del palcoscenico europeo e mondiale.
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