giovedì 22 agosto 2013

Franco Astengo-Patrizia Turchi: Riorganizzazione operaia

LA RIORGANIZZAZIONE OPERAIA PER LANCIARE SUBITO UNA “VERTENZA INDUSTRIA” di Patrizia Turchi e Franco Astengo dal blog http://sinistrainparlamento.blogspot.it Mentre l’Italia “ufficiale”, quella del sistema politico, appare attorcigliata attorno al nodo dell’incandidabilità del Cavaliere, l’Italia “vera”, quella del lavoro sta andando letteralmente in pezzi. Basta guardare la realtà, anche oltre le illuminanti cifre fornite dall’Ufficio Studi della CNA di Mestre che ci indicano tutta la gravità della situazione: altro che “luce in fondo al tunnel”, alla fine del 2013 saranno altre centinaia di migliaia i posti di lavoro mancanti all’appello. Sta letteralmente disfacendosi quello che fu il “secondo modello” della nostra produzione industriale: quello geograficamente concentrato sulla dorsale adriatica e nel Nord – Est, fatto di medie aziende, di prodotti manifatturieri finiti, di marchi di grandissimo prestigio. Da Natuzzi a Berloni a Ideal – Standard, a tantissimi altri, le nuove condizioni di competitività internazionale e la complessità della crisi paiono non risparmiare nessuno, salvo la voglia di profitto dei soliti “padroni del vapore”. Dopo la vera e propria tragedia della privatizzazione della siderurgia, la completa sparizione degli altri settori dell’industria di base ad alta concentrazione di mano d’opera: dalla chimica, all’elettromeccanica, all’elettronica appare ormai completo il depauperamento di una realtà fatta di produzione, know-how, ricerca. E’ la fine di un modello sul quale si era molto forzato, fin dagli anni’80: quello dei “distretti”, della specializzazione, dell’intensificazione esasperata dello sfruttamento operaio, oggi tragicamente beffato con “chiusure” meramente speculative e “delocalizzazioni” fatte alla chetichella, di notte, trasferendo i macchinari in condizioni analoghe alla fuga della Casa Reale a Brindisi dopo l’8 Settembre. L’attenzione su questi fatti è minima, del tutto insufficiente rispetto alla loro gravità: non parliamo del governo, tutto proteso nelle logiche monetariste interne al gioco della BCE; delle forze politiche, interamente prese dai loro giochi interni; del sindacato confederale che pare proprio non avere più la capacità di vedere le grandi questioni nella loro interezza, nella loro piena prospettiva nazionale e internazionale. Altro che “Piano del Lavoro” di Di Vittorio, come qualcuno vagheggiò per puro spirito di propaganda partitica alla vigilia delle elezioni, organizzando improbabili convegni – passerella. Non entriamo qui nei singoli aspetti che presentano queste delicate (e dolorose problematiche). Lanciamo, invece, una proposta immediata: serva una forte spinta dal basso, una vera e propria “Riorganizzazione Operaia” per lanciare subito una vertenza “industria” che reclami l’essenzialità del settore industriale senza mezzi termini o concessioni di sorta ad ipotesi diverse. Una vertenza “industria” che reclami, da subito, un ruolo diverso dello Stato a partire dalla nazionalizzazione della siderurgia e ad un piano molto forte sul piano delle infrastrutture ad un’iniziativa di vera e propria regolazione pubblica circa l’utilizzo delle aree industriali. “Riorganizzazione Operaia” e “Vertenza Industria”: due parole d’ordine da lanciare immediatamente alla ripresa della mobilitazione del mondo del lavoro e in vista dei grandi appuntamenti di lotta previsti per le prossime settimane.

1 commento:

claudio ha detto...

si fa presto a dire industria....ci scriviamo su pc prodotti in Corea e Formosa, ci telefoniamo su apparecchi fatti in Finlandia e Malesia, usiamo reti create in USA, insomma del mondo dell’informazione siamo solo utenti, salvo qualche sito che ci costruiscono degli studenti o dei traffichini che usano gli stessi studenti per lucrare vendendo il loro lavoro allo Stato, alle Camere, alle regioni. Stiamo perdendo i laminatoi dell’acciaio, senza di che non siamo più un paese industriale: colpa delle privatizzazioni di Prodi, che han messo Ilva e Italsider in mano a dei tondinari. Leviamoci dalla testa che gli elettrodomestici abbiano un futuro, e al posto di tante baggianate che dicono, i sindacati metalmeccanici si occupino di capire perchè l’auto tedesca si vende e la nostra no: eppure abbiamo una ricerca e una logistica forte, ma una proprietà che ciancia di qualità mentre taglieggia i fornitori. Giusto è parlare di futuro industriale, per noi sempre collegato alla ricerca e al design, ma allora piantiamola di stracciarci le vesti perchè produciamo armi, di cui abbiamo un eccezionale know how produttivo e commerciale. La difesa dei posti di lavoro non vuol dire la difesa delle rendite burocratiche, in grado di paralizzare qualunque iniziativa, e di perdere qualunque confronto col settore privato: dagli esami medici alla consegna dei pacchi, all’apertura e variazione dei libretti postali, ogni volta è la burocrazia che richiede un mese per quel che il privato fa in un giorno. Di queste cose il sindacato non vuol neanche cominciare a parlare e si offende mortalmente se qualche politico ci prova: ma sulla strada del paese delle corporazioni c’ è solo il declino, rallentato dal consumo dei risparmi che abbiamo fatto quando si lavorava.