giovedì 4 luglio 2013

Francesco Maria Mariotti: Il golpe (?) in Egitto

Forse non è un "Golpe", quello a cui assistiamo in queste ore; non in senso classico, per lo meno. Se vogliamo dire in una formula semplificatrice, sembra essere un "colpo di mano" più vicino al "protagonismo militare" nella Turchia pre-Erdogan che alla situazione del Cile di Pinochet, tanto per intenderci. Da quel che sembra essere la "road map" che si sta annunciando in questi minuti, la democrazia non è completamente sospesa, ma - come dire - "commissariata", per arrivare a una gestione condivisa e diversa da quella che si era definita con Morsi. Però qualcosa forse possiamo dire, pur con tutta la prudenza necessaria per il fatto di scrivere a pochi minuti dagli eventi (e soprattutto per il fatto che chi scrive non è uno specialista di cose egiziane), sperando che il golpe non degeneri, e che venga preservato il diritto alla vita di Morsi e dei rappresentanti del governo destituito: 1. la prova di governo dei Fratelli musulmani sembra essere stata completamente fallimentare (vd. articoli che riporto oltre), e l'esempio in negativo per l'Egitto potrebbe essere un segnale importante per tutto il Mediterraneo, di disillusione rispetto alle "vie islamiche" che sembrano essere state scelte anche in altri paesi. E in questo caso - viste le reazioni della piazza - non sembra ci siano le caratteristiche - come invece è stato in altri momenti - di un "sequestro di democrazia" (anche se da un punto di vista formale la scelta è criticabile). Il governo dei Fratelli musulmani sembra essere il principale responsabile della crisi, da un certo punto di vista. 2. Una democrazia non è mai sciolta dal contesto internazionale; come non lo fummo noi nei primi anni del dopoguerra, come - sia pure in misura molto diversa - non lo siamo neppure ora. Giustamente. Grazie a una grande classe dirigente di tutto l'arco costituzionale, l'Italia si guadagnò sempre più -relativa - autonomia. Ma se le nostre scelte fossero state disastrosamente diverse, probabilmente avremmo vissuto "commissariamenti violenti", se non veri e propri colpi di stato. Grazie alla saggezza e all'eroismo dei nostri padri, e al coraggio degli italiani che scelsero il metodo democratico-liberale anche al di là delle loro fedi politiche, ci siamo guadagnati sul campo l'essere democrazia "piena". 2-bis. Una democrazia ai primi passi è inevitabilmente sotto tutela, strutturalmente direi, anche al di là della volontà delle altre nazioni, che magari sarebbero ben contente di non occuparsi della cosa. Va detto infatti che in questo caso è scattata una "autotutela" totalmente egiziana, non appaiono - al momento - "mani esterne" decisive. Ora probabilmente - come accennava Francesca Paci in uno speciale de la7 questa sera - Stati Uniti e Russia stanno premendo in modo diverso sull'esercito per valutare il "cosa fare" dei Fratelli Musulmani, con Mosca più decisa a una soluzione drastica, per bloccare anche l'influenza del movimento in Siria. 3. Il problema è sorvegliare i futuri passaggi, ed è necessario chiedere che comunque siano preservate - appunto - l'incolumità fisica di Morsi e dei rappresentanti del movimento. Detto ciò, sarà inevitabile una compressione dei diritti politici dei suddetti, e probabilmente su questo nessuna diplomazia potrà farci molto. Invece potrebbe essere molto importante riuscire a costruire con ElBaradei - che probabilmente giocherà un ruolo importante in questa fase, anche per la sua notorietà internazionale - un dialogo prezioso, tentando di innervare democraticamente una situazione che parte zoppicante. 4. Il timore più forte - che comprensibilmente molti hanno - è che vi sia uno scenario algerino. Per quel che vale come confronto, che è sempre molto arduo, il golpe algerino fu messo in atto a urne ancora aperte, impedendo qualsiasi effettivo esercizio del governo da parte degli islamici (il golpe del 1992 avvenne poco prima del secondo turno delle elezioni, che avrebbero probabilmente decretato la vittoria delle forze islamiche del FIS). In questo caso, come accennavo, la scelta sembra essere anche una diretta conseguenza del malgoverno egiziano. Questo fattore, insieme all'apparente forte consenso popolare, può forse evitare uno scenario drammatico come quello che abbiamo visto in Algeria. Ovviamente, la diplomazia internazionale dovrà insistere che non vi sia un'emarginazione totale della fratellanza musulmana (anche se - come dicevo - sarà inevitabile una qualche "compressione" di questa forza), in modo da ridurre al minimo le reazioni a questo "colpo di mano". Queste alcune riflessioni che si possono fare, ad ora, a caldo, inevitabilmente molto personali e approssimative. Prendetele come spunti di discussione. Speriamo che questa sia una "tappa imperfetta" nel cammino della democrazia, e non un passo indietro. Francesco Maria Mariotti *** Nell’arco di un anno la Fratellanza musulmana ha dunque seccamente smentito la definizione benevola degli analisti europei che la definivano una sorta di “Dc in format musulmano”. Al contrario, i tratti salienti della presidenza Morsi sono stati una sorta di isteria clanica del potere, aspirazioni autoritarie, nessuna capacità di mediazione e prevaricazione spudorata dei diritti delle minoranze religiose. Grandi sono le differenze tra l’Egitto di piazza Tahrir e l’Algeria del ’91, in cui la guerra civile iniziò appunto per una vittoria elettorale “rubata” dall’esercito e dal governo del Fnl ai Fratelli muslmani del Fis, ma i fondamentali si assomigliano e non è detto che l’esito non sia simile. Ma c’è di più e di peggio: l’acclarata incapacità politica di Morsi non è affatto un problema personale o egiziano. Ormai emerge con prepotente chiarezza al Cairo, a Tunisi, Algeri, Tripoli, Damasco, Ramallah, Gaza, Baghdad – e persino ad Ankara – la assoluta incapacità dei Fratelli musulmani di gestire non solo le crisi politiche, ma anche di governare con un minimo di capacità gli stati in cui hanno vinto le elezioni. http://www.ilfoglio.it/soloqui/18878 «La prima lezione è il totale fallimento dei Fratelli musulmani, che si sono dimostrati incapaci di governare perché non hanno saputo coinvolgere i tecnocrati e in generale le persone competenti. La seconda è che Morsi non era portatore di alcun progetto di rivoluzione islamista: ha preso il potere ma non ha saputo che farsene. La terza è il ruolo dell'esercito e del vecchio apparato di Mubarak, che è pronto a tornare alleandosi stavolta con piazza Tahrir. Poi c'è un altro insegnamento che va al di là dell'Egitto». In che cosa consiste questa lezione più ampia? «Mi pare che ci sia un elemento che accomuna tutti i movimenti di protesta in Europa e nel Mediterraneo, oggi, dalla Grecia alla Spagna all'Egitto alla Turchia: chi scende in piazza contesta, protesta, ma non cerca o non è in grado di prendere il potere. Questi movimenti non hanno leader, né un progetto coerente. I partiti populisti di estrema destra, dal Front National in Francia a Ukip in Gran Bretagna, hanno vocazione a governare. Chi scende in piazza oggi in Egitto, invece, mi ricorda i movimenti Occupy o gli Indignati europei, più vicini all'estrema sinistra. Cultura protestataria ma né rivoluzione né gestione del potere». La questione dell'Islam quindi non è centrale? «Direi proprio di no. In piazza Tahrir non si protesta contro un'islamizzazione che non c'è stata. I manifestanti rimproverano ai Fratelli musulmani due cose: l'incompetenza e il nepotismo. La corruzione non ancora, perché non c'è stato il tempo». http://www.corriere.it/esteri/13_luglio_03/incompetenti-corrotti-lontani-societa-fallimento-governi-islamici_0f741122-e39a-11e2-a86e-c1d08ee83a64.shtml

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