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mercoledì 3 ottobre 2012
Lanfranco Turci: Agenda Monti
Agenda Monti, il PD punti sulla discontinuità
In un precedente articolo su l’unità del 4 agosto scorso indicavo una
serie di fattori che rendevano tutt’altro che tranquilla la ipotizzata
marcia dal governo Monti al governo Bersani. Le ragioni di quelle
preoccupazioni aumentano di giorno in giorno.
L’Europa continua a restare incastrata nei meccanismi del fiscal ¢ompact e
del
ricatto dei mercati finanziari che già hanno fatto abbassare le
altisonanti promesse
di Hollande. La Bce ha messo a punto un progetto che se, per un verso,
ridurrebbe
il rischio sul piano monetario, aggraverebbe però ulteriormente le
politiche di austerità
e recessione dei paesi coinvolti. Tant’è vero che Monti e lo stesso
Rajoy – e quest’ultimo ne avrebbe più bisogno di noi - sono titubanti
a chiederne l’intervento per paura dei mastini della troika e della
definitiva perdita della sovranità nazionale.
Intanto tutti gli indici del nostro paese precipitano a picco, mentre
si intensificano
i rischi di deindustrializzazione. Ciononostante, come se vivessimo nel
migliore
dei mondi possibili, domina il mantra della intoccabilità dell’Agenda
Monti su cui
battono la grancassa le classi dirigenti del paese (da non confondersi
con Batman,
Scilipoti e soci), nonché i centri di potere finanziario e le
cancellerie europee e americane.
Questa Agenda è anche l’arma di Renzi e di una parte importante dei
gruppi dirigenti
del PD, più seria e accreditata del gianburrasca fiorentino, la quale
la usa come
strumento di ricatto verso Bersani e l’area a vocazione socialdemocratica di
quel partito. A completare il quadro è ora giunta, non inattesa, la
dichiarata disponibilità
di Monti a continuare i compiti anche dopo le elezioni, dando a quella
campagna
anche l’obiettivo esplicito e credibile del Monti-bis per il dopo voto.
Bersani si trova cosÌ stretto in una morsa pericolosa fra un
concorrente interno che
rilancia il programma di Monti e Monti in persona pronto a succedere a
se stesso.
Può bastare in questa situazione ricamare ghirigori attorno all’agenda
Monti, in termini
di più sviluppo, o più equità o più riforme?
Può bastare richiamare la eccezionalità del sostegno dato al governo Monti
per
«sciogliere gli enigmi dell’emergenza» (parole di un commentatore
sempre lucido come
Michele Prospero, che però stavolta non condivido)? E può bastare aggiungere
una
frase che appare più una minaccia che una promessa, in questi
frangenti, secondo cui
«ora tocca alla politica»?
Non credo. Premesso che non è proprio scontato che quei ghirigori si
concilino con la trama centrale dell’Agenda Monti e con gli impegni
poliennali che sembra non si vogliano mettere in discussione (chiedere
in merito di fiscal compact a Hollande!) non sono argomenti
convincenti a superare l’obiezione che il migliore interprete
dell’Agenda resta quello che l’ha costruita e che gode della fiducia
degli ambienti che contano in proposito.
Questo messaggio appare troppo debole per giustificare il cambio di regista.
Soprattutto appare debole per convincere e mobilitare il vasto popolo
della sinistra delusa, e ancor più quella parte di elettori anche
maggiore che non vedono le ragioni per tornare a votare.
Occorre un messaggio più tranchant, che marchi di più la discontinuità
col governo Monti e con le politiche dominanti in Europa.
Rilancio degli investimenti pubblici, rilancio dell’intervento
pubblico (fiat, Ilva, Alcoa), nuovo ruolo per la Bce, ricontrattazione
degli accordi europei in un’Europa che o è federale in senso pieno o
non è. Insomma occorre il segno chiaro e deciso di una nuova politica,
o il rischio è di perdere senza neppure aver provato a combattere
davvero.
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