Il Riformista - 2 giugno 2011 – pag. 4
La prima sfida: laboratorio di classe dirigente
Milano chiama Italia.
Un’ipoteca sul cambiamento della parola “sinistra”
Stefano Rolando
Vi è chi ha definito (lo stesso Pisapia) l’identità dello schieramento dei vincitori “i riformisti”. La parola tempo fa connotava (a malapena) i socialisti. A sinistra era una parolaccia. I socialisti, abituati ad avere ragione in ritardo, questa volta l’hanno avuta da morti. Non è però una ricostituita forza socialista, baricentro ideale di una composita coalizione, che ha vinto le elezioni più simboliche degli ultimi anni. Anzi, queste elezioni segnano una dissoluzione ulteriore dei socialisti come forma partito. Ma rivelano a Milano l’affermazione di un metodo che i socialisti riformisti avevano immaginato quando proposero (primi anni ’90) la costituzione di un partito democratico sul modello americano, anticipando la crisi della socialdemocrazia europea in una aggregazione per promuovere nuova alleanza tra lavoratori e ceti produttivi. Soprattutto per spaccare il blocco sociale generato dalla destra tra borghesi della rendita e piccolo-borghesi e proletari accecati dalla consolazione televisiva. Quell’intuizione non ha avuto tempo e forza di esprimersi. Il PD fu sommatoria di residui PCI e DC, i tentativi di generare una gamba con forze laiche della prima repubblica produsse solo l’adesione di un piccolo notabilato. La marginalità del carattere liberal, in particolare a Milano, ha accentuato vocazioni alla sconfitta nella sinistra perché la vittoria in politica nasce quando il nuovo, cioè la proposta, non ha paura della propria storia.
Il laboratorio possibile a Milano apre, segnale per il paese, l’occasione di riconsiderazione di queste dinamiche. Ma per capire le potenzialità bisogna partire dal successo del nuovo sindaco. Pisapia ha messo insieme la più ampia coalizione possibile di partiti. Poi ha sollecitato l’emersione di un blocco sociale tra cittadini reputati, associazionismo interclassista e allargamento della maggioranza. Candidato indipendente, è stato espressione di una sinistra con connotazioni libertarie. Ha sconfitto alle primarie il candidato PD, partito ancora privo di leadership nel territorio. Ha subito una campagna della destra che lo ha dipinto come estremista, zingarofilo ed eversore. Ne è uscito più saldo nel suo baricentro di mediazione prudente e allargata. Una sorta di neo-mitterrandismo senza i connotati chiusi di un partito, identificato con la gente, le famiglie delle biciclette, i mestieri normali, l’arancione spiritoso, le gag contro i tormentoni propagandistici della Moratti, il ritrovarsi in piazza o in rete contro la politica artificiale costruita con soldi e tv. Soprattutto detonatore di una riscossa borghese contro il provincialismo razzista e per un nuovo sguardo internazionale di Milano. Un capitale sociale immenso che doveva presupporre doti in chi lo attirava. Non le doti classiche dei politici “che ci sanno fare”. Neppure le doti da sole dei “novellatori” deamicisiani, magari più retori che giacobini. Infine Pisapia lontano da ogni giustizialismo ma radicato nella cultura garantista.
Solo cenni. Ma si coglie che razza di laboratorio sia abbozzato, che potenzialità si intravedano. Pisapia ha battuto l’esercito più armato della politica italiana post-fascista – quello della comunicazione berlusconiana alleata ai soldi dei Moratti – impedendo a ogni soggetto della coalizione di proporsi come luogo egemonico. Anche il PD, votato da un elettore su tre. Bersani ha assunto il saggio comportamento del no leader party, senza salire sul palco a fine campagna e rispettando la novità sociale dell’affermazione. L’evoluzione del PD – se lo stesso PD si percepirà così – è ora parte del laboratorio. Inoltre Pisapia – confermando la formula partiti più società - ha tenuto insieme marxisti,liberali,radicali, verdi, con visibile accoglienza di cattolici e socialisti, allargando poi a liberali storici, repubblicani e settori del terzo polo. Ha permesso di distinguere l’appoggio dei salotti (i soliti noti) dagli appelli nati nelle professioni, nelle università, nelle imprese. Piero Bassetti affiancato al candidato nell’iconografia simbolica della campagna.
Berlusconi ha guidato la campagna del primo turno uscendone dimezzato, lasciando la Moratti a meno 7 punti. Non merito di Pisapia ma declino del Cavaliere? Mah… Al ballottaggio si è dato fondo all’indecenza: call center ambiguamente istituzionali per “aiutare a votare gli anziani” che ampliavano il marketing su mercati, ospizi, ospedali, voci di voti comprati, affissioni abusive su Belzebù. Le urne hanno portato il distacco a 10 punti. Ancora non merito di Pisapia ma disperazione della Moratti? Via, il vento è cambiato, ma qualcuno doveva percepirlo e interpretare la direzione. Ci sono ora condizioni per parlare di buona amministrazione (in sé essenziale laboratorio di classe dirigente, pur con problemi da superare). Ma si può anche tentare un più difficile disegno, quello sulla riarticolazione della politica della sinistra al plurale in un paese, improvvisamente e comunque anche grazie a Milano, mostratosi civilmente più maturo.
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